Si era messa a vagare per i corridoi del maniero senza nessuna meta precisa, con le dita che scorrevano sugli antichi muri di pietra mentre si chiedeva cosa stesse facendo il Conte in quel momento. “Probabilmente sta dormendo, ormai”, convenne con una certa amarezza.
I funerali della Contessa di Skingrad, Lady Rona Hassildor, si erano conclusi un mese prima e, da quando era venuta a mancare, il Conte aveva a malapena chiuso occhio. Doveva essere distrutto; eppure, la conseguente scia di pensieri che quella semplice e innocente considerazione scaturì evocò in lei un forte senso di colpa.
Shira, fin da che era divenuta un’ospite del castello, aveva fatto tutto il possibile per tenere lontani i sentimenti contrastanti che provava nei confronti del Conte di Skingrad. In quell’ultimo mese non lo aveva quasi visto, avendo supposto che probabilmente avrebbe preferito essere lasciato da solo a piangere la defunta consorte, ma fino a poco tempo prima avevano trascorso molti pomeriggi assieme e la cosa l’aveva un po’ esaurita.
Ne erano successe molte tra loro, e Shira era molto felice della loro amicizia; ma anche se meraviglioso, il fatto che il Conte fosse così vicino e cordiale con lei la faceva sentire anche a disagio. Che l’uomo provasse un qualche tipo di affetto nei suoi confronti era innegabile, forse perché la vedeva come la figlia che non aveva mai potuto avere con sua moglie o, semplicemente, quella persona al fianco che gli era venuta a mancare nei lunghi anni da quando Sua Signoria si era addormentata. E, adesso che era morta, forse il Conte avrebbe sviluppato un attaccamento ancora più forte nei suoi confronti, vedendola come l’unica persona più intima che gli era rimasta.
O forse era semplicemente quello che Shira sperava, nonostante potesse in realtà essere l’idea più probabile. E se da una parte rimproverava quel suo sfacciato egoismo, formulato soprattutto di fronte alla perdita della persona più cara all’uomo di cui si era innamorata, dall’altra pensò che, se tale rapporto fosse servito per alleviare un po’ il suo dolore e vederlo meno, solo allora sarebbe stata pronta ad accettarlo.
Nel profondo del suo cuore non aveva mai sperato nella morte della Contessa, ma non aveva mai potuto fare a meno di provare gelosia ogni volta che il Conte aveva fatto parola a riguardo. E lui ne aveva sempre parlato molto poco di Sua Signoria.
Shira non poté però anche ignorare la possibilità che Lord Hassildor, in realtà, fosse così gentile e comprensivo perché aveva semplicemente rivisto in lei il fantasma di Lady Rona, o che la cosa sarebbe divenuta tale molto presto… non poteva ignorare la possibilità che l’uomo avesse sempre visto in lei qualcuno che non le apparteneva, e anche quel pensiero faceva male. Non sapeva cosa il Conte provasse esattamente per lei, non sapeva se le sue attenzioni e la sua cordialità fossero sincere o soltanto il riflesso di ciò che aveva perso tanti anni prima; e fino a che sarebbe rimasta con questo dubbio, il suo cuore angosciato si sarebbe crogiolato in un tormento continuo.
Continuò a passeggiare nel misero tentativo di raccogliere i suoi pensieri confusi. Salire le molte scalinate del castello mentre era avvolta nelle lunghe e colorate vesti che indossava non era semplice, ma lei si prendeva tutto il tempo del mondo per camminare, rallentata anche dalle sue riflessioni. La tenuta che indossava era l’abbigliamento di corte usuale della sua terra natale di Akavir: forse non era molto comodo per le passeggiate ma in inverno teneva un bel caldo, soprattutto nel freddo che aleggiava nel castello, inoltre lo adorava per quanto era maestoso e raffinato; se non si trattava di occasioni formali preferiva tenerlo aperto, lasciando intravedere la veste intima sottostante e gli ampi pantaloni. Quando usciva dalla residenza, l’abito veniva ripiegato su sé stesso, con la parte inferiore rialzata per evitare che toccasse il terreno.
Era ancora mattina e il Castello di Skingrad sembrava deserto. Shira si era portata fino all’ala ovest senza neanche accorgersene, e quando sollevò lo sguardo dal pavimento dopo aver salito l’ennesima rampa, si ritrovò a fissare una porta chiusa. Quella che dava alle stanze del Conte.
~
Il Conte non stava dormendo. Dal giorno in cui sua moglie era morta era riuscito a malapena a concentrarsi sui suoi doveri; continuava a ripetersi che probabilmente era meglio così, che Rona aveva finalmente trovato la pace che aveva tanto desiderato, ma quel pensiero non riusciva proprio a confortarlo. Ci sarebbe voluto del tempo, si diceva. Dopotutto, era una ferita ancora fresca. Rona aveva odiato la propria condizione, non era riuscita ad accettarla: piuttosto, avrebbe preferito morire che continuare a vivere come un vampiro e, senza il nutrimento necessario, era finita col cadere in coma. Gli era mancata ogni giorno che era trascorso da allora, quasi cinquant’anni prima; l’aveva quindi nascosta e lasciata riposare nella Camera dei Perduti, le rovine dimenticate del castello, mentre lui si sarebbe impegnato nel cercare una cura.Janus Hassildor era il Conte più rispettato all’interno della nobiltà Cyrodiilica, era un mago potente e rinomato, tanto da essere un affiliato della Gilda dei Maghi. Trovare i contatti necessari non era stato difficile, il problema era stato riuscire ad ottenere le informazioni di cui aveva bisogno, poiché nessuno, all’Università Arcana, era un esperto in materia vampirica. I maghi specializzati in quell’argomento erano sempre stati molto pochi a Tamriel e solo dopo anni di estenuanti ricerche era riuscito a vedere una svolta concreta, risalendo a una strega della leggendaria Congrega di Glenmoril. A quel punto aveva sperato che Rona si sarebbe finalmente svegliata e avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni al suo fianco, come avrebbe dovuto essere. Ma, in quel momento, ora che non sarebbe mai più potuto andare a trovarla, di stare con lei benché fosse addormentata, gli mancava più di quanto avrebbe mai pensato, più di quanto avrebbe potuto sopportare.
Era stata la conseguenza del suo mancato nutrimento ad averla indebolita al punto che, non appena era stata guarita dalla pozione che Melisande le aveva preparato, anziché ricadere in coma, la vita aveva direttamente abbandonato il suo corpo, di nuovo umano, fragile e mortale. Rona se n’era andata e lui, quella volta, non avrebbe potuto fare niente per poter cambiare le cose: ma almeno, sapeva che adesso era in pace.
Udì il cigolio della porta che si apriva debolmente alle sue spalle. Si voltò e vide che era dischiusa in un pigro spiraglio, e dallo spiraglio faceva capolino la figura di Shira, sempre avvolta in quelle sue pittoresche ed ingombranti vesti che la facevano sembrare graziosamente piccola e adorabile benché così esotica. Vederla gli scaldò il cuore. Adesso che Rona non c’era più, gli era rimasta soltanto lei.
« Mio Signore, credevo dormiste. Non volevo disturbare, volevo solo assicurarmi che steste bene… chiedo umilmente perdono », disse, quando lo trovò seduto al suo scrittoio.
« No. Entrate, Lady Shira », rispose il Conte, forzando un sorriso.
« Dovreste cercare di riposare... vi farebbe bene, siete distrutto »
« Lo so », ammise il Conte, girandosi di nuovo verso lo scrittoio. « Ma ora ho bisogno di avervi qui. »
Shira si era sentita più tranquilla quando aveva visto la porta della stanza del Conte, perciò aveva pensato di controllare che andasse tutto bene. Si era aspettata di trovarlo disteso nel suo letto, ma da una parte non si era stupita nel vederlo ancora sveglio, e vestito. E quando il Conte pronunciò quelle ultime parole, il suo petto si agitò dall’emozione.
Entrò e richiuse piano la porta, avvicinandosi poi a lui. Era silenziosa come un fantasma quando si muoveva: l’unico rumore che si udiva era il fruscio delle vesti che strusciavano sul pavimento di pietra. Il suo desiderio di stare in compagnia del Conte stava finalmente per essere saziato, non l’aveva mai abbandonata in quei giorni che era rimasta lontana dal castello; Janus Hassildor era sempre stato una costante nei suoi pensieri, anche quando si trattava di un desiderio sciocco e banale. E adesso che era di nuovo lì, si sentiva finalmente al sicuro, insieme al suo Conte.
« Dove siete stata? Hal-Liurz mi aveva detto che non eravate in città… », proseguì l’uomo, gli occhi ancora abbassati sul piano aperto dello scrittoio. Sopra c’erano poggiati un grosso libro dalla copertina ocra, una pila di fogli ordinata con cura, l’occorrente per scrivere e ceralacca.
Shira fece per rispondere, ma si rese subito conto di non sapere di preciso cosa dirgli. Questo perché non aveva fatto assolutamente nulla di particolare in quei giorni. Poi la sua mente si focalizzò su un pensiero che la sorprese decisamente di più: « Mi avete cercato, mio Signore? » chiese.
Il Conte si girò verso di lei e la guardò.
« Sì. Non mi piace che vi allontanate troppo dalla città, non senza avvertirmi. Perché non siete mai venuta a trovarmi? » Anche se il suo tono suonò risentito, dall’espressione non sembrava affatto adirato, anzi, sembrava piuttosto preoccupato… e forza anche ferito.
« Mi dispiace, non l’ho fatto apposta », si mortificò lei, sentendosi molto piccola. « Avevo solo pensato che probabilmente avreste preferito prendervi del tempo per… »
Il Conte arricciò ancor più la fronte. « Scusatemi, non volevo rimproverarvi, è solo che... non voglio perdere nessun altro. Nel frattempo ho radunato alcune cose di Rona... suppongo che adesso non serviranno più. »
“Volete buttarle?” Shira aveva paura a chiederlo, ma decise di formulare diversamente la domanda. « Cosa intendete farne? »
« Le metterò nel baule insieme al resto dei suoi oggetti »
« Be’, sono ancora un ricordo troppo doloroso. Se posso permettermi, forse è meglio conservarle altrove, finché non ve la sentirete di averle di nuovo con voi. »
Passò un breve silenzio, poi il viso della Akaviri si addolcì e mormorò: « Sono così dispiaciuta per la vostra perdita… e per non essere stata qui quando ne avevate bisogno. »
Il Conte si limitò ad annuire. Non aveva voglia di parlare di Rona, in quell’ultimo mese si era esaurito emotivamente per poterlo fare, così si limitò a prendere solo un grande respiro che risuonò più forte di quanto non fosse in quella stanza silenziosa.
Shira a quel punto allungò una mano coperta dalle maniche delle vesti e dalla quale s’intravedevano appena le punte delle dita, e la poggiò con attenzione sul braccio del Conte. Il suo tocco era morbido, accompagnato dalla sua infinita pazienza. « Ora sono qui... non vi lascerò mai più solo, se è quello che desiderate. C’è qualcosa che posso fare, mio Signore? Ditemi… chiedetemi qualunque cosa »
« Mia cara, non so proprio cosa rispondervi », sospirò il Conte. « È successo tutto così in fretta... mi basta solo che mi restiate vicina. »
Da una parte, Janus non riusciva ancora a credere che Rona fosse morta: un attimo prima si era svegliata e finalmente gli stava di nuovo parlando, mentre l’attimo dopo era crollata senza vita. Ma dall’altra, lo aveva anche previsto. Per cinquant’anni sua moglie aveva dormito, senza mai svegliarsi e senza mai nutrirsi, si era risvegliata solo grazie all’incantesimo di Melisande e, non appena era stata guarita, il suo corpo non era riuscito a sopportare il cambiamento. In quelle condizioni, era improbabile che una volta tornata umana sarebbe sopravvissuta.
Ma Rona, in realtà, se n’era già andata molto tempo prima, lo aveva abbandonato nel momento in cui aveva scelto di rifiutare la propria condizione. La morte era stata l’unica pace che avrebbe mai potuto veramente donarle, era una cosa che avevano deciso insieme molti anni fa. “Rona non mi avrebbe mai abbandonato”, eppure, aveva scelto di farlo. Faceva male ammettere le parole che stava per pronunciare, affrontare quella tremenda verità che aveva ignorato per tutti quegli anni. « Mi sono illuso troppo a lungo. È colpa mia se Rona ha sofferto così tanto. »
Shira riportò lo sguardo su lui, meravigliata. Per la prima da quando lo conosceva, il suo viso appariva fragile e stanco.
« Volevate tenerla al sicuro, avete solo fatto quello che ritenevate giusto. Non si può mai sapere cosa può accadere. Ora la sua anima è in pace: probabilmente è una cosa che sapete già, ma forse avete bisogno di sentirvelo dire affinché vi sia davvero di conforto. Ora dovete solo darvi del tempo… tutte le ferite prima o poi si rimarginano. »
Quello che stava dicendo lo pensava veramente, ma sapeva anche che quella ferita avrebbe lasciato una dolorosa cicatrice nel Conte, il senso di colpa nell’aver permesso che sua moglie soffrisse. Probabilmente non l’avrebbe mai superata e lei non poteva cambiare le cose, nonostante quanto si fosse sforzata. Solo il tempo poteva dire cosa sarebbe successo.
Janus Hassildor afferrò la mano ancora poggiata sul braccio e le mostrò un sorriso ampio e gentile. Da quando Rona era venuta a mancare, aveva avuto molto su cui riflettere. Era sinceramente felice di avere quella fanciulla lì con sé. In quel momento, Janus ebbe la conferma che Shira ci sarebbe sempre stata per lui e che non lo avrebbe mai abbandonato.
Angolo dell'autrice:
Buonsalve a tutt*!
Sono tornata con una One Shot. Niente di che, mi piace solo raccontare stralci di vita quotidiana o momenti particolari, raccontare di ambienti, atmosfere... questa mi era frullata in testa da quando mi era presa la cotta per il Conte di Skingrad. Lo so che non esistono Akaviri nella Terza Era, ma io me li sono sempre immaginati come un popolo simil-giapponese.
Spero questa storiella vi piaccia, alla prossima!
miao :3