26. Un nuovo Cacciatore
La morte di Maahes aveva scioccato tutti i presenti, costringendoli a interrompere gli scontri per rendersi conto di quanto era appena accaduto.
In quel silenzio improvviso e irreale, Havard avvertì l’anima del dio della guerra che lasciava il proprio corpo. Lo spirito non si lasciò catturare dal regno infernale di Nergal, né tantomeno da quello di Hel: il pallido lo sentì semplicemente svanire, ma non era in grado di stabilire se avesse raggiunto un regno infernale a lui sconosciuto, o se si fosse dissolto nel mana del pianeta. In entrambi i casi comunque questo non escludeva un possibile ritorno di Maahes in futuro, dato che un dio aveva sempre la possibilità di rinascere qualora ci fossero stati abbastanza fedeli a volerlo.
Una pioggia leggerissima cominciò a scendere dal cielo, seguita da un lampo improvviso. Il tuono fragoroso, forse perfino più forte di quelli di Susanoo, riscosse i presenti, che in un attimo dovettero decidere cosa fare.
Gli dei si diedero alla fuga, con l’unica eccezione di Enki: il dio del mare era il solo a non aver ingaggiato i suoi diretti avversari, e Sigurd avvertiva una profonda rassegnazione dentro di lui.
Huitzilopochtli provò a volare via, ma Ramses gli sbarrò la strada, così come il figlio di Tezcatlipoca impedì a suo padre di fuggire.
Nergal si ritrovò circondato da diversi cloni del Pilastro dell’Uguaglianza tutti armati di bacchetta, e per quanto provasse a catturare le loro anime o a colpirli con un piccolo sole, c’era sempre un’altra copia pronta a prenderne il posto.
Susanoo provò ad allontanarsi approfittando del cielo in tempesta, ma la sua fuga non passò inosservata a Leonidas. Il semiumano aveva preso una brutta botta quando era precipitato – abbastanza forte da lasciarlo temporaneamente immobile – ma una barriera di Persephone aveva impedito che venisse calpestato a morte dai giganti. Era ancora dolorante, ma non intendeva permettere al dio delle tempeste di abbandonare l’anfiteatro: anche lui doveva assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Evocò il proprio spirito guida e si lanciò all’inseguimento, lasciandosi colpire di proposito dai fulmini scatenati dal pianeta per recuperare le energie.
Horus era quello che più di tutti era rimasto turbato dalla morte di Maahes, per questo ci mise qualche secondo in più per reagire. E Tenko ne approfittò per colpire: riapparve dal nulla, piantò a terra un Nervo Tagliente e fece scattare l’altro. La spada magica stretta nella seconda frusta colpì il dio, riuscendo ad aprire un taglio superficiale in cui far fluire il veleno della soffiamorte.
«I tuoi sforzi sono inutili!» imprecò il dio del sole, ancora più alterato di prima. «Niente di ciò che fai può fermarmi!»
Scatenò un’ondata di energia e si trasformò in un grosso falco, a quel punto gli bastò sbattere le potenti ali per spiccare il volo e uscire dal raggio d’azione di Tenko.
La demone scoprì i denti. «Non fuggire, codardo! Torna qui e affrontami!»
Ma le sue parole si persero nella pioggia e nel vento sempre più forti. Come se non bastasse, nessuno stava inseguendo il dio falco: toccava a lei farlo. E per riuscirci doveva evocare il suo spirito guida.
Non poteva permettere a Horus di fuggire, in più non intendeva perdere anche contro Leonidas, non dopo tutta l’aiuto che aveva ricevuto da Zabar negli ultimi giorni.
I suoi sentimenti di rabbia, determinazione e orgoglio si mescolarono dentro di lei e divennero ancora più forti, riuscendo finalmente a uscire dal suo corpo sotto forma di energia fucsia. I flussi diafani si addensarono e acquisirono consistenza fisica, trasformandosi in una grande e minacciosa viverna.
La soffiamorte si piegò in avanti per farla salire, a quel punto a Tenko bastò un pensiero per farle spalancare le enormi ali scure e violacee. Ora poteva inseguire Horus, ma prima si gettò a capofitto verso il centro dell’arena.
«Tu vieni con me!» esclamò la demone.
Spartakan, che aveva appena ricevuto un’altra ascia da un clone del Pilastro, non ebbe nemmeno il tempo di capire da dove fosse arrivata la voce: degli enormi artigli lo afferrarono e un attimo dopo era già in cielo all’inseguimento di Horus.
Il dio li vide arrivare e scagliò un raggio di luce, ma Tenko estese i suoi poteri di spettro. Portare con sé la soffiamorte si rivelò estremamente naturale, e anche la presenza di un’altra persona non era più un grosso problema per lei.
«Tutto bene là sotto?» chiese dopo che furono riapparsi.
«No.»
«Ce la fai a ucciderlo?»
«Farò ciò che devo.»
La demone non aveva bisogno di sentire altro. A ogni battito d’ali la sua viverna guadagnava altri metri sul dio, e schivare i suoi attacchi le veniva assolutamente naturale. Ormai niente avrebbe potuto impedirle di raggiungere il suo obiettivo.
Nel cielo rimbombò un tuono. Horus si voltò e trovò la viverna a un battito d’ali di distanza. Non ebbe il tempo di reagire: la fiera lanciò Spartakan e il rosso menò il fendente. La lama centrò il dio in pieno petto, strappò le piume maculate e aprì uno squarcio nella carne, scagliandolo poi verso il basso. Il figlio dell’inferno lo vide precipitare senza controllo, e solo dopo alcuni lunghi secondi gli artigli della soffiamorte lo afferrarono nuovamente.
Tenko si lanciò in picchiata all’inseguimento, senza mai perdere di vista la sua preda. Horus si schiantò nell’ampia pianura che circondava Shakdàn, ma la demone non sarebbe stata soddisfatta finché non si accertava della morte del dio.
La soffiamorte atterrò a una decina di metri dalla divinità, a quel punto Tenko e Spartakan si avvicinarono cauti. La lama dell’ascia si era smussata leggermente, ma il colpo non era stato abbastanza forte da danneggiarla seriamente, né di conseguenza da uccidere Horus.
Come previsto il dio falco era ferito, ma non fatalmente. Il suo corpo aveva ripreso forma umanoide, ma questo non era servito a curare l’ampio e profondo taglio sul petto. Se ne stava seduto sulle gambe, l’espressione incrinata dal dolore, ma il suo sguardo era ancora lucido e fiero: non si sarebbe fatto travolgere dalla paura.
«E così avete fatto la vostra scelta» affermò Horus in tono grave. «Avete scelto di affidarvi alla bastarda di Demetra, al bastardo di Hel, ai Pilastri… Avete barattato la nostra guida in favore di nuovi dei più giovani. Ma alla fine non cambierà nulla.» Il suo becco si mosse in un sorriso amaro, e il suo sguardo si posò su Tenko. «Mi chiedo quanto ci vorrà prima che invochiate il nostro ritorno per salvarvi da questa nuova Utopia.»
La demone fece una smorfia di disgusto. «Uccidilo e basta» sibilò. «È quello che si merita per tutto il dolore che ha causato.»
«Avanti, Campione, fa’ ciò che devi» lo esortò Horus allargando le braccia. «Anzi: Cacciatore. Uccidi i pilastri che reggono quest’era, e lascia che il tempo torni a scorrere. Se sei tu a dare il colpo di grazia, non avrò nulla di cui vergognarmi.»
Spartakan serrò le mani sul manico della grande ascia.
“Tu hai la forza per uccidere un dio, mentre tutti gli altri possono solo sperare che qualcuno li salvi.”
Il figlio dell’inferno calò l’arma con tutta la sua forza. La lama aprì in due il corpo del dio, dalla testa fino a terra, uccidendolo senza causargli ulteriori sofferenze.
Di nuovo Tenko avvertì il peso di quella morte schiacciarle il petto, ma lo accolse con gioia: finalmente ci era riuscita. Finalmente il dio falco aveva pagato per i suoi crimini, e nessun altro avrebbe sofferto come era successo a lei. Voleva sorridere, invece cominciò a piangere sommessamente, travolta dagli eventi che l’avevano portata a quel momento. Aveva dato tutta sé stessa per riuscirci, e ancora le risultava difficile credere che era tutto vero.
Ma non era ancora giunto il momento di abbandonarsi ai ricordi.
Il terreno tremò di nuovo, questa volta in modo molto più violento di prima. Si udì un gorgoglio profondo e la terra cominciò a sollevarsi sotto i loro piedi. Si alzò a vista d’occhio e si spaccò con violenza, facendo cadere a terra la demone e l’orco. Le ampie placche eterogenee si alzavano e abbassavano, spostandosi e scontrandosi l’una con l’altra. Dalle profondità della terra cominciò a sollevarsi un fumo denso e puzzolente, così caldo da rendere impossibile avvicinarsi, a cui seguirono dei violenti spruzzi di lava.
«Dobbiamo andarcene!» esclamò la demone, che già sentiva la pelle scottare e faticava a respirare.
Evocò nuovamente il suo spirito guida; la soffiamorte li afferrò con gli artigli, spalancò le ali e cavalcò agilmente le calde correnti ascensionali, facendoli allontanare da quell’inferno di lava e fumo.
Volarono sopra Shakdàn, e con profonda preoccupazione scoprirono che anche lì la terra si era frantumata, creando una brillante rete di lava in rapida espansione. Nessun edificio poteva resistere a quel calore, né tantomeno le persone intrappolate in città.
«Dobbiamo aiutare gli abitanti!» esclamò Spartakan.
«No!» ribatté Tenko. «Dobbiamo uccidere gli dei! Dobbiamo farla finita!»
«Non li lascerò morire» ribadì l’orco. Con la sola forza delle braccia aprì i possenti artigli della soffiamorte e si lasciò cadere.
Tenko sbarrò gli occhi. Avvertì l’impulso di tornare a prenderlo e costringerlo a portare avanti la sua vendetta, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Doveva piuttosto andare a prendere le persone e portarle via? Con la sua soffiamorte non sarebbe stato impossibile, ma dove li avrebbe portati?
Quando si trattava di uccidere qualcuno aveva le idee chiare, salvarli invece…
C’era una sola cosa che poteva fare in quel momento. Condivise il suo pensiero con la soffiamorte, che sbatté le ali con forza, destreggiandosi tra fulmini e masse di fumo rovente per raggiungere il grande anfiteatro. L’edificio era ancora in piedi, ma le violente eruzioni avevano costretto tutti quanti a interrompere le ostilità.
La demone individuò quasi subito il figlio di Hel, che già stava dando disposizioni ai suoi alleati. Fece atterrare la soffiamorte a pochi metri da lui e poi si avvicinò a piedi.
«Havard!» chiamò. «Cosa devo fare?»
Il pallido lanciò un rapido sguardo alla minacciosa viverna velenosa. «Occupati di evacuare i civili. Stiamo ancora cercando un luogo sicuro, quindi segui gli altri.»
Tenko sapeva che non c’era tempo da perdere, ma doveva sapere: «E gli altri dei?»
«Ce ne occuperemo dopo: ucciderli subito causerebbe danni ancora maggiori. Ora dobbiamo salvare quante più persone possibile.»
La demone serrò i pugni. Non metteva in dubbio la bontà di quella scelta, e anche la sua sete di vendetta era momentaneamente appagata dalla morte di due divinità, eppure l’idea di assecondare il volere di Havard le suscitava una sensazione sgradevole. Non era davvero rivolta al pallido, quanto piuttosto a ciò che rappresentava, e per quanto odiasse ammetterlo, erano state le parole di Horus ad alimentarla.
Fece un mugugno d’assenso e tornò dalla soffiamorte.
La sua crociata per liberare il mondo dagli dei non era ancora finita, eppure stava già pensando al futuro, oltre la sua vendetta: come poteva impedire che i nuovi regnanti si trasformassero a loro volta in tiranni egoisti?
Note dell’autore
Ciao a tutti!
Dopo Maahes, ecco che anche Horus ha fatto una brutta fine. Ma non c’è tempo per festeggiare – non ancora almeno – perché l’energia sprigionata dalla morte delle due divinità ha scatenato una violenta reazione da parte del pianeta.
Gli altri dei si sono dati alla fuga, ma ormai il loro destino sembra segnato: i ribelli hanno vinto, e adesso toccherà a Havard, Pentesilea e gli altri rappresentanti governare il mondo. Ne saranno all’altezza?
Ultima nota: anche in questo capitolo sono riuscito a inserire alcuni riferimenti all’Utopia nei dialoghi di Horus, un periodo storico di Raémia che spero di riuscire ad approfondire in futuro perché è centrale per molti aspetti: il tempo accelerato, i Pilastri, l’Ascia di Parashurama, il Cacciatore… Ma ogni cosa a suo tempo, per ora voglio finire questo racconto e migliorare Eresia, oltre che proseguire con la riscrittura/ampliamento di I Gendarmi dei Re U.U
Grazie per aver letto e a presto ^.^