Prologo – Questione di chimica
L’aula N del dipartimento di biochimica era talmente piena di studenti che in parecchi erano rimasti in piedi, divorati dall’ansia per l’esame o sollevati di aver rimandato il supplizio al prossimo appello. Tra questi c’era Silvana che, rimasta in piedi, aveva accuratamente evitato d’incrociare lo sguardo col professore che la chiamò per l’appello. Stava scandagliando l’aula in cerca di una mano alzata quando la rappresentante degli studenti dall’altra parte dell’aula, aveva guardato Silvana con aria interrogativa, esortandola con un cenno a rispondere all’appello. Gli occhi spalancati dal terrore e il “no” appena accennato con la testa dell’altra erano stati una spiegazione esaustiva per Brunella che trattenne a stento una risata.
Aurora e Raul, d’altro canto, erano seduti abbastanza indietro da non mostrare ai professori le loro facce consumate dalle poche ore di sonno, oltre che per non sentire le domande che in Raul avrebbero causato molto probabilmente un attacco di panico.
Era il primo esame per tutto il corso del primo anno di medicina e raramente dopo di allora tutti gli studenti dello stesso anno si sarebbero ritrovati tutti assieme.
«Bene ragazzi.» il presidente di commissione si alzò «Per favore chi non deve sostenere l’esame rimanga in silenzio, adesso iniziamo con i primi studenti.» concluse laconico, chiamando i primi tre interrogati che si divisero tra lui e i suoi due assistenti. Aurora fece un sospiro e sfogliò i suoi appunti distrattamente, accanto a lei Raul continuava a farsi vento con le mani, nonostante fossero a fine gennaio era una giornata insolitamente calda. Anche se lui aveva caldo più per l’ansia che per le conseguenze del cambiamento climatico.
«Aurora, ma secondo te…» Raul sorrise «Lo spostano?»
Lo sguardo che lei gli rivolse era a dir poco assassino. Silvana, che era rimasta vicino a loro, trattenne una risata mentre Aurora la guardò in cerca di supporto (che non ricevette).
«Cretini.» tornò a guardare gli appunti ma le era spuntato un sorriso che aveva coperto col palmo della mano, non gliel’avrebbe data vinta.
Era da settimane che Raul assillava le sue due amiche chiedendo loro se il professore avrebbe mai spostato l’esame, evidente doveva aver compiuto anche qualche sorta di rito voodoo, o così aveva pensato Silvana, perché nella data prevista dell’esame il prof all’ultimo minuto l’aveva rimandato di una settimana a causa di un lutto. Con tanto cordoglio, ne erano però rimasti tutti soddisfatti, ma questo non era bastato a Silvana per riuscire a sentirsi preparata. Quel giorno aveva comunque deciso di svegliarsi presto e impegnare la giornata in qualcosa di buono, ossia appuntare le domande, oltre che fungere da supporto morale ai suoi amici.
Un ragazzo dalla prima fila si alzò e andò via, probabilmente a causa della troppa ansia da sopportare, quindi Silvana, che era ancora in piedi, lanciò un’occhiata a Raul e Aurora che però sembravano troppo presi dai loro appunti per prestarle la benché minima attenzione. Decise che sarebbero sopravvissuti senza la sua perenne presenza in piedi al loro fianco, così prese posto.
Qualche fila più indietro, Aurora la vide sedersi e quando Silvana si girò si guardarono brevemente scambiandosi un segno di assenso.
«Scusa.» una voce nasale la fece girare alla sua destra: Monica, anche soprannominata da Raul “il capo delle Karen”.
«Sì?» rispose Aurora impassibile.
«Sono tuoi gli appunti?»
Aurora guardò brevemente i fogli sotto il suo naso: «Beh, sì. Sono miei.»
«Ah.»
Aurora rimase a guardarla ancora per qualche secondo, aspettandosi che lei continuasse. Ma Monica, per qualche strana ragione che non sapevano assolutamente spiegarsi, si voltò di nuovo verso le altre sue amiche e tornò ad ignorarla totalmente. Aurora tornò a guardare davanti a sé e rivolse uno sguardo sconcertato a Silvana che aggrottò le sopracciglia, come a chiederle cosa fosse successo. Aurora alzò le spalle e mimò un “niente” con le labbra, lasciando la sua amica confusa quanto lei.
Non era un evento molto comune che Monica rivolgesse la parola a qualcuno che non fosse tra i suoi speciali eletti, o che non fossero affetti dalla sua stessa ansia nervosa per gli esami. Non appena iniziava la settimana di pausa o la sessione, Monica veniva assalita da una specie d’isteria, le vittime delle sue continue richieste erano principalmente i rappresentanti che nei soli primi sei mesi di primo anno di università la conoscevano ormai fin troppo bene.
Grazie a Monica le presenze venivano caricate in tempi record, i risultati degli esami erano richiesti con solerzia e le sbobine consegnate non oltre i quattro giorni limite. Una vera fortuna averla in classe, se non fosse per il fatto che era estremamente antipatica con chiunque non condividesse il suo bisogno spasmodico di terminare tutti gli esami entro la prima sessione, e che si vociferava avesse un file excel con tutti i voti degli altri studenti con relativa media.
Il perché Monica avesse chiesto degli appunti di Aurora sarebbe rimasto per sempre un mistero.
«Forse le piacevano.» le sussurrò Raul.
«E perché non dirlo scusa?» Aurora scosse la testa «Mah.»
Silvana rimase girata ad osservare ancora un po’ i suoi due amici, ma soprattutto Monica, per cercare di capire cosa volesse dalla sua amica. Rinunciò ben presto quando la sua mente le suggerì che quella ragazza era strana e basta, non sarebbe valsa la pena tormentarsi a cercare una qualche ragione particolare del gesto. Forse, fosse stata più amichevole, si sarebbero azzardati ad intavolare una conversazione con lei. Le possibilità di capirla aprivano vie misteriose…
Ma in quel momento c’era un’unica cosa che importava davvero: le domande dell’appello, ovvero l’unica ragione per la quale si trovava nell’aula. Si rigirò verso il professore e tolse velocemente il giubbotto ingombrante, pescò dallo zaino il suo quadernetto per gli appunti e una penna e si sporse verso la cattedra, facendo del suo meglio per ignorare il brusio.
Il suo esame sarebbe stato soltanto un’integrazione di chimica organica, era passata a medicina dopo aver frequentato un anno alla facoltà di biologia, quindi, non avrebbe avuto davvero bisogno di appuntarsi tutte le domande del prof, ma Silvana pensava ancora che presentarsi ad un esame senza essere perfettamente preparati la ponesse in serio pericolo. Più di una volta prima dell’esame aveva sognato che il professore le avrebbe fatto una qualche domanda su chimica inorganica, senza tenere conto del fatto che la sua dovesse essere solo un’integrazione. Incubi che le erano valsi la convinzione che avesse bisogno di ancora altre due settimane per ripetere.
«Stai segnando le domande dell’esame per caso?»
Silvana aveva appena finito di appuntare una domanda di chimica organica, si voltò a guardare il ragazzo vicino a lei da cui proveniva la domanda. Degli occhi celesti tra i più belli che avesse mai visto la stavano fissando in attesa di una risposta.
Raffaele Salvatore Sollazzi. Lei sapeva chi fosse perché sul gruppo telefonico della classe non avevano perso tempo a paragonarlo ad un altro compagno di classe dai capelli ricci con cui somigliava in maniera impressionante. Ma in quel momento, in quel preciso istante, Silvana pensò che fosse davvero impensabile confonderli e si sentì così stupida ad essere rimasta folgorata dal suo aspetto quasi da innamorarcisi.
Lei, però, era una maestra nel fare finta di niente e mascherare le sue vere emozioni, così, con non-chalance, tornò a guardare le pagine del suo quaderno sperando vivamente di non essere arrossita.
«Oh, sì, me le sto segnando.»
«Posso dare un’occhiata?»
«Certo.» gli avvicinò gli appunti in modo tale da farlo sporgere verso di lei il meno possibile e lo lasciò leggere. Silvana guardava la sua grafia piena di orrore, “Mio dio che schifo” pensava, ma quando si ricordò di essere in un’aula piena di futuri medici e che probabilmente lui scriveva molto peggio di lei, non ebbe più remore.
Raffaele finì di leggere e annuì «Grazie.»
Silvana sussurrò un prego e rimise il quadernetto davanti a sé.
“Ma come…” così finiva la loro interazione? Era stata fin troppo breve. Il desiderio di conoscerlo si fece talmente pressante, che dovette attingere alla sua parte estroversa sepolta sotto anni di senso di inadeguatezza adolescenziale.
«Se vuoi puoi fare una foto.» si precipitò a dire con gentilezza.
«No grazie, non serve.» Silvana se ne risentì di quella risposta così sufficiente, senza che nemmeno lui si fosse girato a guardarla. Lei non gli avrebbe mai risposto così, magari avrebbe fatto la foto ai suoi appunti senza averne realmente bisogno. Ma anni dopo, riflettendo su quella breve interazione in terapia, realizzò che non tutti erano disposti a fare le stesse cose che lei si obbligava a fare solo per gentilezza.
Raffaele andò via poco dopo con i suoi amici come nulla fosse avvenuto, Silvana continuò a prendere appunti per un’altra mezz’ora e poi tornò a casa dopo aver assistito agli orali di Aurora e Raul.
Non era successo niente di particolare dopotutto. Nulla sarebbe accaduto in seguito perché molto probabilmente Raffaele non sapeva e non si curava neanche della sua esistenza.
O almeno così credeva.
Aurora e Raul, d’altro canto, erano seduti abbastanza indietro da non mostrare ai professori le loro facce consumate dalle poche ore di sonno, oltre che per non sentire le domande che in Raul avrebbero causato molto probabilmente un attacco di panico.
Era il primo esame per tutto il corso del primo anno di medicina e raramente dopo di allora tutti gli studenti dello stesso anno si sarebbero ritrovati tutti assieme.
«Bene ragazzi.» il presidente di commissione si alzò «Per favore chi non deve sostenere l’esame rimanga in silenzio, adesso iniziamo con i primi studenti.» concluse laconico, chiamando i primi tre interrogati che si divisero tra lui e i suoi due assistenti. Aurora fece un sospiro e sfogliò i suoi appunti distrattamente, accanto a lei Raul continuava a farsi vento con le mani, nonostante fossero a fine gennaio era una giornata insolitamente calda. Anche se lui aveva caldo più per l’ansia che per le conseguenze del cambiamento climatico.
«Aurora, ma secondo te…» Raul sorrise «Lo spostano?»
Lo sguardo che lei gli rivolse era a dir poco assassino. Silvana, che era rimasta vicino a loro, trattenne una risata mentre Aurora la guardò in cerca di supporto (che non ricevette).
«Cretini.» tornò a guardare gli appunti ma le era spuntato un sorriso che aveva coperto col palmo della mano, non gliel’avrebbe data vinta.
Era da settimane che Raul assillava le sue due amiche chiedendo loro se il professore avrebbe mai spostato l’esame, evidente doveva aver compiuto anche qualche sorta di rito voodoo, o così aveva pensato Silvana, perché nella data prevista dell’esame il prof all’ultimo minuto l’aveva rimandato di una settimana a causa di un lutto. Con tanto cordoglio, ne erano però rimasti tutti soddisfatti, ma questo non era bastato a Silvana per riuscire a sentirsi preparata. Quel giorno aveva comunque deciso di svegliarsi presto e impegnare la giornata in qualcosa di buono, ossia appuntare le domande, oltre che fungere da supporto morale ai suoi amici.
Un ragazzo dalla prima fila si alzò e andò via, probabilmente a causa della troppa ansia da sopportare, quindi Silvana, che era ancora in piedi, lanciò un’occhiata a Raul e Aurora che però sembravano troppo presi dai loro appunti per prestarle la benché minima attenzione. Decise che sarebbero sopravvissuti senza la sua perenne presenza in piedi al loro fianco, così prese posto.
Qualche fila più indietro, Aurora la vide sedersi e quando Silvana si girò si guardarono brevemente scambiandosi un segno di assenso.
«Scusa.» una voce nasale la fece girare alla sua destra: Monica, anche soprannominata da Raul “il capo delle Karen”.
«Sì?» rispose Aurora impassibile.
«Sono tuoi gli appunti?»
Aurora guardò brevemente i fogli sotto il suo naso: «Beh, sì. Sono miei.»
«Ah.»
Aurora rimase a guardarla ancora per qualche secondo, aspettandosi che lei continuasse. Ma Monica, per qualche strana ragione che non sapevano assolutamente spiegarsi, si voltò di nuovo verso le altre sue amiche e tornò ad ignorarla totalmente. Aurora tornò a guardare davanti a sé e rivolse uno sguardo sconcertato a Silvana che aggrottò le sopracciglia, come a chiederle cosa fosse successo. Aurora alzò le spalle e mimò un “niente” con le labbra, lasciando la sua amica confusa quanto lei.
Non era un evento molto comune che Monica rivolgesse la parola a qualcuno che non fosse tra i suoi speciali eletti, o che non fossero affetti dalla sua stessa ansia nervosa per gli esami. Non appena iniziava la settimana di pausa o la sessione, Monica veniva assalita da una specie d’isteria, le vittime delle sue continue richieste erano principalmente i rappresentanti che nei soli primi sei mesi di primo anno di università la conoscevano ormai fin troppo bene.
Grazie a Monica le presenze venivano caricate in tempi record, i risultati degli esami erano richiesti con solerzia e le sbobine consegnate non oltre i quattro giorni limite. Una vera fortuna averla in classe, se non fosse per il fatto che era estremamente antipatica con chiunque non condividesse il suo bisogno spasmodico di terminare tutti gli esami entro la prima sessione, e che si vociferava avesse un file excel con tutti i voti degli altri studenti con relativa media.
Il perché Monica avesse chiesto degli appunti di Aurora sarebbe rimasto per sempre un mistero.
«Forse le piacevano.» le sussurrò Raul.
«E perché non dirlo scusa?» Aurora scosse la testa «Mah.»
Silvana rimase girata ad osservare ancora un po’ i suoi due amici, ma soprattutto Monica, per cercare di capire cosa volesse dalla sua amica. Rinunciò ben presto quando la sua mente le suggerì che quella ragazza era strana e basta, non sarebbe valsa la pena tormentarsi a cercare una qualche ragione particolare del gesto. Forse, fosse stata più amichevole, si sarebbero azzardati ad intavolare una conversazione con lei. Le possibilità di capirla aprivano vie misteriose…
Ma in quel momento c’era un’unica cosa che importava davvero: le domande dell’appello, ovvero l’unica ragione per la quale si trovava nell’aula. Si rigirò verso il professore e tolse velocemente il giubbotto ingombrante, pescò dallo zaino il suo quadernetto per gli appunti e una penna e si sporse verso la cattedra, facendo del suo meglio per ignorare il brusio.
Il suo esame sarebbe stato soltanto un’integrazione di chimica organica, era passata a medicina dopo aver frequentato un anno alla facoltà di biologia, quindi, non avrebbe avuto davvero bisogno di appuntarsi tutte le domande del prof, ma Silvana pensava ancora che presentarsi ad un esame senza essere perfettamente preparati la ponesse in serio pericolo. Più di una volta prima dell’esame aveva sognato che il professore le avrebbe fatto una qualche domanda su chimica inorganica, senza tenere conto del fatto che la sua dovesse essere solo un’integrazione. Incubi che le erano valsi la convinzione che avesse bisogno di ancora altre due settimane per ripetere.
«Stai segnando le domande dell’esame per caso?»
Silvana aveva appena finito di appuntare una domanda di chimica organica, si voltò a guardare il ragazzo vicino a lei da cui proveniva la domanda. Degli occhi celesti tra i più belli che avesse mai visto la stavano fissando in attesa di una risposta.
Raffaele Salvatore Sollazzi. Lei sapeva chi fosse perché sul gruppo telefonico della classe non avevano perso tempo a paragonarlo ad un altro compagno di classe dai capelli ricci con cui somigliava in maniera impressionante. Ma in quel momento, in quel preciso istante, Silvana pensò che fosse davvero impensabile confonderli e si sentì così stupida ad essere rimasta folgorata dal suo aspetto quasi da innamorarcisi.
Lei, però, era una maestra nel fare finta di niente e mascherare le sue vere emozioni, così, con non-chalance, tornò a guardare le pagine del suo quaderno sperando vivamente di non essere arrossita.
«Oh, sì, me le sto segnando.»
«Posso dare un’occhiata?»
«Certo.» gli avvicinò gli appunti in modo tale da farlo sporgere verso di lei il meno possibile e lo lasciò leggere. Silvana guardava la sua grafia piena di orrore, “Mio dio che schifo” pensava, ma quando si ricordò di essere in un’aula piena di futuri medici e che probabilmente lui scriveva molto peggio di lei, non ebbe più remore.
Raffaele finì di leggere e annuì «Grazie.»
Silvana sussurrò un prego e rimise il quadernetto davanti a sé.
“Ma come…” così finiva la loro interazione? Era stata fin troppo breve. Il desiderio di conoscerlo si fece talmente pressante, che dovette attingere alla sua parte estroversa sepolta sotto anni di senso di inadeguatezza adolescenziale.
«Se vuoi puoi fare una foto.» si precipitò a dire con gentilezza.
«No grazie, non serve.» Silvana se ne risentì di quella risposta così sufficiente, senza che nemmeno lui si fosse girato a guardarla. Lei non gli avrebbe mai risposto così, magari avrebbe fatto la foto ai suoi appunti senza averne realmente bisogno. Ma anni dopo, riflettendo su quella breve interazione in terapia, realizzò che non tutti erano disposti a fare le stesse cose che lei si obbligava a fare solo per gentilezza.
Raffaele andò via poco dopo con i suoi amici come nulla fosse avvenuto, Silvana continuò a prendere appunti per un’altra mezz’ora e poi tornò a casa dopo aver assistito agli orali di Aurora e Raul.
Non era successo niente di particolare dopotutto. Nulla sarebbe accaduto in seguito perché molto probabilmente Raffaele non sapeva e non si curava neanche della sua esistenza.
O almeno così credeva.