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Autore: Artichoke    20/09/2009    3 recensioni
Una città magica. Due ragazzi con lo stesso nome. Un segreto sepolto per troppo tempo che, dopo sette anni, fa più male che mai. (sistemato l'HTML del primo e secondo capitolo, mi scuso con i lettori XD Non c'è niente da fare, sono proprio negata per queste cose ò.ò)
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                            THE PAST NEVER RETURNS 

Act-01

La città era avvolta dai colori caldi del crepuscolo. Un’altra giornata giungeva al termine, mentre il sole morente ghermiva di un rosso scarlatto i palazzi e le strade  incredibilmente trafficate. Mentre la notte, impietosa, giungeva ad inghiottire tutto con la cieca oscurità, la città era come preda di un incantesimo che solo gli ultimi raggi solari potevano produrre. Pareva che il tempo si fosse fermato, rapito anch’esso dal calore di quel cielo impregnato del colore del sangue.

Dopo tanti anni di lontananza, Alexander fu lieto di constatare che  quella strana sensazione che lo avvolgeva ogni volta che il sole calava su Londra non lo aveva abbandonato. Dal piccolo finestrino dell’aereo dove stava viaggiando da appena un’ora poteva scorgere le vecchie case, i grandi palazzi e le atmosfere della sua infanzia ormai lontana. Berlino, pur essendo una città molto bella, non era mai stata capace di suscitare in lui quelle strane sensazioni. E per un momento, dall’alto di quell’aereo, quella cupa e uggiosa città gli sembrò la più splendente e solare del mondo.

< a tutti i passeggeri: allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per atterrare nell’aeroporto di Heathrow>.

La voce gracchiante dell’altoparlante fece sussultare tutti i passeggeri, ancora rapiti dal paesaggio mozzafiato che si consumava dinnanzi a loro.

“dopo tutti questi anni, non è cambiata nemmeno di una virgola. La mia città” pensò Alexander, allacciando la cintura senza staccare gli occhi dal finestrino. Quanto tempo era passato? Nonostante mancasse da sette anni, di fronte a quella vista gli sembrava trascorsa un’eternità.

 

Dopo appena dieci minuti, l’aereo sussultò toccando l’asfalto dell’aeroporto londinese, tra i sospiri di sollievo dei passeggeri più timorosi.  Appena gli sportelli si aprirono, un vento gelido avvolse i nuovi arrivati, ormai abituati al  riscaldamento automatico del velivolo.

Appena Alexander mise piede fuori dall’aereo, sentì il suo stomaco fare una capriola.  Lo ignorò e si diresse rapidamente verso l’entrata dell’edificio, paralizzato dal freddo a lui così familiare. Dopotutto, anche Berlino non era rinomata per le atmosfere afose e estive!

 

< Mi porti allo Strand Palace Hotel, per cortesia>  Proruppe Alexander, salendo su uno dei tanti taxi parcheggiati di fronte al grande aeroporto.

< complimenti, deve avere proprio un sacco di soldi da spendere! > Esclamò il vecchio tassista vedendolo entrare tutto impettito.

< Meno di quanto immagina, mi creda> Rispose il ragazzo tranquillo, aspettandosi una reazione del genere.

< Ah! E’ vero, sono un povero tassista, ma so riconoscere chi di soldi ne ha a palate, e chi invece li può vedere soltanto in cartolina! > Disse il vecchio.  Poi, in tutta calma, mise in moto e imboccò una grande strada poco trafficata.

< Non può andare più veloce? > Chiese il ragazzo, scorgendo dal sedile posteriore il contachilometri luminoso della piccola automobile.

40 k\h.

< ehi, ragazzo, calma i bollenti spiriti! Cosa credi, che questa sia una di quelle tue macchine sportive da 100.000 sterline?! > sbottò il tassista, abbassando ulteriormente il contachilometri.

< Scusi, guardi che il limite su questa strada è settanta!! E’ pericoloso andare così piano!>

< Ha! Cosa ne sai tu?? Io faccio questo mestiere da quarant’anni e in tutto que…>

“Ecco, fantastico! Pure il tassista logorroico, adesso!”

<…. Mai preso una multa!! Ehi, ma mi ascolti?!> Esclamò il vecchio, spazientito.

< ah, questi giovani!! Ma cosa credono, che solo perché sono un po’ più in forze di noi pretendono di…>

< la prego, mi risparmi!! >  Sbottò esasperato il ragazzo. < vada a 40, a 30 o anche a un chilometro all’ora, basta che riesca ad arrivare in hotel con tutte le ossa a posto!!> concluse, in preda a violenti attacchi di emicrania.

A quelle parole, seppur contrariato il tassista si zittì, limitandosi a imprecare sottovoce e a borbottare “Questi giovani” e cose simili.

“Oh, grazie a dio!! Non vedo l’ora di chiudermi in hotel e farmi una bella dormita!!” pensava il giovane Alexander, in preda alle fitte e al nervosismo, mentre lo sgradevole rumore di un martello pneumatico gli risuonava nella testa. Probabilmente, se avesse saputo ciò che lo aspettava una volta giunto a destinazione, sarebbe volentieri rimasto a farsi quattro chiacchiere con il “simpatico” tassista.

 

                                                            ***

 

Il grande magazzino sotterraneo era in pieno fermento. Un fremito di eccitazione e impazienza percorreva all’unisono la moltitudine di persone presenti nella grande sala polverosa, illuminata solo dalle fredde luci di alcune lampadine al neon sparse qua e là.

Alle mura vecchie e cosparse di una sottile ragnatela di crepe erano addossate centinaia di scatole delle più disparate dimensioni, impilate l’una sull’altra, che andavano a formare alte colonne dal precario equilibrio.

Alcune scatole erano aperte, altre sigillate, altre ancora erano semidistrutte, e a volte vi si poteva scorgere il contenuto. Vasi antichi, gioielli di ere passate, pezzi di mobili d’epoca, ma anche oggetti di uso comune come ombrelli –gli ombrelli non potevano certo mancare in una città come Londra – e cianfrusaglie più o meno ingombranti. Quel magazzino poteva essere tranquillamente definito (sia per la sua data di costruzione che per il suo contenuto) un vero e proprio pezzo di storia.

< Ehi, Alec!> Esclamò uno dei ragazzi che affollavano il magazzino. Probabilmente, se non avesse avuto la pelle ambrata, sarebbe addirittura sbiancato < senti.. per quella cosa… a che ora devi… ehm… andare?> domandò titubante, rivolto a un suo coetaneo seduto su uno degli scatoloni di fronte a lui.

< Porta pazienza, Jamal.  Fra un paio d’ore sarà tutto finito, vedrai. > rispose tranquillamente l’altro, alzando gli occhi violetti dalla rivista patinata sulle sue ginocchia, inchiodando il compagno con lo  sguardo.

< Sì, certo… ma… hai preso le dovute, ehm, precauzioni?> Insistette Jamal, Gli occhi nerissimi pervasi di una strana inquietudine.

A quelle parole, il ragazzo di nome Alec sorrise, mostrando una schiera di denti bianchissimi.

< non ti preoccupare! Anche se mi prendessero, non farei mai il vostro nome. E in più, e non lo dico per vantarmi, credo di essere parecchio più furbo di loro! > esclamò, in tono che voleva essere rassicurante, ma che inquietò ancora di più Jamal.

< Oh, Alec… io non … non intendevo certo darti del traditore… Però, ecco… siamo felici che la trattativa si sia finalmente conclusa, ma siamo anche preoccupati per te…> Ribattè l’altro, scuotendo la folta chioma bruna e lucida.

< Oh, davvero?> rispose Alec, portandosi una mano ai capelli nerissimi, sorridendo smagliante. < siete preoccupati? Oh, Jamal, grazie!! Ma non dovete essere in pensiero, davvero! Sono anni che faccio questo lavoro, e sono stato sempre molto prudente! Senza contare che nessuno sa chi sono, no?> Concluse, sorridendo malizioso in direzione del ragazzo di fronte a lui.

< Quindi, mi raccomando, riferiscilo anche al tuo clan. Mi sembrano tutti piuttosto nervosetti, là dietro…> Si raccomandò, buttando la rivista sullo scatolone e alzandosi dal giaciglio improvvisato.

< Bene, signori. E’ ora che levi le ancore, temo. Ci rivedremo fra un paio d’ore, non preoccupatevi! > Esclamò, con un sorriso malizioso stampato sul viso pallido.

Poi si diresse a passo svelto verso la porta in fondo al magazzino, lì dove nemmeno la luce delle fredde lampadine riusciva ad arrivare.

Ma proprio quando stava per imboccare l’uscita si bloccò, e si volse ancora una volta verso la folla radunata alle sue spalle.

< Oh, e naturalmente sarò qui con la merce!! Senza ritardi né complicazioni, s’intende. >

Subito dopo, rapido come un ciclone, scomparve dagli sguardi stupiti e preoccupati di tutti i presenti.

 

< Allo Strand, Lucas> disse Alec salendo sulla macchina, una piccola cinquecento di un sobrio colore nero, rivolto al vecchio seduto sul sedile del guidatore.

< Sì, signorino Alec. Sta lavorando per il signor Jamal, vero?> chiese il vecchio posando gli occhi di un celeste incredibilmente cristallino in quelli viola del ragazzo alle sue spalle, attraverso lo specchietto dell’auto.

< Già. Devo dire che sono un po’ emozionato. Sai, era da un sacco di tempo che non mostravo il mio viso in pubblico.> Affermò il moro, nonostante i suoi occhi non tradissero alcuna emozione.

< Credo siano passati all’incirca  sette anni, signorino.> Rispose il vecchio Lucas in tono pacato. La bocca sottile, contornata da una fitta ragnatela di rughe che donavano al suo volto l’aspetto di una statua di gesso coperta di piccole crepe, si schiuse in un sorriso profondo, quasi paterno, così diverso da quello del ragazzo dietro di lui.

< Ah, davvero? Ma pensa, non ci avevo fatto caso… così tanto tempo?> rispose Alec, il viso congelato nella stessa identica impressione di poco prima.

< Non sembrate sorpreso, signorino> osservò Lucas, gli occhi sempre fissi in quelli viola del ragazzo.

< Non ti sfugge nulla, eh, Lucas?> esclamò il moro, scoppiando a ridere. Quell’improvvisa ilarità però non convinse il vecchio, che si limitò a scuotere la testa facendo ondeggiare i corti capelli brizzolati di un bianco candido.

< beh, Lucas, credo sia tempo di andare. La chiacchierata è durata abbastanza, per oggi. E poi lo sai, non amo i contrattempi sul lavoro. > Disse Alec, poggiando la testa sul sedile accanto a lui.

Erano ormai in viaggio quando la voce  tranquilla del ragazzo risuonò nel silenzio dell’ abitacolo.

< Secondo te torneremo per le nove e mezzo? Inizia la mia soap opera preferita…>.

                                                                   

                                                                    ***

 

Si era ormai fatto buio quando, più stremato che mai, Alexander giunse  a destinazione. Il vecchio tassista lo aveva lasciato senza tanti complimenti dall’altro lato della strada con tutti i bagagli sparsi a terra, e si era dileguato con il lauto pagamento del ragazzo alla velocità della luce. Alexander non ne era sicuro, ma gli parve di scorgere riflesso nello specchietto retrovisore gli occhi arcigni del vecchio fissarlo con disprezzo.

“Eh, già. Londra non è cambiata di una virgola, e a quanto pare neppure i Londinesi!” pensò, la testa a pezzi per via della solita emicrania.

Nonostante  fossero appena passate le sette, la città era già stata inghiottita dalla notte. Tuttavia,  le luci dei lampioni e i fari delle auto illuminavano le strade di mille luci colorate. Il traffico, ovviamente, era da record.

Alexander, con la testa a pezzi e la pazienza  ancor di più, si armò di buona volontà e olio di gomito e riuscì a caricarsi addosso tutte le valige abbandonate sul marciapiede. Attraversò la strada a passo deciso, con il disappunto dei vari automobilisti, rischiando due o tre volte di essere investito. Quasi non riuscì a passare, tanto il marciapiede era intasato di macchine parcheggiate. In particolare, proprio di fronte all’entrata stava una cinquecento lucidissima. “ Pirati della strada” pensò Alexander “ ma chi gliela da la patente, a questi? E mo come faccio a passare?”

Superate le non poche complicazioni  , dopo aver sentito distintamente una macchina sfiorargli il piede e rompergli il timpano con il clacson, riuscì ad arrivare a destinazione. Di fronte a lui, la grande insegna luminosa dell’hotel risplendeva di un tenue color ocra.

< Posso aiutarla, signore?> Esclamò subito un fattorino, in attesa a pochi metri da lui.

< Oh, certo, la prego…> Mormorò il ragazzo, stremato, scaricando le borse con un tonfo sordo che fece sussultare il pover’uomo in attesa.

< Sta bene…?> chiese cortesemente quello, vedendo Alexander barcollare.

rispose, salendo a passo di lumaca i gradini che conducevano alla porta d’entrata. Era così stanco da non riuscire nemmeno a notare il grande cartello giallo evidenziatore attaccato alla porta, su cui vi era scritto “tirare, prego.”

Per fortuna il fattorino, che era una gran brava persona, lo vide in difficoltà e si affrettò ad aprire il portone, nonostante dovesse spingere il pesante carrello con le valige.

Mormorò, incerto su come comportarsi di fronte a quel ragazzo evidentemente più morto che vivo.

La voce di Alexander era appena un sussurro, tanto che il fattorino riuscì per un pelo a sentirla.

Appena le porte si aprirono, il ragazzo fu investito da un soffio di vento caldo che riuscì un poco a rinvigorirlo.

L’interno dell’hotel era,  ovviamente, incredibilmente lussuoso. Al centro del soffitto dipinto vi era un lampadario incredibilmente brillante, che illuminava a giorno l’intera sala. Il pavimento era così lucido che poteva tranquillamente essere usato come uno specchio. In mezzo alla stanza vi erano numerosi divanetti di un tenue color panna, dove gli ospiti dell’hotel bivaccavano tranquillamente sorseggiando aperitivi o leggendo riviste. Ognuno di loro era vestito in modo estremamente elegante, a parte un vecchio dall’aria sciatta e un ragazzo moro,  molto giovane, vestito di una semplice e anonima maglia nera.

< da questa parte, prego…> Disse il fattorino, spingendo il carrello verso il bancone della reception.

 

 

                                                                     ***

 

< Siamo arrivati, Lucas> proruppe d’un tratto Alec, gli occhi serrati e il viso poggiato sul sedile. Non aveva guardato la strada nemmeno per un secondo, fin da quando erano partiti.

< Ottimo intuito, signorino> si complimentò il vecchio, senza essere minimamente stupito da quella performance. 

< bene , è ora di andare. Io la attenderò qui, come sempre> continuò Lucas, Scendendo dalla macchina e aprendo la portiera posteriore con la grazia di un altro secolo.

Alec sorrise, rivolgendo al vecchio un muto ringraziamento. Pur non avendo con lui alcun legame di sangue, era l’unica persona che riuscisse a comprenderlo veramente senza alcun bisogno di parole. L’unica persona con cui riuscisse ad essere se stesso.

esclamò il ragazzo mentre usciva dall’abitacolo < non avrai parcheggiato un po’ troppo vicino all’hotel…?> .

< Lei dice? Oh, beh,sa… purtroppo per quanto lei possa detestarli, signore, gli imprevisti esistono sempre. E’ una precauzione in più , per la sua incolumità…> Rispose il vecchio, alzando le spioventi sopracciglia bianche.

< per una fuga tempestiva, eh? Ah, hai ragione come sempre, Lucas. Bene, io vado. A tra poco> disse il moro, la voce priva di qualsiasi emozione. Il suo sguardo era cambiato, Il suo sorriso si era congelato. Il volto, prima cordiale e aperto, era privo di espressione. Era così diverso dal ragazzo di poco prima che poteva tranquillamente essere scambiato per un’altra persona.

A passo deciso salì gli scalini che conducevano all’entrata e varcò il grande portone, ritrovandosi negli ambienti lussuosi dell’edificio.

< Salve. Ho un appuntamento con un ospite dell’hotel> esclamò appena giunse alla reception. L’uomo di fronte a lui, dopo averlo squadrato da capo a piedi, chiese con espressione visibilmente contrariata, seppur sforzandosi di mantenere un’apparenza gentile < uhm, buonasera, con chi ho il, ehm, piacere di parlare?>.

< Sono Alexander Bastian Campbell. Potrebbe chiamare il signor Ernest Clifford, per cortesia? Gli dica che attendo nella hall>. Disse spiccio Alec, impaziente di finire il lavoro il prima possibile.

< ehm, perdoni la, ehm, diffidenza, ma… ehm… potrebbe favorire un documento d’identità? So che è una seccatura, ma sa, è la prassi…> Sibilò l’uomo, lanciando un’altra pesante occhiataccia all’abbigliamento sciatto del ragazzo.

Alec sorrise, mangiando la foglia.

< La prassi… certo…> mormorò, frugandosi velocemente nelle tasche. Ne estrasse il documento e lo consegnò all’uomo di fronte a lui, che afferrò l’oggetto e lo esaminò come per verificarne l’autenticità.

< Dunque… Alexander Bastian Campbell, nato a Londra il dodici dicembre del 1985… strano, le avrei dato almeno cinque anni di meno…>

< Non credo sia importante discutere di questo, al momento. Potrebbe, cortesemente, chiamare qui il signor Clifford? Sa, è una questione della massima importanza>.

Si limitò a dire Alec leggermente infastidito per quelle immotivate e fastidiose attenzioni.

< Ma certo, signore… prego, può accomodarsi su uno dei divanetti. Glielo chiamo subito> Rispose l’uomo, visibilmente contrariato, restituendo il documento al proprietario.

< Molte grazie> Concluse il moro, facendo come gli era stato detto e accomodandosi su uno dei divanetti più vicini all’uscita.

 

***

 

Lentamente, Alexander seguì l’uomo per quella che gli sembrò un’eternità, e finalmente giunse di fronte all’enorme bancone laccato in oro. Immediatamente , davanti a lui comparve un uomo alto e austero, vestito di un frac elegante quanto vecchio. Aveva corti baffetti neri e portava un paio di occhiali dalla montatura finissima.

< Buonasera, benvenuto allo Strand Palace Hotel, signor…?>  chiese gentilmente quello, un po’ interdetto nel vedere quel ragazzo così stremato e sudato.

domandò, come aveva fatto il fattorino poco prima.

“Ma cos’è, una moda?!” Pensò Alexander, accigliato.

< Sì, sto bene. Vorrei una camera. Sono…>

Ma prima di riuscire a terminare la frase, il giovane vide il ragazzo moro seduto sul divanetto alzarsi e correre all’impazzata verso di lui, gli occhi violetti incredibilmente sgranati , trascinandolo alla velocità detta luce fuori dall’Hotel. L’ultima cosa che riuscì a cogliere mentre veniva trascinato via dall’atrio, e infilato a forza in una piccola cinquecento nera prima di svenire per la stanchezza, furono gli occhi del giovane pieni di sorpresa, frustrazione, ma anche di una rabbia profonda, disperata.

“Occhi di chi non ha niente da perdere” pensò. “ Come me”.

  
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