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Autore: taisa    21/09/2009    7 recensioni
Un nuovo pericolo, una nuova minaccia. Un grido d’aiuto. “Salvami”
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SAVE ME

SAVE ME

*

A patto che…

*

“Salvami”farfugliò dolcemente la sua voce, in una richiesta silenziosa. Timidamente appoggiò il capo sulle ginocchia piegate al petto, singhiozzando vistosamente a causa del pianto che da infiniti minuti lo aveva colto. Non era sicuro da quanto stesse versando lacrime amare, forse lo aveva sempre fatto. Forse stava piangendo da quando era nato.

D’altro canto, quel luogo, gli faceva paura. Era buio, troppo. Non c’era null’altro attorno a lui. E più si rendeva conto di questa crudele realtà, più si sentiva svuotato e stanco. Non aveva nemmeno più voglia di piangere, a dire il vero. Voleva solo chiudere gli occhi, per sempre, e dormire un po’. Scappando dalle tenebre, immergendosi in una dimensione diversa. Era stanco, sempre di più. C’era qualcosa, nel nulla, che sembrava volerlo schiacciare nella sua immensità, costringendolo a tenere i sensi in allerta. E nemmeno sapeva spiegarsene la ragione.

Tirò su col naso, in un gesto che si confaceva alla sua tenera età, riprendendo quindi a rimpiangere una stanchezza arrivata troppo presto e troppo all’improvviso. “Salvami, ti prego” sussurrò appena a chiunque potesse sentire la sua supplica rimasta inascoltata.

“Perché piangi, piccolo?” S’introdusse una voce, riempiendo, in parte, quello spazio infinito. E lui, curioso e affranto dall’incombente destino, sollevò lo sguardo, alla ricerca della figura che poteva  aver pronunciato quella frase semplice ma, in qualche modo, rincuorante al tempo stesso. Purtroppo fu ancora il nulla a presentarsi impietoso ai suoi piccoli occhi inumiditi. “Non lo so” ammise subito il bimbo, attendendo una risposta dal misterioso e invisibile interlocutore. “Capisco” proferì la notte, riempiendo le orecchie del disorientato ragazzino che, infine, decise di alzarsi, facendo fluttuare in un movimento repentino il mantello rosso attaccato alla sua armatura. Si guardò attorno, il piccolo, passeggiando nel vuoto alla ricerca di un qualsiasi volto nel quale potersi rispecchiare. “Chi sei?” Domandò al vuoto, sperando di cogliere la direzione della voce misteriosa. “Il mio nome è Ham, piccolo, tu come ti chiami?” Rispose l’eco dell’oratore, che parve provenire da dovunque e da nessuna parte al tempo stesso. “Cooked” rispose il bambino. Poi il silenzio tornò a schiacciare la sua esile figura. “Sei venuto per salvarmi?” S’informò il ragazzino, racchiudendo in quelle poche parole una flebile speranza. “Forse” rimbombò l’enigmatico Ham, “Vuoi essere salvato?” Gli rigirò la domanda il nulla, attendendo una reazione dal piccoletto.

Cooked chinò il capo, osservando le sue scarpe per qualche istante, “Vorrei che mi salvasse un amico” Confessò un po’ schivo, sentendosi decisamente in imbarazzo. Il buio si fece taciturno, come se volesse ascoltare i pensieri più profondi e reconditi della mente di quello sventurato bambino che, dal canto suo, sembrò trepidante per avere una risposta. O, in alternativa, terrorizzato di essere rimasto nuovamente solo. “Non verrà, non verrà mai, Cooked. Solo io posso salvarti” tornò a dire l’interlocutore misterioso. Il timido ragazzino trattenne appena una lacrima, afferrando il mantello rosso e cominciando a strizzarlo con crescente nervosismo. “Te lo chiedo un’altra volta, vuoi essere salvato?” Ribadì Ham, diventando improvvisamente più severo e inflessibile. “Sì, salvami” acconsentì il piccolo, dopo averci pensato qualche secondo in più.

“Non così in fretta, ragazzino. Se vuoi essere salvato, dovrai rispettare un patto” disse l’oscurità, austera e quasi crudele. “Un patto?” Ripeté l’indeciso bimbo. “Esatto. Ti salverò e ti donerò la vendetta contro chi ti ha abbandonato. In cambio tu ubbidirai ciecamente ai miei ordini, hai capito?” Dichiarò Ham, ottenendo un cenno del capo appena percettibile in risposta. “Allora dimmi, Cooked, vuoi essere salvato?” Volle sapere la notte, in quello che parve un ultimatum. Il bambino sembrò rifletterci pochi secondi. Si asciugò le lacrime con il dorso del guanto bianco che portava. Sollevò il capo, infine, osservando il suo enigmatico interlocutore. Gli occhi ancora lucidi dal pianto, ma in essi era impressa la sua flebile volontà. “Salvami”.

*

L’anziana signora fissava il carrello davanti a sé, con l’espressione di chi stava per avere un attacco di cuore causato dalla sorpresa e dall’incredulità.

“… non è questo il punto, mamma. Io capisco che voglia allenarsi, ma…” Il discorso delle due donne andava avanti come se nulla fosse, continuando ad appoggiare la merce sul nastro trasportatore. Ignorando, allo stesso tempo, lo sguardo della cassiera, che sgomenta si accorse che quello era solo il primo dei tre carrelli carichi fino all’inverosimile che le due avevano riempito. Evidentemente, l’inserviente, era nuova.

“Tesoro, devi capire che tuo marito non è come tutti gli altri” Cinguettò la bionda, rivolgendosi alla compagna più giovane, attirando su di sé l’attenzione di un bambino di pochi anni che, additando la quantità sproporzionata di cibo, richiamò l’attenzione della madre al suo fianco.

“Questo lo so benissimo, ciò non toglie che Vegeta potrebbe evitare di distruggere tutti gli abiti buoni con la scusa degli allenamenti” Brontolò infine l’interlocutrice dal peculiare colore di capelli. La frangetta azzurra si sollevò vistosamente, quando l’ennesimo sbuffo la scompigliò per qualche secondo, prima di tornare a disporsi ordinatamente sulla fronte della donna.

Un uomo, impegnato a riporre la propria spesa da single in alcuni sacchetti, si rivolse a osservare le due per alcuni secondi, prima di tornare ai propri doveri.

Bulma, infine, osservò la cassiera, in attesa di conoscere il conto della sua mastodontica spesa, mostrandole una carta di credito come se stesse pagando un semplice paio di scarpe, “Quant’è?” Domandò alla giovane, ridestandola dai suoi pensieri. La povera impiegata necessitò di diversi minuti, prima di registrare anche l’ultimo articolo, rispondendo così alla domanda della cliente. Dando il tempo, tra l’altro, alla Signora Brief di riporre l’ultimo sacchetto in uno dei carrelli e attendere che la figlia si occupasse del conto.

“Bene” annunciò Bulma, dopo aver lasciato il posto al cliente successivo. Appoggiò entrambe le mani ai fianchi e osservò la madre, intenta a creare un equilibrio stabile tra le varie buste. “Io devo passare un attimo al negozio di vestiti, devo comprare delle magliette a Vegeta, di nuovo. Ti raggiungo a casa” Annunciò porgendo alla bionda una capsula che l’altra osservò per appena un attimo, tempo di riconoscere l’autovettura con la quale erano venute. Annuì, in seguito, avviandosi, con un bilanciamento degno di un funambolo, verso il parcheggio del negozio, senza mai rovesciare la spesa o perdere il controllo dei carrelli.

Bulma, si allontanò nella direzione opposta, avviandosi verso l’esercizio di abbigliamento, come aveva annunciato. Camminava con passo svelto, concentrata sui propri pensieri. Osservò distrattamente il cartellone pubblicitario di un paio di pantaloni da uomo, posto appena all’uscita del supermercato. Si soffermò a osservarlo solo un istante, quel che bastava per pensare a quanto, quei calzari, potessero stare bene se indossati dal compagno. Infondo perché no, già che c’era gli avrebbe acquistato anche quelli.

I suoi occhi scivolano sul proprio orologio da polso, constatando che non aveva tempo da perdere, a casa aveva anche del lavoro da svolgere. Riprese a camminare con passo spedito, concentrata nelle sue elucubrazioni.

Ciò che successe in quel preciso istante sembrò accadere alla velocità della luce, o quasi. Uno dei pilastri metallici che sostenevano il manifesto pubblicitario cedette all’improvviso, ricadendo in avanti. Dando il tempo a Bulma solo di rendersi conto di essere sotto la sua traiettoria. Non ci fu il tempo per pensare a cosa fare, né tantomeno di mettersi a correre allo scopo di salvarsi la pelle. Quando riuscì a concepire una simile riflessione, l’enorme affisso era già sopra la sua testa.

Poi tutto si bloccò all’improvviso, non accadde nulla. Bulma sollevò lo sguardo, scoprendosi a osservare i pantaloni, che pochi secondi prima le parevano solo una gigantografia, a un palmo dal suo naso. Si voltò lentamente, allo scopo di capire cosa le avesse appena salvato la vita. Ai suoi occhi si presentò uno sconosciuto, che sosteneva l’imponente locandina con una sola mano, essendo impegnato a sorreggere un sacchetto della spesa con l’altra.

“Sta bene?” Le sussurrò con voce gentile, avendo anche il tempo di mostrarle quello che pareva essere un sorriso, forse un po’ sforzato. La donna annuì, uscendo da sotto la minaccia di un paio di pantaloni giganti. “La ringrazio” Sussurrò appena, osservando l’uomo ancora intento a reggere la réclame.

Bulma compì un passo indietro, prima di roteare su se stessa e riprendere la strada che stava percorrendo, lasciando il suo improvvisato salvatore con uno sguardo un po’ stupito, mentre la osservava allontanarsi.

Certo, una persona normale, con una vita normale, con esperienze normali, si troverebbe seduto sul pavimento a causa dello spavento appena preso. Ma una persona che aveva vissuto le esperienze di Bulma Brief, nella vita, avrebbe semplicemente annoverato quel piccolo incidente come l’ennesimo senza conseguenze. Forse era stata la sua abitudine a sentire esplosioni di energie sferiche rimbombare per tutta la casa a non farle registrare il rumore assordante che aveva preceduto la caduta. Oppure era troppo avvezza a cose straordinarie fatte da persone altrettanto stupefacenti. Suo marito passava parecchio tempo in una stanza dalla gravità indescrivibile. Il figlio di otto anni poteva sollevare un mobile intero con un solo dito e il suo migliore amico era morto e risorto come se non fosse accaduto nulla, salvo sette anni d’assenza. Principalmente fu proprio questa sua attitudine a gestire rapporti con un tipo particolare di persone, o alieni, che non le permise di rendersi subito conto di quel particolare. Insomma, se alla nascita non possiedi una lunga coda di scimmia, o la pelle verde, o ancora non sei stato addestrato dal più pervertito dei maestri; come fai a sollevare un cartellone pubblicitario dieci volte più grande e pesante di te?

Quella consapevolezza, concepita un po’ in ritardo, fu il motivo per la quale Bulma si fermò all’improvviso, voltandosi alla ricerca del misterioso individuo che l’aveva tratta in salvo. Fu troppo tardi, tuttavia, la sola cosa che vide fu il manifesto diligentemente appoggiato sul muro più vicino, come se si trattasse di semplice cartone, anziché metallo. Di lui, invece, nessuna traccia.

*

Quando usciva dalla Gravity Room si sentiva sempre infinitamente più leggero. Era una sensazione alla quale non si sarebbe mai abituato abbastanza, ma che in fin dei conti lo faceva sentire grande. Come se potesse dominare l’intero universo e stringere le sue redini tra le dita.

Purtroppo, oltre ai suoi deliri di onnipotenza, anche la fame e la sete incombevano su di lui, ricordandogli senza possibilità di replica che, infondo, non era poi tanto diverso da un comune terrestre. La scelta più ovvia dunque, per placare il suo stomaco, era quella di dirigersi verso l’unica stanza della casa in grado di sopperire alla mancanza di cibo e di liquidi nel suo corpo.

Quando spalancò la porta, si ritrovò circondato da sacchetti dalle svariate dimensioni sparsi per tutta la cucina. Inoltre, un’inconfondibile chioma bionda spuntava da dietro un’imposta, evidentemente indaffarata a porre nei luoghi più consoni l’intero supermercato appena depredato di ogni cibaria immaginabile.

“Ciao nonna” la salutò cordiale, guardandosi attorno alla ricerca di un’altra figura che però non vide, “Dov’è la mamma?”. Il volto dell’allegra Signora Brief apparve da dietro l’anta, sorridente come sempre, osservando il nipotino che era appena sopraggiunto. “Ciao Trunks, la mamma è andata a comprare dei vestiti per tuo padre. Tra poco sarà a casa” Spiegò, suscitando un grugnito infastidito alle spalle del ragazzino, generato dalla persona che lo aveva appena seguito.

Trunks si voltò a osservare il volto del padre, certamente non troppo contento di aver appreso le intenzioni della compagna. Vegeta si limitò a incrociare le braccia fissando gli occhi altrove, cercando di evitare gli sguardi di suocera e figlio. Al contrario, il Saiyan più giovane, trattenne a stento una risata, fiondandosi in seguito verso il sacchetto più vicino, pescando da esso una qualsiasi cosa di commestibile. Senza pensarci due volte lo scartò con avidità, facendolo svanire tra le sue fauci quasi per intero.

“Vai a lavarti, Trunks” gli ordinò l’autoritario genitore, che aveva preso a fissarlo con quell’immancabile sguardo imbronciato. Il ragazzino sollevò il capo su di lui per appena un attimo, bofonchiando qualcosa a bocca piena che doveva presumibilmente essere una specie di assenso. Infatti, il bimbo dal particolare colore di capelli, non si fece ripetere l’ordine due volte, uscendo immediatamente dalla cucina e sparendo tra i corridoi della grande casa.

Vegeta, visto sparire il ragazzino e costatata la cieca obbedienza nei suoi riguardi, si premurò di abbeverarsi, essendo anch’egli affaticato dalla sessione d’allenamenti appena conclusa. Ignorò volutamente la presenza femminile nella stanza, preferendovi quella del frigorifero, che aprì afferrando la prima bevanda a sua disposizione.

La madre della compagna, nel frattempo, aveva cominciato a discorrere sulle solite frivolezze, che il Principe evitò accuratamente di ascoltare. Fu ben altro che attirò la sua attenzione. La prontezza di riflessi, indubbiamente, era una delle sue caratteristiche migliori, soprattutto se raffrontato ai terrestri. Lui era il Principe dei Saiyan, dopotutto. Per questo non gli fu per niente difficile notare quella sfera di ki, lanciata da chissà dove e diretta verso la finestra della propria cucina. Meno ancora, per un qualche imprecisato istinto, gli fu complicato frapporsi tra la suocera e quella sfera luminosa che stava attentando alla vita dell’inconsapevole donna.

Il raggio fu rimandato al mittente con estrema facilità, senza neanche abbandonare la bottiglia dalla quale stava bevendo e senza disperderne neppure una goccia. L’enorme squarcio nel muro, tuttavia, non bastò per identificare l’autore di quell’assalto, della quale si erano orami perse le tracce. Nemmeno la sua aura, che normalmente il Saiyan avrebbe percepito senza problemi, era presente nei paraggi. Il misterioso individuo aveva dunque colpito prima di svanire vigliaccamente dal luogo del misfatto.

Vegeta non era certo il tipo che lasciava correre certi affronti, soprattutto se il messaggio era chiaramente stato indirizzato alla sua persona. Nessuno sfida così il Principe guerriero sperando di restare impunito. In quel breve attimo, infatti, lui si era già precipitato all’esterno cercando di individuare una possibile traccia. L’unica cosa che vide fu uno strano messaggio scritto con caratteri alieni. “Se vuoi salvare tua moglie, vieni su Shikei. A patto che tu ci venga da solo”. Chiaro e conciso, fin troppo. Per un attimo, tuttavia, ebbe la sensazione di conoscere il nome di quel Pianeta.

*

CONTINUA…

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