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Autore: Fox_Symbol    13/07/2024    0 recensioni
Hannah è una ragazza come tutte le altre. Ha una famiglia affiatata, una cara amica e tanti progetti. Non vede l'ora di finire la scuola e godersi il suo meritato anno sabbatico, a dispetto di quello che pensa suo padre. Tutto sembra andare di bene in meglio ma un giorno un incendio cambia ogni cosa. Tutto dipenderà da come affronterà il cambiamento. Non sarà facile perché la sua vita non sarà più la stessa.
Genere: Avventura, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Un giorno come un altro – continuo a ripetermi dentro.

- Questo è un giorno come tutti gli altri – penso, anche se so che non è vero.

Devo concentrarmi per evitare di esplodere, per evitare di diventare una mina vagante. Forse ricordarmi che cosa è successo mi aiuterà a calmarmi, a riordinare i pensieri. Pensare alla mia vita, a come sembrava semplice e normale. Come ha fatto il caos a prendere il posto di comando? E dire che sembrava un giorno come gli altri, normale.

La sveglia continuava a martellarmi senza sosta. Erano le sette in punto, l’orario in cui mi svegliavo solitamente quando avevo scuola. Può sembrare assurdo ma a volte rimpiango anche quei giorni, quei piccoli momenti che prima trovavo semplicemente insopportabili. Spento l’allarme del cellulare, andai intontita in bagno per sciacquarmi il viso. Raccolsi l’acqua gelida e me la gettai in faccia con forza per svegliarmi alla svelta. Dopo essermi asciugata, fissai incantata il riflesso dello specchio. Avevo gli occhi provati dalla notte movimentata che avevo avuto, così tanto da oscurare l’iride chiara con il rosso irritato del resto dell’occhio. Ero piuttosto pallida, più del solito data la mia carnagione particolarmente chiara, ma non feci niente per ritoccare il mio aspetto perché non mi piace truccarmi. Presi l’elastico e, dopo aver districato i nodi della mia riccia e castana chioma, li legai a coda di cavallo. Dopodiché uscii dal bagno per prendere dei vestiti decenti per la scuola. Misi una maglia scura, dei jeans larghi e mi infilai le scarpe di corsa per scendere a fare colazione con i miei genitori.

Di solito io e mia madre non riusciamo a fare colazione insieme a mio padre perché lui si dirige presto in ufficio per lavorare ma oggi era riuscito a prendersi il giorno per lavorare da casa. Ancora debole scesi gli ultimi gradini e mia madre si staccò dalla cucina per salutarmi.

- Buongiorno! – gridò con fin troppo entusiasmo per i miei gusti – Come stai? Dormito bene? Cosa vuoi mangiare?

Mi ci volle un attimo per recepire tutte quelle domande in una volta. Non mi ero mai sentita tanto debole e intontita dopo una semplice nottata di riposo. Alzai lo sguardo e le risposi con voce ancora un po’ rauca: - Mi sento come se un camion mi avesse investita e mi fossi appena svegliata dopo mesi di coma.

- Oh, mi dispiace tesoro – affermò mortificata mia madre – Quindi vuoi del latte e un muffin?

La abbracciai e mormorando le risposi dicendo – Meglio una brioche al cioccolato, se c’è.

Mia madre si mise subito a scaldare il latte e la brioche mentre io mi misi ad apparecchiare. Mio padre intanto leggeva le ultime notizie sul suo telefono. Adoro mia madre, è la persona più gentile del mondo. Lo si capisce guardandola: il suo sorriso è sempre cortese, contagioso ma soprattutto costante e questo, infatti, le ha causato delle piccole rughette attorno agli occhi che lei copre sempre con i suoi occhiali. Visto che lavora in un piccolo studio legale, è sempre vestita molto elegante, anche di prima mattina. Ricordo ancora come si era vestita quel giorno: indossava un tailleur color verde smeraldo, uno dei suoi vestiti preferiti, e aveva come al solito i capelli scuri raccolti elegantemente con un fermaglio non troppo vistoso.

Alla fine, mi sedetti a tavola nel mio posto, tra mio padre e mia madre che ci servì la colazione: un bicchiere di latte e una brioche al cioccolato per me, una tazza colma di caffè nero per mio padre e un cappuccino con delle fette biscottate alla marmellata per mia madre. Credo che mia madre mi vizi un po’, specialmente la mattina, e questa è anche una teoria di mio padre. In effetti è vero, però io non intendo fare niente per fermarla perché la mattina ho bisogno di essere coccolata.
Mio padre può sembrare da subito parecchio minaccioso, visto che è alto e imponente, ma in realtà è tutta apparenza. In effetti ha anche i tratti del viso che incutono timore. Tiene sempre la testa rasata perché sta iniziando a perdere i suoi capelli bianchi e fini. Il suo volto è incavato e dall’incarnato olivastro con due splendidi occhi che mi hanno sempre incantato: anche se un po’ infossati, spiccano con il colore azzurro dell’iride. Gli voglio molto bene anche se è parecchio rigido nei miei confronti. Mio padre e mia madre sono la prova vivente che gli opposti si attraggono e questo mi piace perché infonde speranza anche nei miei confronti. Non sono interessata ad avere una relazione o ad essere la ragazza di qualcuno ma un giorno potrei cambiare idea e so già di essere un tipo molto difficile.

Appena spazzolata dal piatto la mia colazione controllai il mio orologio, come al solito ero in ritardo. Diedi un bacio sfuggevole ai miei e corsi immediatamente fuori casa per prendere l’autobus. Di solito è la gelida brezza che mi aiuta a svegliarmi e a prepararmi per la mia giornata di scuola ma ormai stava iniziando l’estate e quindi le temperature erano più calde. Senza quello schiaffo gelido ero ancora intontita, quindi appena mi sedetti sul sedile del veicolo pronto a dirigersi a scuola, infilai le cuffiette alle orecchie e approfittai di quei dieci minuti per riposarmi ancora un po’.

La frenata brusca dell’autobus con lo stridere degli pneumatici che dava l’idea di quanto fosse vecchio il veicolo, mi aiutò a svegliarmi e a capire che ero arrivata alla mia fermata, la scuola. Scendendo dal mezzo mi unii alla massa di ragazzi e ragazze che fremevano dalla voglia di entrare, non tanto per voglia ma per senso del dovere. Non sono contraria alla scuola o all’istruzione ma diciamo che il modo in cui viene organizzata e il modo in cui vengono trasmesse le nozioni e informazioni sono molto importanti. Se una scuola è mal organizzata o manca di insegnanti che trasmettano passione in quello che insegnano può togliere il piacere di imparare anche al più entusiasta degli alunni. Che poi ci siano anche degli ignoranti tra gli studenti che di imparare qualcosa non gli interessa proprio niente è una costante e non credo che questo si possa cambiare.

Io non mi definisco né ignorante ne secchiona, sono nella media. Mi impegno, studio e non mi distruggo se non prendo esattamente il voto massimo, a differenza della mia compagna e migliore amica Julie. Lei avrebbe bisogno di cure. Visto che gli esami erano imminenti, stava impazzendo. Anche io avevo intenzione di prendere un bel voto ma sicuramente non per gli stessi motivi. Io intendevo prenderli perché i miei mi hanno promesso che, se avessi preso un buon voto agli esami, mi avrebbero dato quello che ho sempre desiderato e cioè un anno sabatico.

La prima ora di quella mattina fu di scienze. Mi piace anche se non è il mio forte. La seconda e la terza ora furono una vera noia: algebra. Di solito durante quest’ora disconnetto il cervello per evitare di farlo esplodere per il troppo sforzo, ma volevo disperatamente un bel voto. Anche Julie in questa materia è parecchio in difficoltà. Anche se non siamo sedute vicine la vedo ogni tanto a mangiarsi nervosamente le unghie durante queste lezioni.

Dopo algebra ci fu ricreazione quindi un attimo per staccare e rilassarsi, ma non per Julie. Lei continuava a studiare. Studiava e mangiava, mangiava e studiava. Ci teneva un sacco a passare l’esame per poter continuare gli studi e non ritardare la sua cosiddetta “tabella di marcia della vita”. Aveva programmato tutto e il suo obiettivo finale era di diventare un’insegnante d’arte in uno dei migliori istituti. Io era già tanto se sapevo cosa avrei fatto nel pomeriggio.

Durante la ricreazione stavo con la mia massima calma a guardare Julie che arrotolava tra le dita i suoi capelli rossi per lo stress. Quindi le chiesi: - Non che non mi diverta vedere la mia migliore amica avere una crisi di nervi ma credevo che avremmo fatto altro.

Lei senza distogliere lo sguardo dai libri mi rimproverò: - Tipo cosa? Chiacchierare sulle futili chiacchiere? Non c’è tempo! Già sono arrabbiata con te perché non prosegui gli studi insieme a me e adesso mi dovrei giocare anche il mio di futuro per farci quattro chiacchiere?

- Sembri mio padre. – affermai – Campionessa, la tua mancanza di maturità mi delude profondamente!

Diedi un morso al panino: - Ascolta, ti dico tre cose: primo, perché dovrei cambiare tutta me stessa per diventare un ammasso di stress come te solo per avere un lavoro che posso trovare anche senza farmi spremere la vita? Secondo, se il motivo per cui dovrei proseguire gli studi e fare l’università è semplicemente stare con te e mangiare qualcosa guardandoti sclerare, io passo.

Finalmente distolse i suoi occhi nocciola dai libri, raddrizzo la schiena abituata a essere piegata e chiese scocciata: - E quale sarebbe la terza cosa?

Feci l’espressione più seria possibile e le chiesi: - Cosa sono le “futili ciance”?

Fortunatamente la campanella di rientro nelle classi suonò prima che Julie mi impartisse una lezione di grammatica. Ci dirigemmo verso la nostra classe e continuai a chiacchierare con lei, facendo attenzione a non perderla. Sarà anche matura e dal carattere parecchio forte ma non è molto alta. Credo sia tra le più basse della scuola e a colpo d’occhio ti viene da pensare a quanto è carina perché ha il viso da bambola: viso assottigliato, occhi grandi e marroni, tante piccole lentiggini che ricoprono le sue guance paffute e la sottile piccola bocca. Il problema vero è quando comincia ad aprirla e capisci che è un vero e proprio peperino.

- Sei preparata per oggi? – domandò mentre ci dirigemmo in classe - Non ti ho vista ripassare a pranzo.

Muovermi tra la folla non mi è mai piaciuto particolarmente ma oggi era più difficoltoso per me. Le persone non erano più del solito ma lo stesso facevo fatica a respirare e riuscivo solo a sentire l’odore stantio che ha solitamente una stanza poco arieggiata e colma di gente, alcuni per di più sudati per il ritorno dalla palestra.

- Pronto? – disse Julie schioccando le dita davanti a me – Mi stai ascoltando? Oggi ti vedo più assente del solito.

- S-scusa – la mente cominciò a riempirsi di pensieri, alcuni inutili altri che sembravano di vitale importanza, ma sembravano scorrere così velocemente che mi fu difficile tenere un filo logico e lineare in testa – Che cosa mi hai chiesto?

- L’interrogazione di storia? Studio? Imminente distruzione tua da parte del professore?

Entrammo in classe. Il mio banco era nella seconda fila a lato della porta mentre Julie è in pole position, in prima fila ma dalla parte opposta, di fianco alla finestra.

Mentre lei raggiungeva il suo posto, la informai tirando fuori il libro dallo zaino: - Tranquilla, ho studiato. Giusto un ripasso dell’ultimo minuto ed è fatta!
- Come fai a essere così tranquilla dico io! – esclamò con lo sguardo al cielo e le mani tra i capelli.

Seduta al mio banco, cominciai a sfogliare il libro e a leggere i vari schemi mnemonici per ripassare. Ero calma. Avevo studiato a fondo ed ero sicura di quello che sapevo. Pian piano rientravano in classe il resto dei miei compagni ed infine il professore.

In realtà non mi accorsi che era entrato finché non cominciò a calmare la classe. Ero parecchio assorta a esaminare gli appunti. Non ero mai stata ansiosa per interrogazioni e verifiche perché sapevo che quello che contava era l’impegno, e io mi impegnavo sempre. Quel giorno però cominciai a sentire che qualcosa non andava.

- Allora, se non sbaglio, oggi dovevo interrogare qualcuno. – iniziò la lezione aprendo il registro degli studenti. Scrutò con i suoi piccoli occhietti marroni ogni singolo nome cercando forse una piccola nota che probabilmente aveva fatto per ricordarsi. Intanto il mio cuore cominciò battere sempre più forte. Mi dissi che era solo agitazione per il fatto che questa volta non bastava solo l’impegno, desideravo ardentemente un buon voto.

- Ah, bene! – esclamò il professore con fin troppo entusiasmo per il ritrovo della sua piccola nota – Hannah, vieni pure alla cattedra.

Le mani cominciarono a tremare nervosamente e così cominciarono a fare anche le gambe. Mi alzai dalla sedia per andare alla lavagna per l’imminente interrogazione. La bocca cominciò a seccarsi talmente tanto che la lingua pareva incollarsi al palato. Iniziò anche a mancarmi il fiato, così cominciai a fare brevi ma rapidi respiri.
Arrivata davanti alla lavagna e di fronte ai miei compagni che sembravano completamente disinteressati, il professore aprì il libro al capitolo dove eravamo arrivati. Sentii tante piccole goccioline scorrere lungo tutta la schiena e iniziai a provare un’ondata di calore.

I miei compagni sembravano non aver notato niente, così come il professore che iniziò a fare le sue domande: - Bene, Hannah, visto che avevi chiesto di essere interrogata per rivedere meglio la tua media, inizia a parlarmi pure dell’ultimo capitolo che abbiamo esaminato. Provai ad aprire la bocca ma non uscì nessun suono. La mia mente era completamente vuota, tutte le informazioni che avevo imparato si erano come volatilizzate. In quel momento iniziò anche ad appannarsi la vista quindi cominciai anche a sbattere nervosamente le palpebre per tentare di farla tornare normale. Stavo facendo scena muta davanti all’intera classe che cominciò a bisbigliare e ridacchiare.

- Silenzio! – il professore sgridò la classe – Hannah, hai studiato?

Con il cuore in gola che batteva all’impazzata, la vista offuscata, la bocca secca e la schiena ormai bagnata di sudore, riuscii solamente a emettere un verso strozzato.
Il professore ormai stizzito per la mia scena muta disse con gli occhi al cielo: - Va bene, ho capito. Torna al tuo posto.

Misi un piede avanti ma alla fine il corpo cedette e crollai a terra. Il respiro si faceva sempre più soffocato. Portai una mano alla fronte e notai che era diventata molto più calda. Il professore appena mi vide per terra, fermò i miei compagni che stavano per venire a vedere cos’era capitato. Alcuni si erano già alzati in piedi.

Il professore si inginocchiò di fianco a me e con tono gentile e pieno di rimorso chiese: - Hannah, va tutto bene?

Non riuscivo neanche a rispondergli. Il fiato mancava e la vista era sempre più offuscata. Una lacrima scivolò sulla mia guancia. Ero pietrificata. Il professore in buona fede avvicinò la sedia della sua cattedra e mi porse la sua mano come gesto gentile e necessario per aiutarmi a rialzarmi e a sedermi. Allungai a mia volta la mano tremolante per afferrare la sua e accettare il suo aiuto. La presi debolmente e subito notai che era gelida. Io non la ritrassi perché avevo bisogno di aiuto ma lui lo fece immediatamente. Sbattei più volte le palpebre per tirare via le lacrime che mi distorcevano la vista. Il professore era disteso a terra che stringeva i denti tentando di soffocare le urla per il dolore agghiacciante che provava. Non riuscì a trattenersi a lungo. Comincio a gridare e a chiedere pietà per il male che provava. Io ero sempre più in uno stato confusionale e mi rifugiai rannicchiata nell’altro angolo della stanza, vicino all’ingresso dell’aula. Continuavo ad ansimare e piangere ma in quel momento sembrava il professore ad aver più bisogno di aiuto, anche se non era ben chiaro il perché. Due dei miei compagni, Thomas e Kyle, furono i primi ad alzarsi ed accorrere in aiuto del professore. Lui continuava a dilaniarsi mentre teneva nascosta la mano destra, quella che precedentemente gli avevo afferrato. Kyle la prese con attenzione chiedendogli in tono gentile: - Per favore mi faccia vedere.

E anche Thomas incuriosito diede un’occhiata al palmo della mano del professore intanto che altri studenti iniziarono ad alzarsi per vedere che cosa stesse succedendo, solo Julie si avvicinò a me con calma. Appena tutti gli altri alunni della classe, ad uno ad uno, videro cosa era capitato al professore cominciarono a fare esclamazioni piene di stupore e orrore. La parte peggiore fu quando tutti puntarono gli occhi su di me.

Julie che era in piedi al mio fianco esclamò a gran voce: - Insomma! Si può sapere cosa è successo?

Alice, Ben e altri che erano davanti al professore si spostarono ed infine Kyle con attenzione e premura mostrò a me e a Julie il palmo dell’insegnante.

- Oh, mio Dio! – sgranò gli occhi Julie – ma cosa…?

Guardai meglio anche io: la mano era diventata completamente bordò, si stavano cominciando a formare enormi bolle d’acqua e addirittura la pelle che ricopriva parte del palmo della mano cominciava a staccarsi mostrando la carne viva. Il mio solo tocco aveva ustionato quel poveretto. La mia schiena continuava a grondare di sudore e avevo costantemente il cuore in gola che batteva all’impazzata. Julie cominciò ad avvicinarsi a me, sempre di più. Il suo intento era buono ed il suo sguardo non era come quello degli altri miei compagni. Mentre loro provavano terrore, il suo viso traspariva preoccupazione e sincero interesse. Al contrario io non avevo ordine nei miei pensieri e non riuscivo più a controllare il mio respiro sempre più accelerato. Julie lo noto. Si chinò e allungò la mano per rincuorarmi. Non sapevo se ero stata io a far del male al professore, tutto questo era strano. L’intera faccenda non aveva alcun senso. Visto che la possibilità che fossi stata io era strana ma plausibile, mi scostai di fretta e con gli occhi colmi di lacrime iniziai a gridare: -Fermati! Non mi toccare!

A quel punto ci fu un gran vociferare in quella stanza. La maggior parte delle discussioni erano accusatorie ed altri compagni erano spaventati da me. Mi inginocchiai con il viso a terra e le mani tra i capelli, premute forte contro le orecchie. Le voci così come i pensieri nella mia testa non si fermavano. Ad un certo punto non riuscì più a trattenermi. Alzando di scatto il busto e con la testa rivolta verso il soffitto mi sfogai con un grido feroce e allo stesso tempo sofferente. Infine, accadde l’inimmaginabile: energia pura sotto forma di un’onda d’urto rosso fuoco scaturì da me stessa, scaraventando chiunque in quella stanza contro le pareti e le finestre dell’aula. Appena riaprii gli occhi ero esausta. Osservai piano piano la classe: a lato sinistro ogni banco, zaino, sedia erano stati scaraventati ovunque e le fiamme li divorarono, di fronte a me c’erano ragazzi e ragazze, i miei compagni, anche loro stati scaraventati contro il muro. Fortunatamente la cattedra li aveva abbastanza protetti. La maggior parte dei ragazzi erano svenuti mentre l’altra cercava di rialzarsi a fatica e aiutare gli altri. Il primo a rialzarsi fu Jim. Guardò spaventato l’intera stanza che stava per essere divorata dalle fiamme poi posò lo sguardo su di me ed indietreggio preso dal panico. Confusa prestai attenzione alle mie mani, completamente avvolte dalle fiamme. E non solo quelle. Tutto il mio corpo era infuocato. Però non provavo dolore e, mentre continuai a osservare questo fenomeno sconcertata, i miei abiti cominciarono a consumarsi nel fuoco. Spostai velocemente lo sguardo nell’angolo vicino alla porta perché di solito era lì che i professori deponevano la giacca. Non vidi nessuna giacca ma Julie. Era seduta con la schiena contro il muro e sulla parete dove era stata scaraventata, c’era del sangue. Mi avvicinai di corsa senza cercare di toccarla. Il fumo, intanto, si faceva sempre più fitto e le fiamme sempre più alte. Alla fine, l’impianto antincendio della scuola si attivo. I miei occhi però non si staccavano dalla scia di sangue che dalla parete gocciolava e inumidiva la testa di Julie. Non potevo fare niente perché non potevo toccarla. Non ero in grado neanche di verificare se fosse stata ancora viva. D’un tratto l’impianto fece scendere l’acqua a spruzzo per spegnere l’incendio ed evitare la propagazione. Le gocce arrivarono anche a me. Appena a contatto con la mia pelle, l’acqua fu come acido e mi provocò dolori lancinanti. Più l’acqua spegneva le fiamme che il mio corpo generava più soffrivo. Cedetti alle sofferenze e crollai a terra. Mentre le mie palpebre iniziarono a chiudersi e cominciai a perdere i sensi, diedi un ultimo sguardo alla mia migliore amica seduta in quell’angolo. Con i suoi rossissimi capelli che diventavano sempre più rossi a causa del sangue, con la sua anonima polo rosa mezza bruciacchiata e i suoi jeans a vita alta, con le lentiggini che risaltavano di più man mano che la sua pelle continuava a impallidire. Poi ci fu un buio totale. Le palpebre avevano oscurato completamente gli occhi. Anche se non riuscivo a vedere più niente perché in stato di incoscienza, l’immagine di Julie mi rimase tatuata perennemente nel cervello. Non me ne sarei mai più liberata.
   
 
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