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Autore: TheAngelica93    10/07/2024    0 recensioni
Tracy Barlow sta per compiere diciotto anni, è una ragazza solitaria amante dei romanzi rosa e delle stelle. La madre, scontenta che la figlia non abbia alcun amico, decide di portare tutta la famiglia nella sua cittadina d'infanzia, Snowy Mountain, con la speranza che un cambio d'ambiente le possa giovare.
Drake Gorman, diciannovenne ribelle che preferisce lavorare piuttosto che andare a scuola, è disprezzato fortemente dagli abitanti della sua cittadina di montagna.
I due diventeranno presto amici, ma dovranno affrontare la dura e ristretta mentalità di coloro che li circondano. Come andrà a finire? Tracy e Drake riusciranno a combattere il pregiudizio o si lasceranno abbattere dalla malvagità?
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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3 – L'incompreso

 

Drake Gorman

Quel maledetto di un furgoncino scassato, quella sera, mi stava dando ai matti. Udii le urla di mio padre, mi stava chiamando dall'interno della casa, ma non gli risposi, concentrato com'ero a non mollare ancora quel rottame, almeno, non prima di essere certo che si mettesse in moto.

«Drake Gorman!» risi tra me e me, pensando a quanto i vicini fossero abituati alle alte frequenze della voce del mio vecchio, per poi incavolarmi subito dopo nell'immaginarli intenti a sparlare di me e sull'ultima che avrei potuto combinare, secondo loro. «Torna dentro. È anche ora di cena!»

Mio padre fu così insistente che, sbuffando, rientrai in casa passando dalla porta del garage.

Una volta nel caldo e disordinato salotto, che gridava a chiare lettere che in quella casa ci vivevano solo due maschi, mi ritrovai davanti Amery Gorman in persona.

«Drake,» mi guardò lui palesando grande esasperazione; gli occhi scuri erano fissi su di me e le sue mani erano poggiate indignate sui fianchi, «come puoi stare fuori, a mezze maniche, col freddo che fa? E di notte per giunta! Ti prenderai qualcosa...»

Mio padre era alquanto basso (io stesso non superavo il metro e settantacinque) e l'età aveva cominciato a pesargli sul viso e sui capelli, la sua fronte si era arricchita di rughe, l'ingrigita capigliatura stava dando spazio alla calvizie; da alcuni mesi, poi, il vecchio aveva iniziato anche a vantare una pancia ben visibile.

«Noi giovani abbiamo la pelle dura!» affermai, sorridendo con stizza e alzando un sopracciglio divertito dalla sua apprensione. «Potrei stare anche in mutande in mezzo alla bufera, non congelerei!»

«Drake, non scherzare», mi rimproverò lui, grattandosi la guancia; le rughe sulla sua fronte esprimevano appieno la sua apprensione per me.

«Hai ragione...» ribattei io, dirigendomi su per le scale, «solo con le mutande avrei un po' freddo... Mi faccio una doccia ed esco... Non mi aspettare alzato!»

«Dove credi di andare, signorino?» mi chiese mio padre, un certo disappunto trasparì dalla sua voce; agitò un braccio in aria per attirare la mia attenzione. «Dobbiamo cenare e poi», non avevo bisogno di ascoltare il finale della frase, visto che già sapevo dove sarebbe andato a parare, «dobbiamo discutere del fatto che la preside Jones mi ha chiamato anche oggi.»

Mi fermai sulle scale, afferrando il corrimano in legno, sospirai irritato come non mai.

«Papà...» mi ero stufato persino di ripetere le stesse cose: possibile che non volesse capire?

«Drake!» il vecchio Amery inclinò la testa di lato; gli occhi piccoli e scuri puntati su di me e le minacciose braccia toniche incrociate al petto. «Non vorrai rifilarmi sempre la solita storia?»

«Non è una scusa!» gli rinfacciai esasperato, il petto mi bruciava per la rabbia, ma ero consapevole di dovermi controllare. «La preside...»

Mi odia! Come mi odiano tutti del resto... Non mi può vedere!

«Quella donna non ce l'ha con te!» mi ammonì mio padre, convinto di ciò che stava dicendo; il suo viso si addolcì un pochino. «Nessuno ce l'ha con te! Drake, il mondo non ti è contro! Sei tu che...»

«Papà, basta!» lo ammonii, facendo un gesto con la mano come a voler chiudere lì l'argomento. «Credi quello che vuoi. Io esco. Punto.»

«No, tu non esci!» mi disse lui, seguendomi lungo le scale fino al piano superiore. «E poi dove vorresti andare? Chi è la ragazza di turno, eh? Ma ti vuoi decidere a comportarti bene? Quando metterai la testa a posto? Lo vuoi capire che con questo atteggiamento non arriverai da nessuna parte?»

Sempre la stessa predica! Mi lamentai a mente. Sembri una radio rotta, papà! Che ne dici se cambiamo stazione?

Volevo lasciar perdere, ma al tempo stesso far valere le mie ragioni, così cominciai il mio monologo: «Mi dispiace, papà, se ti è uscito un figlio così avvenente da non riuscire a staccarsi di dosso le brave figlie di tutte queste signore così rispettabili. Non sono fortunato come te! Tu avevi la mamma, ma lei...»

Mi zittii all'istante: parlare della defunta Marion Swan in Gorman era ancora un tasto dolente per tutti e due, anche dopo tutto quel tempo. Il cancro che l'aveva divorata e il suo lasciarci così presto, fu piuttosto devastante per me e mio padre. Restammo soli. Il mondo aveva perso una delle persone più dolci e buone che avessimo mai conosciuto.

Gli occhi presero a bruciarmi come se ci avessero gettato dentro una manciata di terra, una lacrima voleva colarmi sulla guancia; mio padre aveva il viso più intristito del mio, lo sguardo abbassato e le mani tremanti.

«Scusami,» lo abbracciai di slancio, con la rabbia che ormai se n'era andata via, «io...»

Sentii le braccia forti del mio vecchio stringermi con calore e affetto.

«Voglio solo il meglio per te», affermò scompigliandomi la cresta che avevo in testa. «Io ti voglio bene, lo sai, sì?»

Certo che lo sapevo: era l'unico a volermi davvero bene in quel postaccio buttato su di quella montagna per non contaminare il resto del mondo... Tutta la feccia della civiltà era riunita a Snowy Mountain.

«Sai che ti dico, papà?» presi a togliermi la consumata t-shirt dei Soundgarden, ma la tirai giù non appena accennato il gesto: mi ricordai che non potevo mostrarmi a petto nudo davanti a lui o avrebbe subito notato i miei lividi recenti. «Stasera resto a casa con te. Stiamo insieme, così tu e io possiamo parlare...»

Il suono del telefono al piano inferiore mi interruppe, ma dal sorriso che stava scaldando il volto di mio padre, capii che lo avevo fatto contento.

«Chi sarà a quest'ora?» si lamentò mio padre, scendendo le scale col suo passo pesante e asciugandosi il naso con la manica della camicia dopo aver starnutito. «Quel pollo fritto si sarà congelato, ormai. Pronto?»

Mi diressi in bagno per darmi una pulita, visto che quel furgoncino scassato mi aveva vomitato addosso una marea di grasso, ma non avevo bisogno di guardarmi allo specchio per poter constatare che ero dotato di un bel fisico muscoloso e ricco di tatuaggi, anche se ammaccato da cicatrici e lividi vari tra cui alcuni freschi e altri di vecchia data.

Quanto sono affettuosi i miei coetanei a farmi di questi regali... Pensai sarcastico, irritandomi ben presto dell'ingiusto trattamento che mi veniva riservato e che dovevo tacere.

«Signora, la prego. Si calmi! Non usi questo tono con me!» udii mio padre agitarsi; non ero abituato a saperlo in quello stato, almeno con altre persone che non fossero me, mi ritrovai, così, preda della curiosità.

Aprii di un filino la porta del bagno poco illuminato, sporsi l'orecchio per poter sentire meglio la telefonata.

«Domani, signora, do-ma-ni... No, ma... Signora, sono perfettamente capace di intendere è lei che... La prego, le ho detto...»

Poverino. Mi dissi. È in difficoltà.

Ero quasi tentato di prendergli il telefono di mano e maltrattare chiunque lo stesse facendo irritare tanto.

Ma con chi parli, eh? Chi è la pazza che ci sta disturbando?

«Chi le ha fatto il mio nome? Chi le ha detto che sono io il tuttofare?» mi affacciai completamente con la testa; sospirando, mio padre mi lanciò un'occhiata dal fondo delle scale: non ero stato attento a non farmi beccare, notò che la mia sfacciataggine non aveva limite. «Ah, la signora Cunningham. L'ha incontrata al ristorante. Be', signora? Signora Barlow, mi ascolti...» si asciugò il sudore sulla fronte con un fazzoletto che aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans consumati.

Barlow... Quel cognome non mi era familiare, ma non ci misi molto a ipotizzare che fosse la povera idiota a cui avevano rifilato la villa in rovina dei Farlow: passando col furgone, prima che questi decidesse di abbandonarmi, avevo notato il cartello "Venduto". L'odioso nipote di quel vecchio spilorcio si era tolto un peso di dosso: quella proprietà, che aveva ereditato quando l'alcol aveva finito il lavoro con Joseph Farlow, non valeva proprio niente, almeno non nello stato in cui era ridotta, tutti sapevano che ci sarebbero voluti dei milioni solo per risistemarne il primo piano.

«Come vuole, signora, verrò stasera con mio figlio a dare un'occhiata alla sua nuova casa. Certo, tra mezz'ora saremo lì. Sì, io lavoro con mio figlio. La signora Cunningham l'ha informata bene. No, signora, mio figlio non è così! Drake è un bravissimo ragazzo. Signora, scusi se mi permetto, ma non può parlare di mio figlio in questi termini! Non glielo consento, lei nemmeno mi conosce! Ah, sarei io il maleducato?» tirai su col naso per il fastidio: la moglie del sindaco non aveva perso tempo nel dipingermi come un teppista con la prima che capitava. «Certo che accetto le sue scuse», disse con poca convinzione mio padre; il vecchio pareva stesse dando il contentino alla donna solo per non doverla più sopportare. «Certo, verrò. Gliel'ho già detto. A presto, signora Barlow. A presto... A presto

Il vecchio Amery riagganciò in malo modo il telefono; il viso arrossato gli fumava per l'esaurimento come quando la preside lo aveva chiamato perché ero stato accusato di aver incendiato i bagni della scuola.

L'aver chiuso la telefonata in faccia a quella signora mi fece ridere da solo: Amery Gorman era sempre stato un tipo molto educato e per bene; chiunque fosse stata quella Barlow, doveva essere una tipa assai esasperante per sfidare persino la pazienza di mio padre.

«Drake?» mi chiamo lui. «Sei ancora lì a spiare?»

«Sì, papà!» lo interruppi, cercando di non apparire troppo divertito e incominciando a parlare come un telecronista. «Ho sentito tutto: c'è del lavoro da fare. Ora, Drake Gorman si appresterà a lavarsi, il più in fretta possibile. Si vestirà in due secondi e uscirà di casa con suo padre. Destinazione: la vecchia villa in rovina dei Farlow! Yeah!»

   
 
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