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Autore: Kimando714    21/08/2024    0 recensioni
La vita a quasi trent’anni è fatta di tante cose: eventi felici ed eventi che ti mandano in crisi, successi ed insuccessi, traguardi personali e lavorativi, vecchi legami che cambiano e nuovi che nascono … Giulia è convinta di saper navigare il mare di contraddizioni che la vita le sta per mettere di fronte, e così lei anche il gruppo storico di amici. Ma la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, e non sempre sei pronto a ciò che ti pone davanti. E forse, il bello dell’avventura, sta proprio in questo.
“Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera” - Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale
[Terza e conclusiva parte della trilogia “Walf of Life”]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 34 - ON THE GROUND



 
-Filippo che dice?-.
La domanda che le aveva appena posto Caterina sembrò quasi squarciare l’atmosfera tranquilla di quel sabato pomeriggio di poco oltre la metà di Ottobre. Non faceva ancora molto freddo, e così Giulia aveva preferito lasciare la finestra del salotto aperta, lasciando che una leggera brezza entrasse. Il cielo era sufficientemente limpido da far intravedere in lontananza la cupola di San Marco e la laguna veneziana.
Giulia lasciò che il proprio sguardo vagasse distrattamente per tutto il salotto, stranamente vuoto senza la presenza delle gemelle. Erano fuori con Filippo, per una passeggiata breve prima che scendesse la sera. Con lei e Caterina c’era solo Alberto, che però si era appena riaddormentato nella sua culla, trasportata accanto al divano in salotto per l’occasione, dopo che aveva deciso di aver fame proprio qualche minuto prima dell’arrivo di Caterina.
Era tutto così insolitamente immobile, e così si vide costretta a dover rispondere:
-La stessa cosa che ha detto quando ne abbiamo parlato mesi fa. Che devo decidere io-.
Giulia si mosse un po’ nell’angolo del divano che aveva occupato, all’altra estremità rispetto a Caterina. Erano circa due ore che si trovavano lì, a parlare del più e del meno – anche di Alessio e di Pietro, e del loro fantomatico litigio di cui Caterina le aveva riportato, raccontandole per sommi capi cos’era successo un paio di settimane prima-, fino a quando Caterina non le aveva finalmente posto quella domanda. Giulia non si sarebbe dovuta stupire: era stata una sua idea dirle di venire a casa sua per discuterne di nuovo, dopo mesi di riflessioni aggiuntive.
-Non che Filippo non abbia voce in capitolo, ma dipende soprattutto da me, diciamo così- aggiunse a mezza voce.
-Beh, è vero- replicò Caterina – Non è Filippo che dovrebbe contattarlo e poi magari anche incontrarlo, e parlargli … -.
Giulia annuì. Il solo immaginare di dover parlare ancora una volta con Lorenzo le metteva i brividi, e non certo in senso positivo.
-Tu l’hai più sentito da quel giorno?-.
Non specificò quale giorno intendesse: era sicura che Caterina avrebbe intuito subito ciò che alludeva. “Quel giorno” era la definizione che usavano sempre tra loro per fare riferimento al giorno in cui Lorenzo l’aveva quasi aggredita in casa sua, poco prima che Nicola rientrasse.
-No- Caterina scosse il capo, il viso rabbuiato – E lui non ha provato a contattarmi-.
“Tipico di Lorenzo”.
Non sarebbe dovuta essere sorpresa neanche di quello: Lorenzo non aveva contattato lei nemmeno per sapere se suo figlio era nato e stava bene. Perché mai avrebbe dovuto richiamare una sorella che probabilmente riteneva un’ingrata e traditrice?
Giulia sbuffò tra sé e sé:
-Ne sei sorpresa?-.
La risata a cui Caterina si lasciò andare era, però, meno sarcastica e molto più triste di quel che si sarebbe aspettata sul serio.
-Vorrei poterti dire di no, ma in realtà un po’ sì-.
Non doveva essere facile nemmeno per Caterina, rifletté Giulia. Era vero che i rapporti tra lei e Lorenzo fossero sempre stati insoliti, a volte addirittura tesi, ma immaginava non dovesse comunque pensarci con leggerezza. Aveva pur sempre perso suo fratello, pur sapendolo vivo da qualche parte, e nella maniera peggiore possibile.
-Non so cosa gli stia passando per la testa- proseguì Caterina, torturando il bordo della sua felpa con le dita – Non lo sanno neanche i nostri genitori-.
Giulia non aveva idea di cosa sapessero davvero i loro genitori: non aveva ancora trovato il coraggio per chiederlo a Caterina. Di certo sapevano solo che Alberto era il figlio naturale di Lorenzo, ma che Lorenzo non aveva voluto saperne nulla della paternità. Dubitava sapessero di tutto il resto, come dubitava gli rivolgessero ancora la parola così spesso come prima.
Caterina aveva evidentemente ceduto alla tensione che, inevitabile come ogni volta, sopraffaceva entrambe quando finivano per parlare di suo fratello. Giulia la osservò vagare senza meta per il salotto, fino a quando non incrociò sul suo cammino la culla di Alberto. La vide fermarsi, lo sguardo rivolto in basso verso il neonato. Non poteva vederla in viso, visto che era girata di spalle, ma aveva l’impressione che Caterina stesse sorridendo tra sé e sé.
-Alberto ti assomiglia sempre di più-.
Dopo quelle parole tornò indietro verso il divano, l’espressione pensierosa, un po’ come se sapesse che Giulia aveva capito che la parte implicita di ciò che aveva appena detto era “e sempre meno a Lorenzo”.
E per quanto fosse lui la persona che l’aveva ferita, in un modo atroce e a tratti violento, Giulia non era del tutto convinta di voler cancellare completamente la presenza di Lorenzo dalla vita di Alberto. Avrebbe comunque fatto parte dell’identità di suo figlio, in un modo o nell’altro: cercare di rimuoverlo non sarebbe mai servito a nulla.
-Sì, ma ci vedo comunque qualcosa anche di Lorenzo- si lasciò sfuggire a mezza voce.
Caterina sospirò a fondo, mentre si risedeva al posto di prima, le braccia incrociate contro il petto:
-Immagino sia inevitabile-.
Giulia annuì, distratta.
-Secondo te gli passa mai per la testa di telefonarti e chiederti di vederlo?- Caterina glielo chiese con tono vago – Può aver intuito che è nato. È passato quasi un anno da quando avevi scoperto di essere incinta-.
-Non lo so- rispose Giulia, sinceramente – Magari vorrebbe anche vederlo, ma il fatto che per poterlo fare dovrebbe contattare me probabilmente è già un freno bello grande-.
Un po’ le fece ridere immaginare che fosse Lorenzo ad aver paura di dover telefonare a lei, per i sensi di colpa che poteva provare nei suoi confronti. Era piuttosto sicura che non fosse così, ma quell’ipotesi la feriva comunque meno di sapere che non si era mai fatto vivo unicamente per puro disinteresse.
-Io non sono ancora pronta a rivederlo, ma credo che anche Lorenzo non sarebbe pronto a rivedere me- mormorò, evitando però di dire che i motivi erano, probabilmente, molto diversi tra loro – Ti immagini quanto sarebbe difficile rivederci dopo che l’ultima volta che ci siamo incontrati voleva costringermi ad abortire contro la mia volontà?-.
-Già. Magari vi rivedreste pure nello stesso posto in cui te l’ha detto-.
Il solo immaginarsi varcare ancora una volta la soglia della casa di Lorenzo a Padova le fece venire i brividi.
-Infatti se me lo proponesse non credo proprio me la sentirei- alzò le spalle – Meglio un bar affollato-.
Caterina le lanciò un’occhiata astuta:
-Così eviterebbe di fare scenate, forse-.
-O qualcuno chiamerebbe la polizia se ne facesse-.
Scoppiarono a ridere entrambe, il primo vero momento in cui erano riuscite a stemperare l’angoscia di quella conversazione. Ci vollero un paio di minuti prima che riprendessero fiato, e che Giulia ricominciasse a parlare:
-A parte gli scherzi, forse non sono ancora abbastanza serena per poter affrontare la cosa- si schiarì la voce, un po’ per prendere tempo – Credevo di esserlo un po’ di più, ora che Alberto ha quasi tre mesi e sta bene-.
“E invece ho ancora paura”.
Sapeva che avrebbe dovuto essere coraggiosa per suo figlio. Che avrebbe dovuto fare uno sforzo, e che un giorno avrebbe dovuto raccontargli tutto e spiegargli anche quel lato della vicenda … Ma non ce la stava facendo. Nemmeno il pensiero di avere Filippo accanto a sé ad aiutarla, e anche Caterina, non la rendeva sufficientemente forte da prendere il telefono in mano e comporre il numero di Lorenzo.
-Non hai una deadline da rispettare. È stato Lorenzo a lavarsene le mani dall’inizio, non sei stata tu a dirgli di starti lontano a priori- disse Caterina, con fervore – Se avesse interesse verso suo figlio magari avrebbe fatto un tentativo. Magari avrebbe potuto provare a contattare me. Ma non l’ha fatto-.
Già, non l’aveva fatto.
E se non l’avrebbe mai fatto, Giulia non riusciva nemmeno ad immaginare il dolore che quella consapevolezza avrebbe portato ad Alberto in futuro, quando sarebbe stato sufficientemente grande per capire.
-È tutto così complicato-.
E lo era davvero. Giulia si passò le mani sul viso, in un moto di disperazione.
L’ultimo anno era stato un sali e scendi di emozioni così contrastanti tra loro che doveva ancora riprendersi del tutto – e, se doveva guardare alla conversazione che stava avendo con Caterina, forse non si sarebbe nemmeno mai ripresa del tutto fino a quando non avrebbe trovato una soluzione riguardo Lorenzo.
-Credo che dovresti smettere di pensare a mio fratello-.
Caterina parlò dopo alcuni minuti di silenzio, e quando Giulia si girò verso di lei la trovò a fissarla con sguardo serie e determinato.
-Lo so che non è semplice, ma è il padre di Alberto solo per modo di dire- proseguì ancora – Non c’è mai stato né per te né per lui. Non gli devi niente-.
“Ha ragione”.
Giulia rimase in silenzio, riflessiva.
“Non gli devo davvero niente”.
-Magari ci ripenserò più avanti-.
Aveva sperato che un paio di mesi sarebbero bastati per trovare più risposte, ma era evidente che si era sbagliata.
-Anche tra un decennio-.
Giulia guardò l’altra con un sopracciglio alzato:
-Non così tanto avanti-.
Sapeva che Caterina avrebbe preferito che lasciasse perdere del tutto a prescindere, ma non riusciva a non voler dare almeno una chance a Lorenzo. Sapeva come aveva reagito un anno prima, ma in un anno potevano cambiare molte cose.
-Forse sarò un’illusa, ma vorrei fare almeno un tentativo prima di perdere del tutto le speranze-.
Caterina sospirò:
-Tu sei troppo buona-.
E anche su questo, probabilmente, Caterina aveva dannatamente ragione.
-Probabile-.
 
*
 
Tell me, am I ever gonna feel again?
Tell me, am I ever gonna heal again?
Got a shot glass full of tears
Drink, drink, drink, say, "Cheers"
I got all these diamonds runnin' down my face
And I ain't lettin' any of 'em go to waste
Got a shot glass full of tears
Drink, drink, drink, say, "Cheers" [1]
 
Era da poco passata la mezzanotte quando iniziò a piovere. Alessio si tenne stretto tra le coperte calde, ascoltando le gocce battere contro il vetro della finestra. 
Era buio nella sua stanza: aveva spento la lampadina sul comodino già da una ventina di minuti, come a sperare che l’assenza di luce potesse in qualche modo conciliare il sonno. Sapeva già allora che quella era una speranza vana: alla fin fine luce o meno non faceva grande differenza. Non avrebbe dormito in ogni caso, non fino a quando la stanchezza non avrebbe avuto la meglio sulla sua mente.
Quando il primo tuono aveva squarciato il cielo si era voltato verso i numeri luminescenti della sveglia, più in un gesto istintivo che non per reale curiosità. Aveva dovuto sbattere le ciglia un paio di volte prima che le lacrime scendessero e smettessero di offuscargli la vista, almeno per un paio di secondi.
Non era nulla di nuovo piangere silenziosamente, nel cuore della notte, nel silenzio intimo della sua stanza. Negli ultimi mesi ci si era abituato, anche se la sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco continuava ancora a fare male.
Ciò a cui non era abituato erano, invece, i rumori sospetti provenienti dalla stanza accanto, quella dove dormivano Christian e Federica. Se fosse stata una qualsiasi altra ora del giorno non se ne sarebbe stupito, visto la baraonda che riuscivano a creare ogni secondo da svegli, ma era mezzanotte passata e fino a prova contraria a quell’ora avrebbero dovuto dormire. 
Alessio se ne stette immobile per qualche secondo, le orecchie tese, già pronto ad alzarsi dal letto qualora i cigolii dei letti non si fossero fermati. Ma non dovette nemmeno scostare le coperte, perché avvertì chiaramente la porta, lasciata sempre socchiusa, di Christian e Federica cigolare appena. Segno inequivocabile che l’avevano aperta – o che Alice si era alzata prima di lui ed era andata a vedere cosa stava accadendo. 
Ogni risposta ai suoi dubbi arrivò poco dopo, nemmeno un minuto, quando udì i passi leggeri e disordinati tipici dei bambini piccoli.
-Papà?-.
Alessio accese subito la lampada sul comodino. L’alone di luce che rischiarò nell’immediato la stanza lasciò intravedere il viso di Christian, i capelli biondi scarmigliati a incorniciargli il viso, che spuntava dalla porta insieme a quello di Federica, poco dietro di lui. 
-Ehi- Alessio si passò una mano sul viso così velocemente che sperò non ci facessero caso – Cosa succede?-.
Si alzò dal letto, proprio mentre i suoi figli entrarono nella stanza. 
Christian sembrava pallido, un po’ troppo per i gusti di Alessio. 
-Brutto sogno- borbottò a bassa voce, gli occhi tristi tipici di un bambino svegliatosi nel cuore della notte in seguito ad un incubo.
Teneva la mano di Federica tra le dita della sua, portandosi dietro sua sorella come se fosse una presenza rassicurante.
-E tu, piccola?- Alessio si chinò alla loro altezza, osservando ora sua figlia – Anche tu hai avuto un incubo?-.
-No- Federica scosse la testa. Sembrava effettivamente calma rispetto a Christian, solo assonnata. Probabilmente si era svegliata alle proteste del fratello, che se l’era poi portata con sé fino a lì. Non era la prima volta che capitava, e chissà quante altre ne sarebbero seguite.
Alessio sospirò profondamente, indeciso sul da farsi.
“Tanto probabilmente non avrei dormito molto presto in ogni caso”.
-Volete stare qui con me stanotte?- chiese loro, ben consapevole che la risposta sarebbe stata una sola.
-Sì! Papà, per favore- chiese Christian, con gli occhi ludici come se fosse sul punto di mettersi a piangere – probabilmente in un modo per convincerlo ancora di più.
Alessio annuì, cedendo subito. In fin dei conti capitava raramente che uno di loro o entrambi non volessero dormire nel loro letto – da quel punto di vista lui ed Alice potevano dirsi decisamente fortunati-, e una notte sarebbero potuta andare come eccezione.
E forse, con la loro presenza, anche lui avrebbe potuto avere un motivo di distrazione.
Li aiutò a salire sul letto, Federica su un lato e Christian dall’altro, Alessio in mezzo a loro in modo da poterli tenere entrambi vicino a sé facilmente. 
-Volete che vi racconti una storia?-. 
Il borbottio assonnato di Federica e quello ancora un po’ spaventato di Christian decretò che, nella prossima mezz’ora, avrebbe dovuto impegnarsi nel racconto di storie fantastiche, di principi e principesse che dopo mille disavventure potevano passare la loro vita insieme e felici.
Nulla di più distante dalla sua vita.
 


Alla fine erano stati Christian e Federica a chiedergli di raccontare loro la storia de L’incantesimo del lago. Alessio non ne era rimasto molto sorpreso, visto quanto in fissa erano con quel cartone animato negli ultimi giorni. Si era rassegnato al fatto che, piuttosto che andare di fantasia, avrebbe dovuto cercare di ricordare una storia già esistente. 
I bambini sembravano ancora troppo coinvolti per prendere realmente sonno, ed Alessio, a distanza di un quarto d’ora abbondante da quando se li era ritrovati entrambi sulla soglia della sua stanza, si chiese quanto quella notte sarebbe stata ancora lunga.
-E così Odette è costretta a trasformarsi in cigno ogni giorno, fino allo spuntar della luna- disse a mezza voce, continuando a raccontare, inventando certi passaggi che non ricordava bene. Nessuno tra Christian e Federica sembrava essersene accorto, o se l’avevano fatto avevano preferito non correggerlo, godendosi invece la storia. Li vedeva attenti alle sue parole, mentre con una mano accarezzava i capelli biondi di Federica, e con l’altra le spalle di Christian, che ora si era calmato sebbene non avesse ancora ripreso sonno. 
-E poi torna normale- aggiunse Christian a bassa voce, alzando gli occhi vispi sul viso di Alessio.
-E canta- stavolta era stata Federica a parlare. 
-Esatto- Alessio li guardò sorridendo, il primo vero sorriso sincero che riusciva a rivolgere a qualcuno da diverso tempo. In un certo senso era grato del fatto di poter avere i suoi figli lì con lui, poter dedicare loro quei momenti che gli ridavano un po’ di quella leggerezza che in qualsiasi altro frangente non riusciva a vivere.
Ricordava il tempo in cui era convinto di non volere – e non potere- avere figli. Ne ricordava tutte le motivazioni, le sue paure e tutto ciò che ne conseguiva, ma in quel momento si sentì davvero contento di essersi sbagliato sulla maggior parte di queste. 
Christian aggrottò la fronte, come faceva sempre prima di porre una domanda:
-È triste quando canta con Derek, vero?-.
-Sì, lo sono tutti e due- Alessio annuì – Perché vorrebbero essere insieme, ma non possono farlo perché sono ancora distanti l’uno dall’altra-.
“Così dannatamente reale”.
Aveva dovuto parlare con parole semplici, per far capire anche ai bambini cosa intendeva, ma il significato non cambiava neppure usando termini facili da comprendere. Si rese conto che si stava incupendo un secondo troppo tardi, quando il silenzio si era ormai prolungato, ed entrambi i suoi figli lo stavano guardando come se avessero capito ben di più di quel che Alessio avrebbe potuto immaginare per dei bambini della loro età.
-Sei triste anche tu?-.
La voce di Christian non era agitata, ma Alessio vi lesse una certa inquietudine. 
-Prima piangevi. Anche io ho pianto prima, quando ho fatto quel brutto sogno- Christian continuò a parlare – Ne hai fatto uno anche tu, papà?-.
“Magari fosse solo un incubo da cui potermi risvegliare”.
-Non proprio- si sforzò a parlare, sperando non si accorgessero della voce venuta fuori a fatica a causa del groppo in gola – Capita anche agli adulti di essere tristi, ma per tante altre cose che non sono brutti sogni-.
-Tipo?-.
“Tipo rendersi conto troppo tardi di quanto male hai fatto alle persone che ami, e non sapere come fare per sistemare le cose”.
Alessio sospirò, cercando di trattenere altre lacrime che minacciavano di uscire:
-Tipo quando vorresti parlare con una persona a cui vuoi bene, ma non puoi farlo-.
Non era sicuro che Christian o Federica potessero ricollegare quelle sue parole a Pietro. Era sicuro che avessero notato la sua assenza, se le loro domande che gli avevano rivolto negli ultimi mesi su quando avrebbero rivisto lo zio Pietro potevano essere considerate un indizio.  Alessio era certo che mancasse anche a loro: era una presenza fissa nelle loro vite da quando erano nati, forse la persona a cui erano più affezionati dopo lui stesso ed Alice. Non era difficile pensare che anche loro stessero soffrendo per la sua assenza così prolungata. Ed era piuttosto certo che anche Pietro ne stesse soffrendo allo stesso modo.
Alessio avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro: era riuscito a rendere infelici indirettamente persino i suoi figli, rovinando tutto con Pietro. Un altro motivo in più per odiarsi. 
-Come Derek e Odette?- chiese ancora Christian, riportandolo alla realtà della sua stanza, con loro tre stesi a letto, a raccontare favole che potevano sì rispecchiare alcuni aspetti della vita vera, ma che di certo erano troppo semplicistiche nei loro finali felici.
“Io troverò la strada e poi da te arriverò. Lo sento nel mio cuore che ti ritroverò”.
Ad Alessio venne quasi da ridere nel ricordare quel passaggio di una delle canzoni del cartone animato. Avrebbe voluto che fosse così facile anche per lui, poter ritrovare Pietro e poter vivere con lui il resto della vita insieme e felici.
-Sì, proprio come loro-.
-Mangia una caramella, papà- Federica gli tirò un angolo del pigiama per richiamare la sua attenzione – Cosí poi non sei piú triste-.
Alessio le sorrise dolcemente:
-Va bene così, tesoro- e si sforzò di sorridere ad entrambi, anche solo per tranquillizzarli – Adesso con voi non sono più triste, vedete?-.
Forse non ne erano pienamente convinti, ma annuirono entrambi. E ad Alessio bastò quello per convincersi a continuare a raccontare, un modo come un altro per dimenticare almeno temporaneamente le lacrime che continuavano a rischiare di scendere a rigargli il viso.
 
Nudo con i brividi
A volte non so esprimermi
E ti vorrei amare, ma sbaglio sempre
E ti vorrei rubare un cielo di perle [2]
 
*
 
“You think you've got everybody fooled, don't you? Well, not me, honey. I’ve known you too long and regrettably too well. And no matter how hard you try to deny it, I can tell you care as much about him as he cares about you, only you haven’t got the big hairy cojones to say it […] 
Whatever it takes ... To admit that you love him. And I know that you do, despite all your efforts to never let another heart touch yours. And that’s assuming, of course, you have one. That little persistent kid has somehow gotten in under the wire. And that’s what’s happened, huh? Now admit the truth. You love him, don’t you?” *
 

Aveva appena fatto in tempo a togliersi il cappotto e le scarpe, pochi minuti dopo essere rientrato in casa, prima di avvertire i passi dei suoi figli correre dal salotto all’entrata. Alessio non provò nemmeno ad allontanarsi dal punto in cui si trovava, rassegnato al fatto che avrebbe fatto meglio ad aspettarli lì, come praticamente ogni sera quando rientrava a casa dopo il lavoro. 
Erano le sette, fuori faceva già freddo come se l’inverno fosse arrivato in anticipo e si trovassero a Dicembre anziché a fine Ottobre, e le uniche cose che agognava dopo una giornata stancante e con ore ed ore di sonno arretrato erano una doccia calda ed un letto su cui stendersi. Non aveva nemmeno fame, quindi pure la cena non gli sembrava qualcosa di così essenziale, in quel momento. Ma per quanta fretta potesse avere di togliersi la camicia e la cravatta di dosso, e rintanarsi nel suo solito angolo per restare in pace con i suoi pensieri, si costrinse a rimanere fermo lì in attesa che Christian e Federica potessero salutarlo quanto volevano. 
In pochi secondi li vide sbucare fuori dall’angolo, e il senso di sollievo nel vederli arrivare fece sfumare anche il senso di dovere nel ricordare loro che non avrebbero dovuto correre, con il rischio di inciampare e farsi veramente male.
-Ma chi si rivede- li accolse sorridendo, chinandosi alla loro altezza per poterli abbracciare con più facilità. Con la coda dell’occhio vide che anche Alice si era avvicinata, forse di passaggio dal salotto alla cucina, forse giunta lì rincorrendoli per controllare che quella loro breve corsa non avesse esito negativo.
-Papà, vuoi un bacino?- gli chiese Federica, con una pronuncia ancora un po’ stentata, ma perfettamente intendibile. Quella sera aveva i capelli biondi raccolti in due codini, e ad Alessio parve quasi di rivedere sua sorella Irene quando aveva l’età di sua figlia, quando anche a lei venivano acconciate le ciocche bionde in quello stesso modo. 
-Va bene, amore. Non hai bisogno di chiedermelo- le disse dolcemente, lasciando che Federica gli baciasse velocemente una guancia, in maniera un po’ disordinata, ma sicuramente piena di affetto. Ed Alessio aveva bisogno di ogni briciolo di quell’affetto, in quei mesi più che mai.
-Papà era triste ieri sera- Christian gli si era accoccolato addosso, ma stava guardando Alice in quel momento, che ancora non aveva detto nulla, solo accennato un saluto con il capo nella direzione di Alessio. Potevano sembrare parole casuali quelle appena pronunciate da suo figlio, ma Alessio intuì subito che non sarebbero mai passate inosservate, non da Alice.
Si era avvicinata, spostando lo sguardo dai loro figli a lui:
-Quindi lo state consolando?-.
-Sì- Federica fu la prima a rispondere.
-Dagli un bacino anche tu, mamma- la incitò Christian. 
Alice sembrò incerta per qualche secondo, prima di decidere di avvicinarsi ulteriormente e chinarsi quel che le bastava per lasciare un veloce bacio sui capelli di Alessio. Era un gesto che fino a pochi mesi dopo la nascita di Federica sarebbe stato troppo imbarazzante da compiere, ma ora sembrava solo un gesto d’affetto tra due persone che si volevano bene come due fratelli. 
-Ecco fatto, adesso papà sta sicuramente meglio- disse a Christian e a Federica, scostandosi una ciocca di capelli rossi che nei movimenti appena compiuti le era finita davanti agli occhi – Non preoccupatevi-.
L’occhiata che gli lanciò Alice prima di allontanarsi e sparire in cucina, però, fece presupporre ad Alessio che quella conversazione sarebbe sicuramente continuata in un secondo momento. E sapeva già che non avrebbe potuto fare nulla per evitarla. 


 
-Cos’è successo ieri sera?-.
Alice ci aveva messo un po’ ad arrivare al punto – Alessio era riuscito a farsi una doccia in fretta e a cenare senza il pericolo di sentirsi porre quella domanda, ma con l’ansia che accompagnava proprio quell’attesa-, ma alla fine nondimeno ci era arrivata. 
Era evidente avesse aspettato il momento più adatto per porgliela: avevano finito di cenare da un paio d’ore, ed i bambini erano già crollati dal sonno, addormentati nella loro camera. Alessio dubitava li avrebbero interrotti, a meno che non ci fosse una replica della sera prima, con qualche altro incubo a risvegliarli all’improvviso. Lui ed Alice erano ancora in cucina, davanti al lavandino intenti a lavare i piatti della serata – lei che li passava sotto l’acqua con spugna e detersivo, lui che li risciacquava e li asciugava con un panno pulito. Era insolito che svolgessero quel compito insieme: di solito si davano il cambio ogni sera, e anche se stavolta sarebbe toccato ad Alice, Alessio aveva deciso di rimanere comunque. Non aveva avuto voglia di tornare subito nella sua stanza, come se in realtà, a dispetto dell’ansia, inconsciamente si fosse aggrappato alla speranza che Alice gli avrebbe davvero chiesto della sera prima. E non solo di quella. 
Era una sensazione strana, l’agitazione del non voler parlare e il sollievo di avere comunque una chance per poterlo fare. Ancora doveva capire quale delle due avrebbe prevalso.
-Niente di che- le rispose, tenendo gli occhi bassi sul piatto che stava asciugando – Christian ha avuto un incubo e si è svegliato, e si è portato dietro Federica da me. Si sono addormentati dopo un’oretta-.
Alice non sembrò impressionata:
-Ok, niente di insolito-.
Ci furono alcuni secondi di silenzio prima che si voltasse verso di lui, Alessio che colse il movimento con la coda dell’occhio.
-What about you?-.
-Io?- le chiese, più per prendere tempo che per reale confusione.
-Hanno detto che eri triste-.
Alessio alzò le spalle:
-Non ero al massimo dell’umore-.
Per un attimo pensò di non aggiungere altro, ma sapeva che in un qualche modo Alice avrebbe scoperto anche il resto: di sicuro i bambini glielo avrebbero detto, e a quel punto, in fondo, era meglio che lo sapesse direttamente da lui.
-Avevo pianto poco prima che arrivassero-.
Lo disse con un filo di voce, non per l’imbarazzo di quel gesto, ma per tutto ciò che sottintendeva. 
-E l’hanno capito-.
Alessio si strinse nelle spalle, vagamente a disagio.
-Evidentemente-.
Per altri lunghi minuti Alice tacque di nuovo. Sembrava immersa in elucubrazioni e pensieri che Alessio non riusciva nemmeno a sospettare – o forse non lo faceva per l’agitazione che ne sarebbe derivata. Sapeva solo che quel silenzio lo stava mettendo sulle spine molto più delle domande veloci e mirate che lei gli aveva rivolto poco prima. Ancora una volta, però, non trovò il coraggio di aprirsi: avrebbe avuto così tante cose da dire, così tante domande e riflessioni da lasciar esternare, ma la paura di risultare vulnerabile lo bloccó ancora una volta. 
Fu quando Alice arrivò alle ultime posate rimaste da pulire che, finalmente, iniziò a parlare:
-Non credo sia dovuto solo a ieri sera- gli disse, con voce calma rispetto al peso delle stesse parole – Lo vedono che stai male. Saranno anche piccoli, ma non sono stupidi-. 
“Lo so” avrebbe voluto dirle Alessio, ma non lo fece. Si limitò a ricambiare lo sguardo grave che Alice gli stava rivolgendo, come se potesse bastare anche solo quello scambio di occhiate per comunicarle quel che aveva pensato.
E Alice aveva ragione: aveva avuto il sospetto per tutti quegli ultimi mesi che Christian e Federica percepissero molto di più di quanto si sarebbe immaginato, ma la notte prima ne aveva avuto la conferma definitiva. Loro sapevano. Di certo non sapevano quel che aveva fatto in quei mesi, o cosa gli passasse specificatamente per la testa, ma sapevano che qualsiasi cosa fosse stava soffrendo. 
Quella mattina, nel ripensarci, gli erano tornate in mente le parole di Caterina riguardo il suo percorso di terapia, a come l’aveva aiutata. Anche lei si era ritrovata a toccare il fondo, ma poi era risalita. Forse lentamente, magari con qualche imprevisto durante la risalita, ma ce l’aveva fatta. 
Ed era sicuro che, oltre a lei, il suo benessere avesse fatto bene di riflesso anche a Nicola e a Francesco. Era probabile che anche nel suo caso, se le cose fossero andate meglio, anche Christian e Federica avrebbero avuto una vita migliore.
E per loro voleva davvero una vita migliore, più di quanto non l’avesse avuta lui stesso nei primi vent’anni della sua vita, ma non era così sicuro di potergliela assicurare senza passare per la sua stessa salute mentale. 
Gli era difficile anche solo immaginare cosa avrebbe voluto dire provare a risalire dopo aver toccato il fondo come aveva fatto lui.
-Capiscono quando c’è qualcosa che non va- parlò ancora Alice – Magari non sanno esattamente cosa, ma sentono che stai male-.
-Lo so- Alessio si ritrovò ad abbassare nuovamente gli occhi, lo sguardo che gli cadde sul polso destro, dove erano incise con l’inchiostro le iniziali dei suoi figli – Vorrei cercare di stare meglio anche solo per loro, se proprio non per me-.
-Perché non per te?-.
Alessio rimase in silenzio.
“Lo sai già”, si ritrovò a pensare, “Lo hai detto tu stessa perché”.
Alice sospirò a fondo, il peso del suo sguardo che Alessio si sentiva ancora addosso. Era probabile che avesse intuito cosa lo stesse spingendo a tacere, forse perché in quel momento gli sembrava di essere molto più leggibile del solito.
-Lo so che ti ho detto che hai sbagliato molte cose e molte volte, ma non è che per questo desidero vederti soffrire-. 
Alice chiuse il lavandino, lasciando la forchetta che stava passando con la spugna, e voltandosi completamente verso di lui.
-Non dovresti volerlo neanche tu-.
Alessio non ne era così sicuro.
-Forse un po’ me lo merito-.
-Perché non provare a sistemare le cose, allora?- Alice non sembrava per niente scoraggiata da quelle sue parole – Secondo me puoi ancora farlo-.
La invidiava per la sua continua volontà di spronarlo ancora, nonostante tutto. Lo aveva messo di fronte al suo egoismo e al suo rifiuto delle responsabilità, ma anche in quel momento non smetteva di incoraggiarlo. 
Ad Alessio venne quasi da piangere, ma anziché indulgere in quello lasciò andare parole che si era tenuto dentro troppo a lungo:
-Ho visto Pietro a inizio mese-. 
 
This time, this place
Misused, mistakes
Too long, too late
Who was I to make you wait?
Just one chance, just one breath
Just in case there's just one left
 
Lo shock sul viso di Alice fu evidente da subito, gli occhi verdi sgranati come se le avesse dato la notizia del secolo.
-What?-.
Alessio annuì, tenendo il viso ancora basso, gli occhi fissi sul coltello che stava asciugando. Lo ripose nella credenza insieme alle altre posate, abbandonando poi lo strofinaccio sul ripiano della cucina; e ora che non aveva più alcuna scusa per prendere tempo ed evitare lo sguardo ancora sorpreso di Alice, si costrinse a voltarsi verso di lei in una posizione speculare. 
Aveva pensato tante volte, in quelle ultime settimane, di raccontare ad Alice come aveva fatto con Caterina del suo ultimo incontro con Pietro. Con Caterina non aveva potuto andare troppo in profondità, e probabilmente non lo avrebbe comunque fatto, ma Alice sapeva molte più cose, e tante altre le aveva intuite. Si era immaginato il momento di riportarle l’incontro di quella notte tantissime volte, tutte in maniera differente, ma sempre tremendamente diverse dalla realtà. Non aveva prospettato di farglielo sapere proprio in quel momento, mentre finivano di lavare i piatti, dopo aver iniziato a parlare di Christian e Federica.
“Eppure eccoci qui”.
-Sapevo di poterlo trovare in certo posto una sera, e sono andato a cercarlo per parlargli- mormorò con voce atona, per niente entusiasta all’idea di ripercorrere quei ricordi. L’unico motivo per cui si era spinto a farlo era il bisogno ormai diventato insopprimibile di raccontare a qualcun altro ciò che Pietro gli aveva detto.
Alice continuò a guardarlo con occhi sgranati:
-L’hai fatto?-.
Alessio annuì, suo malgrado:
-Sì, e non è andata bene-.
Stavolta lo stupore di Alice scomparve completamente dalla sua espressione. Era piuttosto intuibile che non ci fosse stato un risvolto positivo, d’altro canto.
-Ci hai provato, però-.
Erano le parole che Alessio si era ripetuto per tutto il tempo prima di raggiungere Pietro quella notte: doveva provarci, anche a costo di vedersi rifiutare. E lo aveva fatto, ci aveva provato. Ma si era reso conto solo dopo che non gli bastava la sensazione di aver compiuto quel tentativo, e che non gli sarebbe mai più bastata dopo aver conosciuto la sensazione di avere Pietro accanto a sé.
-Credo che chiedergli scusa e dirgli che ad Agosto non sapevo cosa rispondergli perché ero impreparato non sia bastato- confessò, le sue parole a malapena udibili.
-Gli hai detto solo questo?- gli chiese Alice.
Alessio scrollò le spalle:
-Che altro potevo dirgli?-.
Era una domanda che risultava stupida persino alle sue orecchie, perché era palese ciò che avrebbe potuto – e dovuto- dire a Pietro oltre a quel che gli aveva già detto. Lo sapeva perfettamente anche da solo, non c’era bisogno di avere ulteriori risposte, ma era stato più forte di lui lasciarsi andare a quella domanda come nel tentativo di trovare una conferma ulteriore.
Alice non lo guardò come se fosse un idiota, ma come se avesse intuito il tumulto interiore che stava vivendo, non solo da quella sera ma da mesi.
Il silenzio che li attorniava era opprimente, come se potesse essere riempito unicamente dal peso di parole che aveva paura anche solo di pensare.
-Quello che provi per lui-.
Alice gli si avvicinò di qualche passo, anche se non provò a sfiorarlo in alcun modo. Forse era tentata di posargli una mano su una spalla, ma Alessio fu sollevato che non lo fece: non voleva essere toccato in quel momento, non quando era ad un passo dal lasciarsi andare all’ennesimo pianto mal trattenuto. 
-Perché non glielo hai detto?
Alessio distolse lo sguardo, gli occhi ora puntati alla finestra della cucina. Non si vedeva granché da quel lato dell’appartamento: nessuna vista turistica di Venezia, nessuna cupola di San Marco che facesse da padrona. C’era solo l’orizzonte dei palazzi di fronte, dall’altra parte della calle, dove c’erano altri appartamenti, altre finestre illuminate da cui si poteva scorgere ed osservare il lento ritmo della vita che vi si svolgeva all’interno.
-Non cambierebbe niente- mormorò, continuando a voler rifuggire lo sguardo di Alice.
-Penso cambierebbe molto, invece- la voce di Alice gli giunse molto più calma di quel che si sarebbe aspettato, quasi dolce – Perché non provi ad essere sincero con lui fino in fondo, per una volta? Niente mezze verità-.
Alessio avrebbe voluto girarsi verso di lei e dirle che, se fosse stato così semplice, lo avrebbe già fatto. Ma rimase in silenzio anche in quel momento, voltato verso la finestra, come se sperasse che il mondo esterno potesse inglobarlo da un momento all’altro.
-You love him, don’t you?-. 
Il silenzio fu l’unica risposta che Alessio riuscì a darle. Si sentiva soffocare dall’importanza che quelle semplici parole avevano, di quanto nuova fosse la sensazione di sapere che qualcun altro già sapeva cosa si stava tenendo dentro. Ed era strano che quel qualcun altro fosse Alice, che probabilmente aveva sperato per anni che il loro legame potesse raggiungere quel passo senza bugie e senza ombre di mezzo – e in quel momento si rese conto per l’ennesima volta di quanto Alice fosse davvero una persona forte e altruista, di quanto fosse riuscita ad andare avanti e ben oltre quel che c’era stato tra loro anni prima.
-Non negarlo, perché nonostante tu sia riuscito a tenertelo dentro e forse a non capirlo tu per primo per tantissimo tempo, lo stai rendendo palese- gli disse ancora, con forza – Ammetti la verità e dillo a Pietro. Digli che lo ami-. 
Alessio lasciò andare un sospiro, lo sguardo ancora puntato verso la finestra, i cui contorni si facevano sempre più offuscati per le lacrime che gli velavano gli occhi. 
-Lo so che lo ami, e lo sai anche tu-.
Era vero, e ormai l’aveva capito anche lui. 
-Non basta l’amore per perdonare qualcuno- disse con un filo di voce.
-No, ma l’onestà è sempre un buon inizio-.
E oltre all’onestà gli sarebbe servito anche il coraggio che gli mancava. Ne aveva avuto un po’ la sera di due settimane prima in cui era uscito di casa per cercare Pietro, ma per dirgli una cosa di quella portata gli sarebbe servito un coraggio dieci volte più grande.
Avrebbe dovuto spiegargli cos’era scattato dentro di lui quando se ne era andato da casa sua come un ladro la mattina dopo la loro notte insieme, la sua paura di deluderlo e ferirlo in una loro relazione, il terrore che non bastasse l’amore per far sì che tutto andasse bene. 
E avrebbe anche voluto dirgli che in certi momenti, come quella sera di metà Ottobre, si era ritrovato a mandare a quel paese tutti i suoi timori per quanto era sopraffatto da quello che provava e dalla mancanza, e che se Pietro glielo avesse chiesto gli avrebbe detto che avrebbero potuto perlomeno provare a stare insieme sul serio. Gli avrebbe detto che sarebbe probabilmente stato una frana, ma che ce l’avrebbe messa tutta. 
Il problema era come riuscire a dirgli tutte quelle cose senza crollare.
-E che faccio?- Alessio ritrovò la forza di girarsi verso Alice, mostrarsi nella sua vulnerabilità – Vado di nuovo da lui, sperando che mi stia di nuovo a sentire anche se mi ha detto che non ce la fa a parlarmi ancora, e gli dico che lo amo e che voglio stare con lui, anche se ho paura che rovinerei tutto ancor di più?-.
Aveva parlato con più foga di quel che si era immaginato, ma Alice non parve per niente turbata:
-È quello che provi?-.
Alessio annuì ancora prima di rendersene conto:
-Sì-.
-Allora è esattamente questo che devi dirgli- Alice gli sorrise appena, forse per rassicurarlo – Hai fatto bene a scusarti e a spiegargli cosa ti era preso, ma devi fare quest’altro passo-.
Quell’ultimo passo che era anche il più complicato di tutti.
 
On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of Hell to hold your hand
I'd give it all, I'd give for us
Give anything, but I won't give up
 
-Come hai fatto a sapere dove fosse quella sera?- gli chiese ancora una volta Alice, prendendolo contropiede. Era naturale, però, che glielo chiedesse, dato che Alessio non era andato a casa di Pietro. Si strinse nelle spalle, cercando un modo veloce per spiegarsi al meglio:
-Attraverso un suo amico che conosco anche io. Cioè … - disse, rendendosi conto che Alice non aveva idea di chi fosse Martino – È un po’ più complicato di così, in realtà-.
A lei sembrò comunque bastare come risposta: la osservò annuire riflessiva, gli occhi verdi persi nel vuoto, prima che li puntasse di nuovo verso di lui.
-Puoi contattare di nuovo questo suo amico?-.
Alessio aggrottò la fronte:
-Perché?-.
-Maybe he can help you again- replicò – Di sicuro parla con Pietro più di me, o di chiunque altro dei nostri amici-.
Per quanto ad Alessio non piacesse l’idea di servirsi ancora di Martino, Alice aveva ragione. Pietro non si faceva vedere da nessuno di loro da mesi, come se avesse deciso di sparire completamente dalle vite di ognuno. Non aveva mai chiesto se erano riusciti a parlarci per davvero almeno una volta – magari Nicola o Filippo potevano aver avuto più fortuna-, ma ne dubitava. 
Martino, però, non se ne era andato dalla vita di Pietro. O almeno era quello che credeva, ma sospettava non fosse cambiato nulla di particolare nelle ultime due settimane. 
Il suo vero dubbio era un altro. 
-Cosa ti fa pensare che mi aiuterebbe a discapito di un suo amico?- chiese, con una punta di amaro sarcasmo – In fin dei conti non mi conosce molto bene. Probabilmente sa solo che sono il tipo che ha spezzato il cuore a Pietro-.
“Probabilmente è già tanto se non mi ha mandato a fanculo la sera in cui l’ho visto” si ritrovò a pensare. Ricordava che Martino lo aveva salutato, aveva persino provato a sorridergli, ma non credeva che avrebbe mai accettato di dargli una mano, non se sapeva cos’era successo tra lui e Pietro.
-Un tentativo non fa mai male. Al limite riceverai un altro rifiuto- insistette Alice – Ma se va bene potrai parlare di nuovo con Pietro. Non vale la pena provare anche solo per questo?-.
Alessio tacque. 
Gli ci era voluto coraggio per provare due settimane prima, con l’unico risultato di una caduta libera fino al fondo della sua esistenza. Ora che aveva toccato il fondo, perlomeno, se fosse andata male non si sarebbe troppo preoccupato di dover cadere ancora più in basso.
Ma se Alice aveva ragione … 
Non doveva farsi illusioni. Martino non avrebbe avuto alcun motivo per aiutarlo, e lui non poteva farsi troppe speranze. Le uniche certezze erano che Pietro era ancora irraggiungibile, esattamente come lo era due settimane prima, e che lui non aveva idea da dove cominciare per cambiare quella situazione.
Se mai sarebbe potuta cambiare.
 
But you know
You know, you know
I wanted
I wanted you to stay
'Cause I needed
I need to hear you say
That I love you
I loved you all along
And I forgive you
For being away for far too long
So keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me, and never let me go
Keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me, never let me go [3]
 
*
 
Passion or coincidence
Once prompted you to say
"Pride will tear us both apart"
Well now pride's gone out the window
Cross the rooftops
Run away
Left me in the vacuum of my heart
 
“Che cazzo sto facendo?”.
Cominciava a chiederselo un po’ troppe volte per la sua stessa sanità mentale. 
Alessio strinse tra le dita una bustina di zucchero di canna, ancora chiusa, premendola appena. I granelli di zucchero all’interno si distribuirono alle estremità interne, lasciando la zona centrale, quella che stava premendo, fastidiosamente vuota. 
Aveva già ordinato un caffè, bevendolo rigorosamente amaro e in un sol sorso, e ora si ritrovava a ponderare che forse avrebbe dovuto ordinare altro per avere almeno una scusa per continuare ad occupare quel tavolo. Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi, pagare ed andarsene e basta.
Ma continuava a porsi quella domanda, che sottintendeva la ricerca non solo di un motivo per rimanere ancora lì seduto, ma anche qualcosa di più – una ragione per ciò che aveva cercato di organizzare che andasse oltre il fatto che, in un momento di pura disperazione, aveva seguito il suggerimento di Alice.
“Non verrà”.
Alessio ormai ne era sicuro: erano passati quindici minuti dall’ora in cui si sarebbero dovuti incontrare. Non sarebbe arrivato nessuno che si sarebbe seduto di fronte a lui a quel tavolino, nessuno che …
-Ehilà!-.
Alessio si riscosse di colpo, sobbalzando visibilmente. Alzò gli occhi all’istante, immobilizzandosi e smettendo di premere sulla bustina di zucchero, e ritrovandosi faccia a faccia con il viso conosciuto di Martino. Era rimasto talmente concentrato a tenere gli occhi bassi che non si era nemmeno accorto del suo ingresso nel bar.
-Scusa il ritardo- gli disse subito lui, senza lasciare il tempo ad Alessio di ricambiare il saluto – C’ho avuto un po’ de problemi ar centro LGBT. Ho corso come ‘n matto per arrivare il prima possibile-.
In effetti, guardando la colorazione di un rosso acceso delle sue guance, era qualcosa di piuttosto credibile. 
-Non fa niente- si affrettò a farfugliare Alessio, mentre osservava l’altro prendere posto sull’altra sedia, di fronte a lui. Quel giorno Martino era in una mise piuttosto sobria: solo un filo di eyeliner e una felpa blu elettrico. Nulla di eccessivamente eccentrico, ma solo quello che bastava per risaltare i suoi capelli ramati e gli occhi verdi.
-Non ero convinto de ritrovatte ancora qui-.
Alessio si strinse nelle spalle:
-Diciamo che anche io avevo qualche dubbio che saresti venuto, ormai-.
A quella confessione Martino sorrise divertito, sommessamente, come se si fosse esattamente aspettato una frase del genere da parte sua – e Alessio non poteva dargli torto.
-No, tranquillo. Se prometto una cosa, vado fino in fondo-.
Alessio annuì, un po’ sollevato per l’arrivo di Martino, e agitato come non mai, perché non aveva più nessuna scusa per rimandare la conversazione che ne sarebbe seguita.
Aveva provato ad immaginarsi diverse volte come sarebbe potuto andare quell’incontro. Aveva iniziato a farlo da quando Alice gli aveva suggerito di contattare Martino, anche se non si era convinto di farlo per diversi giorni. Era dovuto iniziare Novembre perché decidesse – probabilmente in un ennesimo momento di follia- a scrivergli, di nuovo su Instagram. Se ne era pentito il secondo dopo, ma aveva comunque aspettato una sua qualche risposta in ansia, e aveva dovuto attendere solo un’ora per ricevere un segno da parte dell’altro. Si era aspettato maggior ostilità da parte sua, ma evidentemente il mezzo sorriso che Martino gli aveva rivolto quella sera al Celebrità non era stato solo di circostanza. 
E sì, aveva dubitato fino all’ultimo che Martino si presentasse davvero in quel bar a quell’ora, lo stesso bar dove in primavera erano stati con Pietro, soprattutto non vedendolo arrivare puntuale all’ora pattuita. Ma ora Martino gli sedeva di fronte, in attesa, e Alessio avvertiva il proprio cuore battere veloce e i pensieri essere sempre più in confusione.
-Allora … - Martino iniziò a parlare dopo qualche minuto, dopo che aveva fermato un cameriere di passaggio per ordinare una cioccolata calda – Me sa che me devi parlà de Pietro-.
-Piuttosto intuibile- gracchiò Alessio. Quando l’aveva contattato non aveva spiegato esplicitamente quale fosse il motivo: immaginava che Martino potesse comprenderlo da solo.
-Direi-.
Alessio sospirò a fondo: era vero che Martino aveva accettato di incontrarlo, ma era altrettanto ovvio che un po’ lo stesse mettendo alla prova. Voleva lasciargli spazio per vedere dove avrebbe diretto quella conversazione, e Alessio sapeva che in fondo era giusto così. Era stato lui a decidere di provarci ancora una volta, stavolta chiedendo aiuto a qualcun altro – una persona che conosceva a malapena-, qualcuno di cui Pietro evidentemente si fidava. Doveva darsi da fare.
-Non so bene da dove iniziare … - disse, incerto – Quanto sai di quello che è successo tra me e lui?-.
Martino lo guardò dritto in faccia:
-Abbastanza. Praticamente tutto, o almeno credo-.
“Ottimo”, pensò Alessio. C’erano alte probabilità che Martino lo considerasse già uno stronzo irrecuperabile.
Sospirò a fondo, l’ansia che lo teneva saldo nel suo pugno. Avrebbe volentieri ordinato qualcosa di alcolico, e forse lo avrebbe anche già fatto se non fosse stato che la forza di volontà, almeno in quell’ultima ora, aveva resistito. Doveva provare a farcela ancora, a non soccombere a tutti i pensieri catastrofici che gli stavano passando per la testa, cercare di andare avanti passo dopo passo.
Aveva Martino lì, pronto ad ascoltarlo, e un’occasione simile non sapeva se si sarebbe mai ripresentata.
-Come sta?- chiese dopo almeno un minuto di silenzio.
Non c’era bisogno di specificare a chi si riferisse, né come mai fosse stata la sua prima domanda: era la cosa che gli interessava sapere più di tutte.
-Non bene. Gli manchi, ne sono sicuro- iniziò a dire Martino – Però è anche bello incazzato con te, ma credo tu lo sappia già-.
Alessio si strinse nelle spalle, metabolizzando a fatica quella risposta:
-Lo è ancora come prima? Prima di due settimane fa, intendo-.
-Non lo so, è difficile da dire. Non ne ha parlato molto, ad essere onesti-.
Alessio soppesò quelle parole senza riuscire a trovarne un senso logico. Gli aveva fatto male sapere che Pietro non se la stesse passando al meglio, ma era inevitabile. Non poteva illudersi pensando che stesse come se nulla fosse, anche se una parte di lui – la parte più egoista- si era come sentita sollevata nel sapere che a Pietro, almeno in un certo senso, importava ancora di lui e della sua assenza. Il pensare però di essere lui stesso la causa di quel malessere lo faceva sentire automaticamente in colpa.
Il cameriere che Martino aveva fermato poco prima tornò proprio in quel momento, con la sua tazza di cioccolata calda fumante e con una montagna di panna montata sopra. Martino ringraziò e si mise subito a mescolarla, mentre continuava a guardarlo con espressione enigmatica. 
-Sapevo che saresti tornato-.
Alessio lo guardò confuso:
-Come?-.
Martino alzò le spalle:
-Sesto senso? Non so-.
Sembrava leggermente in imbarazzo, un sentimento che Alessio non era sicuro avrebbe mai potuto collegare a lui, sebbene stesse succedendo proprio in quel momento.
-Ma gliel’avevo detto a Pietro che non desse troppo per scontato la tua totale sparizione- disse ancora Martino – E c’avevo ragione-.
Alessio non fu del tutto sicuro di essere gratificato da quella scoperta: possibile che una persona che poteva ritenerlo quasi del tutto uno sconosciuto avesse avuto più fiducia in lui di Pietro?
-Non riesco a capire se tu ne sia contento o meno- si limitò a dire.
Forse era perché conosceva poco Martino che non riusciva ad intuire cosa gli stesse passando per la testa. Certo, aveva accettato di incontrarlo – e non era una cosa scontata-, ed era davvero venuto fino a lì per sentire cosa aveva da dirgli, e tutto sommato si era dimostrato amichevole nei suoi confronti … Ma c’era sempre qualcosa, un qualcosa che ad Alessio sfuggiva, che gli faceva supporre che Martino fosse altrettanto cauto. E poteva capirne benissimo il perché, ma preferiva saperlo con certezza.
-Dipende-.
Martino aveva preso tempo, mescolando ulteriormente la cioccolata e bevendone qualche sorso per secondi prolungati. Ora, però, aveva di nuovo posato la tazza sul tavolo, e stava guardando Alessio con molta più serietà:
-Perché m’hai scritto pe’ vedecce?-.
Alessio annuì, aspettandosi quella domanda. Non si era mai soffermato sulle sue motivazioni quando aveva scritto a Martino: era giusto che gliele dicesse ora.
-Perché non so più niente di Pietro- iniziò a dire, con onestà – Non parla con il resto dei nostri amici, e ovviamente non parla con me. Volevo sapere come se la stesse passando-.
Martino arcuò un sopracciglio:
-Solo questo?-.
-No. È che … - Alessio abbassò per un attimo fugace lo sguardo, di nuovo teso – Vorrei parlargli di nuovo. La scorsa volta mi sono scusato con lui, ma non gli ho detto tutto quel che avrei dovuto. Non dico che gli ho mentito su quanto ho detto … -.
“Ma non gli ho detto cosa provo”.
Sospirò a fondo, trovando terribilmente difficile aprirsi anche solo un po’ con qualcuno che lo conosceva appena. E se si sentiva in quel modo con Martino di fronte, non osava nemmeno immaginare come sarebbe potuto essere avere di nuovo Pietro ad ascoltarlo.
-Semplicemente non sono riuscito a dirgli quello che contava di più-.
-E perché no?-.
Alessio si ritrovò a sbuffare amaramente:
-Non è così semplice. Non sono una persona che parla di sé e di quel che prova facilmente- mormorò – Ci sono tanti motivi per cui non ci riesco-.
Stavolta riconobbe una traccia di curiosità animare l’espressione di Martino. Forse era addirittura confuso, ma quel che era certo era che era davvero interessato a quel che stava dicendo.
-E come mai con Pietro vorresti parlare?-.
C’erano così tante possibili risposte a quella domanda che Alessio non riuscì a trovarne una migliore se non quella più sincera e che riguardava anche il motivo per cui si era spinto fin lì quel giorno:
-Perché, nonostante tutto, sono giunto alla conclusione che forse potremmo avere qualche possibilità?-.
Alessio scostò lo sguardo. Sentiva il cuore battergli ancora veloce, stavolta non per l’agitazione del dover parlare con Martino, ma per l’ansia e il senso di vulnerabilità che lo accompagnava ogni volta che doveva confidarsi. Aprirsi un po’ di più del minimo necessario, condividere con qualcun altro ciò che pensava e che provava. Lo rendeva arrabbiato con se stesso la consapevolezza che avrebbe dovuto iniziare a farlo molto prima con Pietro, e non solo con lui; il cambiamento doveva pur partire da un punto in avanti e forse, inaspettatamente, quella era la chance di cui aveva bisogno: provare a se stesso che poteva migliorare, che poteva essere una persona migliore, e che poteva farlo senza sentirsi debole.
-Non lo so- mormorò, scuotendo il capo – Una parte di me, che è quella che ha prevalso ad Agosto, mi dice che per quanto possiamo essere felici quando siamo insieme, una relazione non andrà mai davvero bene a causa mia. Per alcune cose del mio passato che mi segnano ancora adesso. E c’è una parte che però non riesce a perdere la speranza che magari mi sbagli del tutto, e che in un modo o nell’altro possiamo risolvere le cose-.
Immaginava che dopo quelle parole Martino si sarebbe posto molte domande, ma lui si limitò a guardarlo con serietà ed attenzione, annuendo tra sé e sé.
-Penso che dovresti davvero spiegarglielo-.
Alessio trovò il coraggio di tornare a guardarlo solo dopo lunghi secondi, trovando Martino che continuava a sorseggiare la sua cioccolata calda con la fronte corrugata.
-Prima pensava che lo avessi preso per il culo, e non dico solo letteralmente- alzò un sopracciglio con fare ovvio – Che te fossi tirato indietro perché non ce tenevi abbastanza. Avete fatto entrambi un gran casino-.
Alessio non riuscì a non dargli ragione:
-Già-.
Per qualche minuto nessuno di loro disse nient’altro. Martino aveva continuato a bere in silenzio, come se fosse perso tra pensieri che Alessio non poteva intuire. Forse stava ragionando sul fatto che, nonostante tutto, non gli convenisse comunque dargli una mano. Magari stava decidendo di dire tutto a Pietro non appena uscito di lì.
Alessio non riusciva a destreggiarsi tra tutti i possibili scenari che sarebbero potuti venire dopo quella chiacchierata. E si stava rendendo conto che anche il solo provarci, ormai, gli andava stretto: voleva concludere qualcosa, voleva vedere un cambiamento, anche piccolo, ma pur sempre qualcosa di differente dall’immobilismo degli ultimi eventi. 
-Damme er cellulare, daje-.
Quasi sobbalzò nell’udire di nuovo la voce di Martino. Si chiese se se l’era solo immaginata, ma alzando gli occhi su di lui lo vide osservarlo, in attesa, una mano aperta ed allungata sopra il tavolo. Senza fare domande, seppur lanciandogli un’occhiata perplessa, Alessio fece come gli aveva chiesto: gli mise in mano il suo cellulare.
Martino non attese oltre, e sembrò digitare un numero – probabilmente il suo.
-Te tengo aggiornato con Pietro- mormorò – Magari te potrei anche dire dove andiamo alcune sere, così se voi provà a fa’ ‘n artro attentato come quello de du settimane fa… -.
Gli restituì il cellulare, e Alessio potè constatare, abbassando gli occhi velocemente, che le sue supposizioni erano giuste: Martino aveva appena trascritto il suo numero. A lui toccava solo registrarlo con il suo nome in rubrica.
-Posso anche provare a parlacce io-.
-Non so quanto ti convenga dirgli che ci siamo visti- replicò Alessio, dubbioso.
Martino accolse quella replica con un sorriso scanzonato:
-Magari quello glielo dico più avanti-.
Alessio rise sommessamente, per pochi secondi, senza reale divertimento, prima di essere di nuovo sottoposto allo sguardo saldo dell’altro:
-Però devi promettere una cosa: ce parli solo se ne sei realmente convinto. Se davvero vuoi stare con lui- Martino lo disse così schiettamente che ad Alessio sembrò quasi di stare di fronte ad una persona diversa da quella con cui aveva parlato finora – Perché sennò non ha senso sto tira e molla continuo-.
La voce di Martino era risultata dura, ma Alessio poteva capire come mai l’avesse detto. E paradossalmente si sentì più tranquillo, non tanto per se stesso, ma verso Pietro: poteva non conoscere bene Martino, ma riusciva a capire che tra di loro ci fosse amicizia sincera, e che Martino ci teneva davvero ad essere un buon amico. 
“Pietro è in buone mani”.
-Prendite anche del tempo per pensacce, e poi mi dici. Ok?-.
Alessio annuì.
-Se la risposta sarà ancora sì, ti dò una mano-.
Il sentimento di gratitudine che provò Alessio fu così grande che quasi dovette trattenersi dall’alzarsi, fare il giro del tavolo, e andare ad abbracciarlo.
-Grazie- si limitò invece a sussurrare a mezza voce.
-Non ringraziamme- replicò Martino, ma stavolta stava sorridendo – Non ho ancora fatto ‘n cazzo-.
-Sei venuti qui. È più di quel che speravo-.
Alessio lo guardò mentre soppesava quelle parole, gli occhi versi che gli restituivano lo sguardo:
-Spero di non dovermene pentire-.
“Stavolta non succederà”.
 
 But I won't cry for yesterday
There's an ordinary world
Somehow I have to find
And as I try to make my way
To the ordinary world
I will learn to survive [4]



 
*quote dall'episodio 2x06 di Queer As Folk US
 
[1] Jung Kook - "Shot glass of tears"
[2] Mahmood e Blanco - "Brividi"
[3] Nickelback - "Far away"
[4] Duran Duran - "Ordinary world"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
All’inizio di questo nuovo capitolo e, per stavolta, ritroviamo Giulia e Caterina insieme, in una conversazione non esattamente semplice. Le due, infatti, si stanno interrogando sul come comportarsi con l'incognita rappresentata da Lorenzo ora che sono passati alcuni mesi dalla nascita di Alberto. 
Giulia, infatti, si domanda se sia il caso di contattare l'ex per dargli la notizia della nascita del figlio, anche se la sola idea di incontrare Lorenzo non sembra entusiasmarla particolarmente visti i precedenti ... Al momento, anche su consiglio di Caterina, sembra essere giunta alla conclusione di accantonare l'opzione di ricontattarlo. Secondo voi è l'idea migliore? O i progetti di Giulia cambieranno per qualche motivo?
Ma lasciamo le nostre ragazze per virare verso Alessio: la citazione della 2x05 di Queer as Folk non è affatto casuale, visto che la conversazione tra Alice e Alessio è ispirata proprio alla scena in cui Debbie sprona Brian ad ammettere i propri sentimenti nei confronti di Justin. Anche qui, in un modo molto simile, Alice cerca ancora di incoraggiare Alessio a confessare quel che prova nei confronti di Pietro, e a non darsi per vinto nonostante anche il loro ultimo incontro non sia andato proprio positivamente... E tra le idee che cerca di suggerirgli, c'è anche quella di provare a chiedere aiuto a qualcun altro: Martino. Ed è proprio con quest’ultimo che Alessio s’incontra nell’ultima scena del capitolo: si è trattato di un incontro piuttosto tranquillo, ed entrambi sono stati piuttosto sinceri e franchi l'uno con l'altro. Vedremo a cosa potrebbe portare questa alleanza inaspettata... Voi avete qualche ipotesi?
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledí 4 settembre per un nuovo capitolo, ma ci troverete in questi lidi anche mercoledì 28 agosto per un nuovo aggiornamento di "I just wanna live in this moment forever"!😄
Kiara & Greyjoy
 
   
 
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