La serata era piacevole: gli invitati si cibavano di gustose leccornie e bevevano rinfrescanti birre ghiacciate.
Quest’aura di pace e serenità venne rotta dalla voce tonante del Brambilla:
-Non mi sento tanto bene, devo andare in bagno-
-Colpa del glutine!- sghignazzò Gabriele.
Odorico non reagì a quelle parole, ormai mezzo sbronzo sul divano del salotto, mentre Matteo trattenne una sadica risatina.
Poco prima egli, con l’ausilio del Fumagalli, aveva nascosto i panini e le patatine senza glutine destinate all’amico e li aveva sostituiti con pietanze normali.
-Vediamo cosa succede! Ihihhiihhiih- avevano riso di gusto il giorno prima, quando avevano elaborato il sadico scherzo.
-Possibile… sicuro che mi hai dato solo cibo celiaco?- chiese Daniele al padrone di casa.
-Ma certo Dani, ne sono sicuro. L’ho comprato oggi stesso al supermercato-
-Dov’è il bagno?-
-Vai in quello degli ospiti lì dietro-
Brambilla si precipitò nella sacra stanzetta, luogo che lo avrebbe liberato dai malori alla pancia che lo stavano falcidiando.
Chiusa la porta, aprì la tavolozza e si sedette.
-AAAAAAAAAAAAH-
Presto il water si riempì di diarrea fetida, sparata a flutti dall’ano medicinese.
-Uuuh meglio-
Daniele era già pronto a passarsi la dorata carta igienica sul deretano quando emise un secondo, improvviso ed enorme getto di feci semi liquide.
-AAAAAAAAAAAAAAH-
L’ano del celiaco si squarciò, la merda straboccò dal gabinetto e cominciò a riempire il pavimento del piccolo bagno.
Il Brambilla in quel momento svenne, in preda a dolori e a spasmi in tutto il corpo.
Dall’altro lato della dimora la rimpatriata proseguiva bene: Gabriele raccontava aneddoti sul liceo, Matteo e Galeazzo si sfidavano sulla Playstation, Odorico trangugiava l’ennesima birretta.
Un gridolino sconvolse i giovani presenti.
-DANIELE? TUTTO BENE??-
Nessuna risposta.
Allora Matteo adagiò il joystick sul tappeto e, seguito da Sigismondo, andò a sincerarsi delle condizioni del medicinese.
-ODDDIO-
Coraz si spaventò quando vide un liquido marrone e nauseante uscire da sotto la bianca porta della toilette.
-Per Bacco Daniele, stai bene?- chiese il Conte, anche lui un po’ nel panico.
Matteo si fece coraggio e aprì la porta: una valanga di merda lo travolse e lo spinse a grande velocità contro la parete, uccidendolo sul colpo.
-Santi Numi-
Galeazzo tentò la fuga in salotto, ma per colpa delle ciabatte da papero scivolò per terra e venne sommerso dalla marea putrida.
Rossi, sbronzo duro, più nella dimensione ultraterrena che nelle nostra, non si accorse di nulla e continuò imperterrito la bevuta mentre la stanza si allagava velocemente.
-Porcoddio-
Gabriele, che invece era sobrissimo, spalancò la porta finestra e riuscì a scappare nell’ampio giardino sul retro, appena in tempo per non venire soffocato dallo tsunami di merda che in pochi minuti raggiunse anche i piani superiori.
-Porca troia-
Fumagalli, a debita distanza dalla villa, si spaventò all’udire i terribili e sinistri suoni di distruzione che rimbombavano dagli interni.
Le vetrate del piano terra si ruppero e ne fuoriuscirono, spinti dalla forza del liquame, i corpi senza vita di Galeazzo, di Odorico e per ultimo di Matteo.
L’acerrano piagnucolò per qualche secondo, ma presto alla tristezza si sostituì l’orgoglio di essere sopravvissuto.
-Sono vivo! Sono vivo cazzo! Ahah! Un acerrano non muore mai! Ahah! Ma… Daniele? Dove cazzo è finito quel down?-
Daniele, che si trovava ancora svenuto nel bagno, si gonfiò come un pallone aerostatico, principiò a galleggiare sulle feci che ora gli uscivano anche dalla bocca, e arrivato nella palestra sita al secondo piano scoppiò in un botto fragoroso.
Una tagliente tegola volò via dal tetto e decapitò Fumagalli.
L’unico sopravvissuto di quella serata fu Giulio Cesare, il gatto razzista del conte, che all’odore di ebrei e di terroni nelle vicinanze se l’era da ore svignata nel bosco vicino.