Hallo, Leute!!
Oggi inizio una ff strana e surreale, incominciata anni fa e mai finita
veramente. L’ho trovata giusto un po’ di tempo fa e
l’ispirazione mi ha colpita all’improvviso, spero
possa piacere ^___^
E spero in tante belle recensioni ;-)
Ma prima di lasciarvi vorrei ringraziare tutte le persone che mi
incoraggiano ad andare avanti nei miei momenti di crisi, le
ringrazio davvero con tutto il cuore.
Soprattutto
ringrazio davvero tanto Frenzy (ossia Utopy), la mia fedele,
ispiratrice, saggia, magica e arrrguta XD Grazie per tutti i bei
momenti <3 Questa ff è dedicata a te che ci hai
creduto ancor prima di averla letta, spero davvero che ti conquisti
come, grazie a te, ha conquistato me dopo tanto tempo *________*
I Tokio Hotel non sono di mia
proprietà e questa stron… ehm, storia
non è scritta a scopo di lucro! XD
Un
bacio, _Pulse_
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Capitolo 1
Era sdraiato sul letto, guardava il
soffitto, bianco, troppo bianco, quel bianco che dava fastidio dopo due
ore di concerto con luci, frastuono e casino.
Si mise le mani dietro la testa, pensando alla sua vita, a tutto quello
che avevano passato, a tutto quello che gli era accaduto in
così poco tempo, tutto troppo velocemente.
Quell’incontro, quella sera, dopo la loro solita esibizione
al Gröninger Bad, a Magdeburgo…
Quell’incontro gli aveva cambiato la vita. Se quel giorno non
ci fossero stati, in quel momento dove sarebbero stati?
Invece ora si stava godendo il dopo concerto, cercando di rilassarsi.
I ragazzi erano già tutti nelle loro camere, era molto
tardi, avevano discusso e parlato molto di quel concerto spettacolare,
dei fan, dell’energia che gli girava ancora nelle vene.
Era sempre così, l’adrenalina se la portavano
dietro anche quando ormai tutto era finito ed era decisamente
l’ora di andare a dormire, cosa che lui non pensava
lontanamente di fare. Sentiva ancora le note e le parole cantate da
Bill di Schrei.
“Schrei! – bis du du selbst bist… Schrei! – und wenn es das letzte ist... Schrei! – auch wenn es weh tut... Schrei so laut du kannst!”
Dalla vita aveva avuto tutto: tutto
quello che voleva, l’aveva avuto. E ora? Cosa poteva volere
ancora?
Non gli mancava niente, però se ci pensava bene…
una cosa gli mancava: una ragazza. Ma non una qualunque, una che
riuscisse a farlo innamorare perdutamente di lei.
Ma come si faceva? Per uno come lui era una missione più che
impossibile. Come si faceva ad innamorarsi? Era tutto così
complicato, lui non ci aveva mai capito niente.
Si girò dall’altra parte nel suo letto, coprendosi
di più con le coperte.
Era tardi, il giorno successivo sarebbero stati pieni di impegni,
eppure non riusciva a prendere sonno.
Il pensiero di avere una ragazza fissa girava continuamente nella sua
testa, non si schiodava.
Si mise seduto sul letto e guardò fuori dalla finestra: la
luce della luna, una luna piena, perfetta. Le stelle, la pace, il
silenzio, la tranquillità di una notte come tante.
Basta Tom, devi dormire. Se no domani chi si sveglia? Muoviti e dormi.
Si rituffò sul cuscino,
chiuse gli occhi, ma la voglia di dormire e il sonno quella sera non
c’erano proprio. Li riaprì e vide una piccola luce
gialla entrare nella finestra.
Si alzò, pensando che fosse una lucciola, ma questa, appena
lo vide, si appoggiò alla finestra, di fronte alla luna.
Più si avvicinava, più non credeva a
ciò che vedeva.
«Una… fata?», disse, parlando da solo più che altro.
Si abbassò di fronte a lei, la guardò da vicino. Lei sorrise e mosse le ali, annuendo. Lui si allontanò e si stropicciò gli occhi.
Tom… calmati. È la tua immaginazione, è impossibile. Lo sai che le fate e cose del genere non esistono! È solo la tua immaginazione. Sì, sì. Il sonno ti gioca brutti scherzi. Te l’ho detto che era meglio dormire.
Si sedette sul letto, si rimise sotto le coperte, non pensando a quell’esserino sulla sua finestra.
Manda via quell’immagine dalla mente, Tom! È solo una tua fantasia!
Ma il pensiero di quella cosa
assurda lo faceva dormire ancora di meno. Si girò e la vide
seduta sul comodino, sulla lampada: brillava di luce propria e ogni
tanto faceva un tintinnio, come di un campanello, muovendo le gambe.
Era bionda, i capelli corti raccolti in una coda, con un ciuffo di lato
che ogni tanto si tirava su per non coprire gli occhi blu, come il
mare, profondi. Indossava una veste, anche abbastanza corta, bianca,
che le cadeva leggera sulle gambe.
Quando vide che la stava guardando, gli si avvicinò volando
e si appoggiò al letto, camminò di fianco a lui,
sorridendo, e si mise seduta sul palmo della sua mano.
A quel punto, che la sentiva, era impossibile dire che quello fosse
solo frutto della sua immaginazione. Anche se sembrava assurdo, era
veramente una fata, o una cosa del genere.
Si mise seduto sul letto, appoggiato alla testata, e la
guardò sulla sua mano.
«Ehm… ciao», disse.
Pure con le fate mi metto a parlare! Questo è il massimo… ora non mi impressiona più nulla!
Lei sorrise e mosse la mano,
salutandolo: lo capiva.
Al polso aveva un braccialetto pieno di campanelli, arrivava da
lì quel suono, quel tintinnio che aveva sentito prima. E ora
che la guardava bene, ne aveva uno anche alla caviglia.
«Sai parlare?» Lei scosse la testa.
«Ah… fantastico… Perciò… non sai dirmi come ti chiami?»
Lei scosse ancora la testa. Guardò fuori la finestra, sorrise e si diede una pacca sulla fronte, ridendo, ma non faceva nessun suono. L’unico suono che poteva fare era il rumore con i campanelli e lo sbattere delle ali. Indicò fuori con il dito, saltellando sulla sua mano.
«Ti chiami Luna?», tentò. Lei scosse la testa, muovendo la mano, negando. «E allora… Stella?»
Lei sorrise e mosse la testa, annuendo. Intorno a lei c’era una specie di aura d’orata, che luccicava, e quando sbatteva le ali perdeva una strana polvere, anch’essa dorata e brillante.
Mmh…
mi sento un po’ Peter Pan…
«Ma cosa ci fai qui?»
Lei abbassò la testa e
face una faccia triste. Visto che non sapeva parlare, o si leggevano
nel pensiero, cosa impossibile, oppure Tom doveva capire dalle sue
espressioni, o ancora doveva comunicare coi gesti.
Si mise in piedi sulla sua mano: in quel momento sentì il
suo peso, era leggerissima, per fare un confronto… era
pesante meno di un portachiavi con la palla da biliardo.
Iniziò a gesticolare, cercando di fargli capire quello che
era successo, ma la verità era che non ci capiva molto.
Aveva capito solo che alla fine aveva pianto ed era triste. Ok, ma
perché?
«Mi dispiace, piccola, non riesco a capirti… Mmm… vediamo… Ti sei persa?»
Lei agitò la testa, mandandola su e giù in continuazione, facendo muovere il ciuffo, che poi risistemò dietro l’orecchio.
«Ah… hai perso la strada di casa…»
Lei annuì risedendosi, tenendosi le gambe strette al petto, asciugandosi le lacrime ogni tanto.
«No, non piangere piccolina… vedrai che riuscirai a tornare. I tuoi genitori dove sono?» Lei stortò la testa, corrugando la fronte. «Ehm… genitori. Sì, la tua mamma, il tuo papà… Ce li hai?»
Lei continuava a non capire.
«Sono quelle persone che ti fanno nascere, che ti curano finché diventi grande… presente?» Lei scosse la testa.
«Mmm… probabilmente voi non avete i genitori… Ma vivrai con qualcuno? Le altre fate per esempio? Dove sono?»
Lei alzò le mani, sgranando gli occhi. Il messaggio questa volta gli arrivò chiarissimo: «Se sono qui e mi sono persa, come faccio a sapere dove sono?!»
«Sì, scusa. Non hai tutti i torti.»
La appoggiò sul cuscino,
con delicatezza, di fianco a lui. Lei ci affondò dentro con
i piedi, talmente era morbido.
«E ora cosa farai?»
Lei alzò le spalle, sedendosi su quella superficie estremamente soffice per lei.
«E se… se rimanessi con me? Per qualche giorno si intende… finché non torni a casa.»
Lei lo guardò sorridendo
dolcemente, volò sulla sua spalla e lo abbracciò,
in un certo senso, mettendo le braccia e le mani sul suo collo: era
davvero molto calda, forse era la magica polvere che le stava
intorno… boh, chissà.
Tom sorrise e la rimise sul cuscino, accanto a sé. Si
rannicchiò tutta e chiuse gli occhi.
«Buona notte non si dice? Ah, già… non sai parlare.»
Lei aprì ancora gli
occhi e sorrise, poi li richiuse, facendo un respiro profondo.
Appoggiò anche lui la testa sul suo cuscino, dopo
quell’episodio fuori dal normale aveva proprio bisogno di una
bella dormita.
Prima però la guardò un’ultima volta:
sembrava già addormentata, respirava lentamente e il suo
petto si alzava e si abbassava regolarmente.
Era grande meno, molto meno, di un suo pugno, e sulla mano ci stava
perfettamente.
L’accarezzò con un dito, piano, pianissimo, per
non svegliarla, la sfiorò soltanto, poi chiuse gli occhi e
si addormentò anche lui.
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Nota:
Come inizio non è un granché, lo so,
però è solo l’inizio ^___^ Ah, tenete
presente che il mio modo di scrivere è cambiato in questi
anni e quindi se i primi capitoli non sono proprio bellissimi
è dovuto anche a questo fatto, perché di cambiare
tutto non me la sono sentita, era una cosa troppo lunga XD
Beh, che dire ancora? Recensite in tanti per dirmi che ne pensate!!
Un bacio,
_Pulse_