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Autore: Milly_Sunshine    19/07/2024    1 recensioni
Quando la prima trapper vincitrice del Festival di Sanremo scompare improvvisamente nel nulla all'indomani della vittoria, è necessario ingaggiare una sosia che possa cavalcare l'onda del successo e portare avanti un progetto musicale amato dal grande pubblico. Nessuno può sapere, in quel momento, che un serial killer si muove nell'ombra, e che Araceli Fernandez, altresì nota come Ara Sky, è solo la prima vittima. Ci saranno quindi altre ragazze acqua e sapone di grande talento, altresì note come gran gnocche che non hanno alcuna conoscenza del contesto in cui lavorano, in cima alla sua wish list. Vista l'impossibilità di trovare sosia di tutte costoro, sarà necessario fermare questo pericoloso criminale. // La vicenda ha in sé una sua continuità, ma in ciascun capitolo ci sarà un diverso personaggio come protagonista. Potrebbero esserci personaggi già apparsi in altri miei racconti, da considerarsi qui inseriti in un alternate universe rispetto alle loro vicende principali.
Genere: Demenziale, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Mi presento, sono una bad bitch
e sto dalla parte di tutte le sis
come me bruttine e acqua e sapone
altresì note come gran gnoccone,
negli anni ho imparato l’arte
di stare sempre sola in disparte,
sotto le calze a rete non ho niente
e non capisco cosa guarda ‘sta gente,
in questo setting devo fingermi tocca
e non capire quelle bave alla bocca.

Sono Ara Sky e questa è la vita,
ma da stanotte di certo è finita,
alle quattro meno venti mi esibirò
e farò impazzire le sis e i bro,
non sarà certo una serata amara,
quarantaduesima cantante in gara,
ma prima quando conta davvero,
chi ha detto che valgo meno di zero?
Sono gli altri a valere meno,
io la queen del palco di Sanremo,
sono venuta a portare fresh content
e punto all’Eurovision Song Contest,
forse non hai capito il perché,
ma è il posto per le bitch come me.

Sentite come suonano le trombe
mentre la vostra princess irrompe,
scende le scale, applausi un milione,
poi inciampa e urla un porcone…

Erano le quattro e quarantasette minuti quando Araceli Fernandez ricevette la concessione di lasciare il palco dell’Ariston. In platea il pubblico continuava a urlare cose senza senso, in totale acclamazione. Non se lo aspettava. O quantomeno, non si aspettava una simile accoglienza. Fin da quando, due settimane prima, la stampa italiana al gran completo aveva iniziato a considerarla come la grande favorita e i telegiornali avevano iniziato a darle risalto inserendola tra le notizie più importanti della giornata, dandole priorità perfino rispetto alla raccomandazione di indossare sempre il paraorecchie quando si usciva nelle ore più fredde della giornata e di stare attenti a non scivolare sul ghiaccio quando la temperatura scendeva al di sotto dello zero, aveva avuto la certezza di essere destinata a finire almeno tra i primi tre. Tutto il resto era stata farina del suo sacco. O meglio, farina del sacco della sua cameriera personale, che le aveva suggerito di far passare il suo mettere in mostra le cosce e il seno non come volontà di esibire il proprio fisico scultoreo quanto piuttosto come la massima espressione del pensiero femminista. All’inizio Araceli non era stata molto convinta, ma si era rivelata la strada vincente. Quando, in occasione della nona serata del Festival aveva affermato, dopo essersi esibita, che era grazie alle proprie natiche che le donne italiane avevano il diritto di voto, era stata elevata a massimo idolo della musica, non solo da gente che purtroppo aveva il diritto di voto, ma anche ad gente che era stata votata e aveva un posto in Parlamento.
Araceli tentò di immaginare come sarebbe trascorsa il resto della nottata per l’intera popolazione italiana, che per la visione del Festival era stata per nove ore di fila sullo stesso canale, perdendosi numerose edizioni di telegiornali notturni e serali sulle altre reti. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi al pensiero di quegli sprovveduti che l’indomani sarebbero usciti di casa in T-shirt e bermuda perché non avevano sentito i preziosi consigli sull’adattare il proprio abbigliamento alle condizioni meteo e alla temperatura. Pazienza, così imparavano a stare fino a notte inoltrata ad ascoltare la sua voce gracchiante corretta da massicce dosi di autotune.
Per quanto la riguardava, quella dodicesima serata era stata la più stancante di tutte, in quanto certa della vittoria non aveva potuto andare a dormire come avevano fatto molti suoi colleghi subito dopo essersi esibiti. Fuggì in gran fretta, rischiando di inciampare diverse volte, per poi correre fino al camerino in cui avrebbe potuto liberarsi del trucco pesante, delle ciglia finte, delle extension colorate e dei vestiti. Quest’ultima parte sarebbe stata la più semplice, perché ne portava pochi. Però indossava il paraorecchie, memore delle numerose edizioni del telegiornale che aveva visto nel corso della propria vita.
Soltanto alle cinque e trentaquattro minuti, quando ancora litigava con la matita nera a lunga resistenza che da circa dodici ore marcava il suo contorno occhi, si ricordò di non avere scattato un selfie allo specchio e non averlo pubblicato su tutti i suoi profili social con un messaggio in stile pubblicità progresso. Se l’era studiato per tutta la durata del Festival. Recitava esattamente: “donne, ricordate che se avete dei diritti civili è perché le ragazze brutte e poco appariscenti come me trovano il coraggio di mostrare il proprio corpo imperfetto e pieno di difetti”. Una grande occasione era stata sprecata, ma avrebbe potuto rifarsi l’indomani, durante le sedici ore di diretta televisiva dedicata al Dopo Festival.
Alle sei e due minuti, indossò un lungo cappotto di tweed da zitella degli anni ‘50 che si dedicava come dilettante all’investigazione e, ovviamente, il paraorecchie. Era giunta l’ora di lasciare finalmente l’Ariston e di andare a concedersi all’incirca cinquantacinque minuti di sonno in attesa dell’indomani. In quei cinquantacinque minuti sognò cose bellissime, ovvero i bei tempi in cui era ancora un’operaia metalmeccanica e la sua giornata lavorativa, seppure iniziando allo stesso orario, terminava alle cinque del pomeriggio anziché alle cinque della mattina seguente.
Quando al sveglia esclamò un “driiiin” a tradimento portandola a un brusco risveglio maledisse il giorno in cui era andata con i suoi colleghi in un locale di karaoke e, sentendo la sua voce stonata e la sua incapacità di scandire le parole, un talent scout l’aveva convinta a lasciare la fabbrica per reinventarsi come cantante trap. Se Araceli avesse potuto tornare indietro nel tempo, sarebbe scappata a gambe levate, senza né voltarsi né pensare al freddo che le penetrava nei lobi non riparati dal paraorecchie.
Più tardi, mentre la sua cameriera personale la aiutava a truccarsi e a dare una revisionata all’ennesimo nude-look, quei pensieri non erano che un ricordo lontano. Sapeva che doveva partecipare a una lunga giornata di dirette nelle quali avrebbe dovuto raccontare dei suoi traumi passati, nella speranza che qualche agente letterario le proponesse di trasformare la sua vicenda in un libro che potesse salire in cima a tutte le classifiche italiane e, con un po’ di fortuna, anche europee o mondiali.
«Dimmi, Nicoletta, secondo te dovrei aggiungere qualche dettaglio alla mia storia tragica?» domandò alla cameriera.
«Non saprei, signorina Ara Sky» ammise costei. «Qualcosa di che tipo?»
«Finora ho sempre raccontato che tutti i miei familiari sono morti in un’inondazione quando avevo quattro anni e che ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza in un orfanotrofio, dal quale sono stata cacciata appena maggiorenne» ricordò Araceli, giusto per essere certa di non dimenticarsi alcun dettaglio. «Ero sola e non avevo nemmeno un paraorecchie, perché quello che avevo faticosamente comprato con i miei risparmi era stato rubato dai miei compagni di orfanotrofio che mi bullizzavano. Così, in quella drammatica notte, ho dormito sotto i portici della stazione.»
«Ma non è nata il 19 luglio?»
«Sì, e quindi?»
«Se è stata cacciata appena divenuta maggiorenne, che cosa se ne faceva del paraorecchie?»
Araceli sbuffò.
«Suvvia, Nicoletta, non farmi perdere tempo con queste sottigliezze. Vuoi che i decerebrati che mi seguono facciano caso a questi dettagli? La mia biografia ufficiale prosegue con gli anni passati a fare lavori saltuari, fino a entrare in seguito nel mondo della prostituzione ed essere trascinata nell’alcolismo e nella dipendenza da droghe. Proporrei di aggiungere uno strano incontro fatto una notte di luna piena, in un misterioso paesino chiamato Forchette, con un individuo luminoso: un colpo di fulmine, ma mentre mi avvinghiavo al suo corpo freddo e statuario ecco un ululato micidiale a interrompere quel momento di poesia. È così che ho iniziato a scrivere canzoni, ma sogno ancora di incontrare quel meraviglioso ragazzo pallido e luminescente.»
«Ho già letto una storia simile quando ero ragazzina» osservò Nicoletta. «È sicura che qualcosa di simile potrebbe funzionare?»
«Eccome se potrebbe funzionare» decretò Araceli, con una certa convinzione. «Sto pensando inoltre che oggi dovrei aggiungere anche una ciocca verde shocking.»
«Pensa che donerebbe con il suo caschetto nero con undercut?»
«No, ma penso che sarebbe perfettamente in tinta sia con il paraorecchie che intendo indossare oggi, sia con il reggicalze che metterò senza sopra una gonna.»
«Ottima intuizione.»
«Bene, Nicoletta, mi piace quando concordi con le mie idee. E ricorda che è solo grazie a me se puoi andare a votare.»
La cameriera sospirò.
«Proprio una grande soddisfazione eleggere gente che non ha alcuna voglia di lavorare e che dovrò mantenere a vita.»
«Penso che, quando avrò terminato la mia carriera di cantante, penserò seriamente a una professione nel mondo della politica» azzardò Araceli. «Fonderò il Partito Popolare dei Bro e delle Sis e ti ingaggerò come portaborse.»
Nicoletta non commentò. Si limitò ad andare a prenderle una ciocca finta del colore richiesto ad adornare i capelli. Ancora una volta Araceli sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e non sapeva se fosse perché le mancava non essere la leader di un partito di tale rilievo o perché rimpiangesse i vecchi tempi, quando alla domenica andava a fare la spesa all’ipermercato invece di fare ore e ore di diretta televisiva. Qualunque fosse la realtà, si ritrovò a sperare che tutto potesse cambiare all’improvviso. Le sue preghiere vennero esaudite: quando la diretta terminò alle due e quaranta della notte e lasciò lo studio televisivo senza nemmeno essersi tolta il trucco, non si accorse se non all’ultimo di qualcuno che la assaliva alle spalle.
«La tua vita è finita, Ara Sky» sibilò una voce spettrale.
Araceli raggelò. L’assalitore, prima di afferrarla in una morsa micidiale, le aveva strappato via il paraorecchie.

 

   
 
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