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Autore: Quebec    18/08/2024    0 recensioni
Cinque piccole avventure antologiche in un mondo fantasy, ma mai fantasy come i ragionamenti di quei due mentecatti.
Genere: Avventura, Demenziale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I

   
  Una mattina, mentre Erepao camminava lungo la riva di un laghetto popolato di pesci e famigliole di anatre e anatroccoli, Barbagos uscì da una fila di canneti con un sorriso sdentato.
   — Salve — disse con il naso arrossato. — Guarda cosa ho catturato.
   Erepao fissò la sua mano vuota. — Non vedo niente.
   — Guarda più attentamente.
   — La tua mano è vuota. Non c'è nulla.
   — Ti sbagli. Tu non vedi niente perché sei assuefatto dalla quotidianità, io vedo il mondo.
   Erepao si accigliò confuso. — Hai bevuto?
   — Solo il vino dalla sorgente della vita.
   Erepao scosse la testa e continuò la sua passeggiata.
   Barbagos gli andò dietro. — Guarda la mia mano. Guardala attentamente. Guarda la verità.
   — La tua verità si trova sul fondo di una bottiglia.
   — Esatto! La tua verità, invece, dove si trova?
   Erepao si fermò a riflettere.
   — Abbiamo tutti una verità, ma molti non sanno dove si trovi — disse Barbagos. — Alcuni la cercano per tutta la vita, altri ne sono intimoriti. Allora? Dov'è la tua verità?
   Erepao tornò a camminare.
   — Qual è la tua verità? — chiese Barbagos.
   — Non c'è nessuna verità.
   — La verità è conoscenza.
   — Dovresti smettere di ingozzarti di vino, Barbagos. Non ti fa bene.
   — E tu dovresti... dovresti.... smettere di... di... Hai del vino?



 

II

 

   Una sera, mentre Erepao si sciacquava il viso dopo una dura e afosa giornata di lavoro nei campi, Barbagos gli comparve davanti. — AAAAH!
   Erepao trasalì per lo spavento. — Mi hai fatto venire un colpo!
   — È un'ottima cosa — disse Barbagos con un sorriso sdentato. — Significa che non sei diventato apatico. Non ancora, almeno.
   — Ma che c'entra?
   — Quando si centra un punto, il punto diventa una virgola.
   Erepao scosse la testa e si diresse verso casa. — Da piccolo devi aver sbattuto la testa, sennò non si spiega.
   — Oggi hai lavorato per molte ore e per molte ore lavorerai in futuro — disse Barbagos. — Ti diverti mai?
   — Con lo stomaco vuoto no — rispose Erepao.
   — Ti riempi sempre lo stomaco, ma prima o poi lo stomaco finirà per scoppiare. Preferisci implodere o esplodere?
   Erepao aprì la porta della capanna di tronchi. Lo guardò. — Ma non la smetti mai di bere? — Gli sbatté la porta in faccia, che crollò a terra. Dall'interno si udì uno scoppio assordante.
   Barbagos si allontanò cullato dal frinire delle cicale. — Sei esploso o imploso?
   Una gallina si schiantò contro la sua schiena mentre starnazzava e sbatteva le ali, le piume che volavano tutt'attorno.



 

III

 

   Erepao e Barbagos sedevano a cassetta su un carretto sgangherato trainato da un massiccio toro tutto muscoli e corna. Proseguivano lungo una stradina sterrata fiancheggiata da una fitta boscaglia da cui giungeva uno strano vociare.
   — Dove hai preso quel toro? — chiese Erepao
   — L'ho sempre avuto — rispose Barbagos.
   — Non mentire. Non l'ho mai visto nella tua stalla.
   — Non si dovrebbe mai sbriciare nella stalla di un uomo.
   — E perché mai?
   — Perché puoi trovarci un toro.
   Erepao scosse la testa con un sorriso. — Non fare l'idiota. Quanto l'hai pagato?
   — Perché dovrei pagare per un toro robusto e in forze?
   — Come perché? Nessuno ti regalerà mai un toro come questo.
   — Ecco perché questo mondo gira al contrario. Se io ti regalo una pesca, tu mi regali una pesca. È semplice.
   — Ma cosa c'entra con il toro? Il toro vale molto di più di una pesca.
   — Solo perché l'ha deciso qualcuno, che a sua volta ha persuaso te del vero, che a tua volta vuoi persuadere me.
   Il toro si fermò. Un gruppo di soldati sbarrava loro la strada con archi e spade.
   — Scendete subito da lì! — gridò uno di loro.
   Erepao e Barbagos obbedirono.
   — Non uccideteci! — disse Erepao. — Il toro è suo, non mio. Qualunque cosa abbia fatto, io non c'entro niente. Se ha rubato il toro, io non c'entro niente. Non ho fatto niente!
   Due soldati saltarono a cassetta sul carretto. Uno di loro colpì il sedere del toro con il piatto della spada. Il toro sbuffò, ma non si mosse.
   Uno dei soldati appiedati lo afferrò per le corna e lo tirò verso di sé. Il toro sbuffò con più vigore. Non si mosse.
   Allora tutti i soldati appiedati lo afferrarono per le corna e lo tirarono con la forza.
   Il toro sbuffò, scalciò e si liberò dalle briglie. Caricò e incornò tutti i soldati a morte.
   — Li ha uccisi tutti! — disse Erepao sorpreso. — Com'è possibile?
   — Non ricordi? — rispose Barbagos. — Mai prendere un toro per le corna.
   — Ha ucciso dei soldati reali! Guarda i loro stemmi. C'è un pesce... No, è un... Cos'è un gatto? Una tigre? Forse è solo un pesce. Vabbè fa' lo stesso.
   — Ci hanno rapinato! — disse Barbagos.
   — Al re non importerà. Ci farà tagliare la testa!
   — La farà tagliare al toro, non a noi. Com'è il detto? Tagliare la testa al toro.
   — Ma la smetti con questi detti? — disse Erepao. — Ancora non mi hai detto come l'hai avuto e quanto l'hai pagato? Oppure l'hai rubato?
   — Ma ancora non l'hai capito? — rispose Barbagos. — Non sono io a possedere il toro, ma lui me.



 

IV

 

   In uno specchio d'acqua su cui si gettava una gelida e brillante cascata all'ombra di uno sperone roccioso, un'elfa dai lineamenti longilinei faceva il bagno con i seni e il sesso alla luce del sole. Erepao, che era solito fare il bagno a quell'ora, la guardava spazientito da un pezzo tra fila di alberi e arbusti.
   L'elfa si voltò e lanciò un gridolino di paura mentre si copriva i seni e le parti intime con le mani. Lo fissava incapace di parlare.
   — Hai finito? — chiese Erepao. — Questo posto è il mio bagno. Non puoi farti il bagno nel bagno di qualcuno.
   L'elfa continuava a guardarlo.
   — Allora? — disse Erepao. — Vuoi uscire dall'acqua? Devo farmi il bagno.
   L'elfa si diresse verso la riva senza distogliere lo sguardo.
   Erepao si tolse i pantaloni e le camicia sporchi di terra e si tuffò nell'acqua.
   L'elfa indossò in tutta fretta la veste di seta viola e si affrettò a sparire nel bosco finché inciampò su qualcosa e rovinò per terra.
   — Ahia! — rispose Barbagos con il viso assonnato. Guardò l'elfa che lo fissava sconvolta. — Chi sei? Perché mi hai dato un calcio?
   Il labbro dell'elfa fremette un po'. Non riusciva a parlare. Era troppo terrorizzata.
   — La tua gente dà calci alle persone mentre dormono? — chiese Barbagos. — Gli elfi sono così arroganti?
   — Noi non siamo arroganti! — rispose l'elfa tutta rossa in viso per la rabbia. Poi il viso le tornò pallido quando si rese conto di aver parlato.
   — Ehi, Barbagos! — gridò Erepao stizzito. Nutò verso la riva. — Anche tu sei qui? Quante volte devo dirtelo che non devi venire in questo posto?!
   Barbagos passò davanti all'elfa e si fermò sulla riva del laghetto con i piedi immersi nell'acqua. — E da quando è tuo? Da quando hai imparato a farti il bagno? Perché non te ne torni nella tua capanna e ti fai il bagno nel tuo pozzo? Vai a lavarti lì!
   — Tu puzzi come una capra e non ti fai mai il bagno — disse Erepao. — Cosa te ne fai di un posto come questo se nemmeno ti lavi?
   — Mi lavo con la pioggia io. E l'estate mi lavo con il sudore.
   Erepao scacciò l'aria con la mano e si immerse nel laghetto.
   Barbagos si voltò verso l'elfa. Era sparita. Guardò nuovamente verso il laghetto e si accigliò confuso.
   Dall'altra parte della riva, sulle scarpate, una dozzina di elfi e elfe lo tenevano sotto tiro con gli archi tesi. Appena Barbagos fece per parlare, la punta di una lancia gli sfiorò la schiena. Alzò le mani.
   Erepao emerse dall'acqua vicino alla riva. Due elfi lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono accanto a Barbagos.
   — Lasciatemi stare! — gridò Erepao. — Tornatevene nelle vostre foreste! Andate a baciare gli alberi, a parlare alle rocce o qualunque cosa fate!
   Un elfo e un'elfa li raggiunsero con passi leggeri e aggraziati. Li scrutarono da capo a piede, i visi fieri e solenni.
   — Avete visto ciò che non dovevate vedere — disse l'elfa.
   — Cioè? Cosa? — chiese Barbagos.
   I due elfi serrarono gli occhi, irati.
   — Forse intendeva i gioielli della corona — disse Erepao.
   — Quali gioielli? — rispose Barbagos perplesso. — Non ho visto nessuna corona di gioielli. Solo un'elfa che faceva il bagno nel mio bagno, dove tu poi hai fatto il bagno!
   — C'erano dei gioielli.
   — Dove?
   — L'elfa. Li aveva addosso.
   — Ma era nuda.
   — Appunto. Erano quelli i suoi gioielli.
   — Aaaaaaaaaah — disse Barbagos. Poi si guardò tra le gambe. — Quei gioielli, sì. Ma anche le donne umane hanno quei gioielli. Anche io ho i gioielli. E il tuo, poi, è il bella mostra. Che differenza c'è tra i gioielli elfici e quelli umani? Per me sono uguali.
   I due elfi sbuffarono impazientiti.
   — La vostra punizione sarà esemplare — disse l'elfa. — Verrette accecati.
   — Nessun umano può vedere un elfo o un'elfa come padre-madre albero li ha fatti — disse l'elfo.
   — Allora pure tu devi essere accecato — disse Erepao. — Hai visto i gioielli della mia corona. Anzi, tutta la tua gente l'ha vista e dev'essere accecata.
   — Hai ragione — disse Barbagos con un sorriso sdentato. Guardò i due elfi. — Se dobbiamo farlo, allora facciamola bene. Equità, giusto? I vostri dèi, gli alberi o come li chiamate voi, vi puniscono se non siete equi.
   I due elfi si lanciarono un'occhiata con aria interdetta. L'elfa alzò una mano, irritata. Una luce biancastra si espanse dalle sue dita, avvolse Erepao e Barbagos. I due crollarono giù come sassi da un dirupo.
   Quando ripresero i sensi, erano un po' frastornati. Gli elfi erano spariti.
   — Cosa è successo? — chiese Barbagos. — Perché sei nudo?
   Erepao si guardò. — E perché tu sei vestito?
   Barbagos ci rifletté un attimo. — Ho capito!
   Erepao indietreggiò lentamente finché cominciò a correre.
   Barbagos lo rincorse, gli sferrò calci nel sedere. — Vuoi farti il bagno! Ho capito! Ho capito tutto! Questo posto è mio! Vattene! Vai lavarti il culo sporco nel tuo pozzo!



 

V

 

   Erepao sgranocchiava una carota seduto sulla panca di legno fuori dalla casa. Era tutto sudato e puzzava più di un montone. Una colonna di soldati con armature scintillanti sbucarono dalla curva di una stradina sterrata, oltre il muretto a secco di pietra che cingeva il capanno di tronchi. Era l'avanguardia di un potente signore caduto in disgrazia.
   Erepao si alzò e si avvicinò al muretto con fare curioso. — Chi scortate?
   I soldati lo ignorarono.
   Un gruppo di sontuosi cavalieri seguiva alle spalle con al centro un uomo grassoccio. Portava abiti bordeaux riccamente ornati di vari fili dorati e un mantello blu che gli cadeva dalle spalle.
   — Sei il re? — domandò Erepao.
   L'uomo grassoccio fermò il cavallo e gli lanciò una moneta d'oro.
   Erepao gli diede un morso per capire se era vera. Lo era. — Ne hai un'altra? Magari cinque o dieci? O cinquanta?
   L'uomo grassoccio riprese a muoversi sullo stallone bianco con aria altezzosa.
   Barbagos seguiva alle sue spalle con abiti rattoppati in più punti e sporchi di fango. Si fermò davanti a Erapao. — Hai visto? Quello è un uomo ricco. Mi ha dato tante monete d'oro in fili d'oro.
   Erepao strabuzzò gli occhi. — Cosa? Monete d'oro in filo d'oro? Cosa vuoi dire? E cos'è questa puzza? Puzzi come un maiale!
   — Ora posso comprarmi tutto il vino che voglio. Posso bere da mattina a sera. Non quella roba annacquata che bevi tu.
   — Fammi vedere. Fammi vedere le monete.
   Barbagos aprì il sacchetto sporco da cui si levò un tanfo di sterco di cavallo.
   Erapao gli vomitò pezzetti di carotta sul petto.
   — Ehi! — urlò Barbagos.
   — Quello... quello è sterco di cavallo. Perché ci hai messo dentro della merda di cavallo?!
   — Non è merda. È oro. Non vedi questi filamenti dorati. È oro. Sono ricco. Ricchissimo.
   — Ma che stai dicendo? — disse Erepao scosso da conati di vomito. — Quella è merda. Quella roba dorata... Quella roba forse è fieno!
   — Tu sei solo invidioso! — rispose Barbagas con un sorriso trionfante e sdentato. Poi corse lungo la stradina sterrata in direzione dei cavalieri.
   — Dove stai andando? — gridò Erepao.
   — A raccogliere l'oro!
   — Ma quella è merda!

   
 
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