Il possente rombo di un trimotore che prende avvio lo ripesca di prepotenza dal suo sonno che, in quell’ultima ora, si è fatto più leggero e delicato. Socchiude un occhio, incerto, e sbuffa annoiato. La luce fuori è già bella forte e splendente, e quindi sa piuttosto bene che deve proprio prepararsi mentalmente a dire addio al comodo materasso che lo ha accolto per la notte e a darsi da fare per iniziare la nuova giornata. Borbotta. Sbuffa di nuovo, abbastanza seccato. Infine si arrende e abbandona le lenzuola per gettarsi nel mondo crudele che lo attende là fuori in agguato.
Salud si ritira a dormire, ogni notte, in un angolo dei magazzini del campo volo dell’amico Naso Balsam. Un’altra sistemazione non ce l’ha, non ancora per lo meno. Ma si accontenta facilmente. Salud non è tipo da lamentarsi per certe scomodità. Un tetto sopra la testa ce l’ha; pasti regolari, anche; ha perfino un lavoro, che gli rende qualcosina. Non è molto ma, appunto, lui si accontenta. Fa il meccanico, ripara un po’ di tutto; al momento ripara aerei. Il mestiere del meccanico glielo ha insegnato un altro amico, tempo fa; ormai saranno trascorsi quasi cinque anni, ma quell’amico è morto poi, da un paio d’anni, lasciandogli in eredità quel che sa fare meglio nella vita, a parte dormire e mangiare: riparare cose.
Avrebbe proprio un gran bisogno di caffè, quella mattina. È così difficile svegliarsi. Sarà che ha fatto un poco tardi la sera prima… che poi si è trasformata in notte. Ma sono cose che possono capitare, in fondo. Ha solo ventiquattro anni: un po’ di divertimento se lo può ben permettere, no? Dovrà provare a chiedere a Naso, a quel punto, dato che lui di caffè non ne ha, e se è per questo nemmeno il gas su cui prepararlo. Intanto si butta di peso sotto la doccia, acqua rigorosamente fredda, sperando che aiuti. E aiutare aiuta, ma non a svegliarsi. O meglio, non a risvegliare il suo cervello. Qualcosa d’altro però sì, e forse non era il caso.
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«Ah, ma quale onore! Il nostro stimato meccanico che si presenta sul lavoro» lo accoglie la voce sarcastica del padrone della baracca, nonché amico di vecchia data, Naso.
Salud grugnisce qualcosa di indistinto, con buona probabilità un insulto. «Fatto tardi ieri notte» borbotta svogliato, sbadigliando. «Di’, ce l’hai mica un caffè?»
«Ma certamente!» esclama, occhi spalancati e sogghigno canzonatorio. «È risaputo che qui abbiamo un’ampia scelta di bevande e stuzzichini per placare gli appetiti più esigenti.»
Sbuffa. «Sei simpatico come una scimmia nelle mutande.»
«Perché, l’hai forse provata?» si informa Naso, intrigato.
Salud rotea gli occhi, esasperato. «Lascia perdere. Vado a vedere quanti danni hanno fatto ieri i tuoi grandi piloti» avvisa sarcastico, marcando a fondo su quel “grandi”.
«Sei solo invidioso perché a loro riesce di tenerli su e a te no» lo sfotte.
«Non ancora! Ma stai a vedere. Prima o poi ci riuscirò» prevede, pieno di speranza e con il pensiero già oltre, al suo vittorioso volo fra i cieli del Sud America.
«Come no, come no» concorda senza dar credito a una sola parola. «Ecco, prendi un po’ quella tazza di latta, quella che ti sta proprio accanto, sulla sedia, sì. Là dietro lo trovi il tuo caffè, è ancora caldo. Così magari non ti addormenti sul motore del de Havilland, eh.»
«Già, già» borbotta, recuperando la tazza un po’ ammaccata che gli ha indicato l’amico e facendosi largo nel ciarpame che ingombra il suo ufficio per tentare di raggiungere il retro e appropriarsi del famoso caffè. «Che ha il de Havilland, stavolta?» si informa dal fondo, tra un sorso e l’altro.
«E che ne so. Sei tu il meccanico, qui. Trovamelo tu il problema. Non si avvia, e quando lo fa borbotta peggio di te la mattina presto e poi tossisce e si spegne di nuovo.»
«Uhm…» riflette pensieroso, mentre la caffeina fa il suo lavoro. «La vedremo» mormora assorto. «A dopo, capo» si accomiata, sfarfallando una mano in segno di saluto all’indirizzo di Naso.
«Finiscila di chiamarmi capo in quel modo. Sembra una presa per il culo» protesta l’amico.
«Eh! Appunto» conferma, sghignazzando, mentre esce dall’ufficio per raggiungere il suo primo paziente della giornata.
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Il de Havilland aveva solo un banale problema di iniezione che ha risolto in fretta nella mattinata. Poi però sono arrivati due dei piloti dell’amico, entrambi lamentando guasti al proprio velivolo, che loro insistono ad apostrofare “catorcio”. Salud pensa che il vero problema di quei poveri aerei siano i piloti che li portano in aria e che, per quanto può vedere lui, non hanno la minima cura delle macchine che hanno sotto le chiappe. E così gli aerei si rompono sul più bello e i piloti se la prendono con il loro velivolo e non alzano un dito per correggere i loro errori, aspettandosi che sia Salud, ogni volta, a sistemare il guasto. Un giorno o l’altro lo sistemerà davvero il guasto: un bel cazzotto e via, problema sistemato.
«Ehi, Salud. Oh! Salud!»
L’interpellato leva gli occhi al cielo e, lentamente, abbandona il lavoro in cui era immerso, letteralmente, per dare attenzione allo scocciatore di turno: un altro pilota, tanto per cambiare. Ha la faccia da faina, ed è per quello che lo hanno soprannominato tale, ma Salud pensa che il povero animale sia mille volte più interessante, nonché più intelligente del pilota che ne ha usurpato il nome.
«Che c’è?» borbotta scocciato.
«Il mio 10 Electra dà problemi in rullaggio. Ci dai un’occhiata?»
«Per favore» appunta Salud.
«Sì, ok: per favore, puoi dargli un’occhiata?»
Salud grugnisce, sempre più seccato. Ma il povero 10 Electra non ha colpa del pilota che si ritrova a bordo, quindi va bene così. «D’accordo. Finisco qui e poi vedo che ha il tuo bimotore» promette di buon grado.
«Bene. Ci si vede.»
«Grazie, eh!» sbotta sarcastico.
«Sì, sì. Grazie» conviene la Faina, mollandolo al suo lavoro.
«Deficiente» sibila fra i denti, sbrigandosi con quel carburatore per poter controllare che altra sciagura ha combinato l’ennesimo, maledetto pilota della malora.