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Autore: Afaneia    04/05/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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XIII – Fanculo i teologi di corte

It's not a pleasant thought, John. But I have this terrible feeling from time to time that we might all just be humans.”
Even you?”
No. Even you.”
Sherlock, Ep. 4X02, The lying detective.

Aveva ragione Impa: era lecito supporre che anche per Mipha e Daruk fosse intervenuto qualcuno a salvarli dal futuro. Questo è, senz’altro, il potere del piccolo guardiano, e la cosa, dopo Teba e Riju, non li sorprende più del tutto; quello che non s’aspettavano era di trovare Mipha in compagnia di uno Zora alto e prestante, aggraziato e selvatico come uno squalo, che ripete il suo nome con una punta di venerazione molto vicina all’incredulità e alla disperazione e che Mipha chiama Sidon.
«Ma Sidon non è lo stesso nome di…?» mormora Impa mentre già le sue dita si contraggono a formare complessi simboli di evocazione e di protezione Sheikah.
È lo stesso nome. Il fratello di Mipha è giunto dal futuro per aiutarla, come Teba, come Riju: se questo è vero, allora significa che Sidon è l’unico degli eroi del futuro a essere già vivo sulla loro terra all’epoca della Calamità; Link preferisce non soffermarsi a riflettere sulla complessità delle implicazioni di questo evento. Sidon è alto e robusto come gli eroi delle leggende, è armato di due tridenti che maneggia simultaneamente e non si allontana da sua sorella neppure quando l’Ira che ha conquistato Ruta cerca di trafiggerlo con una lunga lancia che si riforma tra le sue mani non appena l’ha scagliata, difendendola col proprio corpo; quando lo vede, sorride di un sorriso luminoso e lo chiama per nome. Mipha, che forse a stento era riuscita a realizzare di star combattendo al fianco di una versione più adulta di suo fratello, porta lo sguardo dall’uno all’altro senza capire: ha occhi enormi di stupore.
«Oh, Link!» Persino in questa circostanza la sua voce è dolce di una dolcezza irreale che Link sente che non potrebbe meritare mai. Li incalza un’emanazione della Calamità non dissimile da quella che Link ha già trovato su Vah Medoh e Naboris, oscena e bestiale, implacabile; lei e Sidon stanno resistendo, asserragliati nel ventre di Vah Ruta, ormai da più di un giorno intero, soli; eppure Mipha ancora trova tanta tenerezza, dentro di sé, da rivolgerglisi così. Ha gli occhi pieni di lacrime, è stanca, graffiata, estenuata: il potere della sua preghiera scorre incessantemente sul suo corpo nel tentativo di curarlo, e dev’esser così ormai da ore: i suoi poteri che si affannano a medicare le sue ferite, in continuazione, mentre l’Ira di Ganon gliene infligge, in continuazione, ancora e ancora; è costretta a sostenersi al suo tridente; presto non avrà più forze, eppure Link legge, nel grande sollievo dei suoi occhi, nella dolcezza della sua espressione, esattamente quello che Revali gli ha detto prima che partisse: che in tutte queste ore Mipha ha desiderato, ininterrottamente, di rivederlo. Ora che lo vede, che sente che è venuto per lei, persino la sua stanchezza sembra trovar pace. «Sapevo che saresti venuto ad aiutarci.»
Schierandosi di fronte a lei, con la Spada in pugno, senza osare di guardarla negli occhi perché di sostenere il suo sguardo Link non si sentirà degno mai, Link risponde: «Ma certo che siamo venuti. Non potevamo lasciarvi.»
Vorrebbe poterlo dire a testa alta, guardandola negli occhi, e forse in parte è la verità: è qui, ora, e la sta aiutando; non è del tutto una bugia; ma la verità è anche che ha posposto la sua salvezza, come quella di Urbosa e di Daruk, a quella di Revali. Quest’oscura colpa che sente aleggiare dentro di sé e impregnare persino le sue mani riuscirà mai a confessargliela senza tradirla?
L’Ira di Ganon è furente e rabbiosa e spazza l’aria di fronte a sé con una lunga lancia ancestrale simile a quelle che imbracciano i guardiani; porta una mazza ferrata colossale, gigantesca, che si configge al suolo in un nugolo di schegge di ghiaccio quando la agita; il suo corpo sgraziato, troppo esile per la sua enorme testa, sembra composto della corruzione stessa della Calamità divenuta carne; Link non ha idea di come Mipha e Sidon, da soli, abbiano potuto resistere per un intero giorno da soli contro di lei, e di certo non ne sarebbero stati in grado se non fosse stato per il potere della preghiera di Mipha; ma lui e Impa sono qui, ora; e Impa, a quanto pare, sente di non aver ancora combattuto a sufficienza, e soprattutto è molto arrabbiata.
L’Ira proietta su di loro schegge di ghiaccio taglienti come lame dalle quali Link non può che nascondersi dietro il proprio scudo, forse solo un secondo troppo tardi, perché se ne sente bruciar la fronte; Sidon protegge Mipha avvolgendola in una nube d’acqua che si fa, sotto il suo volere, solida e impenetrabile come acciaio, ma Impa vi scivola attraverso i proiettili di ghiaccio come se neppure potessero sfiorarla. È rapida a tal punto che Link, per un momento, non la vede più, sembra quasi scomparire dallo spettro del visibile: quando i suoi occhi tornano a seguire i suoi movimenti, Impa è a cavalcioni delle spalle dell’emanazione e conficca con entrambe le mani i pugnali nella sua testa.
L’Ira sgroppa ululando come un cavallo furioso, dalle sue ferite cola un sangue denso e vischioso dall’odore nauseabondo; Impa si lascia sbalzar via senza opporre resistenza per aver modo di controllare la propria caduta e Mipha si precipita a difenderla col proprio tridente dalla lancia dell’Ira che spazza rabbiosamente l’aria nel tentativo di colpire qualcuno, chiunque; Mipha respinge i suoi colpi levando il tridente di fronte a sé come uno scudo. Neppure i colpi furenti e selvaggi dell'Ira riescono a smuoverla; ma Sidon, che non può permettere che Mipha rischi neppure per un istante più del necessario di venire colpita, lo attira via da sua sorella scivolandogli davanti in un arco d’acqua che si solleva al suo passaggio come se venisse sollevata dalle ruote di un carro.
L'Ira non sa più su chi concentrarsi. Colpisce alla cieca, stupidamente, levando senza guardare né capire l'immane mazza ferrata ancestrale che si abbatte al suolo levando schizzi d'acqua che la celano alla vista; Link stringe le palpebre per prenderla di mira come farebbe in una tempesta, seguendola con la punta di una freccia finché non la vede abbastanza chiaramente da scoccare, ancora e ancora, strappandole grida di furore e rancore. Link vorrebbe cedere al suo primo impulso, quello di tempestarlo di frecce elettriche da lontano, riducendo al minimo indispensabile il contatto con la bestia; ma sono immersi fino alle caviglie in uno strato d'acqua che condurrebbe l'elettricità fino a loro; e gli Zora sarebbero ancora più a rischio di lui e Impa alla minima scossa. Le normali frecce di legno che Revali ha confezionato per lui, per questa volta, dovranno bastare.
Sidon scivola sull'acqua come potrebbe volare nell'aria, disegnando nel ventre di Ruta un percorso irregolare e imprevedibile per condurre l'Ira il più lontano possibile da sua sorella; col corpo trafitto da frecce che affondano fino all'impennaggio nelle sue carni, l'Ira cerca invano di prenderlo di mira con la lunga lancia ancestrale; ma Sidon sfugge alla sua mira troppo rapidamente perché lei possa colpirlo. Talora si volta per un istante a cercare i suoi occhi, come per trovarvi una muta intesa tra di loro; per un istante Link si domanda se anche con lui, come con Teba e Riju, sia destinato a combattere nel futuro, e se dunque Sidon conosca già i suoi movimenti e le sue strategie; ma non ha tempo di soffermarsi su questo pensiero. Sidon si ferma d'improvviso sollevando intorno a sé un'ondata d'acqua che si rifrange contro le pareti e con un unico movimento fluido conficca entrambe le sue lance nel volto dell'Ira.
Da sole quelle ferite non basterebbero; ma mentre Sidon tiene ferma l’Ira, Link la trafigge alle spalle con la Spada che esorcizza il male. Basta un affondo solo. È quasi un’offesa di fronte alla resistenza strenua, disperata, di Sidon e di Mipha per tutte queste ore, e alla Mipha che forse, secondo le parole di Teba, è morta nell’altro futuro, prigioniera per sempre dell’emanazione della Calamità e del ventre di Ruta come di una tomba: ma quella Mipha era sola, dice a se stesso. Non c’è vergogna nella sua sconfitta come in quella degli altri Campioni: nessuno di loro avrebbe potuto vincere da solo, impreparato e confuso, di fronte all’inatteso; neppure lui, neppure con questa Spada sacra che esorcizza il male e che è in grado di sconfiggere le emanazioni della Calamità.
L’Ira si dissolve di fronte a lui in un inferno di rancore e di quella melma nera, densa e appiccicosa, che lo inzuppa fino alle braccia e però scompare rapidamente mentre ancora Link la sta osservando. Un istante dopo, e questa è forse l’unica cosa veramente inaspettata che accada su Ruta, Sidon lo solleva tra lo braccia e lo stringe a sé esclamando: «Non avevo dubbi che saresti venuto!»
Questo Zora sconosciuto che lo abbraccia fino a soffocarlo come se lo conoscesse da una vita sarebbe già strano a sufficienza perché Link si trovi profondamente a disagio, anche se il suo volto non affondasse contro l’incavatura del suo collo per un istante più dello stretto necessario. Cosa che invece fa.
«Ti prego, dimmi che ci conosciamo nel futuro» mormora Link quasi senza fiato.
Sidon scioglie l’abbraccio in cui lo ha stretto con l’aria di aver appena realizzato d’esser stato un po’ eccessivo.
«Scusa, scusa» dice appena troppo in fretta. Link neppure sapeva che gli Zora potessero arrossire fino a questo momento. «È solo che nel futuro combattiamo insieme, e… perdonami. Mi sono lasciato trascinare. Tu non puoi ricordarti di me, ovviamente. Sono Sidon, il fratello di Mipha.»
Link annuisce senza sapere che rispondere: presentarsi a sua volta è superfluo, a quanto pare, perché questi coraggiosi guerrieri venuti dal futuro a combattere coi Campioni senza por domande né frapporre esitazione lo conoscono già. Non riesce a farsene una ragione. Dovrà chiederne a Teba.
«Pare che nel futuro tu combatta con un bel po’ di gente, Link» commenta Impa. I suoi occhi vibrano di una luce divertita e un po’ maliziosa che a Link mette quasi paura. Sidon si volta verso di lei.
«Voi dovete essere lady Impa» dice. Il suo tono ha perso la spavalderia carica di familiare di poco prima: è più basso e rispettoso, adesso, e reclina appena il capo verso di lei in segno di saluto. «Non ci conosciamo personalmente nel futuro, ma mio padre ha trattato molto con voi, come capo del villaggio Calbarico. Siete molto più…» Sorride d’imbarazzo mentre cerca le parole più adeguate: il suo sorriso sembra un’arma più pericolosa e letale, in molti modi diversi, delle due lance che manovra simultaneamente in battaglia. «Scusatemi. Voglio dire che io vi conoscerò cento anni nel futuro, e quindi…
«E dunque io sarò, presumibilmente, di cento anni più vecchia» lo interrompe Impa sorridendo. «Non preoccuparti di offendermi, Sidon. Non posso lamentarmi. Mi pare di capire che tu provenga da un futuro in cui i Campioni sono morti. Esser viva mi sembra già un dono di cui essere grata.»
Il volto di Sidon si oscura d’improvviso. Guarda verso Mipha, con occhi carichi di dolore, e dice solamente: «Non so cosa sia successo, ma non potevo lasciare che la prendesse di nuovo. L’ho già perduta una volta.»
Mipha posa una mano sul suo braccio come in una carezza. Lo guarda con occhi che non trovano voce per un momento, e Sidon posa la mano sulla sua mano e la stringe. Non si dicono altro. Link non riesce neppure a comprendere l’enormità del dolore di Sidon: non ha mai avuto sorelle né fratelli, eppure immagina che perderne uno sia come sentirsi strappare un braccio o una gamba e doversi misurare ogni giorno, per sempre, con la portata enorme di quell’assenza, avendola sotto gli occhi ogni giorno, come quel braccio o quella gamba, destinata a non potersi rimarginare mai.
«Voi sapevate già che Sidon veniva dal futuro, non è vero?» chiede Mipha infine distogliendo gli occhi da suo fratello. «E non solo perché l’ho chiamato per nome. Non siete rimasti affatto stupiti. Che cosa è successo?»
Impa annuisce. «Crediamo che sia per il potere del piccolo guardiano della principessa Zelda. Anche Revali e Urbosa sono stati salvati da due guerrieri provenienti dallo stesso tempo di tuo fratello. Sono vivi anche loro.»
«Revali e Urbosa» ripete Mipha. La sua voce conosce una breve esitazione. «E Daruk?»
Impa tace per un attimo cercando gli occhi di Link. Non sa come dirlo. «Speriamo che sia stato aiutato anche lui. Non sappiamo altro. So che avete combattuto fino a questo momento, ma pensi che tu e Sidon potreste accompagnarci con Ruta il più vicino possibile a Rudania per permetterci di riconquistarlo?»
«Veniamo con voi» si offre Mipha in fretta. È uno dei suoi slanci generosi, disinteressati e puri com’è lei; ma proprio in risposta al suo slancio sembra d’un tratto vacillare ed è costretta ad appoggiarsi alla Scagliadiluce. Sidon le è addosso per sostenerla prima di chiunque altro. Mipha si sforza di sorridere per tranquillizzarlo. «Perdonami, Sidon. Sono solo un po’…»
«Sei esausta» la interrompe Sidon in tono lieve di rimprovero. «Promettimi di restare su Ruta. Li accompagnerò io. Io e Link abbiamo già combattuto insieme, in fin dei conti. Me lo prometti?»
«Sidon…»
«Ti prego» insiste Sidon: la sua voce ha un accento di supplica tale da suonar quasi dura. «Non ti sto chiedendo di abbandonare il tuo compagno. Solo di restare su Ruta. Ti prego.»
Mipha si arrende non alle sue ragioni, ma alla voce di suo fratello. Passa una mano sul suo volto. «Starai attento, però. Vero?»
Sidon sorride del suo sorriso luminoso. «Prometto. Lady Impa» aggiunge levando gli occhi su di lei. «Avete già un piano per avvicinarvi a Rudania?»
Impa sfodera la tavoletta Sheikah, che ha usato per trasportarli entrambi sulle alture orientali, il più vicino possibile a Ruta, e la usa per mostrargli una mappa. Sidon si china su di lei per osservare il percorso che le sue dita tracciano tra i monti di Akkala e Oldin fino alle pendici del Monte Morte, là dov’è attestato Rudania, aggrappato alle pendici del vulcano in un inferno di calore e di fiamme: il piano è di utilizzare Ruta per raffreddare la lava bollente che circonda la montagna e permettere loro di raggiungere il Colosso. L’acqua però potrà proteggerli solo dal fuoco: per le orde di mostri disseminati sui sentieri che conducono al Monte Morte, dovranno combattere, e Impa inizia a indicargli i sentieri più ripidi e impervi dov’è più improbabile trovare lynel e magmarok. Questa è una lingua che Sidon sembra conoscere molto bene; si china su di lei per indicare un punto sulla mappa e suggerire qualcosa; Link si avvicina d’istinto per sentire, ma si sente chiamare.
«Link» mormora Mipha. S’è avvicinata in silenzio, discretamente, come tutto quello che fa, come se temesse d’infastidirlo. «Grazie di essere venuto.»
Link non sa cosa dirle. Vorrebbe prendere le sue mani e chiederle perdono; vorrebbe confessarle, come ha fatto con Urbosa, che ha scelto di salvare prima Revali perché… ma dirlo a lei non è come dirlo a Urbosa; portebbe con sé tutta una serie di impliciti e sottintesi che non sa come affrontare. Ma non può neppure mentirle, arrogarsi un merito di salvatore e di eroe che non ha né merita, minimizzare la portata enorme e le conseguenze infinite della sua scelta di salvare Revali per primo, a dispetto di tutto, egoisticamente, per il semplice fatto che lo amava.
«Avrei voluto arrivare prima» dice. «Avrei dovuto, ma Revali era su Medoh e…»
«Link» lo interrompe Mipha con una fermezza inflessibile, dolce, che Link non si attendeva da lei. «Non ha importanza. Sei venuto ugualmente a salvarmi. Non eri tenuto…»
«Anche tu sei venuta quel giorno» risponde Link. Non saprebbe dire perché gli paia così importante dirlo, fondamentale: forse perché non ha mai avuto occasione di dirle di averla riconosciuta, quel giorno, né di ringraziarla. «A Hebra, quando sei spuntata dal niente con quei medici militari e mi hai salvato…»
«Te ne ricordi, quindi.» Gli occhi di Mipha si illuminano un po’, ma poi si assottigliano all’istante come per un’improvvisa preoccupazione. «Avresti dovuto essere svenuto. Quella ferita… devi aver sentito un dolore atroce. Credevo fossi incosciente.»
«Non ha importanza adesso» risponde Link, e lo pensa davvero: quello è stato prima. Della sua condanna a morte e del matrimonio e del sacrificio che lui era pronto a fare: i Campioni per la vita di Revali. Vorrebbe dirglielo, confessarglielo, anche se non trova le parole; ma prima che possa parlare ancora, Mipha posa la mano sulla sua tempia, tra i suoi capelli, e mormora: «Sei ferito.»
Non se n’è neppure accorto. Se ne rende conto soltanto quando Mipha ritira la mano e Link la vede macchiata di rosso vivido: è sangue recente. È l’unica prova che quella ferita risalga a oggi, a quest’ultima battaglia; per quanto ne sa potrebbe risalire a ieri, allo scontro su Medoh, a quello su Naboris. Fa per tirarsi indietro da lei, ma Mipha torna a mettere la mano sulla sua fronte: Link sente il potere della sua preghiera scorrere sulla sua pelle come un balsamo. Chiude gli occhi per un istante tirandosi indietro dalla sua mano.
«No» dice. Da qualche parte, di fianco a lui, sente che Impa e Sidon stanno salendo nel ventre di Ruta, forse per verificare che la strada sia libera e sprovvista di mostri. «Ti prego.»
La mano di Mipha rimane protesa verso di lui a mezz’aria, vuota. Mipha lo guarda stupita senza poter comprendere. «Link…»
«Ho dovuto scegliere da chi andare per primo» esclama Link. È lieto che né Impa né Sidon possano sentirlo, ma sente di doverlo dire. Non può lasciare che Mipha continui a medicare le sue ferite dolcemente, fiduciosamente, come tutto quello che fa, e intanto continuare a tacere, ancora e ancora, e alimentare le sue speranze finché lei non lo scoprirà da sola. «E ho scelto Revali. Mi dispiace. Non mi merito le tue cure.»
«Link» mormora Mipha. La sua voce trema. «Chiunque di noi sarebbe stato costretto a scegliere nelle tue condizioni. Revali ti ha salvato, e tu gli dovevi così tanto…»
«Non l’ho fatto per questo» risponde Link.
Mipha tace molto a lungo mentre la portata delle sue parole si fa strada dentro di lei.
«Perché mi stai dicendo questo?» chiede a bassa voce.
Link non risponde.
«Oh» dice Mipha soltanto, chinando gli occhi, e per qualche momento non aggiunge altro. «Da quand’è che te ne sei accorto?»
Link potrebbe mentirle: se lo facesse, lei gli crederebbe. Ma Mipha non merita le sue bugie più della sua ingratitudine. «Non lo so. C’è una parte di me che lo ha sempre saputo, credo.»
«Mi dispiace» mormora Mipha. «Devo esserti sembrata molto sciocca, vero?»
Questo Link non può permetterle di pensarlo. Afferra la sua mano quasi con disperazione, tirandola a sé, e solo in quel momento Mipha alza gli occhi su di lui.
«Non ho mai pensato che tu fossi sciocca» dice Link. Sente la propria voce farsi quasi dura nell’ansia di convincerla. «Non ho mai pensato… neppure per un momento… avrei soltanto voluto non infliggerti nessun dolore. Perdonami.»
La luce si riflette negli occhi di Mipha come raggi di sole nell’acqua, tanto che Link non saprebbe dire se si tratti della normale umidità dei suoi occhi o di lacrime. «Non hai fatto nulla che io debba perdonare» osserva sorridendo tra il pianto. «Non hai nessuna colpa verso di me. Ma ti ringrazio di avermelo detto.»
Di non avere nessuna colpa verso di lei Link non è certo affatto; ma non saprebbe dire a parole di quale colpa si tratti si tratti. Abbassa lo sguardo perché quello di Mipha gli pare d’un tratto divenuto insostenibile. Dopo un istante sente di nuovo la sua mano tiepida posarsi tra i suoi capelli e la preghiera di Mipha tornare a scorrere sulle sue ferite e lenire il dolore. Vorrebbe che smettesse, allontanarla, forse; ma non ne ha il coraggio.
«Mipha…»
«Non ti ho mai curato perché mi aspettassi qualcosa in cambio da te.» La voce di Mipha è bassa eppure inflessibile. «Così come tu non hai mai salvato Hyrule perché ti aspettassi niente in cambio. Questo non cambierà mai, Link. Ricordatelo.»
Alzando lo sguardo sul suo volto, Link risponde: «Non lo merito ugualmente.»
«Io penso di sì» risponde Mipha piano. «Sono felice per te e Revali, comunque.» Non devi dirlo per me, vorrebbe dirle Link, ma si trattiene: non le farà il torto di crederla così meschina. Mipha comprende la confusione del suo sguardo senza ch’egli dica niente. «A questo mondo c’è troppa poca felicità perché cerchiamo di portarcela via gli uni con gli altri. Sarò sempre felice per te, Link. Te lo prometto.»
Link rimane in silenzio sotto il tocco benevolo dei suoi poteri e delle sue mani. Non dice niente perché di fronte alla smisuratezza della sua bontà non gli rimane niente da dire.


Ruta spruzza torrenti d'acqua che si rovesciano sul crinale della montagna come marosi, trascinando a valle rocce e fango e boblin che si dibattono ululando nel tentativo di non annegare.
Link e Impa si sono impregnati gli abiti e i capelli d'acqua per combattere il calore soffocante del vulcano: Ruta ha spento e raffreddato in parte il magma e la lava che si sono solidificati bruscamente al suolo, ma ancora l'aria proveniente dalle caldere è tanto calda e secca che potrebbe far bruciar loro addosso la stoffa dei loro vestiti. Sono costretti ad avanzare a piedi sulle rosse terre di Oldin sulle quali Ruta è troppo pesante per inerpicarsi rapidamente, su per i pendii scoscesi, contro una massa di boblin e grublin che discendono dalla montagna come se nascessero dalla terra e dal fuoco, brandendo clave infuocate e scagliando sassi e lava solidificata.
Non resta che farsi strada combattendo contro le orde di mostri risvegliate dalla Calamità, e andare avanti, ancora avanti, sulle pendici ribollenti del vulcano. Link sente che il braccio gli fa male, che le sue gambe gli sembrano diventate talora rigide e doloranti come enormi tronchi che deve sollevare faticosamente, uno alla volta, e trascinare avanti. Affonda la Spada nel ventre dei mostri ancora, ancora, in continuazione; gli sembra che non finiscano mai, che continuino a sgorgarne dal ventre della terra, furenti, disperati, solo per venire a scontrarsi contro il suo braccio che regge lo scudo, contro il suo braccio che brandisce la Spada. Gli sembra di non fare altro ormai da ore che mulinare la Spada, affondarla, tirarla indietro ogni volta più faticosamente dal ventre dei lizalfos, dei grublin: è la battaglia più lunga della sua vita; o forse è ancora la stessa battaglia, ancora e ancora, contro il male e la Calamità, che combatte da quando per la prima volta ha imbracciato una spada, da prima ancora di nascere, per infinite vite passate che non sono appartenute veramente a lui, e che continuerà a combattere, ancora e ancora, molto tempo dopo che sarà morto?
Sente chiamare il proprio nome. Per un attimo non capisca da dove provenga, se dalla bocca del vulcano o dalle correnti dell'aria, ma poi alzando lo sguardo intravede Impa in lontananza, leggiadra e distante dalla terra, levarsi su una roccia al di sopra di lui: persino lei, che è abituata a scivolare in mezzo ai nemici con le sue arti Sheikah, rapida tanto da esser quasi intoccabile, è insozzata di sangue e viscere fino ai gomiti e alle ginocchia; s'è tirata una delle sue maschere fino a coprirsene il naso, forse per filtrare l'aria troppo secca del vulcano o gli odori repellenti dei mostri, e ora di lei Link non vede che gli occhi, esausti come devono essere i suoi, eppure incrollabili. Link vorrebbe possedere la sua stessa fierezza e la sua stessa grazia; stagliata così nel cuore di una battaglia contro il vulcano e contro i mostri, Impa sembra intangibile e irreale come una guerriera di qualche antica leggenda Sheikah della sua infanzia: Link stenta a concentrarsi su quello che dice, deve sforzarsi per sentire le sue parole al di sopra del vento e delle urla dei mostri; ha quasi paura d'immaginarsele, forse perché gli sembra che provengano da una così grande lontananza. Si domanda se possano essere quelle le allucinazioni dovute alla stanchezza di cui gli parlava Teba ieri, o forse non era ieri ma in un altro giorno: chissà com'è che gli è tornato in mente proprio questo. Gli stava parlando di Revali, si ricorda: forse diceva che non aveva creduto, all'inizio, al fatto che Revali fosse sposato; pensa alla grande ferita sotto l'ala di Revali, al sangue che impregnava le sue piume; non sembrava grave, eppure, se si fosse infettata...
«Link!» urla Impa al di sopra del vento. L'urgenza nella sua voce lo strappa alle profondità della sua mente che lo avviluppano come abissi, Link si sente richiamato alla realtà dal suo nome: Impa sta indicando qualcosa dietro di lui. Guidato da un istinto più irresistibile tanto della sua ragione quanto del suo delirio Link si volta e affonda la Spada alla cieca nell'addome di un grublin che si accascia addosso a lui crollando come una torre.
Impa lo aiuta a sollevarsi ripetendo il suo nome, passa più volte le mani di fronte ai suoi occhi, e Link si concentra sulle sue mani nere di sangue e sui suoni che compongono il suo nome. Si sente nelle orecchie il suono del suo stesso sangue pulsare, come se vi premesse sopra una conchiglia, e il suo stesso respiro affannato e lento, raspante nel suo petto.
«Sto bene» dice al di sopra di quel respiro e di quella conchiglia, e finalmente sente la propria voce tra i suoni della battaglia. «Sto bene. Ce la faccio.»
«Solo un Colosso, Link» ripete Impa sostenendolo per le braccia, per il petto: nell'intimità della battaglia nessuno dei due sa più a chi appartenga quale arto, quale parte del corpo; il sangue che li ricopre e che per la gran parte non appartiene a loro rende la loro pelle estranea a loro stessi come una corazza che li protegge. «Ce l'abbiamo quasi fatta, Link. Li stiamo salvando.»
«Non come gli altri» dice Link improvvisamente, e per un istante vede i suoi stessi dubbi e i suoi stessi timori vacillare in fondo allo sguardo di Impa: non come quegli altri Campioni che, nel futuro dei loro nuovi alleati, sono morti il giorno dell'avvento della Calamità. Stanno cambiando quell'evento del passato, dunque, o almeno questo è quello che è loro dato credere sulla base di quello che sanno; ma questo che garanzie dà loro di vincere?
«Link! Lady Impa!»
Sidon emerge al di sopra di un crinale di roccia: era andato avanti in avanscoperta per verificare la strada, è tornato indietro per guidarli; anche lui, come loro, è coperto di sangue e interiora sin quasi alle spalle. Link non ha idea di dove trovi ancora forze per combattere; gli hanno proposto di restare su Ruta, al sicuro, con sua sorella: aveva già combattuto più che a sufficienza, per ore, fino al loro arrivo; non ha voluto, forse perché temeva che, se non fosse venuto lui con loro, sarebbe andata Mipha; e non voleva rischiare ancora la sua vita. I suoi occhi dicono chiaramente che se dovrà esserci un sacrificio, intende far sì che sia il suo. Non gli è stata data l'opportunità di salvare sua sorella perché la sprechi riposando. È un bene che sia qui per strapparli ai loro dubbi e alle loro incertezze.
«Vedo Rudania» grida Sidon. «Possiamo ancora salirci. Sbrighiamoci prima che si sposti. Non c'è nessuno ai comandi.»
Non sa se sia stato il suo nome a riportarlo al presente o forse la presenza insolita, ancora inspiegabile, di un Sidon adulto che combatte con loro da pari a pari; forse neppure vuole saperlo. Da qualche parte al di là del crinale Vah Rudania ruggisce di un ruggito tremendo che pare far vibrare l'aria in un inferno di scintille. Si leva una nube di fumo, da qualche parte, e Impa lo strattona e dice: «Andiamo. Non sappiamo se il vulcano erutterà di nuovo.»
Il suo corpo lo supplica di fermarsi, di smettere; tutti i suoi muscoli urlano di un dolore sordo, basso, che pervade tutte le sue membra; Link neppure ricorda quand'è stata l'ultima volta che ha veramente dormito, mangiato, riposato; non importa. Solleva lo scudo per riparare se stesso e Impa mentre si inerpicano su per il vulcano borbottante.
Rudania è aggrappato alle pendici del vulcano al di sotto di loro, con le zampe enormi che si stringono invano nel tentativo di stringere la roccia sotto di sé, raspando la polvere e la lava solidificata in un nugolo di scintille e di fumo; non ha occhi, eppure sembra vederli e poterli inseguire; ma non accade. Il Colosso è cieco e privo di pilota, ma al di sopra di esso, sulla sua vasta schiena piatta, s'intravedono figure scure che si muovono. Link non le conta per timore d'illudersi che anche Daruk sia stato salvato e dover poi scoprire che non è vero.
«Dobbiamo arrampicarci» grida Impa per farsi sentire al di sopra del ruggito di Rudania e del ribollire sordo del vulcano. «Ve la sentite?»
Che se la sentano oppure no non cambia nulla: sono qui. Si issano sul Colosso ignominiosamente, tirandosi su a forza di braccia sulla scivolosa superficie ancestrale che, per fortuna, non assorbe il calore; si aiutano con quello che hanno, colle loro armi, perlopiù, e le loro dita scivolano su strati di cenere e fuliggine e lava ormai cristallizzata.
La schiena di Rudania è un inferno che brucia. L'ultima Ira di Ganon è immensa, più grande di tutte quelle che hanno incontrato finora, coronata di fuoco; ma ha un solo braccio realmente funzionale, enorme e proporzionato rispetto al suo corpo, che imbraccia una spada ancestrale in fiamme; l'altro è grottescamente sottosviluppato e come nudo, privo di muscoli, ricoperto della nero-violacea corruzione della Calamità; ondate di fiamme divampano sul dorso del Colosso allargandosi intorno all'Ira come cerchi nell'acqua a ogni suo movimento.
Al centro dell'incendio che infuria, inamovibile e incrollabile, Daruk scoppia a ridere della sua risata roboante che echeggia tra le valli montane e grida: «Hai visto che sono venuti ad aiutarci, Yunobo?»
È come rivivere la stessa scena, ancora e ancora. Il solo sollievo è che è l'ultima volta, deve esserlo: Link si sente chiamar per nome, per l'ennesima volta, da qualcuno che non ha visto mai né conosce ma che sembra conoscer benissimo lui; è un giovane Goron insicuro e nervoso, agitato, poco più di un bambino, che sorride in mezzo al fumo al vederlo e grida con voce entusiasta: «Link!»
Se l'Ira di Ganon non fosse diversa, se lui non fosse circondato da ondate di fuoco che si rifrangono contro i parapetti di Rudania, se l'acqua non evaporasse dalla sua pelle e dai suoi capelli rapida fino a soffocarlo, Link penserebbe d'essere intrappolato in uno strano viluppo del tempo destinato a ripetersi, ancora e ancora, fino all'eternità; è come vedere, in un tempo rallentato e ripetuto all'infinito, la stessa pantomima ripetuta e identica a se stessa, e Link deve esercitare un titanico sforzo su se stesso per ricordarsi che tutto è ancora reale, tangibile, e che quella pantomima ancora non è finita e lui ancora non ne conosce il finale.
Lo richiama alla realtà un'ondata di fuoco che si allarga dal fendente della spada ancestrale dell'Ira che taglia l'aria orizzontalmente e la voce di Daruk che grida ridendo: «Attento, roccia!»
Un istante dopo, il giovane Goron si schiera di fronte a loro e li protegge dal divampare delle fiamme allargando attorno ai loro corpi uno scudo identico a quello di Daruk. Impa si volta verso di lui con occhi enormi di stupore nel volto annerito dal fumo e Daruk, di nuovo, scoppia a ridere.
«Avete visto? Dal futuro è arrivato un mio discendente ad aiutarmi!»
«Discendente?» ripete Impa. La sua voce s'è fatta appena più acuta e incredula del solito.
Col volto contratto dallo sforzo di tenere alto lo scudo contro la vampata di fuoco e la voce tremante per la fatica e l'imbarazzo, il giovane Goron china gli occhi e si presenta come se se ne vergognasse. «Mi chiamo Yunobo, signora. Molto piacere. Sono anche un amico di Link nel futuro.»
Impa dardeggia con gli occhi verso di lui. I suoi abiti Sheikah le coprono la bocca, ma Link è quasi sicuro che stia sorridendo. «Un amico di Link, eh? Più tardi devi raccontarmi come fa a essere tanto popolare nel futuro.»
Poi tutto torna ad adeguarsi al copione che è già scritto e si ripete, ancora e ancora, fino alla nausea. L'Ira di Ganon scatena su di loro un torrente di fiamme da cui Yunobo riesce a tenerli al riparo finché non si esauriscono: non può emetterle indefinitamente, realizza Link, perciò devono esserci momenti, forse interi minuti, in cui è possibile avvicinarsi e colpirla.
Non gli rimane che accertarsene. In questi momenti il suo corpo non gli duole neppure più, la stanchezza e il calore neppure li sente: approfittando del momento in cui l'Ira termina il suo fendente, Link si scaglia contro di lei e la colpisce al braccio deforme e troppo debole che non imbraccia armi. La corruzione della Calamità risale lungo la lama della Spada per un tratto, cerca invano di avvilupparvisi senza trovare appiglio, e Link non è certo che, se si trattasse di un'arma che non è sacra, non riuscirebbe a risalire lungo l'elsa fino ad avvinghiarsi al suo braccio: forse è così che sono morti gli altri Campioni, pensa fugacemente mentre tira indietro la Spada, avviluppati e soffocati dai viticci della corruzione della Calamità, prigionieri per sempre dei Colossi sacri come tombe che a nessuno è dato vedere; forse, in quell'altro futuro da cui proviene Teba, anche Revali...
Il braccio deforme dell'Ira di Ganon cade mutilato dalla sua lama, rimane appeso alla spalla dell'emanazione per nient'altro che tendini e filamenti di pelle e di quella sostanza vischiosa, densa; il mostro urla di un urlo atroce, bestiale, e colpisce alla cieca con la spada enorme, che ancora non ha ripreso fuoco, come farebbe per colpire un moscerino senza vederlo: Link solleva lo scudo all'ultimo istante. Riesce a parare la lama della spada ancestrale dell'Ira, ma lo scudo rincula violentemente contro il suo costato mozzandogli il respiro. Cade al suolo senza aver fiato abbastanza neppure per gridare. Il suo primo impulso è quello di chinare gli occhi sul proprio petto: è quasi certo di vedere la punta d'una costola perforargli la carne, ma non vede nulla. Se anche si è rotto una costola, quantomeno la frattura non è esposta.
Il secondo fendente dell'Ira lo ucciderebbe se non fosse perché Sidon gli si para davanti e lo respinge con le due lance incrociate facendogli scudo del proprio corpo. Link si tira in piedi puntellandosi alla Spada e dice ad alta voce: «Grazie.» Non sa neppure se Sidon sia in grado di sentirlo al di sopra delle urla dell'Ira mutilata; ma questo misterioso Zora venuto dal futuro che ha appena rischiato la vita per salvarlo si volta e gli sorride nel cuore della battaglia.
«Avventato come al solito, eh, Link?»
Si tirano indietro appena prima che un'altra ondata di fiamme si allarghi attorno a loro, mentre l'Ira stride di furore. I loro compagni la circondano da ogni lato, approfittando di ogni varco nella distesa di fuoco che le si spande attorno; Daruk e Yunobo la martellano da vicino, pericolosamente, abbattendo i loro enormi martelli in grandi colpi dall'alto come fabbri furenti; del resto, non temono il calore né il fuoco; ma la gigantesca spada ancestrale che l'Ira brandisce col braccio che le è rimasto può ferire anche loro.
Impa comprende i suoi pensieri al solo cogliere la direzione del suo sguardo.
«Link! Provo a rallentarlo» grida. Le sue dita si piegano e si flettono rapidissime, evocando antichi simboli Sheikah che appaiono sul corpo dell'emanazione, percettibili appena alla vista come ombre proiettate da una nube; è sufficiente. I gesti dell'Ira si fanno più lenti e pesanti, aggravati come da un peso invisibile: non può durare a lungo, gli occhi di Impa sono assottigliati e fissi nello sforzo dell'evocazione; non si può perdere neppure un istante. Non appena le fiamme che circondano l'Ira si attenuano sulla pietra viva di Rudania, spegnendosi progressivamente in anneriti cerchi semiconcentrici di fumo e cenere, Link scavalca gli ultimi barbagli di fuoco e conficca la Spada nel braccio enorme dell'emanazione.
Non è un arto sottile e poco sviluppato come l'altro. Stavolta è come tagliare con una spada il tronco di un albero, e per di più disperatamente, sperando che l'albero non si ribelli e resti fermo a sufficienza da lasciarglielo fare: non c'è nulla di eroico in tutto questo. È un atto ignominioso, nauseante: la Spada affonda nelle carni dell'Ira di lato recidendo misteriosi tendini duri, spessi, come se tagliasse i cordami in tirare di un'imbarcazione, quasi uno dopo l'altro, e ogni volta Link deve strattonarla via più forte e con più disperazione, convinto fino all'ultimo, ogni volta, che questa volta non riuscirà più a estrarla dalle sue carni repellenti e che si ritroverà disarmato e solo troppo vicino all'emanazione della Calamità... poi Daruk compare all'improvviso dal nulla da qualche parte ai margini del suo campo visivo e gli fa scudo del proprio corpo da un fiotto di fiamme che Link non aveva visto arrivare. Il calore attorno a lui si fa insopportabile, vede il fuoco scorrer loro attorno come se l'osservasse dal centro di un cristallo nel quale non può muoversi né gridare, le braccia possenti di Daruk lo inchiodano al suolo mentre l'inferno passa loro addosso senza riuscire a bruciarli; poi le fiamme intraprendono un percorso diverso, Sidon e Yunobo attirano lo sguardo dell'Ira distante da loro, altrove sulla schiena vastissima di Rudania, e Daruk abbassa lo scudo che li scherma e lo lascia andare.
L'Ira di Ganon gli sta dando le spalle. La strategia di Sidon e Yunobo ha funzionato, l'emanazione della Calamità cerca di inseguirli ma invano: a malapena brandisce l'enorme spada ancestrale, il braccio che le è rimasto penzola dalla sua spalla come un brandello di pelle, privo di forze; non è più in grado di allungare alcun fendente. È quasi innocua, ora.
Link si solleva sulle gambe che quasi non lo sostengono e conficca la punta della Spada tra le costole dell'Ira, affondandola nella sua schiena con tutto il proprio peso. L'ultima Ira di Ganon si spegne sotto la sua Spada stridendo come vapore.


È in ginocchio sulla larga schiena di Rudania, ha le dita anchilosate strette attorno all'elsa, doloranti, il polso piegato; deve far forza con l'altra mano per aprire le dita fino a lasciarla andare. La Spada scivola giù per le sue ginocchia tintinnando sul dorso annerito del Colosso mentre il suo petto si abbassa e si rialza rapidamente in grandi respiri brucianti e angosciati. È finita, ripete a se stesso e forse lo dice qualcuno al di fuori di lui, finita; i Campioni sono stati salvati.
Sente da qualche parte la risata possente di Daruk, roboante, e la voce incerta ma sollevata di Yunobo; Impa dice qualcosa, anche, e Link distingue appena il nome di Sidon, quello di Zelda: se non ci fosse Impa con lui, Link non saprebbe neppure da dove partire a raccontare quello che è successo.
Si ritrova stretto d'un tratto tra le braccia solide di Daruk, schiacciato contro il suo petto immenso e il fianco di Impa. Se l'Ira di Ganon non gli aveva ancora spaccato una costola, Link è quasi certo che ce l'abbia fatta questo Goron troppo entusiasta; ma la sua stretta forse è quello di cui aveva bisogno per tornare al presente e rendersi conto d'esser vivo.
«Mi dispiace» esala con la poca voce che i suoi polmoni ancora sono in grado di emettere. «Mi dispiace. Avrei dovuto venire prima...»
«Venire prima? Roccia, ma per chi mi hai preso?» ribatte Daruk. La sua voce è squillante e pare riempire l'intera vallata. «Se c'era qualcuno che poteva resistere, quelli eravamo io e Yunobo. Avete seguito la strategia giusta. E poi, stiamo tutti bene, no?»
Di fronte alla sua schiettezza della sua voce, alla franca semplicità del suo ragionamento, Link china gli occhi. Non sa cosa rispondere, forse perché tutti i Campioni lo hanno perdonato, ciascuno a suo modo, per aver scelto Revali; ma questo non l'ha fatto in alcun modo sentire meglio. Forse è perché è lui a non aver perdonato se stesso; o forse è perché è consapevole che sceglierebbe Revali ancora e ancora, ogni volta, e dunque le sue parole non sono altro che una richiesta di un'assoluzione per un peccato che commetterebbe di nuovo. Forse non gli rimane altro che accettare che un'assoluzione non c'è; che lui non è, e forse non è mai stato, l'eroe disinteressato e puro delle leggende e che gli altri hanno sempre richiesto da lui. Che forse persino lui è umano e fragile e talora gli è dato essere egoista.
«Grazie» risponde solamente. La manata che Daruk gli abbatte sulle spalle questa volta non gli fa quasi più male.


Daruk e Yunobo si uniranno a loro tra tre giorni, non appena si saranno accertati che tutti, nella città dei Goron e nelle terre di Oldin, stiano bene; devono difendere la loro gente dai mostri. Si offrono di riaccompagnare Sidon al limitare dei domini degli Zora, alla massima distanza percorribile da Rudania: Sidon cerca invano di convincere lui e Impa a venire con lui. Su Ruta Mipha potrà medicare le loro ferite, dice; ma loro devono riferire alla principessa. Link, che ha il costato dolorante a ogni respiro che gli gonfia il petto, non dice niente; è contento soltanto di tornare a casa. Gli pare d'esserne stato lontano abbastanza a lungo: vuole solo dormire il più a lungo possibile, magari per giorni, e vedere Revali. Poi combatterà anche per Hyrule, come sempre; ma prima vuole rivederlo e accertarsi che stia bene.
La tavoletta Sheikah li trasporta appena fuori della roccaforte di Hebra. Non sembra possibile essere di nuovo lì: hanno percorso Hyrule in ogni direzione possibile, ne hanno attraversato quasi tutte le regioni; sono state giornate infinite. Impa posa la mano sul suo braccio per un momento per fargli cenno di attendere: Link guarda a lungo nel suo volto che è annerito ed estenuato come il suo. Al di sotto del sangue, della polvere, della cenere, non riesce a intravederne quasi che gli occhi: probabilmente è tutto quello che anche lei vede quando guarda lui.
«Stai bene?»
«Una costola incrinata, credo» risponde Link. «Passerà. Ora voglio solo...»
«Non parlavo di quello» lo interrompe Impa.
Link alza gli occhi sul sole rosseggiante, basso al di sopra delle cime dei monti, appena visibile attraverso le grandi nubi. A Hebra calano le ombre molto presto.
«Credi che sia definitivo?» chiede. È la prima volta che ha il coraggio di chiederlo ad alta voce, o che anche solo che ha il tempo di articolare questo pensiero per esteso, nella sua mente, e che non è soltanto un insieme di sprazzi e di dubbi che aleggiano appena ai margini della sua coscienza. «Che il fatto che li abbiamo salvati stavolta abbia scongiurato quel futuro in cui sono morti e la Calamità dura per cent'anni...?»
Dalla voce di Impa è evidente che si è posta la stessa domanda e che si attendeva di sentirla anche da lui.
«Non lo so.» Percorre con la gamba un semicerchio sulla neve ghiacciata, pensierosamente. «Ma non sono morti da soli, prigionieri dei Colossi per cento anni. Concentriamoci su questo. Dobbiamo ringraziare il piccolo guardiano, immagino. Anche se non so ancora spiegarmi come.»
«Ho detto a Mipha di me e Revali» dice Link d'improvviso. Non sa perché d'un tratto gli sia parso inspiegabilmente importante dirlo.
Impa l'osserva in silenzio per un po'.
«Hai fatto bene» dice finalmente. «Meritava di saperlo da te, penso. Sarebbe stato peggio se vi avesse visto soltanto baciarvi. Me l'ha detto Teba» aggiunge ridendo quando Link la guarda incredulo chiedendosi come faccia a saperlo. «Rifattela con lui. Non che non potessi intuirlo anche da sola, comunque. Ma tu non gliel'hai detto solo perché volevi che lo sapesse, vero?»
Impa riesce a leggere dentro di lui molto più a fondo e meglio di quanto riesca lui stesso, forse perché lo conosce così bene, da tanti anni, e hanno combattuto insieme più volte di quante a entrambi faccia piacere ricordare. Link non ha neppure il coraggio di guardarla.
«Li avrei lasciati morire» dice. «Se non ci fosse stato il piccolo guardiano, se non fosse stato per Teba e gli altri... non avrei mai fatto in tempo a salvare anche loro dopo Revali.»
«Posso farti notare una cosa?» Link ascolterebbe da lei qualsiasi cosa: Impa prosegue. «Quando siamo arrivati su Ruta, Mipha non ha ringraziato entrambi per essere venuti a salvarla. Ha ringraziato te. Oh, no, ti prego» aggiunge per smorzare sul nascere le proteste che Link sta già per pronunciare. «Tu sai che io non sono così meschina, e che non mi aspetto ringraziamenti più di quanto te li aspetti tu. Non è questo che stavo cercando di dire. Quello che intendo è che... sappiamo entrambi che Mipha è la migliore tra noi, Link. Eppure anche lei, quando ha avuto paura di morire, non ha visto che te. Se neppure lei ha potuto impedirsi un pensiero egoistico, in quel momento, forse non possiamo fare altro che rassegnarci al fatto che siamo esseri umani...»
Link rimane in silenzio molto a lungo a osservare il sole nascondersi dietro i picchi innevati di Hebra. Discendono in silenzio verso il cuore della guarnigione.
«Link.» Quando Impa parla di nuovo, la sua voce è calma e ragionevole. «Ho avuto modo di chiedere qualcosa a Sidon, mentre tu parlavi con Mipha su Ruta. Gli ho chiesto se per caso sapesse che cosa è successo a me e a te all'avvento della Calamità, in quel futuro da cui proviene lui.»
Link non vorrebbe neppure pensare a quel futuro in cui Revali è morto, eppure fa forza su se stesso e chiede egualmente. «Che cosa ci è successo?»
«Non sa di preciso cosa sia successo a me, se non che, nel suo futuro, io sono un'anziana capovillaggio del Villaggio Calbarico. Ci pensi?» Link ride con lei a bassa voce: non riesce a figurarsela vecchia. Chissà come sarà. Un capo sì, però: Impa è nata per guidare la gente,per come la vede lui. «Di te, invece, lo sapeva. Hai protetto la principessa com'era tuo dovere, l'hai condotta via dal castello, poi sei rimasto vittima di un attacco di guardiani. Sei stato condotto in un antico sacrario Sheikah per essere curato e hai dormito per cento anni per riprenderti. Beh, lui te lo racconterà meglio» protesta di fronte al suo sguardo confuso. «Non è che avessimo poi molto tempo per raccontarci i dettagli. Comunque, nel suo tempo, hai fatto quello che dovevi: sei rimasto il Cavaliere che brandisce la Spada che esorcizza il male, hai protetto la principessa Zelda a costo della tua vita... ma non li hai salvati.»
Link l'ha ascoltata finora in silenzio, cogli occhi bassi, attendendosi da lei qualcosa, una rivelazione, forse; ma non era questa. Leva lo sguardo su di lei sentendosi colto alla sprovvista. «Che cosa intendi?»
«Che in quel tempo abbiamo fatto tutto quello che ci era stato detto, Link. Tu sei stato fino alla fine l'eroe della leggenda, e io avrò fatto, immagino, quello che si richiedeva da me... eppure non li abbiamo salvati e abbiamo perso. Se abbiamo salvato tutti i Campioni, se abbiamo ancora una speranza di vincere contro la Calamità, non è in quel mondo in cui abbiamo obbedito, ma in questo nostro presente in cui tu sei troppo innamorato di Revali e hai deciso che l'avresti salvato contro tutto e contro tutti, senza neppure curarti di essere l'eroe...»
Link lascia che le parole di Impa scavino dentro di lui a una profondità alla quale neppure sapeva che parole potessero arrivare. Non sa che cosa dire. Vorrebbe credere a quelle parole perché sono disperatamente belle, perché redimono le sue azioni e le innalzano a uno stato in cui la disobbedienza non è più egoismo ma libertà; ma proprio per questo credervi gli sembra troppo comodo e troppo facile. Forse non è ancora pronto per concedere a se stesso di credere di aver fatto bene ad agire per se stesso e a mettere il suo amore prima di tutto, prima del dovere, prima di Hyrule.
«Lo pensi davvero?» chiede senza osare guardarla.
Sente il tocco tiepido delle dita di Impa sotto gli occhi, là dove sudore, sangue e fuliggine devono aver creato uno tale strato di sporcizia che la sua pelle neppure è più visibile.
«Penso che il piccolo guardiano abbia cambiato qualcosa e ci abbia dato una possibilità di cambiare le cose» risponde. «E penso che se questa possibilità ci è stata data, non è perché la sprechiamo a cercare di commettere gli stessi errori di coloro che invece hanno sbagliato e perso. Il che non ci impedisce di sbagliare e perdere anche noi, ovviamente... ma in modo diverso. Basta con le leggende, adesso. Forse dobbiamo cavarcela con le nostre forze nel presente che ci è stato dato.»
Link annuisce, quasi più per sé che per lei. «Con buona pace dei teologi di corte, quindi.»
«Fanculo i teologi di corte» ribatte Impa.
Link non potrebbe sentirsi più d'accordo con lei.


Kagan li fa trascinare quasi di peso in infermeria non appena li vede: la principessa Zelda accorre non appena avvertita. I suoi occhi si dilatano di stupore e di sollievo quando li vede: ha addosso abiti Rito che ricadono sproporzionatamente grandi sul suo corpo magro, stretti in vita da grandi cinture, e i capelli raccolti in un castigato nodo sulla nuca. Appare piccola e minuta come Link non ricorda di averla mai vista, esausta: forse anche lei non dorme da quando è scappata dal Castello, è inquieta, angosciata; sembra ricominciare a respirare solo quando li vede. Passa cogli occhi dall'uno all'altra senza avere il coraggio di chiedere: Link annuisce soltanto. Ci sarà tempo di spiegarle tutto più tardi; ma per ora deve sapere che ce l'hanno fatta. Che queste ferite e questo sangue non sono stati vani: che li hanno salvati.
Kagan non è disposto a creder loro neppure quando gli giurano che, per la maggior parte, il sangue che hanno addosso non appartiene a loro: non ha tutti i torti, dopotutto. Un medico lo tira a sedere su una branda e gli sfila la tunica senza troppe cerimonie: Link prova almeno a dirgli che è quasi sicuro d'essersi incrinato solo un paio di costole, ma lascia perdere perché ha la sensazione che non lo ascolterebbe. Non c'è da biasimarlo.
«Avrei dovuto metterti in arresto quando potevo farlo» commenta Kagan seccato, sorvegliando a braccia incrociate l'operazione. È l'unico modo in cui sappia dirgli che era in pena per lui, a quanto pare. «Avrei potuto farlo, tecnicamente, sai. Sei sottoposto alla legge dei Rito.»
«Come sta Revali?» chiede Link a bassa voce. Ha resistito all'incertezza finché ha potuto; ma ora deve sapere se sta bene.
Kagan sembra considerare per qualche momento se debba rispondergli oppure se debba tenere il punto ancora per un po'. Getta uno sguardo a Derdran, che assiste alla scena sull'attenti dal fondo dell'infermeria. «Offeso a morte ma vivo, direi. È ancora agli arresti. Ti farò condurre da lui non appena il medico dirà che puoi andare.»
Derdran si schiarisce nervosamente la voce.
«Capo, a questo proposito, posso dare l'ordine del rilascio? Posso mandare subito un soldato, se...»
Kagan neppure si volta verso di lui: sembra molto più interessato a esaminare le larghe abrasioni sulle spalle di Link sotto le dita del medico. «Che fretta c'è? Se dai ordine di smettere adesso la sorveglianza, si precipiterà qui per vederlo, e il medico ha detto di farlo stare a riposo il più possibile. Sbaglio?»
Il medico che in questo momento è curvo su Impa, intento a pulire lentamente la sua ferita, sfilandone con sottili pinzette minuscole particelle di ghiaia, annuisce distrattamente per conferma. Kagan scrolla le spalle come a dire che, se quello è il parere del medico, lui non può farci niente; ma Derdran non appare particolarmente convinto.
«Non è da me difendere Revali, capo, ma lo stiamo trattenendo senza accuse. I soldati parlano. Non hanno creduto alla questione della sicurezza.»
«L'ultima volta che sono passato davanti alla capanna di Revali durante il tuo turno di guardia, mi pare di averlo sentito minacciare di scoccarti una freccia su per il retto*» risponde Kagan in tono perfettamente neutrale. Impa scoppia a ridere persino sotto i ferri del medico mentre Derdran avvampa di rabbia. «Non capisco che fretta tu abbia di rimetterlo in libertà, Derdran. Qualche altro minuto di fermo non lo ucciderà. I soldati hanno già l'ordine di rilasciarlo non appena vedranno arrivare Link. Rilassati.»
Kagan non ha mentito. Quando il medico acconsente finalmente a lasciarlo andare con la sola diagnosi di qualche costola incrinata e di un'insperabile fortuna e la raccomandazione di assoluto riposo, Derdran lo scorta di persona attraverso il forte: Revali è stato sistemato in una minuscola baracca all'estremità orientale della roccaforte. Due arcieri sono collocati di guardia di fronte alla porta, ma Derdran non lo accompagna fin lì: si limita a fare un segno coll'ala da lontano. È sufficiente: gli arcieri fanno cenno d'aver capito, si sporgono all'interno a dire qualcosa e si allontanano. Derdran rimane a osservarli finché non li vede scomparire.
Link non sa dove trovi dentro di sé la forza d'ironizzare. «Non entri a salutare?»
Derdran gli concede un sorriso forzato. Persino lui sembra non aver più forze: è responsabile per la sicurezza di tutta la loro gente, come Kagan, del resto, e per i suoi soldati; e negli ultimi due giorni ha dovuto mettere tutto questo da parte per aiutare lui a salvare Revali. «Hai sentito cosa mi ha detto Revali. Mi perdonerai se non entro a scoprire se scherzava o meno.»
«Presumo che non abbia accettato le tue scuse, quindi.»
«In verità, credo che questo fosse proprio il suo modo di accettarle.» Derdran reclina il capo in segno di commiato. «Complimenti, Link, e grazie. Per quello che hai fatto. Ti darei una pacca sulla spalla, ma preferirei non dover ricominciare tutto daccapo con tuo marito.»
«Grazie a te» risponde Link mentre Derdran torna verso la caserma, e lo pensa davvero. «Per i lynel.»
«Bah» risponde Derdran senza voltarsi. Dalla sua voce Link deduce che stia sorridendo tra sé. «Figurati. Per così poco. In fin dei conti, forse glielo dovevo. Ma ora siamo pari, eh?»
Link posa una mano sulla maniglia, inspira profondamente ed entra; poi Revali lo prende tra le braccia prima ancora che abbia varcato la soglia del tutto.
Link sente allargarsi nel suo petto qualcosa di molto simile al sollievo. Prova persino a protestare, per un attimo, per un vago senso di civiltà che aleggia ancora da qualche parte dentro di lui, e posando le mani contro il largo petto di Revali, ancora coperto di bende, prova a dire: «No, aspetta... sono quasi sicuro di avere delle viscere di boblin tra i capelli. O di lizalfos. Non stringermi così.»
«Tutto molto interessante» mormora Revali, ma non accenna a lasciarlo andare, e Link decide che ha già fatto quello che poteva per convincerlo e che può restare contro il suo petto ancora per un po'. Sente da qualche parte il pulsare basso e rapido del suo cuore contro la pelle, solo un po' accelerato, e va benissimo così. «Ne terrò debito conto. Sei vivo.»
«Ti avevo detto che sarei tornato» risponde Link.
«Giusto» riconosce Revali a bassa voce. «Gli altri...»
«Li abbiamo salvati.» Diventa più reale quando lo dice ad alta voce, tangibile, quasi. «Anche loro erano stati salvati da guerrieri del futuro, come te e Urbosa. Sono vivi.»
Revali annuisce contro la sua fronte, lentamente. «Io e Teba l'avevamo ipotizzato. Lui ha persino proposto dei nomi. Il fratellino di Mipha e un discendente di Daruk. Aveva ragione?»
«Tutta gente con cui combatterò nel futuro, a quanto pare» conferma Link. «Non è che devo essere geloso di Teba, vero?»
Revali ride. Link sente la sua risata col volto reclinato contro la sua gola, più contro la pelle che con le orecchie: è una vibrazione più che un suono; è piacevolmente bella.
«Direi di no. È sposato e ha anche un figlio, da quel che ho capito. Penso che tu possa stare tranquillo. Sai che i soldati sospettano che discenda da Kagan nel futuro?» Revali posa la mano tra i suoi capelli. «Puzzi come una stalla bruciata, comunque. Forse devi fare un bagno davvero, sai.»
Link scoppia a ridere contro il suo petto.
È come essere di nuovo a casa, in un certo senso. È tutto più piccolo e più scomodo, arrangiato alla meglio, naturalmente: fanno bollire l'acqua limpida, pulita, che affiora nel forte dalle stesse falde delle terme di Hebra, e riempiono la vasca di fortuna in un angolo della capanna che ospita una sola stanza. L'aria si fa calda e satura di vapore mentre l'acqua s'intiepidisce lentamente.
Link si sfila strati su strati di cotte di maglia e abiti incrostati di sangue. Quando alza le braccia al di sopra della testa le costole gli dolgono tanto da mozzargli il respiro, ma è solo per qualche giorno, dopotutto: passerà.
Ha il torso cosparso di grandi ematomi violacei, qualcuno quasi rosso, dove il sangue si è raggrumato in maggior quantità; i muscoli delle braccia e delle gambe sono intorpiditi a tal punto che quasi non riesce a muoverle; gli fa male tutto il corpo, e respirare è doloroso quasi come i colpi stessi ricevuti in battaglia; ma è a casa, adesso. Il dolore è qualcosa che si attenua col tempo.
Revali lo osserva in silenzio mentre si spoglia. S'è sempre vergognato mortalmente di guardarlo mentre si spogliava, ha fatto ogni volta di tutto per evitare la sola idea della nudità; forse si vergogna ancora, un po', e di certo non è del tutto a suo agio; ma non si sottrae più. Posa la mano delicatamente sulla sua pelle, contro l'ematoma più grande e più vistoso, quello sopra le costole: Link si sforza di non trasalire. I grandi occhi verdi di Revali non si distolgono dai suoi.
«È stata la Calamità» mormora.
«L'Ira del Fuoco, penso» risponde Link. «Voglio dire, quella che abbiamo trovato su Rudania.»
Revali annuisce. «Mi sembra un nome adeguato.» La sua mano scivola sulla grande cicatrice oblunga, irregolare, che risale accanto al suo ombelico per il suo intero addome: Link trattiene il respiro per un istante. In qualche modo quel contatto è più intimo e privato che se toccasse la sua intimità. «Questa è di Hebra» mormora.
Link annuisce soltanto. È la cicatrice della battaglia di quel giorno, orrenda e deforme, di quando i medici militari gli hanno reinserito a mano gli intestini nell'addome e Mipha, piangendo, lo ha salvato.
Revali lo aiuta a entrare nella vasca e a sedersi al suo interno: Link non è sicuro che riuscirebbe a entrarvi senza il suo aiuto. Le sue gambe sono talmente irrigidite, doloranti, che a malapena gli sembra di riuscire a muoversi; sollevare le ginocchia è tremendamente doloroso. Si sente riavere nell'acqua calda: chiude gli occhi per qualche istante appoggiando la nuca contro il bordo della vasca.
«Quella è stata la prima volta che mi sono accorto di tenere a te» dice Revali improvvisamente.
Link apre gli occhi al nervosismo della sua voce. «Quando mi hanno ferito a Hebra?»
«Sì. Quando il tuo cucciolo è venuto a dirmi che forse stavi morendo.»
Link considera per un istante l'opportunità di fargli notare che nei suoi racconti Lelek è passato molto rapidamente dall'essere indicato come attendente a cucciolo di attendente a cucciolo, ma infine decide di no. Che quel nome fa trasparire abbastanza di quanto Revali pensa di Lelek senza bisogno che lui se ne accorga. «Che cosa hai pensato?»
«Non lo so con precisione. Forse non lo sapevo neanche allora. So solo che d'un tratto ho avuto paura che tu morissi.»
Link si sforza di non voltarsi verso di lui perché ha paura che, se lo guardasse, Revali non parlerebbe più; ma si sente la gola stranamente chiusa. Pensa al cammino interminabile, con Impa e con Derdran, sulle montagne di Hebra, coll'angoscia continua di non raggiungere Medoh in tempo. «Sì... lo capisco.»
«Ho avuto paura anche questa volta. Ho pensato che...» Link sente contro le tempie il tocco lieve delle dita di Revali che districano piano i suoi capelli umidi. «Mi dispiace. Sto cercando un modo per dirti che ti amo, ma non so come dirlo.»
Link potrebbe giurare d'aver sentito il proprio cuore saltare un paio di battiti.
«Va bene anche così» dice. Si sente la bocca molto asciutta. «Ho capito quello che c'era da capire.»






* Ok, questa l'ho rubata ad An13Uta dalla sua recensione al settimo capitolo. Perdonami, ma mi avevi fatto talmente tanto ridere che ho dovuto a tutti i costi renderlo canon (per quanto canon possa essere qualcosa in una fanfiction, s'intende).
Colgo l'occasione di fermarmi a ringraziare An13Uta, LeVicomteDeBragelonne e Agares per star seguendo questa storia in qualsiasi modo. Forza e coraggio, giuro che siamo quasi alla fine! (Anche se, tecnicamente, questo capitolo doveva contenere anche i prossimi due. Solo che poi, non ho capito come, si è triplicato.)
Alla prossima!
Afaneia
   
 
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