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Autore: Alice_darkona    30/05/2024    0 recensioni
Josh, un ragazzo senza prospettive che vive in una decadente periferia, ha appuntamento con altri appassionati a una sessione di un raro gioco da tavolo esoterico intitolato "La Casa del Sole". Durante la partita si intrecceranno i destini dei personaggi e le loro miserie esistenziali.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vecchia zona commerciale sorge a ridosso della periferia, circondata da tristi e squallide case popolari che si avviluppano attorno ad essa come i tentacoli di una piovra. Solo gli anziani lì rinchiusi da qualche parte in quei tristi edifici condominiali a trascorrere giornate morte una uguale all'altra possono rammentare di quando la zona commerciale brulicava di vita ed era un vivace punto di ritrovo, di incontri e di affari. I più giovani invece hanno bisogno di fare un grosso sforzo di fantasia per vedervi qualcosa di diverso che un luogo abbandonato e in rovina stanco pure di essere preda del saccheggio. Ci vivono senzatetto, persone che non vogliono essere trovate, qualche immigrato forse senza permesso di soggiorno e alcuni personaggi pittoreschi difficili da decifrare.

Josh si era preparato a lungo per quel giorno: un venerdì tetro di inizio inverno. Le giornate si facevano sempre più corte e lui era abituato a coricarsi così tardi e svegliarsi a pomeriggio inoltrato che quasi non vedeva più la luce del sole. Tutto gli appariva crepuscolare e privo di orizzonti... solo il gioco era il suo rifugio. Il luogo metafisico della sua mente dove ancora eventi suggestivi lo stimolavano ad andare avanti.

Finalmente avrebbe incontrato Regen, il misterioso game master possessore del raro gioco da tavolo 'La casa del sole' fuori produzione da oltre due decadi.

Per l'occasione aveva commissionato a Elsa la fabbricazione di un dado speciale da utilizzare durante la sessione di gioco.

Era tempo di andarlo a ritirare: vagò per gli oscuri dedali del quartiere commerciale deserto imbattendosi lungo il labirintico percorso di edifici abbandonati solo in qualche gatto randagio e nel barbone Herman ridotto in uno stato pietoso coi pantaloni sporchi del suo stesso piscio e il volto deformato dal dolore delle violente emicranie di cui soffriva a cui si sommavano i suoi gravi problemi renali.

Salite le scale adiacenti all'acciaieria giunse all'appartamento di Elsa: una piccola mansarda con un ampio finestrone che dava sull'agglomerato urbano delle case popolari di periferia. Si era al crepuscolo e Josh prima di rivolgersi a Elsa assorta a calibrare un suo strumento di lavoro fissò dalla finestra il piccolo parco giochi sottostante ormai da tempo in rovina. Cadeva una neve tenue che si dissolveva al contatto col suolo. Tutto trasmetteva tristezza o malinconia: gli pareva di essere un sonnambulo che vagava tra le rovine di un passato a lui estraneo alla ricerca di qualcosa di fisso e stabile che si sottraesse alla caducità e alla decadenza del presente.

Chiamò con tono gentile la fabbricante di dadi per nome e lei lo salutò distrattamente con un cenno. Poi estrasse da un cassetto il nuovo dado in ossidiana a dodici facce al quale aveva finito di lavorare giusto un ora prima. Lo tirò un paio di volte sulla scrivania per poi lanciarlo verso Josh il quale impreparato faticò ad afferrarlo volo. Dopo aver pagato Elsa questa lo ringraziò augurandogli di divertirsi.

Prima di andarsene diede un un ultimo sguardo alla mansarda: gli sarebbe piaciuto viverci. Nella stufa a legna ardeva un tizzone scoppiettante e in fondo in un grazioso letto dalle coperte ricamate, forse dalla stessa Elsa, troneggiava un bianco orso di peluche che probabilmente la fabbricante di dadi possedeva fin dalla tenera infanzia e per quanto sembrasse puerile non intendeva separarsene.

Josh era attratto fisicamente da molte donne ma per Elsa in modo particolare: aveva grandi occhi vitrei castani, una lunga treccia bruna e la carnagione scura. Malgrado fosse vicina alla trentina la sua bassa statura e l'esile corporatura a uno sguardo superficiale si sarebbe potuta scambiare per una ragazzina.

Ora, con quel suo bellissimo dado personale poteva recarsi alla prima sessione della Casa del Sole. Sua madre riteneva quella passione per il gioco una morbosa perdita di tempo: non cessava di ripetergli che di questo passo sarebbe rimasto disoccupato a vita rischiando di fare la stessa fine del barbone Herman. Effettivamente quando Herman ripeteva a Josh di ricordagli se stesso da giovane non lo diceva tanto per dire. Josh aveva scoperto che quel senzatetto aveva una conoscenza dei giochi da tavolo superiore alla sua e probabilmente era stato un giocare incallito ai suoi tempi prima di finire solo, abbandonato da tutti ad aspettare la morte in agonia.

Altra cosa che sua madre riteneva assurda era lo spendere dei soldi apposta per farsi fabbricare un dado. Perché non usare semplicemente quelli prefabbricati? Che differenza c'era? Ma Josh attribuiva a quell'oggetto insignificante un valore mistico a cui era legato il suo destino. L'uscita di un numero anziché un altro poteva cambiare completamente l'esito di una situazione e, contrariamente a quanto sosteneva un famoso scienziato ebreo, Dio, se esiste, potrebbe davvero giocare a dadi col mondo.

Sempre nel quartiere commerciale abbandonato tra le tante attività fallite vi stava quella di una società di vini ed era lì, nella lugubre cantina di stoccaggio dai muri in nuda pietra che Regen dava appuntamento ai giocatori. L'aria puzzava di muffa: vi erano ancora vecchie botti sparse per il luogo: ragnatele, anfratti avvolti nell'oscurità e scale crollate che conducevano a un livello ancora più basso in cui nessuno dei visitatori aveva mai messo piede. Un cavo allacciato abusivamente alla rete elettrica scendeva lungo una grata dalla quale era possibile intravedere la via soprastante. Il tutto andava ad alimentare una stufa elettrica e una lampada a muro che proiettava la sua luce sul grosso tavolo di quercia al centro della sala. Laggiù faceva così freddo che quella stufa malgrado fosse messa al massimo non riusciva a riscaldare a dovere ma era certo meglio di niente.

   
 
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