Era da parecchio che marciavamo. L’aria sapeva di mattino presto; non era troppo fredda, però era umida e non era piacevole, con quella foschia sottile che avvolgeva i dintorni.
La frontiera ormai era lontana e stavamo ancora attraversando la pineta che copriva le montagne, con i raggi del sole che ci illuminavano a stento, trapelando tra i fitti rami degli alberi. A parte il cocchiere, sul carro c’eravamo io e altre tre persone, tutti prigionieri delle guardie Imperiali.
La notte era trascorsa lenta sul carro immerso nel gelo pungente; quando avevo riaperto gli occhi ero stata accolta da una forte nausea. Una delle ruote doveva aver urtato qualche pietra che sporgeva in mezzo alla strada, facendoci sobbalzare tutti, e sollevai la testa per guardare gli altri prigionieri: li avevano arrestati con l’accusa di essere dei ribelli, proprio mentre stavo attraversando il confine. Mi ero trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, per questo gli Imperiali dovevano aver pensato che fossi insieme a loro.
Le mie mani avevano assunto una preoccupante rigidità, con un colorito più pallido e sfumature violacee alle dita; le portai alla bocca e cominciai a scaldarle come meglio potevo per fargli riacquisire un po’ di sensibilità. Sentivo anche un gran bisogno di alzarmi e distendere le gambe...
Solo fino a non molte ore prima ero ancora a Cyrodiil, mentre adesso mi trovavo con le mani legate, seduta su un vecchio carro scomodo e scricchiolante diretto verso una città a me del tutto sconosciuta in un luogo del tutto sconosciuto, dove gli Imperiali mi avrebbero sicuramente processata. Avevo avuto l’intenzione di venire a Skyrim in cerca di un po’ di fortuna: ero nata e cresciuta a Cyrodiil, la Provincia Imperiale e il cuore cosmopolita dell’Impero, dove le antiche generazioni Nibeane della mia famiglia, da parte di mia madre, erano sempre vissute lì. Fin da bambina avevo sognato di diventare un’avventuriera, per le favole Nord che mio padre mi raccontava sempre prima di addormentarmi; spinta dalla passione che quelle storie mi avevano infuso, mi ero separata dalla mia casa per andare per andare in cerca di nuovi orizzonti da esplorare. Volevo conoscere nuove persone, scoprire nuovi luoghi e nuove culture, ma la guerra mi aveva ingannata. È sempre stato difficile avere un periodo di pace a Tamriel.
L’imboscata era avvenuta al tramonto, lungo la strada principale a pochi passi oltre la frontiera, mentre mi stavo dirigendo verso nord in cerca di un luogo sicuro in cui accamparmi per la notte. Gli Imperiali mi avevano tolto tutto, non che avessi avuto molto, ero partita da casa poco più di una settimana prima e avevo fatto una sosta di un paio di giorni presso Bruma, per cui avevo preferito viaggiare leggera almeno finché non avessi trovato una sistemazione più solida a Skyrim. Ma i miei vestiti, il mio cavallo, e quel poco di monete che mi ero portata dietro erano spariti, sostituiti da una veste sudicia e puzzolente con delle fasce per i piedi. Skyrim era una regione nordica, nonché la più aspra del continente, e quegli stracci non sarebbero serviti a proteggermi dal freddo. Per la notte ci avevano consegnato delle coperte più simili ai medesimi stracci che indossavo, ma nonostante l’umido assiderante e la posizione scomoda ero incredibilmente riuscita a dormire per qualche ora – nonostante spesso fosse più un dormiveglia.
Me ne stavo in silenzio ad osservare il paesaggio che mi circondava. Ormai stavo cominciando a stufarmi di vedere la stessa natura che si ripeteva, a percepire la stessa monotonia, lo stesso silenzio teso che ci avvolgeva, la stessa selvaggina che s’incontrava di tanto in tanto, lo stesso profumo della linfa di pino tra gli alberi… ma sapevo anche che sarebbero molto probabilmente state le ultime cose belle che i miei occhi avrebbero visto.
Uno dei prigionieri, quello che mi era seduto di fronte, un Nord dai boccoli sporchi e disordinati di un biondo brillante che gli ricadevano sulle spalle, rinvolto in un’uniforme in cotta di maglia e pelliccia con un mantello blu sistemato attorno al collo, alzò la testa verso di me, mi guardò per qualche attimo, mi sorrise e mi parlò.
« Ehi, mi sembra che tu abbia l’aria smarrita. Non sei di queste parti, vero? » Il suo tono era giovane, ma la barba incolta, lo sporco sul viso che ne metteva in risalto i lineamenti duri e le poche cicatrici che lo ricoprivano lo facevano sembrare più vecchio di parecchi anni.
Anche se ero profondamente assorta nei miei pensieri, rapita dalla bellezza lussureggiante di quel luogo talmente umido e inospitale quasi quanto le paludi della Foresta Nera, fui richiamata dal suono pacato della sua voce, così distolsi lo sguardo dagli alberi per puntarlo su quello azzurro del Nord. « Qualcuno per caso ha detto “Che Talos vi benedica” a uno di quei maledetti elfi? »
L’uomo mi guardò ancora ed esalò una breve risata.
« Stavi giungendo dal confine, quindi sei appena giunta a Skyrim, vero? » aggiunse, senza abbandonare il sorriso leggero.
« Infatti. E devo dire che non è stata proprio la piacevole accoglienza come mi sarei aspettata... »
Lui approvò con la testa, poi abbassò il capo e sospirò. « Mi spiace che ti sia ritrovata in questa situazione. Anche noi siamo finiti dritti in quell’imboscata Imperiale, proprio come lui. » Indicò con un cenno il prigioniero che gli sedeva accanto, un uomo dai capelli castani, mingherlino e dall’aspetto malnutrito, vestito di stracci come me. S’intravedevano dalla coperta che si stringeva indosso come meglio poteva per pararsi dal freddo, e non stava tirando neanche un filo di vento.
L’ultimo prigioniero che era insieme a noi, il Nord che mi stava seduto alla destra, sfoggiava invece una corporatura decisamente più corpulenta e robusta che a confronto mi sentivo una bambina, con un volto dai lineamenti decisi e maturi irrigiditi dal freddo e incorniciati da una criniera di capelli crespi, di un colore a cavallo tra il castano chiaro e il biondo cenere, ornati da qualche treccia. Gli occhi erano vitrei, ridotti a fessure dall’evidente irritazione che trapelava. Indossava una nobile veste con un ampio mantello in pelliccia d’orso.
Non sapevo dire all’incirca che età avesse, ma a vederlo sembrava superare di poco la quarantina. Oltre ad essere legato alle mani era pure imbavagliato, anche se in quel momento non ne capii il motivo. Era completamente impassibile, lo sguardo carico di odio e rabbia.
Non potei fare a meno di osservarlo con più curiosità: non appena lui se ne rese conto e i nostri sguardi s’incrociarono, mi sentii come se la mia anima fosse stata perforata da una lama affilata, come un pezzo di ghiaccio trafitto dal caldo ardente del metallo. Fu facilissimo rimanere affascinata da lui, e mi chiesi cosa mai volessero significare quegli occhi così taglienti verso di me.
« Dannati Manto della Tempesta », mormorò il prigioniero vestito di stracci in risposta al soldato, rompendo la breve e surreale magia che si era instaurata tra me e quel Nord imponente. « A Skyrim andava tutto tranquillo prima del vostro arrivo. Nell’Impero regnavano pace e tranquillità! Se non ti stavano alle costole avrei potuto rubare quel cavallo ed essere già a metà strada per Hammerfell... » Poi si girò verso di me: « Ehi, tu. Noi… non dovremmo essere qui, l’Impero vuole questi Manto della Tempesta! »
“E tu, che volevi rubare il mio cavallo?”, pensai irritata. « Manto della Tempesta? » chiesi confusa.
« Ormai siamo tutti fratelli e sorelle in catene », ringhiò il soldato seduto davanti a me, puntando lo sguardo avanti, verso la strada che stavamo percorrendo.
Aggrottai risentita la fronte e lo guardai. « Io sono un’Imperiale proveniente da Cyrodiil, non sono la sorella di nessuno qui. Soprattutto dopo che mi hanno arrestata per colpa vostra », replicai.
Non ero molto a conoscenza degli eventi che si stavano susseguendo a Skyrim in quel periodo, sapevo solo che c’era una nuova guerra in corso, ma non sapevo nello specifico chi o cosa trattasse. Il viaggio mi aveva tenuto lontana dalle notizie che giungevano dal resto dell’Impero; perfino quando ero a Bruma non ci avevo prestato attenzione, occupata com’ero a pianificare la marcia da seguire per raggiungere il villaggio più vicino una volta superata la frontiera.
« Silenzio là dietro! » si udì esclamare improvvisamente.
Il silenzio aleggiò per alcuni attimi. Poi, senza badare a ciò che la guardia che guidava il carro aveva ordinato, il prigioniero vestito di stracci parlò di nuovo e rivolse l’attenzione sul Nord imbavagliato.
« E lui che problema ha, eh? » Anch’io ero curiosa di sapere chi fosse e cosa ci facesse.
L’imponente uomo si girò a fissarmi per un attimo, poi diede uno sguardo acuto al prigioniero che aveva osato rivolgersi a lui in quel modo così sfacciato.
« Vedi di tenere a freno la lingua », lo rimbeccò il soldato. « Stai parlando di Ulfric Manto della Tempesta, il legittimo Re dei Re di Skyrim! » proseguì, scandendo le parole con tono quasi minaccioso.
Il prigioniero rimase a bocca aperta a quella rivelazione, e fu costretto ad abbassare lo sguardo. « Ulfric? Lo Jarl di Windhelm? Allora… sei tu il capo della ribellione! Ma se ti hanno catturato… Oh Dei, dove ci stanno portando? »
Cominciai a sentirmi un po’ più inquieta. Già il fatto di essere stata arrestata insieme a un gruppo di ribelli credendo di essere in combutta con loro non mi avrebbe permesso di scampare alla prigione tanto facilmente, neanche spiegando che in realtà ero innocente e che si era trattato di un malinteso: non ne avevo le prove e la mia famiglia era lontana miglia e miglia. E se anche Ulfric, il capo della ribellione, era stato catturato, la sentenza per noi difficilmente si sarebbe limitata a una semplice prigionia a vita. L’accusa di alto tradimento nei confronti dell’Impero e dell’Imperatore contemplava ben altra sorte.
« Non so dove stiamo andando », replicò il soldato, riprendendo a guardare avanti. « Ma Sovngarde ci attende. »
Le mura della fortezza in cui eravamo diretti erano ormai in vista tra gli alberi bianchi. Stavamo percorrendo una lunga discesa, e temevo che il carro si sarebbe ribaltato da quanto era ripida.
« No, non può essere vero, non può… », tremò il prigioniero vestito di stracci. Potei vederlo portarsi le mani alla bocca e iniziare quasi a mangiucchiarsi le unghie da quanto i denti gli battevano.
Seguirono alcuni istanti di un silenzio insopportabilmente opprimente; tutti noi ci voltammo a guardare avanti e le parole furono sostituite dalla tensione. Udivo il rumore degli zoccoli dei cavalli pestare sulle dure pietre della strada, gli urti delle ruote contro i sassi che facevano dondolare tutto il carretto facendomi più volte rischiare di balzare giù dal sedile, i piagnucolii sommessi e disperati del brigante seguiti dagli sgridi sarcastici del soldato Nord, i rimproveri silenziosi di Ulfric. Stordire o spingere di sotto la guardia che guidava il carro per poi fuggire sarebbe stata solo questione di pochi e veloci attimi, ma non sarebbe stato facile farlo con la scorta di legionari ad accompagnarci. E io non avevo nessuna voglia di aggravare ulteriormente la mia situazione.
« Ehi, ladro di cavalli, chiudi un po’ la bocca e calmati. Dicci, da quale villaggio provieni? » fece alla fine il biondo con aria quasi divertita. Sembrava piuttosto in vena di parlare, come se la situazione e la sorte che ci attendeva non lo preoccupassero, e forse era anche meglio così; se non avesse avuto le mani legate, sicuramente gli avrebbe anche stretto un braccio attorno alle spalle.
L’uomo si strofinò il viso con un lembo della coperta e tirò su col naso, prima di volgere lo sguardo avvilito verso di lui. « Perché me lo chiedi? »
« Gli ultimi pensieri di un Nord dovrebbero essere rivolti alla sua casa e ai suoi cari »
« Rorikstead. Io… io vengo da Rorikstead », rispose, lento e flebile, dopo qualche attimo di esitazione.
Distolsi lo sguardo e lo puntai con malinconia verso la pineta. La mia casa, una modesta fattoria abbracciata dalle colline verdi e accarezzata dai venti miti del Nibenay, la mia famiglia... mia madre, mio padre, i miei fratelli e le mie sorelle, probabilmente non li avrei mai più rivisti. Non avrei più rivisto i caldi volti di nessuno di loro, almeno finché non mi avrebbero, forse, un giorno raggiunta a Sovngarde. Ero un’Imperiale, ma la mia fede e il mio cuore si volgevano anche a quel leggendario e meraviglioso luogo ultraterreno di cui tanto avevo sentito parlare nelle storie che mi aveva sempre raccontato mio padre.
Eravamo giunti alla città fortificata. Le pesanti ante di legno del portone si spalancarono per il nostro ingresso.
« Generale Tullius, signore! Il boia sta aspettando! » annunciò una guardia dalla sua postazione di vedetta.
« Bene, vediamo di concludere. »
Il carro avanzò lentamente all’interno delle mura, marciando ancora lungo la strada che si insinuava fra le abitazioni. La gente del posto era riunita ai margini, sporgendosi dalle verande o rimanendo in piedi sulla soglia delle loro case, a guardare incuriosita ma anche piena d’angoscia.
Poco più avanti al nostro c’erano altri due carri colmi di prigionieri, pronti per essere sbattuti nelle segrete o mandati al ceppo. Erano uno più terrorizzato dell’altro, anche se non si lasciavano prendere dal panico e affrontavano coraggiosamente la situazione: nella gran parte erano Manto della Tempesta, osservando le loro uniformi in cotta di maglia argentea con i lunghi mantelli blu. Non ero assolutamente certa di riuscire a scamparla, ma nel frattempo osservavo con ansia e interesse ciò che mi circondava. Skyrim era un posto molto diverso da Cyrodiil, sia come clima sia come architettura. Perfino Bruma non era così pungente a confronto, ed eravamo soltanto nelle regioni meridionali della provincia. Prestai attenzione alla situazione e all’ambiente; ancora una volta, tentare di fuggire non sarebbe servito a nulla, vedendo come il posto era gremito di legionari armati a sorvegliare la città, le mura e gli ingressi – non c’era da meravigliarsene, sapendo che lo Jarl di Windhelm era lì. “Fino a poco tempo fa le mura e le torri Imperiali mi facevano sentire al sicuro”, considerai tra me e me.
« Shor, Mara, Dibella, Kynareth, Akatosh. Divini, aiutatemi! » udivo frignare dal prigioniero vestito di stracci, non appena scorgemmo i legionari disposti in fila con le lunghe lance e gli archi in pugno, pronti ad ogni evenienza.
« Guarda il governatore militare, il Generale Tullius. E a quanto pare i Thalmor sono con lui… », commentò rabbiosamente il biondo, indicando con lo sguardo un punto abbastanza lontano verso le abitazioni che stavamo superando e che attirò la mia attenzione. « Maledetti elfi! Scommetto che c’entrano qualcosa. »
Vidi il Generale Imperiale in piedi, appena sceso da cavallo, scortato da una minuscola truppa e in compagnia di un gruppetto composto da alti uomini e donne con la pelle lucida e dorata, gli occhi chiari ed eleganti marcatamente a mandorla, i lineamenti nobili benché lievemente spigolosi, nasi dritti e sporgenti con la punta piuttosto affusolata. L’autorità elfica con la quale il Generale era intrattenuto sedeva aggraziata su uno stallone bianco, avvolta in una lunga uniforme nera ornata da rifiniture e fibbie in oro e gemme preziose, a marcare la sua altissima posizione nella gerarchia Aldmeri presente a Skyrim. Il che non mi sorprese, sapevo molto bene che gli Altmer esercitavano un potere piuttosto particolare ed influente sull’Impero, perfino più dell’Imperatore stesso. Il carro lì superò e presto furono lontani dal mio campo visivo.
« Questa è Helgen », disse all’improvviso il soldato Nord, interrompendo i miei pensieri. « Un tempo qui c’era una ragazza che mi era molto cara. Chissà se Vilod fa ancora quell’idromele con dentro le bacche di ginepro », sfoggiò un tono vagamente mesto, immerso nei ricordi, mentre un sorriso gli attraversava il viso solcato dalla fitta peluria chiara.
« Una storia finita male? » ne dedussi. Lui alzò brevemente le spalle e mantenne lo sguardo altrove.
Notai un bambino seduto sotto il portico della sua casa. « Chi sono, papà? Dove stanno andando? »
« Devi rientrare, piccolo », disse suo padre lì accanto a lui, afferrandolo per mano per farlo alzare.
« Perché? Voglio guardare i soldati »
« Entra in casa. Subito »
« Sì, papà… », sbuffò deluso il bambino, poi lo vidi sparire oltre la soglia.
« Facciamo scendere i prigionieri dai carri. Forza! »
« P-perché ci fermiamo? »
Fine della corsa. Il carro si fermò davanti a una parete alta proprio sotto le mura, in uno spazio grande, con le case comuni e la locanda che rimanevano poco più indietro, mentre in fondo, oltre l’arco di fianco a noi che non era altro che un ponticello che collegava una parte all’altra del camminamento della cinta muraria del forte Imperiale, c’era la torre con il patibolo ad attenderci.
« Secondo te? Fine del percorso… », rispose il soldato Nord. « Andiamo, non è cortese far attendere gli Dei. »
Le guardie ci ordinarono di scendere, facendoci disporre in file ordinate di fronte ai carri. « No, aspettate! Non sono un ribelle! Questo è un errore! » gridò il prigioniero vestito di stracci.
« Affronta la morte con coraggio, brigante », lo sgridò ancora una volta il biondo.
« Devi dirglielo, non eravamo con te! »
Fu in quel momento che il panico m’invase, stringendomi nella sua morsa, facendo prepotentemente scemare la calma apparente che avevo mantenuto fino ad allora... non ci avrebbero mai ascoltati.
Senza farmi vedere incrociai le dita e le nascosi sotto un lembo della veste sgualcita e iniziai a pregare, sussurrando nella maniera più flebile che riuscivo: « Azura… Kynareth… Akatosh… Stendarr… Kynareth… Meridia… Akatosh… Talos… aiutateci! » la mia voce era appena udibile per un orecchio attento.
Pregavo, invocavo a bassa voce... desideravo ardentemente che in qualche modo le divinità potessero ascoltarmi, che udissero la mia preghiera. « Stendarr, Dio della Misericordia e della Giustizia, non dovrei nemmeno essere qui; Kynareth, Dea del Cielo e dell’Aria… Akatosh, Dio del Tempo… Mara, Dea dell’Amore e della Compassione… Arkay, Dio protettore dell’Umanità. Il mio tempo non è ancora arrivato, non ho mai smesso di credere. Ti prego, aiutami! »
Una Imperiale in uniforme da ufficiale avanzò verso di noi, scortata da altri due legionari; « Avanzate verso il ceppo quando diciamo il vostro nome. Uno alla volta. »
Un soldato accanto a lei, chiaramente di basso rango a giudicare dall’uniforme semplice e l’aria giovane quasi da recluta, srotolò un lungo foglio di pergamena e iniziò a leggere i nomi dei prigionieri, spuntando poi con un carboncino quelli che man a mano venivano eliminati e mandati al patibolo.
« Oh, l’Impero adora le sue stramaledette liste », udii borbottare dal soldato Nord, ancora accanto a me.
“Io non ci sono su quella lista. Forse… c’è una speranza”.
Le fila di prigionieri diminuivano ogni attimo che passava, quando giunse il turno dei presenti sul mio carro: « Ulfric Manto della Tempesta, Jarl di Windhelm! »
Ulfric, girato di schiena davanti a me, iniziò ad allontanarsi avanzando a testa alta, fiero e dignitoso, verso la torre e fermandosi di fronte al ceppo, dove c’era il boia in attesa con l’ascia lucidata e affilata stretta nella mano. Lo Jarl sembrò non riserbare alcun timore nei propri occhi... quegli occhi limpidi e azzurri così tanto espressivi. Chinai lentamente il capo, e in silenzio sperai di ritrovare la sua anima a Sovngarde.
« È stato un onore, Jarl Ulfric! » gridò pieno d’orgoglio il biondo.
« Ralof di Riverwood! » E anche lui ci lasciò, e il suo nome venne spuntato dalla lista. « Lokir di Rorikstead! », fu rivolto adesso al brigante.
« No, non sono un ribelle! Non potete farmi questo! » In preda al panico, e senza neanche tenere in considerazione la scorta di soldati da cui eravamo circondati, si precipitò lungo la strada che avevamo appena percorso, verso l’agognata uscita da quell’incubo. « Non voglio morire! »
« Alt! ARCIERI! » ordinò l’ufficiale.
I legionari posizionarono i loro archi lunghi e scoccarono ognuno una freccia che si andò a conficcare come un aculeo d’istrice nella schiena del povero Lokir, che franò a terra con un urlo straziato mentre il sangue cominciava a sgorgare dalla sua schiena, ritrovandosi con la faccia rivolta verso il gelido piastrellamento della strada.
Ero rimasta sola.
« Qualcun altro vuole discutere? » ringhiò l’ufficiale in tono alterato e chiaramente infastidito, girandosi di nuovo verso di noi con le mani poggiate sulla vita corazzata.
Nome dopo nome, tutte le persone prigioniere poco a poco si ritrovarono di fronte al patibolo o spedite nelle segrete, attendendo con impazienza, coraggio e terrore la loro fine.
« Bene, vediamo di chiudere questa storia una volta per tutte », concluse infine l’ufficiale, poggiando una mano sul pomo della sua spada rinfoderata mentre si apprestava a muovere i primi passi per avviarsi alla torre.
« Aspettate, Capitano », esclamò subito il legionario accanto a lei e bloccandola con il passo a mezz’aria, la pergamena ancora srotolata in mano e indicando poi me con lo guardo. Il mio cuore accelerò il ritmo del proprio battito: si era accorto che non ero sull’elenco. « Ehi, tu. Vieni avanti. … Chi sei? Come ti chiami? »
Dissi il mio nome. Dissi che venivo dalla Contea di Cheydinhal, sperando che avessero avuto pietà per me e riconosciuto che non avevo nulla a che vedere con la guerra, che ero solo poco più che una ragazzina, lontana da casa e vittima di un terribile equivoco. E non appena feci sentire la mia voce, subito avvertii lo sguardo di Ulfric voltarsi verso di me.
Conosceva i nomi di tutti quelli che erano stati chiamati in precedenza; sudditi, amici e soldati che avevano combattuto al suo fianco per la libertà della loro patria, ma il mio gli era completamente nuovo. Le mie mani tremavano, il mio viso era pallido come la morte che mi attendeva, il cuore mi martellava nel petto, ma tenni la testa alta e la voce più ferma che potevo.
Ulfric aveva dimostrato il suo coraggio senza opporre resistenza, né ai Thalmor né agli Imperiali, ma non avrei voluto buttare via i preziosi ultimi momenti che mi restavano senza rigettare tutto il mio rammarico a persone che non avevano a cuore il loro popolo. Ma decisi di trattenermi.
« Hai scelto un pessimo momento per venire a Skyrim. Non lo sapevi della guerra in corso? Come mai sei così lontana dalla tua casa? » Nonostante il tono alto con cui parlò, negli occhi del giovane non vi era alcuna traccia di ostilità.
« Pensavo che Skyrim potesse essere una buona meta per costruirmi un futuro. Forse non sarò stata una bravissima cittadina dell’Impero, giacché questa fortuna che speravo di trovare non mi ha accolto, ma non credo nemmeno di aver fatto qualcosa di talmente grave da meritarmi perfino… questo. »
Seguirono lunghi attimi di tensione, e di riflessione. L’uomo ripercorse i nomi che aveva appena letto sulla pergamena più e più volte e con espressione sempre più perplessa, poi guardò verso l’ufficiale.
« Capitano, cosa ne facciamo? Non è sulla lista », considerò preoccupato.
« Lascia perdere la lista, lei va al ceppo », ma gli rispose lei con chiaro disinteresse.
« Ma, signora, come possiamo… »
« Non m’importa se non è sull’elenco. Ho detto che finisce sul ceppo, come gli altri »
« Ho capito. Sarà fatto secondo i vostri ordini… Mi dispiace, e per di più non avrai nemmeno occasione di morire nella tua terra natia. Faremo in modo che i tuoi resti saranno riportati ai tuoi cari, a Cyrodiil. Ora segui il Capitano, prigioniera. E niente scherzi », disse infine il soldato, guardandomi con tristezza, forse perché aveva perfettamente capito la mia situazione e non poteva fare altro per scagionarmi.
La donna si mosse e io lentamente la seguii con occhi bassi, verso la piccola massa di prigionieri che attendeva davanti al ceppo. Muovevo con difficoltà i piedi uno avanti all’altro da tanto le gambe mi tremavano, un groppo in gola tremendamente doloroso da districare e incapace di realizzare che l’Impero mi aveva condannata senza tante indagini.
Quando tutti furono sistemati, il Generale Tullius si avvicinò a Ulfric, gli si fermò davanti e lo scrutò da cima a fondo, nonostante fosse più basso del Nord di almeno una ventina di centimetri, per poi pronunciare con ira e disprezzo, senza lasciarsi intimidire dalla sua stazza disarmante: « Ulfric Manto della Tempesta. Qualcuno qui a Helgen ti chiama “eroe”. Ma un eroe non usa un potere come quello della Voce per uccidere il suo Re e usurparne il trono. »
Il Nord cercò di ribattere, borbottando sottovoce, ma non poté aprire la bocca a causa della benda che gliela fermava, ma potei chiaramente udire che tentava di sputare veleno contro l’ingiustizia che stava per ricevere.
Se solo gli sguardi fossero stati in grado di uccidere... Il modo con cui lo Jarl di Windhelm fulminò l’anziano uomo fu terrificante, scaricandogli addosso tutto il suo indicibile odio. « Tu hai scatenato questa guerra, hai gettato Skyrim nel caos e ora l’Impero ti sconfiggerà per riportare la pace! » proseguì Tullius senza badargli. Ma prima che il Generale potesse aggiungere altre parole crude, nell’aria risuonò uno strano rumore.
Una specie di lamento, ruggito o un grido lontano. Tutti i presenti alzarono la testa verso il cielo parzialmente nuvoloso; era un suono che non mi era familiare a nessun animale, creatura o entità che avevo conosciuto prima di allora.
« Cos’è stato? » chiese qualcuno, da qualche parte accanto a noi. Dalla voce riconobbi che era il legionario Imperiale che fino a poco prima aveva scorso la lista dei prigionieri.
« Non è assolutamente nulla che valga la nostra attenzione. Avanti, procediamo »
« Sì, Generale Tullius. Amministrate loro gli ultimi riti », rispose il Capitano, facendo poi spazio a una sacerdotessa rinvolta in una lunga tunica color corda e il cappuccio calato che le nascondeva parte del volto.
Si posizionò di fronte a noi, alzò le braccia e iniziò a recitare una preghiera. « Raccomandiamo le vostre anime ad Aetherius, che la benedizione degli Otto Divini vi accompagnino, perché voi siete il sale della terra di Nirn, il nostro amato… »
« Per l’amor di Talos! Fa’ silenzio e facciamola finita! »
Un Manto della Tempesta la interruppe bruscamente e incominciò ad avanzare verso il ceppo. Era tipicamente biondo come la gran parte dei Nord ma, soprattutto, era giovane… fin troppo giovane. Doveva avere non più di ventitré anni. Il cuore mi martellava nelle orecchie.
« Come desideri », acconsentì lei facendosi da parte.
Il soldato urtò volutamente con la spalla il governatore militare quando gli passò accanto; giurandolo a stento, credetti di aver visto il ragazzo attenersi a una risata derisoria. « Coraggio, non ho tutta la mattina! » ringhiò spazientito. Aveva fretta di arrivare a Sovngarde?
L’ufficiale, la donna Imperiale, lo fece inginocchiare a forza e col piede lo spinse a stendersi sul piano del ceppo.
« I miei antenati mi sorridono benevoli, Imperiali, potete forse dire lo stesso? » Mi meravigliai nell’udire quanto la sua voce fu incredibilmente calma, priva di ogni preoccupazione, paura o esitazione. Il boia sollevò la lunga ascia al cielo e con un unico e violento colpo, accompagnato da un gesto di affaticamento dovuto alla pesantezza dell’arma, decapitò il Nord.
La sua testa rotolò giù, andando a finire in un secchio subito ai piedi del patibolo, mentre il sangue iniziava a sgorgare a fiotti dal suo collo aperto. Era davvero quella la mia fine?
« Spavaldo nella morte come in vita », commentò a voce bassa Ralof, ma nel breve silenzio che calò sulla piazza si udì chiaramente.
Mi stava proprio accanto: evidentemente notò la mia espressione sconvolta, perché si girò verso di me, mi diede una leggera spallata e mi fece l’occhiolino.
Subito dalla folla dei prigionieri si levarono urla di protesta, contrastate dagli abitanti di Helgen che erano fedeli all’Impero:
« Bastardi Imperiali! »
« Giustizia! »
« Fate silenzio! » sbottò l’ufficiale, e quasi all’istante piombò un profondo silenzio uggioso. « Avanti, il prossimo. Portatemi la ragazza Imperiale! »
Di nuovo l’aria si riempì dello stesso identico strano suono di poco prima, che risuonò molto più vicino, potente e terribile; perfino gli uccelli avevano smesso di cantare, seguito dai nuovi bisbigli allarmati dei presenti appena ebbe finito di echeggiare tra le montagne. “Quale razza di forza della natura può generare un suono simile?”, mi chiesi.
« Di nuovo! Lo avete sentito? »
« Il prossimo prigioniero, ho detto! » ringhiò la donna.
Il giovane Imperiale mi guardò e mi indicò di andare, intimandomi anche “senza fare scherzi”. « Sul ceppo, prigioniera. »
Era giunto il momento, ormai non potevo fare più niente.
Dopo qualche istante di esitazione, contando e assaporando i miei ultimi attimi, come mossi il primo passo temetti che le gambe non mi avrebbero retto. Mi mancavano le forze, gli occhi bruciavano e la vista mi si era appannata, dalla rabbia, dall’angoscia, dalla disperazione... poi, in qualche modo mi accorsi che gli occhi vitrei di Ulfric erano ancora una volta puntati su di me, e probabilmente non mi perse di vista per tutta la scena che seguì.
Avanzai lentamente all’ombra della torre. Il cadavere del condannato precedente fu fatto scivolare al fianco del ceppo, inciampai sulla sua gamba, poi la donna mi costrinse a inginocchiarmi come già aveva fatto con quello sfortunato ragazzo, puntando il suo sporco stivale sulla mia schiena per spingermi in avanti. Con un tonfo sbattei la testa sulla pietra bagnata dal sangue, e la vista mi si annebbiò ulteriormente.
Era il momento. Tutto sarebbe finito lì, nell’istante in cui l’ascia avrebbe reciso la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa. Tutto stava finendo prima ancora che cominciasse. Avevo sentito dire spesso che sul punto di morte la vita ti scorre davanti agli occhi; non sapevo se crederci, ma in quel momento non sentii e non vidi assolutamente nulla. Avevo compiuto vent’anni che da poche settimane, ed ero sempre vissuta alla fattoria dei miei genitori. Il mio desiderio era stato esplorare il continente, quando invece mi attendeva l’eterno riposo in Aetherius senza che la mia vita avesse potuto davvero cominciare. La donna mi scostò i capelli per esporre il mio collo, il boia si preparò a sollevare una seconda volta la sua lugubre ascia d’ebano, guardandomi attraverso le fessure strappate del suo cappuccio tetro identico alla morte.
Eppure…
La frontiera ormai era lontana e stavamo ancora attraversando la pineta che copriva le montagne, con i raggi del sole che ci illuminavano a stento, trapelando tra i fitti rami degli alberi. A parte il cocchiere, sul carro c’eravamo io e altre tre persone, tutti prigionieri delle guardie Imperiali.
La notte era trascorsa lenta sul carro immerso nel gelo pungente; quando avevo riaperto gli occhi ero stata accolta da una forte nausea. Una delle ruote doveva aver urtato qualche pietra che sporgeva in mezzo alla strada, facendoci sobbalzare tutti, e sollevai la testa per guardare gli altri prigionieri: li avevano arrestati con l’accusa di essere dei ribelli, proprio mentre stavo attraversando il confine. Mi ero trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, per questo gli Imperiali dovevano aver pensato che fossi insieme a loro.
Le mie mani avevano assunto una preoccupante rigidità, con un colorito più pallido e sfumature violacee alle dita; le portai alla bocca e cominciai a scaldarle come meglio potevo per fargli riacquisire un po’ di sensibilità. Sentivo anche un gran bisogno di alzarmi e distendere le gambe...
Solo fino a non molte ore prima ero ancora a Cyrodiil, mentre adesso mi trovavo con le mani legate, seduta su un vecchio carro scomodo e scricchiolante diretto verso una città a me del tutto sconosciuta in un luogo del tutto sconosciuto, dove gli Imperiali mi avrebbero sicuramente processata. Avevo avuto l’intenzione di venire a Skyrim in cerca di un po’ di fortuna: ero nata e cresciuta a Cyrodiil, la Provincia Imperiale e il cuore cosmopolita dell’Impero, dove le antiche generazioni Nibeane della mia famiglia, da parte di mia madre, erano sempre vissute lì. Fin da bambina avevo sognato di diventare un’avventuriera, per le favole Nord che mio padre mi raccontava sempre prima di addormentarmi; spinta dalla passione che quelle storie mi avevano infuso, mi ero separata dalla mia casa per andare per andare in cerca di nuovi orizzonti da esplorare. Volevo conoscere nuove persone, scoprire nuovi luoghi e nuove culture, ma la guerra mi aveva ingannata. È sempre stato difficile avere un periodo di pace a Tamriel.
L’imboscata era avvenuta al tramonto, lungo la strada principale a pochi passi oltre la frontiera, mentre mi stavo dirigendo verso nord in cerca di un luogo sicuro in cui accamparmi per la notte. Gli Imperiali mi avevano tolto tutto, non che avessi avuto molto, ero partita da casa poco più di una settimana prima e avevo fatto una sosta di un paio di giorni presso Bruma, per cui avevo preferito viaggiare leggera almeno finché non avessi trovato una sistemazione più solida a Skyrim. Ma i miei vestiti, il mio cavallo, e quel poco di monete che mi ero portata dietro erano spariti, sostituiti da una veste sudicia e puzzolente con delle fasce per i piedi. Skyrim era una regione nordica, nonché la più aspra del continente, e quegli stracci non sarebbero serviti a proteggermi dal freddo. Per la notte ci avevano consegnato delle coperte più simili ai medesimi stracci che indossavo, ma nonostante l’umido assiderante e la posizione scomoda ero incredibilmente riuscita a dormire per qualche ora – nonostante spesso fosse più un dormiveglia.
Me ne stavo in silenzio ad osservare il paesaggio che mi circondava. Ormai stavo cominciando a stufarmi di vedere la stessa natura che si ripeteva, a percepire la stessa monotonia, lo stesso silenzio teso che ci avvolgeva, la stessa selvaggina che s’incontrava di tanto in tanto, lo stesso profumo della linfa di pino tra gli alberi… ma sapevo anche che sarebbero molto probabilmente state le ultime cose belle che i miei occhi avrebbero visto.
Uno dei prigionieri, quello che mi era seduto di fronte, un Nord dai boccoli sporchi e disordinati di un biondo brillante che gli ricadevano sulle spalle, rinvolto in un’uniforme in cotta di maglia e pelliccia con un mantello blu sistemato attorno al collo, alzò la testa verso di me, mi guardò per qualche attimo, mi sorrise e mi parlò.
« Ehi, mi sembra che tu abbia l’aria smarrita. Non sei di queste parti, vero? » Il suo tono era giovane, ma la barba incolta, lo sporco sul viso che ne metteva in risalto i lineamenti duri e le poche cicatrici che lo ricoprivano lo facevano sembrare più vecchio di parecchi anni.
Anche se ero profondamente assorta nei miei pensieri, rapita dalla bellezza lussureggiante di quel luogo talmente umido e inospitale quasi quanto le paludi della Foresta Nera, fui richiamata dal suono pacato della sua voce, così distolsi lo sguardo dagli alberi per puntarlo su quello azzurro del Nord. « Qualcuno per caso ha detto “Che Talos vi benedica” a uno di quei maledetti elfi? »
L’uomo mi guardò ancora ed esalò una breve risata.
« Stavi giungendo dal confine, quindi sei appena giunta a Skyrim, vero? » aggiunse, senza abbandonare il sorriso leggero.
« Infatti. E devo dire che non è stata proprio la piacevole accoglienza come mi sarei aspettata... »
Lui approvò con la testa, poi abbassò il capo e sospirò. « Mi spiace che ti sia ritrovata in questa situazione. Anche noi siamo finiti dritti in quell’imboscata Imperiale, proprio come lui. » Indicò con un cenno il prigioniero che gli sedeva accanto, un uomo dai capelli castani, mingherlino e dall’aspetto malnutrito, vestito di stracci come me. S’intravedevano dalla coperta che si stringeva indosso come meglio poteva per pararsi dal freddo, e non stava tirando neanche un filo di vento.
L’ultimo prigioniero che era insieme a noi, il Nord che mi stava seduto alla destra, sfoggiava invece una corporatura decisamente più corpulenta e robusta che a confronto mi sentivo una bambina, con un volto dai lineamenti decisi e maturi irrigiditi dal freddo e incorniciati da una criniera di capelli crespi, di un colore a cavallo tra il castano chiaro e il biondo cenere, ornati da qualche treccia. Gli occhi erano vitrei, ridotti a fessure dall’evidente irritazione che trapelava. Indossava una nobile veste con un ampio mantello in pelliccia d’orso.
Non sapevo dire all’incirca che età avesse, ma a vederlo sembrava superare di poco la quarantina. Oltre ad essere legato alle mani era pure imbavagliato, anche se in quel momento non ne capii il motivo. Era completamente impassibile, lo sguardo carico di odio e rabbia.
Non potei fare a meno di osservarlo con più curiosità: non appena lui se ne rese conto e i nostri sguardi s’incrociarono, mi sentii come se la mia anima fosse stata perforata da una lama affilata, come un pezzo di ghiaccio trafitto dal caldo ardente del metallo. Fu facilissimo rimanere affascinata da lui, e mi chiesi cosa mai volessero significare quegli occhi così taglienti verso di me.
« Dannati Manto della Tempesta », mormorò il prigioniero vestito di stracci in risposta al soldato, rompendo la breve e surreale magia che si era instaurata tra me e quel Nord imponente. « A Skyrim andava tutto tranquillo prima del vostro arrivo. Nell’Impero regnavano pace e tranquillità! Se non ti stavano alle costole avrei potuto rubare quel cavallo ed essere già a metà strada per Hammerfell... » Poi si girò verso di me: « Ehi, tu. Noi… non dovremmo essere qui, l’Impero vuole questi Manto della Tempesta! »
“E tu, che volevi rubare il mio cavallo?”, pensai irritata. « Manto della Tempesta? » chiesi confusa.
« Ormai siamo tutti fratelli e sorelle in catene », ringhiò il soldato seduto davanti a me, puntando lo sguardo avanti, verso la strada che stavamo percorrendo.
Aggrottai risentita la fronte e lo guardai. « Io sono un’Imperiale proveniente da Cyrodiil, non sono la sorella di nessuno qui. Soprattutto dopo che mi hanno arrestata per colpa vostra », replicai.
Non ero molto a conoscenza degli eventi che si stavano susseguendo a Skyrim in quel periodo, sapevo solo che c’era una nuova guerra in corso, ma non sapevo nello specifico chi o cosa trattasse. Il viaggio mi aveva tenuto lontana dalle notizie che giungevano dal resto dell’Impero; perfino quando ero a Bruma non ci avevo prestato attenzione, occupata com’ero a pianificare la marcia da seguire per raggiungere il villaggio più vicino una volta superata la frontiera.
« Silenzio là dietro! » si udì esclamare improvvisamente.
Il silenzio aleggiò per alcuni attimi. Poi, senza badare a ciò che la guardia che guidava il carro aveva ordinato, il prigioniero vestito di stracci parlò di nuovo e rivolse l’attenzione sul Nord imbavagliato.
« E lui che problema ha, eh? » Anch’io ero curiosa di sapere chi fosse e cosa ci facesse.
L’imponente uomo si girò a fissarmi per un attimo, poi diede uno sguardo acuto al prigioniero che aveva osato rivolgersi a lui in quel modo così sfacciato.
« Vedi di tenere a freno la lingua », lo rimbeccò il soldato. « Stai parlando di Ulfric Manto della Tempesta, il legittimo Re dei Re di Skyrim! » proseguì, scandendo le parole con tono quasi minaccioso.
Il prigioniero rimase a bocca aperta a quella rivelazione, e fu costretto ad abbassare lo sguardo. « Ulfric? Lo Jarl di Windhelm? Allora… sei tu il capo della ribellione! Ma se ti hanno catturato… Oh Dei, dove ci stanno portando? »
Cominciai a sentirmi un po’ più inquieta. Già il fatto di essere stata arrestata insieme a un gruppo di ribelli credendo di essere in combutta con loro non mi avrebbe permesso di scampare alla prigione tanto facilmente, neanche spiegando che in realtà ero innocente e che si era trattato di un malinteso: non ne avevo le prove e la mia famiglia era lontana miglia e miglia. E se anche Ulfric, il capo della ribellione, era stato catturato, la sentenza per noi difficilmente si sarebbe limitata a una semplice prigionia a vita. L’accusa di alto tradimento nei confronti dell’Impero e dell’Imperatore contemplava ben altra sorte.
« Non so dove stiamo andando », replicò il soldato, riprendendo a guardare avanti. « Ma Sovngarde ci attende. »
Le mura della fortezza in cui eravamo diretti erano ormai in vista tra gli alberi bianchi. Stavamo percorrendo una lunga discesa, e temevo che il carro si sarebbe ribaltato da quanto era ripida.
« No, non può essere vero, non può… », tremò il prigioniero vestito di stracci. Potei vederlo portarsi le mani alla bocca e iniziare quasi a mangiucchiarsi le unghie da quanto i denti gli battevano.
Seguirono alcuni istanti di un silenzio insopportabilmente opprimente; tutti noi ci voltammo a guardare avanti e le parole furono sostituite dalla tensione. Udivo il rumore degli zoccoli dei cavalli pestare sulle dure pietre della strada, gli urti delle ruote contro i sassi che facevano dondolare tutto il carretto facendomi più volte rischiare di balzare giù dal sedile, i piagnucolii sommessi e disperati del brigante seguiti dagli sgridi sarcastici del soldato Nord, i rimproveri silenziosi di Ulfric. Stordire o spingere di sotto la guardia che guidava il carro per poi fuggire sarebbe stata solo questione di pochi e veloci attimi, ma non sarebbe stato facile farlo con la scorta di legionari ad accompagnarci. E io non avevo nessuna voglia di aggravare ulteriormente la mia situazione.
« Ehi, ladro di cavalli, chiudi un po’ la bocca e calmati. Dicci, da quale villaggio provieni? » fece alla fine il biondo con aria quasi divertita. Sembrava piuttosto in vena di parlare, come se la situazione e la sorte che ci attendeva non lo preoccupassero, e forse era anche meglio così; se non avesse avuto le mani legate, sicuramente gli avrebbe anche stretto un braccio attorno alle spalle.
L’uomo si strofinò il viso con un lembo della coperta e tirò su col naso, prima di volgere lo sguardo avvilito verso di lui. « Perché me lo chiedi? »
« Gli ultimi pensieri di un Nord dovrebbero essere rivolti alla sua casa e ai suoi cari »
« Rorikstead. Io… io vengo da Rorikstead », rispose, lento e flebile, dopo qualche attimo di esitazione.
Distolsi lo sguardo e lo puntai con malinconia verso la pineta. La mia casa, una modesta fattoria abbracciata dalle colline verdi e accarezzata dai venti miti del Nibenay, la mia famiglia... mia madre, mio padre, i miei fratelli e le mie sorelle, probabilmente non li avrei mai più rivisti. Non avrei più rivisto i caldi volti di nessuno di loro, almeno finché non mi avrebbero, forse, un giorno raggiunta a Sovngarde. Ero un’Imperiale, ma la mia fede e il mio cuore si volgevano anche a quel leggendario e meraviglioso luogo ultraterreno di cui tanto avevo sentito parlare nelle storie che mi aveva sempre raccontato mio padre.
Eravamo giunti alla città fortificata. Le pesanti ante di legno del portone si spalancarono per il nostro ingresso.
« Generale Tullius, signore! Il boia sta aspettando! » annunciò una guardia dalla sua postazione di vedetta.
« Bene, vediamo di concludere. »
Il carro avanzò lentamente all’interno delle mura, marciando ancora lungo la strada che si insinuava fra le abitazioni. La gente del posto era riunita ai margini, sporgendosi dalle verande o rimanendo in piedi sulla soglia delle loro case, a guardare incuriosita ma anche piena d’angoscia.
Poco più avanti al nostro c’erano altri due carri colmi di prigionieri, pronti per essere sbattuti nelle segrete o mandati al ceppo. Erano uno più terrorizzato dell’altro, anche se non si lasciavano prendere dal panico e affrontavano coraggiosamente la situazione: nella gran parte erano Manto della Tempesta, osservando le loro uniformi in cotta di maglia argentea con i lunghi mantelli blu. Non ero assolutamente certa di riuscire a scamparla, ma nel frattempo osservavo con ansia e interesse ciò che mi circondava. Skyrim era un posto molto diverso da Cyrodiil, sia come clima sia come architettura. Perfino Bruma non era così pungente a confronto, ed eravamo soltanto nelle regioni meridionali della provincia. Prestai attenzione alla situazione e all’ambiente; ancora una volta, tentare di fuggire non sarebbe servito a nulla, vedendo come il posto era gremito di legionari armati a sorvegliare la città, le mura e gli ingressi – non c’era da meravigliarsene, sapendo che lo Jarl di Windhelm era lì. “Fino a poco tempo fa le mura e le torri Imperiali mi facevano sentire al sicuro”, considerai tra me e me.
« Shor, Mara, Dibella, Kynareth, Akatosh. Divini, aiutatemi! » udivo frignare dal prigioniero vestito di stracci, non appena scorgemmo i legionari disposti in fila con le lunghe lance e gli archi in pugno, pronti ad ogni evenienza.
« Guarda il governatore militare, il Generale Tullius. E a quanto pare i Thalmor sono con lui… », commentò rabbiosamente il biondo, indicando con lo sguardo un punto abbastanza lontano verso le abitazioni che stavamo superando e che attirò la mia attenzione. « Maledetti elfi! Scommetto che c’entrano qualcosa. »
Vidi il Generale Imperiale in piedi, appena sceso da cavallo, scortato da una minuscola truppa e in compagnia di un gruppetto composto da alti uomini e donne con la pelle lucida e dorata, gli occhi chiari ed eleganti marcatamente a mandorla, i lineamenti nobili benché lievemente spigolosi, nasi dritti e sporgenti con la punta piuttosto affusolata. L’autorità elfica con la quale il Generale era intrattenuto sedeva aggraziata su uno stallone bianco, avvolta in una lunga uniforme nera ornata da rifiniture e fibbie in oro e gemme preziose, a marcare la sua altissima posizione nella gerarchia Aldmeri presente a Skyrim. Il che non mi sorprese, sapevo molto bene che gli Altmer esercitavano un potere piuttosto particolare ed influente sull’Impero, perfino più dell’Imperatore stesso. Il carro lì superò e presto furono lontani dal mio campo visivo.
« Questa è Helgen », disse all’improvviso il soldato Nord, interrompendo i miei pensieri. « Un tempo qui c’era una ragazza che mi era molto cara. Chissà se Vilod fa ancora quell’idromele con dentro le bacche di ginepro », sfoggiò un tono vagamente mesto, immerso nei ricordi, mentre un sorriso gli attraversava il viso solcato dalla fitta peluria chiara.
« Una storia finita male? » ne dedussi. Lui alzò brevemente le spalle e mantenne lo sguardo altrove.
Notai un bambino seduto sotto il portico della sua casa. « Chi sono, papà? Dove stanno andando? »
« Devi rientrare, piccolo », disse suo padre lì accanto a lui, afferrandolo per mano per farlo alzare.
« Perché? Voglio guardare i soldati »
« Entra in casa. Subito »
« Sì, papà… », sbuffò deluso il bambino, poi lo vidi sparire oltre la soglia.
« Facciamo scendere i prigionieri dai carri. Forza! »
« P-perché ci fermiamo? »
Fine della corsa. Il carro si fermò davanti a una parete alta proprio sotto le mura, in uno spazio grande, con le case comuni e la locanda che rimanevano poco più indietro, mentre in fondo, oltre l’arco di fianco a noi che non era altro che un ponticello che collegava una parte all’altra del camminamento della cinta muraria del forte Imperiale, c’era la torre con il patibolo ad attenderci.
« Secondo te? Fine del percorso… », rispose il soldato Nord. « Andiamo, non è cortese far attendere gli Dei. »
Le guardie ci ordinarono di scendere, facendoci disporre in file ordinate di fronte ai carri. « No, aspettate! Non sono un ribelle! Questo è un errore! » gridò il prigioniero vestito di stracci.
« Affronta la morte con coraggio, brigante », lo sgridò ancora una volta il biondo.
« Devi dirglielo, non eravamo con te! »
Fu in quel momento che il panico m’invase, stringendomi nella sua morsa, facendo prepotentemente scemare la calma apparente che avevo mantenuto fino ad allora... non ci avrebbero mai ascoltati.
Senza farmi vedere incrociai le dita e le nascosi sotto un lembo della veste sgualcita e iniziai a pregare, sussurrando nella maniera più flebile che riuscivo: « Azura… Kynareth… Akatosh… Stendarr… Kynareth… Meridia… Akatosh… Talos… aiutateci! » la mia voce era appena udibile per un orecchio attento.
Pregavo, invocavo a bassa voce... desideravo ardentemente che in qualche modo le divinità potessero ascoltarmi, che udissero la mia preghiera. « Stendarr, Dio della Misericordia e della Giustizia, non dovrei nemmeno essere qui; Kynareth, Dea del Cielo e dell’Aria… Akatosh, Dio del Tempo… Mara, Dea dell’Amore e della Compassione… Arkay, Dio protettore dell’Umanità. Il mio tempo non è ancora arrivato, non ho mai smesso di credere. Ti prego, aiutami! »
Una Imperiale in uniforme da ufficiale avanzò verso di noi, scortata da altri due legionari; « Avanzate verso il ceppo quando diciamo il vostro nome. Uno alla volta. »
Un soldato accanto a lei, chiaramente di basso rango a giudicare dall’uniforme semplice e l’aria giovane quasi da recluta, srotolò un lungo foglio di pergamena e iniziò a leggere i nomi dei prigionieri, spuntando poi con un carboncino quelli che man a mano venivano eliminati e mandati al patibolo.
« Oh, l’Impero adora le sue stramaledette liste », udii borbottare dal soldato Nord, ancora accanto a me.
“Io non ci sono su quella lista. Forse… c’è una speranza”.
Le fila di prigionieri diminuivano ogni attimo che passava, quando giunse il turno dei presenti sul mio carro: « Ulfric Manto della Tempesta, Jarl di Windhelm! »
Ulfric, girato di schiena davanti a me, iniziò ad allontanarsi avanzando a testa alta, fiero e dignitoso, verso la torre e fermandosi di fronte al ceppo, dove c’era il boia in attesa con l’ascia lucidata e affilata stretta nella mano. Lo Jarl sembrò non riserbare alcun timore nei propri occhi... quegli occhi limpidi e azzurri così tanto espressivi. Chinai lentamente il capo, e in silenzio sperai di ritrovare la sua anima a Sovngarde.
« È stato un onore, Jarl Ulfric! » gridò pieno d’orgoglio il biondo.
« Ralof di Riverwood! » E anche lui ci lasciò, e il suo nome venne spuntato dalla lista. « Lokir di Rorikstead! », fu rivolto adesso al brigante.
« No, non sono un ribelle! Non potete farmi questo! » In preda al panico, e senza neanche tenere in considerazione la scorta di soldati da cui eravamo circondati, si precipitò lungo la strada che avevamo appena percorso, verso l’agognata uscita da quell’incubo. « Non voglio morire! »
« Alt! ARCIERI! » ordinò l’ufficiale.
I legionari posizionarono i loro archi lunghi e scoccarono ognuno una freccia che si andò a conficcare come un aculeo d’istrice nella schiena del povero Lokir, che franò a terra con un urlo straziato mentre il sangue cominciava a sgorgare dalla sua schiena, ritrovandosi con la faccia rivolta verso il gelido piastrellamento della strada.
Ero rimasta sola.
« Qualcun altro vuole discutere? » ringhiò l’ufficiale in tono alterato e chiaramente infastidito, girandosi di nuovo verso di noi con le mani poggiate sulla vita corazzata.
Nome dopo nome, tutte le persone prigioniere poco a poco si ritrovarono di fronte al patibolo o spedite nelle segrete, attendendo con impazienza, coraggio e terrore la loro fine.
« Bene, vediamo di chiudere questa storia una volta per tutte », concluse infine l’ufficiale, poggiando una mano sul pomo della sua spada rinfoderata mentre si apprestava a muovere i primi passi per avviarsi alla torre.
« Aspettate, Capitano », esclamò subito il legionario accanto a lei e bloccandola con il passo a mezz’aria, la pergamena ancora srotolata in mano e indicando poi me con lo guardo. Il mio cuore accelerò il ritmo del proprio battito: si era accorto che non ero sull’elenco. « Ehi, tu. Vieni avanti. … Chi sei? Come ti chiami? »
Dissi il mio nome. Dissi che venivo dalla Contea di Cheydinhal, sperando che avessero avuto pietà per me e riconosciuto che non avevo nulla a che vedere con la guerra, che ero solo poco più che una ragazzina, lontana da casa e vittima di un terribile equivoco. E non appena feci sentire la mia voce, subito avvertii lo sguardo di Ulfric voltarsi verso di me.
Conosceva i nomi di tutti quelli che erano stati chiamati in precedenza; sudditi, amici e soldati che avevano combattuto al suo fianco per la libertà della loro patria, ma il mio gli era completamente nuovo. Le mie mani tremavano, il mio viso era pallido come la morte che mi attendeva, il cuore mi martellava nel petto, ma tenni la testa alta e la voce più ferma che potevo.
Ulfric aveva dimostrato il suo coraggio senza opporre resistenza, né ai Thalmor né agli Imperiali, ma non avrei voluto buttare via i preziosi ultimi momenti che mi restavano senza rigettare tutto il mio rammarico a persone che non avevano a cuore il loro popolo. Ma decisi di trattenermi.
« Hai scelto un pessimo momento per venire a Skyrim. Non lo sapevi della guerra in corso? Come mai sei così lontana dalla tua casa? » Nonostante il tono alto con cui parlò, negli occhi del giovane non vi era alcuna traccia di ostilità.
« Pensavo che Skyrim potesse essere una buona meta per costruirmi un futuro. Forse non sarò stata una bravissima cittadina dell’Impero, giacché questa fortuna che speravo di trovare non mi ha accolto, ma non credo nemmeno di aver fatto qualcosa di talmente grave da meritarmi perfino… questo. »
Seguirono lunghi attimi di tensione, e di riflessione. L’uomo ripercorse i nomi che aveva appena letto sulla pergamena più e più volte e con espressione sempre più perplessa, poi guardò verso l’ufficiale.
« Capitano, cosa ne facciamo? Non è sulla lista », considerò preoccupato.
« Lascia perdere la lista, lei va al ceppo », ma gli rispose lei con chiaro disinteresse.
« Ma, signora, come possiamo… »
« Non m’importa se non è sull’elenco. Ho detto che finisce sul ceppo, come gli altri »
« Ho capito. Sarà fatto secondo i vostri ordini… Mi dispiace, e per di più non avrai nemmeno occasione di morire nella tua terra natia. Faremo in modo che i tuoi resti saranno riportati ai tuoi cari, a Cyrodiil. Ora segui il Capitano, prigioniera. E niente scherzi », disse infine il soldato, guardandomi con tristezza, forse perché aveva perfettamente capito la mia situazione e non poteva fare altro per scagionarmi.
La donna si mosse e io lentamente la seguii con occhi bassi, verso la piccola massa di prigionieri che attendeva davanti al ceppo. Muovevo con difficoltà i piedi uno avanti all’altro da tanto le gambe mi tremavano, un groppo in gola tremendamente doloroso da districare e incapace di realizzare che l’Impero mi aveva condannata senza tante indagini.
Quando tutti furono sistemati, il Generale Tullius si avvicinò a Ulfric, gli si fermò davanti e lo scrutò da cima a fondo, nonostante fosse più basso del Nord di almeno una ventina di centimetri, per poi pronunciare con ira e disprezzo, senza lasciarsi intimidire dalla sua stazza disarmante: « Ulfric Manto della Tempesta. Qualcuno qui a Helgen ti chiama “eroe”. Ma un eroe non usa un potere come quello della Voce per uccidere il suo Re e usurparne il trono. »
Il Nord cercò di ribattere, borbottando sottovoce, ma non poté aprire la bocca a causa della benda che gliela fermava, ma potei chiaramente udire che tentava di sputare veleno contro l’ingiustizia che stava per ricevere.
Se solo gli sguardi fossero stati in grado di uccidere... Il modo con cui lo Jarl di Windhelm fulminò l’anziano uomo fu terrificante, scaricandogli addosso tutto il suo indicibile odio. « Tu hai scatenato questa guerra, hai gettato Skyrim nel caos e ora l’Impero ti sconfiggerà per riportare la pace! » proseguì Tullius senza badargli. Ma prima che il Generale potesse aggiungere altre parole crude, nell’aria risuonò uno strano rumore.
Una specie di lamento, ruggito o un grido lontano. Tutti i presenti alzarono la testa verso il cielo parzialmente nuvoloso; era un suono che non mi era familiare a nessun animale, creatura o entità che avevo conosciuto prima di allora.
« Cos’è stato? » chiese qualcuno, da qualche parte accanto a noi. Dalla voce riconobbi che era il legionario Imperiale che fino a poco prima aveva scorso la lista dei prigionieri.
« Non è assolutamente nulla che valga la nostra attenzione. Avanti, procediamo »
« Sì, Generale Tullius. Amministrate loro gli ultimi riti », rispose il Capitano, facendo poi spazio a una sacerdotessa rinvolta in una lunga tunica color corda e il cappuccio calato che le nascondeva parte del volto.
Si posizionò di fronte a noi, alzò le braccia e iniziò a recitare una preghiera. « Raccomandiamo le vostre anime ad Aetherius, che la benedizione degli Otto Divini vi accompagnino, perché voi siete il sale della terra di Nirn, il nostro amato… »
« Per l’amor di Talos! Fa’ silenzio e facciamola finita! »
Un Manto della Tempesta la interruppe bruscamente e incominciò ad avanzare verso il ceppo. Era tipicamente biondo come la gran parte dei Nord ma, soprattutto, era giovane… fin troppo giovane. Doveva avere non più di ventitré anni. Il cuore mi martellava nelle orecchie.
« Come desideri », acconsentì lei facendosi da parte.
Il soldato urtò volutamente con la spalla il governatore militare quando gli passò accanto; giurandolo a stento, credetti di aver visto il ragazzo attenersi a una risata derisoria. « Coraggio, non ho tutta la mattina! » ringhiò spazientito. Aveva fretta di arrivare a Sovngarde?
L’ufficiale, la donna Imperiale, lo fece inginocchiare a forza e col piede lo spinse a stendersi sul piano del ceppo.
« I miei antenati mi sorridono benevoli, Imperiali, potete forse dire lo stesso? » Mi meravigliai nell’udire quanto la sua voce fu incredibilmente calma, priva di ogni preoccupazione, paura o esitazione. Il boia sollevò la lunga ascia al cielo e con un unico e violento colpo, accompagnato da un gesto di affaticamento dovuto alla pesantezza dell’arma, decapitò il Nord.
La sua testa rotolò giù, andando a finire in un secchio subito ai piedi del patibolo, mentre il sangue iniziava a sgorgare a fiotti dal suo collo aperto. Era davvero quella la mia fine?
« Spavaldo nella morte come in vita », commentò a voce bassa Ralof, ma nel breve silenzio che calò sulla piazza si udì chiaramente.
Mi stava proprio accanto: evidentemente notò la mia espressione sconvolta, perché si girò verso di me, mi diede una leggera spallata e mi fece l’occhiolino.
Subito dalla folla dei prigionieri si levarono urla di protesta, contrastate dagli abitanti di Helgen che erano fedeli all’Impero:
« Bastardi Imperiali! »
« Giustizia! »
« Fate silenzio! » sbottò l’ufficiale, e quasi all’istante piombò un profondo silenzio uggioso. « Avanti, il prossimo. Portatemi la ragazza Imperiale! »
Di nuovo l’aria si riempì dello stesso identico strano suono di poco prima, che risuonò molto più vicino, potente e terribile; perfino gli uccelli avevano smesso di cantare, seguito dai nuovi bisbigli allarmati dei presenti appena ebbe finito di echeggiare tra le montagne. “Quale razza di forza della natura può generare un suono simile?”, mi chiesi.
« Di nuovo! Lo avete sentito? »
« Il prossimo prigioniero, ho detto! » ringhiò la donna.
Il giovane Imperiale mi guardò e mi indicò di andare, intimandomi anche “senza fare scherzi”. « Sul ceppo, prigioniera. »
Era giunto il momento, ormai non potevo fare più niente.
Dopo qualche istante di esitazione, contando e assaporando i miei ultimi attimi, come mossi il primo passo temetti che le gambe non mi avrebbero retto. Mi mancavano le forze, gli occhi bruciavano e la vista mi si era appannata, dalla rabbia, dall’angoscia, dalla disperazione... poi, in qualche modo mi accorsi che gli occhi vitrei di Ulfric erano ancora una volta puntati su di me, e probabilmente non mi perse di vista per tutta la scena che seguì.
Avanzai lentamente all’ombra della torre. Il cadavere del condannato precedente fu fatto scivolare al fianco del ceppo, inciampai sulla sua gamba, poi la donna mi costrinse a inginocchiarmi come già aveva fatto con quello sfortunato ragazzo, puntando il suo sporco stivale sulla mia schiena per spingermi in avanti. Con un tonfo sbattei la testa sulla pietra bagnata dal sangue, e la vista mi si annebbiò ulteriormente.
Era il momento. Tutto sarebbe finito lì, nell’istante in cui l’ascia avrebbe reciso la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa. Tutto stava finendo prima ancora che cominciasse. Avevo sentito dire spesso che sul punto di morte la vita ti scorre davanti agli occhi; non sapevo se crederci, ma in quel momento non sentii e non vidi assolutamente nulla. Avevo compiuto vent’anni che da poche settimane, ed ero sempre vissuta alla fattoria dei miei genitori. Il mio desiderio era stato esplorare il continente, quando invece mi attendeva l’eterno riposo in Aetherius senza che la mia vita avesse potuto davvero cominciare. La donna mi scostò i capelli per esporre il mio collo, il boia si preparò a sollevare una seconda volta la sua lugubre ascia d’ebano, guardandomi attraverso le fessure strappate del suo cappuccio tetro identico alla morte.
Eppure…
Come un miracolo mandato dal Cielo, successe qualcosa di puramente inaspettato che mi salvò da quella stramaledetta situazione.
Da dietro la sua figura nera vidi comparire un’altra sagoma oscura, in volo e che ruggiva.
« Sentinelle! Cosa vedete? » esclamò il Capitano.
« È tra le nuvole!... » la risposta impaurita giunse dopo alcuni attimi confusi.
Il boia, incapace di sollevare la sua spaventosa arma, fu catturato nella visione di ciò che si aggrappò con un boato sul bordo della sommità della torre, reggendosi con gli artigli uncinati delle lunghe braccia palmate alle pietre.
« Per l’Oblivion! Che razza di diavoleria è mai questa?! » udii esclamare dal Generale Tullius, incredulo e impressionato, da qualche parte alle mie spalle.
« Per gli Dei! Un drago! » gridò terrorizzato qualcuno. « Ma come…? »
La creatura rimase a fissarci per un istante: era enorme, ricoperta di scaglie e spuntoni neri come il carbone, la testa era sormontata da due magnifiche corna ricurve, lunghe e acuminate, i suoi grandi artigli affilati avrebbero fatto intimidire perfino la bestia più feroce di tutta Tamriel, e dalle narici il suo respiro caldo generava nubi a contatto con l’aria fredda.
Ringhiò qualcosa, come in una sorta di lingua; inspirò, e dalle sue fauci fuoriuscì un’immensa onda d’urto che risuonò come un assordante tuono e il cielo si fece improvvisamente scuro. Le nuvole presero vorticosamente a girare e una tempesta di meteoriti iniziò a propagarsi sulla città come una pioggia infuocata. Tutti i presenti arretrarono bruscamente quando l’onda eterea li investì, sguainando poi ognuno gli archi o le spade.
« Non rimanete lì a guardare! Uccidiamo quella cosa! » gridò Tullius, benché con un chiaro velo d’insicurezza.
Quell’incredibile e misteriosa forza investì anche me nella sua traiettoria, facendomi stordire e girare la testa, quando ritrovai appena la forza per sollevare di poco il busto. Il drago lanciò un secondo potente ruggito, si staccò dalla torre spiegando gli ampi arti anteriori che erano le sue ali e si perse nella coltre di fumo che aveva oscurato il sole. La tempesta di meteoriti che la creatura aveva scatenato si era già dissolta. Pochi istanti bastarono, e la città era ridotta in macerie e roghi sparsi. Gli Imperiali si occuparono a inseguire e a mirare al drago, così che io, non appena la confusione cominciò a diradarsi e le immagini tornarono a essere un po’ più nitide, potei trovare l’opportunità di alzarmi.
« Forza, alzati e andiamo! Gli Dei non ci concederanno una seconda possibilità! » mi spronò una voce familiare.
Vidi il volto ancora leggermente confuso di Ralof accanto a me, Ulfric era oltre le sue spalle insieme ad altri pochi compagni d’armi e stava correndo a rifugiarsi nella torre sulla parte opposta della piazza. « Da questa parte! »
Mi aiutò a mettermi in piedi sorreggendomi per le braccia. Per un attimo barcollai, poi insieme ci affrettammo a unirci agli altri senza pensarci due volte per toglierci da quell’inferno.
« Per i Nove! » esclamò, non appena fummo al sicuro nell’interno della torre. Vidi che si erano già liberati delle corde che gli fermavano i polsi e lo Jarl poteva di nuovo parlare. « Quello… era davvero un drago! Che le leggende siano vere? »
« Le leggende non bruciano i villaggi e le città », considerò Ulfric massaggiandosi i polsi segnati dalle corde, poi notò che io mi trovavo ancora impedita. « Ralof, aiutami a vedere se c’è un pugnale o qualcos’altro qui da qualche parte per liberare questa ragazza. »
Ma dopo alcuni attimi di ricerca, Ralof scosse sconfitto la testa. « Spiacente, non riesco a trovare niente che ci possa essere utile, qui… », mormorò, ma subito mi rassicurò con un sorriso bonario. « Beh, non preoccuparti. Resta con noi e troveremo una soluzione a tutto »
« Dobbiamo muoverci, ora! » s’affrettò Ulfric.
« Su per la torre, avanti », spronò Ralof, cominciando poi a correre su per le scale. « Da questa parte! Avanti! »
Ci dirigemmo tutti insieme verso la sommità della torre, anche se non era facile salire a corsa con le mani legate senza rischiare di inciampare o di cadere. Ma giunti a poco più di metà scala, una parte della parete esplose improvvisamente, i massi schizzarono a terra andando a schiacciare due dei nostri compagni, e io mi ritrovai di fronte al grosso muso sbuffante del drago, talmente grande che neanche un intero carro sarebbe riuscito a contenerlo. A causa dei polsi fermati che non mi consentirono di mantenere l’equilibrio né di aggrapparmi a qualcosa, impacciata com’ero rischiai di precipitare nel vuoto che si apriva oltre il ciglio della scalinata, ma per fortuna mi accucciai in tempo per riacquisire stabilità.
La bestia mi guardò con infinita crudeltà e un’aura di supremazia quasi divina. I suoi spaventosi occhi rossi brillavano come rubini e le sue squame erano dure e lucenti da sembrare lamine di scudi, e dalla sua bocca digrignante, così come dalle narici, fuoriuscivano nastri di fumo denso mischiato alle scintille ardenti.
Era un animale infernale, tuttavia maestoso, fiero ed elegante. Non so se fu solamente una mia impressione, ma vidi il drago scoprire ancor più i denti quasi in una sorta di ghigno.
« Hin sil fen nahkip bahloki, Dovahkiin! Zu’u lost daal! » ringhiò.
Parlava?
Poi inspirò e mi lanciò contro un getto di fuoco che riuscii a schivare appena in tempo e a ripararmi dietro un pilastro, poi richiuse le fauci e riprese il volo. La torre tremò al suo spostamento e temetti che a momenti avrebbe ceduto.
« Tutto bene, mio Jarl? » disse Ralof aiutando Ulfric a rialzarsi.
Ci eravamo ritrovati in mezzo a un mucchio di macerie e ceneri ancora infuocate, sull’orlo della scalinata, con il rischio costante di precipitare sul fondo della torre.
« Sto bene, ma ora non perdiamo altro tempo. Forza! Prima che il drago rada al suolo la torre! »
Non persi un secondo di più e mi affrettai a raggiungere i due Nord che erano corsi ad affacciarsi al buco nella parete aperto dal drago, evitando e scavalcando i massi che ingombravano il passaggio.
« Vedi la locanda dall’altra parte? » mi sussurrò lo Jarl. « Quella è la nostra via d’uscita. Tu e Ralof andate avanti. Una volta che avrete attraversato le abitazioni adiacenti sarete proprio di fronte all’edificio principale. Rifugiatevi lì dentro e fuggite dai sotterranei, più sicuri dalla minaccia del drago. Tutto chiaro? Avanti, svelti. »
Osservando meglio il panorama disastrato che si apriva sotto i nostri occhi, lì per lì credetti di non aver capito bene.
« Come facciamo? » chiesi.
« Saltate », rispose Ulfric, come se fosse la cosa più normale che potessimo fare.
Io lo guardai accigliata. “Questo è matto.”
« Non c’è più tempo per esitare, andate e continuate a correre! » ripeté in ordine, notando la mia perplessità e spingendomi leggermente in avanti per spronarmi. « Ci ritroveremo più tardi. Che Talos vi protegga. »
Ralof mi agguantò saldamente per un braccio e mi trascinò insieme a lui giù dalla torre, atterrando sulla paglia che rimaneva del tetto della locanda, dopodiché cercammo di aprirci un varco nel caos che ancora divampava tra le macerie fumanti e quelle ancora in fiamme delle botteghe e delle abitazioni, fra i corpi bruciati che giacevano sui pavimenti e sulle strade.
Da dietro la sua figura nera vidi comparire un’altra sagoma oscura, in volo e che ruggiva.
« Sentinelle! Cosa vedete? » esclamò il Capitano.
« È tra le nuvole!... » la risposta impaurita giunse dopo alcuni attimi confusi.
Il boia, incapace di sollevare la sua spaventosa arma, fu catturato nella visione di ciò che si aggrappò con un boato sul bordo della sommità della torre, reggendosi con gli artigli uncinati delle lunghe braccia palmate alle pietre.
« Per l’Oblivion! Che razza di diavoleria è mai questa?! » udii esclamare dal Generale Tullius, incredulo e impressionato, da qualche parte alle mie spalle.
« Per gli Dei! Un drago! » gridò terrorizzato qualcuno. « Ma come…? »
La creatura rimase a fissarci per un istante: era enorme, ricoperta di scaglie e spuntoni neri come il carbone, la testa era sormontata da due magnifiche corna ricurve, lunghe e acuminate, i suoi grandi artigli affilati avrebbero fatto intimidire perfino la bestia più feroce di tutta Tamriel, e dalle narici il suo respiro caldo generava nubi a contatto con l’aria fredda.
Ringhiò qualcosa, come in una sorta di lingua; inspirò, e dalle sue fauci fuoriuscì un’immensa onda d’urto che risuonò come un assordante tuono e il cielo si fece improvvisamente scuro. Le nuvole presero vorticosamente a girare e una tempesta di meteoriti iniziò a propagarsi sulla città come una pioggia infuocata. Tutti i presenti arretrarono bruscamente quando l’onda eterea li investì, sguainando poi ognuno gli archi o le spade.
« Non rimanete lì a guardare! Uccidiamo quella cosa! » gridò Tullius, benché con un chiaro velo d’insicurezza.
Quell’incredibile e misteriosa forza investì anche me nella sua traiettoria, facendomi stordire e girare la testa, quando ritrovai appena la forza per sollevare di poco il busto. Il drago lanciò un secondo potente ruggito, si staccò dalla torre spiegando gli ampi arti anteriori che erano le sue ali e si perse nella coltre di fumo che aveva oscurato il sole. La tempesta di meteoriti che la creatura aveva scatenato si era già dissolta. Pochi istanti bastarono, e la città era ridotta in macerie e roghi sparsi. Gli Imperiali si occuparono a inseguire e a mirare al drago, così che io, non appena la confusione cominciò a diradarsi e le immagini tornarono a essere un po’ più nitide, potei trovare l’opportunità di alzarmi.
« Forza, alzati e andiamo! Gli Dei non ci concederanno una seconda possibilità! » mi spronò una voce familiare.
Vidi il volto ancora leggermente confuso di Ralof accanto a me, Ulfric era oltre le sue spalle insieme ad altri pochi compagni d’armi e stava correndo a rifugiarsi nella torre sulla parte opposta della piazza. « Da questa parte! »
Mi aiutò a mettermi in piedi sorreggendomi per le braccia. Per un attimo barcollai, poi insieme ci affrettammo a unirci agli altri senza pensarci due volte per toglierci da quell’inferno.
« Per i Nove! » esclamò, non appena fummo al sicuro nell’interno della torre. Vidi che si erano già liberati delle corde che gli fermavano i polsi e lo Jarl poteva di nuovo parlare. « Quello… era davvero un drago! Che le leggende siano vere? »
« Le leggende non bruciano i villaggi e le città », considerò Ulfric massaggiandosi i polsi segnati dalle corde, poi notò che io mi trovavo ancora impedita. « Ralof, aiutami a vedere se c’è un pugnale o qualcos’altro qui da qualche parte per liberare questa ragazza. »
Ma dopo alcuni attimi di ricerca, Ralof scosse sconfitto la testa. « Spiacente, non riesco a trovare niente che ci possa essere utile, qui… », mormorò, ma subito mi rassicurò con un sorriso bonario. « Beh, non preoccuparti. Resta con noi e troveremo una soluzione a tutto »
« Dobbiamo muoverci, ora! » s’affrettò Ulfric.
« Su per la torre, avanti », spronò Ralof, cominciando poi a correre su per le scale. « Da questa parte! Avanti! »
Ci dirigemmo tutti insieme verso la sommità della torre, anche se non era facile salire a corsa con le mani legate senza rischiare di inciampare o di cadere. Ma giunti a poco più di metà scala, una parte della parete esplose improvvisamente, i massi schizzarono a terra andando a schiacciare due dei nostri compagni, e io mi ritrovai di fronte al grosso muso sbuffante del drago, talmente grande che neanche un intero carro sarebbe riuscito a contenerlo. A causa dei polsi fermati che non mi consentirono di mantenere l’equilibrio né di aggrapparmi a qualcosa, impacciata com’ero rischiai di precipitare nel vuoto che si apriva oltre il ciglio della scalinata, ma per fortuna mi accucciai in tempo per riacquisire stabilità.
La bestia mi guardò con infinita crudeltà e un’aura di supremazia quasi divina. I suoi spaventosi occhi rossi brillavano come rubini e le sue squame erano dure e lucenti da sembrare lamine di scudi, e dalla sua bocca digrignante, così come dalle narici, fuoriuscivano nastri di fumo denso mischiato alle scintille ardenti.
Era un animale infernale, tuttavia maestoso, fiero ed elegante. Non so se fu solamente una mia impressione, ma vidi il drago scoprire ancor più i denti quasi in una sorta di ghigno.
« Hin sil fen nahkip bahloki, Dovahkiin! Zu’u lost daal! » ringhiò.
Parlava?
Poi inspirò e mi lanciò contro un getto di fuoco che riuscii a schivare appena in tempo e a ripararmi dietro un pilastro, poi richiuse le fauci e riprese il volo. La torre tremò al suo spostamento e temetti che a momenti avrebbe ceduto.
« Tutto bene, mio Jarl? » disse Ralof aiutando Ulfric a rialzarsi.
Ci eravamo ritrovati in mezzo a un mucchio di macerie e ceneri ancora infuocate, sull’orlo della scalinata, con il rischio costante di precipitare sul fondo della torre.
« Sto bene, ma ora non perdiamo altro tempo. Forza! Prima che il drago rada al suolo la torre! »
Non persi un secondo di più e mi affrettai a raggiungere i due Nord che erano corsi ad affacciarsi al buco nella parete aperto dal drago, evitando e scavalcando i massi che ingombravano il passaggio.
« Vedi la locanda dall’altra parte? » mi sussurrò lo Jarl. « Quella è la nostra via d’uscita. Tu e Ralof andate avanti. Una volta che avrete attraversato le abitazioni adiacenti sarete proprio di fronte all’edificio principale. Rifugiatevi lì dentro e fuggite dai sotterranei, più sicuri dalla minaccia del drago. Tutto chiaro? Avanti, svelti. »
Osservando meglio il panorama disastrato che si apriva sotto i nostri occhi, lì per lì credetti di non aver capito bene.
« Come facciamo? » chiesi.
« Saltate », rispose Ulfric, come se fosse la cosa più normale che potessimo fare.
Io lo guardai accigliata. “Questo è matto.”
« Non c’è più tempo per esitare, andate e continuate a correre! » ripeté in ordine, notando la mia perplessità e spingendomi leggermente in avanti per spronarmi. « Ci ritroveremo più tardi. Che Talos vi protegga. »
Ralof mi agguantò saldamente per un braccio e mi trascinò insieme a lui giù dalla torre, atterrando sulla paglia che rimaneva del tetto della locanda, dopodiché cercammo di aprirci un varco nel caos che ancora divampava tra le macerie fumanti e quelle ancora in fiamme delle botteghe e delle abitazioni, fra i corpi bruciati che giacevano sui pavimenti e sulle strade.
Da cittadina silenziosa e pacifica, Helgen si era in poco tempo trasformata in un putiferio, un concentrato di urla, grida e frecce che saettavano ovunque, con un’aria che odorava di fumo, cenere, legno bruciato… e a tratti di carne cotta. Vidi i soldati Imperiali morire uno dopo l’altro nel fuoco e nelle fauci della creatura.
« Che stai facendo? Spostati dalla strada! »
« Haming, vieni qui! » Notai il bambino che all’inizio sedeva sulla soglia della propria casa, ora distrutta, cercare di mettersi in salvo insieme a un gruppo di guardie Imperiali.
« Stai andando alla grande, piccolo… »
« Per gli Dei… State tutti indietro! » gridò qualcuno che era insieme a loro.
« Haming, devi venire qui! Ora!... Dammi la mano, ti tiro fuori da qui… »
« Nivahriin joorre! » ruggì il drago, in volo sopra di noi, e quasi subito dopo una nuova vampata ardente investì i bastioni della fortezza, propagandosi anche lungo la parete sottostante dove il gruppetto cercava di ripararsi. Presto li persi di vista, e con profonda amarezza supposi che il destino del bambino si sarebbe infine rivelato identico a quello di tutti gli altri abitanti e i legionari di Helgen. Il Generale Tullius e gli elfi, al contrario, sembravano spariti.
Le frecce che i soldati scagliavano contro la bestia parevano ramoscelli d’albero a confronto, frantumandosi contro la sua spessa corazza di scaglie. Cosa avrebbero dovuto fare per uccidere quel mostro?
« Ralof! Maledetto traditore, vattene! » esclamò un legionario, lo stesso che mi era più familiare e che aveva dimostrato compassione per la mia condanna.
Il Nord lo fulminò con lo sguardo: evidentemente dovevano conoscersi da anni, perché il tono e le occhiate che i due si scambiarono erano tipiche di chi un tempo era stato in buoni rapporti.
« Stiamo scappando, Hadvar. Stavolta non ci fermerai », ribatté Ralof.
« Bene. Spero che quel drago vi spedisca tutti a Sovngarde! »
A quel punto ci superò correndo e si diresse verso l’ingresso principale dell’edificio, sparendo all’interno insieme ad alcuni civili superstiti e qualche altro soldato.
« Tzè!... Avanti, andiamo », sbuffò il biondo, girandosi verso di me per guardarmi. Io e lui entrammo finalmente nella fortezza tramite un accesso secondario.
La sala che si apriva oltre l’anticamera si presentò deserta, piuttosto spaziosa e circolare, con un pregiato tappeto posizionato a losanga nel mezzo. L’aria era pesa e sapeva di chiuso. Ma l’ambiente era pressoché vuoto, con poche panche sistemate lungo le pareti ornate da dei vecchi stendardi Imperiali, che benché fossero polverosi davano un minimo di colorito su quei mattoni mezzi ammuffiti, un tavolo con sedia, ridicolmente piccolo rispetto allo spazio della sala, e alcune celle.
Dopo aver ripreso fiato, Ralof si chinò sul corpo senza vita di un compagno Manto della Tempesta massacrato di fronte alle prigioni, sussurrando, dopo alcuni attimi di silenziosa preghiera: « Ci rivedremo a Sovngarde, fratello. A quanto pare siamo gli unici che ce l’hanno fatta… »
Eravamo al sicuro all’interno delle mura, ma ancora si udivano gli spaventosi ruggiti ovattati della bestia giungere da fuori, quasi fosse stata lì dentro insieme a noi, seguiti dalle grida della gente che tentava invano di sfuggire alla sua furia.
« Dobbiamo muoverci, gli altri ci raggiungeranno appena possibile. Vieni, fammi vedere se riesco a liberarti… » Raccolse un pugnale dal cadavere del soldato e lo usò per tagliarmi le corde. « … Ecco fatto! Puoi anche prendere l’equipaggiamento di Gunjar, tanto non credo gli servirà ancora. » Mi vide esitante. « Avanti, prendi pure senza vergogna. Non c’è niente di male nel prendere in prestito un’arma », sorrise.
Non mi piaceva depredare i morti, per nessuna ragione; ma in effetti non potevo nemmeno permettermi di aggirarmi per la fortezza senza possibilità di difesa. Mia madre era sempre stata una maga abile, per cui mi aveva insegnato alcuni incantesimi elementari per potermi difendere in assenza di armi; ma non sempre le pochissime capacità arcane di cui disponevo si rivelavano sufficienti, abbastanza potenti o adatte a qualunque situazione, inoltre ero addirittura meno di una principiante nel campo della magia. Me la cavavo decisamente meglio nell’uso delle armi a una mano e ancor più con gli archi, un’arte che mi era stata voluta insegnare da mio padre. Quindi mi avvicinai al corpo, mi piegai lentamente e raccolsi l’ascia che era ancora custodita nel suo fodero.
« Come te la cavi con quella? » mi chiese Ralof, fermo in piedi con le mani poggiate sui fianchi.
« Posso cavarmela », annuii in maniera pratica.
« Prova a menare un paio di fendenti. »
Io lo guardai per un attimo, poi mi girai verso il centro spoglio della sala e mi misi in posizione di guardia. L’ascia era piccola, semplice e in ferro, piuttosto leggera rispetto ad altre armi che avevo impugnato, ma molto sbilanciata per i miei gusti.
Colpii l’aria di fronte a me con dei fendenti impacciati e ben poco aggraziati, quando sentii un mugolio abbastanza soddisfatto da parte del Nord giungere a pochi passi dalle mie spalle. « Direi che può andare. Forse avrai bisogno di un po’ di allenamento, ma di certo saprai cavartela per uscire da qui. Ora vieni, vedo se riesco a trovare una via d’uscita… No, questa è bloccata... Vediamo con quel cancello. »
Ci avviammo verso la parte opposta della sala. Uscire dalla fortezza non fu semplice: le stanze, i sotterranei, le lugubri sale di tortura e la caverna adiacente brulicavano di Imperiali che cercavano di ripararsi dal caos di fuoco e morte là fuori, oltre alle bestie feroci che vi dimoravano quali orsi ed enormi ragni velenosi. Durante la lotta inciampai in uno scalino e mi graffiai una gamba a un paletto appuntito, ma anche se la ferita non era preoccupante decisi di ricorrere alla magia di Cura (nonostante avrebbe significato consumare energie in quel momento così preziose), per poter riuscire a camminare in modo più rapido e non rischiare che prendesse infezioni.
Trovammo anche alcuni Manto della Tempesta scampati alle grinfie del drago, ma non vedemmo Ulfric insieme a loro; molti di loro, stremati dalla prigionia e dalla fuga, ci diedero man forte e caddero negli scontri contro le guardie Imperiali. Quando poi tornò la calma, i sopravvissuti, quei pochi che potei contare sulle dita di una mano, si separarono da noi e si apprestarono ad occuparsi dei feriti e dei possibili superstiti che erano rimasti indietro.
Così, alla fine di tutto, rimanemmo di nuovo solo io e Ralof. Uscimmo dalla caverna naturale che si estendeva a pochi metri di distanza da Helgen. Si vedeva la coltre di fumo salire da dietro la foresta di pini parzialmente coperta di neve, quando all’improvviso risuonò un ruggito sinistro proveniente da quella medesima direzione.
« Aspetta! » bisbigliò lui, nascondendosi sotto le fronde degli alberi.
Io lo imitai quando udii anche il rumore di uno sbattere d’ali: il drago aveva terminato il suo massacro e si stava allontanando verso l’orizzonte nordorientale.
Avrebbero potuto sentirlo a miglia e miglia di distanza; ben presto, tutta la provincia si sarebbe resa conto della sua presenza.
Appena quell’ombra fu scomparsa tra le vette e i ruggiti divennero un cupo eco lontano, Ralof tirò un soffio di sollievo. « Per fortuna se n’è andato. Per Shor, quella creatura era davvero un drago! Come nelle leggende e nelle favole. Il precursore della Fine dei Tempi… », esclamò incredulo, uscendo dal suo rifugio tra le frasche. « Mai avrei pensato di vederne uno nella mia vita, i draghi si erano estinti molto tempo fa. »
“Evidentemente, non è davvero così”, considerai tra me.
« Non sapremo mai se qualcun altro si è salvato oppure no, a parte Ulfric »
« Credi che Ulfric se la sia cavata? » gli chiesi, speranzosa.
« Certo. Non basta un drago per fermare Ulfric Manto della Tempesta! » rispose lui tutto orgoglioso. « Intanto, quel che è certo, è che presto qui pullulerà di Imperiali. Per cui non ci conviene restare, sarà meglio andarsene… »
Fece per incamminarsi, ma si bloccò e mi guardò: « Anzi, perché non vieni con me? Mia sorella Gerdur gestisce la segheria a Riverwood, è un piccolo villaggio qua vicino, da qui ci arriveremo benissimo anche a piedi. Tu sei nuova a Skyrim, sono certo che saprà come aiutarti », sorrise.
Mi limitai ad annuire, quindi Ralof iniziò a camminare attraverso la vegetazione della collina in discesa e io subito lo seguii, benché fossi un po’ incerta su ciò che sarebbe accaduto dopo e se accettare o meno il suo consiglio. Dopotutto, eravamo scampati alla morte insieme, inoltre ero completamente un’estranea in quel luogo e una guida mi sarebbe stata sicuramente utile.
« Senti, Ralof, mi spieghi perché stavate per essere giustiziati? » chiesi, pochi passi dopo.
Lui si girò e mi guardò torvo. « Davvero non lo sai? Era Ulfric Manto della Tempesta in persona. Vedo che la gente di Cyrodiil ha altre cose a cui pensare »
« Non ho prestato molta attenzione ai recenti eventi. Certo, ho sentito parlare dello Jarl Ulfric e so di questa guerra, ma non conosco le precise cause. C’entra l’abolizione del Culto di Talos? E questi ribelli? »
« È molto semplice. Ulfric è il nostro comandante, il capo dei Manto della Tempesta. Creò i Manto della Tempesta diversi anni fa. I Nord sono stanchi di versare il loro sangue per le guerre dell’Impero e pagare la sua dissolutezza con le nostre tasse. Ulfric è il nostro legittimo Re dei Re, e ci sta guidando alla lotta per liberare Skyrim dalla supremazia Imperiale una volta per tutte. Noi Manto della Tempesta siamo i ribelli che si sono uniti ad Ulfric Manto della Tempesta in questa lotta. »
A quel punto, tra di noi calò il silenzio.
Il paesaggio che ci circondava era per lo più taciturno, lontano da qualunque fonte artificiale o insediamento, ma era pieno dei suoni della natura, dal flebile soffio del vento ai canti occasionali degli uccelli. Anche se stavamo camminando il mio corpo si stava sempre più raffreddando, calmandosi dopo la corsa, la lotta e l’ardore assorbito dai roghi di Helgen, per cui la mia pelle cominciava a irrigidirsi. Mi strinsi nella veste sgualcita che ancora indossavo, strusciandomi le braccia per cercare calore. Ralof se ne accorse, così si sganciò il lungo mantello blu dalle spalle e me lo poggiò indosso; era di un tessuto ruvido e pungente ma piacevolmente caldo.
« Sai », mormorò, « credo proprio che dovresti venire con me anche a Windhelm e unirti ad Ulfric nella lotta per liberare Skyrim »
« Dici? » feci, girandomi perplessa ma anche incuriosita.
« Certo. Qui oggi hai visto il vero volto dell’Impero. Come potresti restare ancora dalla sua parte? »
Mi sentii impreparata a una domanda e una proposta simile, ma bastarono pochi attimi di riflessione per riordinare le mie considerazioni e formulare una nuova idea.
« Ecco… in realtà fino adesso la mia fedeltà si è sempre limitata all’obbedienza e il rispetto per l’Impero. Ma ora sento anche di provare disgusto per la crudeltà e l’ingiustizia che ha dimostrato. Fino a poco tempo fa credevo di essere al sicuro fra gli Imperiali, di essere parte di loro come lo è parte della mia natura, ma l’Impero mi ha anche condannata ingiustamente e… insomma, solo perché ho attraversato una frontiera, perché pensare di far parte di un gruppo di ribelli? E poi, ciò che l’Impero e i Thalmor vi hanno fatto… è terribile! »
« Ecco perché dovresti unirti alla nostra causa »
« Non mi sono mai interessata alla politica. Pensi davvero che dovrei unirmi a Ulfric? Io, un’Imperiale? »
« Certamente! » affermò Ralof con un gran sorriso. « Non importa essere un Nord per combattere per la libertà di Skyrim. E sono certo che cambierai presto idea riguardo alla tua idea sulla politica. Fidati. La guerra la sentirai anche tu, molto presto, se deciderai di restare qui. Ma se non facciamo qualcosa, la vita diventerà molto dura con i Thalmor al potere »
« E con il drago cosa facciamo? »
« Se c’è qualcuno che è a conoscenza della venuta del drago, quello è Ulfric »
« Tu credi davvero che Ulfric sappia da dove è venuto? »
« Beh, non proprio. Forse no. Era da più di un’Era che non si vedevano draghi a Skyrim. Ma da qualunque luogo sia giunto quel drago, e qualunque cosa voglia, Ulfric lo scoprirà. Puoi contarci. Inoltre, tu ora hai le tue questioni da risolvere con l’Impero… e il drago. »
Guardai verso il sentiero che stavamo percorrendo e abbassai ancora indecisa la testa. « Ci devo pensare »
« Capisco, non devi decidere subito. Ma io so che dopo che avrai riflettuto su quello che hai visto oggi, capirai che Skyrim merita di essere liberata. Come diciamo noi, combatti bene o muori con onore. »
Mi strofinai il naso e mi rinvolsi meglio nel mantello. Decisi di cambiare discorso.
« Dov’è Riverwood? È molto lontana da qui? »
« No, è lungo la strada. Non ci vuole molto se ci sbrighiamo. Sta per tramontare, cerchiamo di arrivare prima che faccia buio. Di notte si aggirano creature sinistre per le strade »
« Lupi? »
« Peggio. C’è anche di peggio dei lupi, qui a Skyrim… », mormorò cupo Ralof buttando occhiate attorno.
Il sole era quasi all’orizzonte, palesandosi di un colore più aranciato mentre si apprestava a calare. Avevamo raggiunto la strada principale e notai che ci stavamo anche avvicinando ad un fiume, udendo l’impeto di una cascata.
Skyrim era un ambiente decisamente più suggestivo rispetto a Cyrodiil, con i suoi panorami mirabili, la tipica tundra e le distese innevate, i fiumi cristallini con i grandi laghi simili a specchi. Era un luogo in cui le alture più vertiginose regnavano sovrane, ed era irto di colline perfino sulle poche pianure presenti: era difficile trovare delle zone pianeggianti a Skyrim, ma le maggiori di esse dominavano quasi prevalentemente sul feudo centrale in cui mi trovavo in quel momento.
Io e Ralof stavamo seguendo la strada che si allungava a fianco ai margini del Fiume Bianco, come i Nord da sempre lo chiamavano. Oltrepassate le sue poderose cascate, scorsi una maestosa struttura in pietra che si stagliava sulle pendici della montagna nevosa, abbarbicata sulle sponde opposte del corso d’acqua mentre davanti a noi s’intravedevano i tetti distanti di Riverwood. Ralof mi disse che quelle rovine appartenevano a un antichissimo tumulo Nord e mi confidò che non riusciva a comprendere come facesse sua sorella a vivere all’ombra di un luogo simile.
Alla fine del viaggio, quando la notte stava lentamente scendendo, giungemmo finalmente all’insediamento, dopo aver abbattuto un minuscolo branco di lupi che ci aveva teso un agguato lungo la via con l’intenzione di ridurci nel loro pasto. Ralof sorrise sospirando, come sull’orlo di piangere dalla felicità e insieme varcammo il confine sotto il pontile di veglia del villaggio.
Avevo reclamato la mia libertà e potevo finalmente vivere Skyrim come meglio credevo.
« Che stai facendo? Spostati dalla strada! »
« Haming, vieni qui! » Notai il bambino che all’inizio sedeva sulla soglia della propria casa, ora distrutta, cercare di mettersi in salvo insieme a un gruppo di guardie Imperiali.
« Stai andando alla grande, piccolo… »
« Per gli Dei… State tutti indietro! » gridò qualcuno che era insieme a loro.
« Haming, devi venire qui! Ora!... Dammi la mano, ti tiro fuori da qui… »
« Nivahriin joorre! » ruggì il drago, in volo sopra di noi, e quasi subito dopo una nuova vampata ardente investì i bastioni della fortezza, propagandosi anche lungo la parete sottostante dove il gruppetto cercava di ripararsi. Presto li persi di vista, e con profonda amarezza supposi che il destino del bambino si sarebbe infine rivelato identico a quello di tutti gli altri abitanti e i legionari di Helgen. Il Generale Tullius e gli elfi, al contrario, sembravano spariti.
Le frecce che i soldati scagliavano contro la bestia parevano ramoscelli d’albero a confronto, frantumandosi contro la sua spessa corazza di scaglie. Cosa avrebbero dovuto fare per uccidere quel mostro?
« Ralof! Maledetto traditore, vattene! » esclamò un legionario, lo stesso che mi era più familiare e che aveva dimostrato compassione per la mia condanna.
Il Nord lo fulminò con lo sguardo: evidentemente dovevano conoscersi da anni, perché il tono e le occhiate che i due si scambiarono erano tipiche di chi un tempo era stato in buoni rapporti.
« Stiamo scappando, Hadvar. Stavolta non ci fermerai », ribatté Ralof.
« Bene. Spero che quel drago vi spedisca tutti a Sovngarde! »
A quel punto ci superò correndo e si diresse verso l’ingresso principale dell’edificio, sparendo all’interno insieme ad alcuni civili superstiti e qualche altro soldato.
« Tzè!... Avanti, andiamo », sbuffò il biondo, girandosi verso di me per guardarmi. Io e lui entrammo finalmente nella fortezza tramite un accesso secondario.
La sala che si apriva oltre l’anticamera si presentò deserta, piuttosto spaziosa e circolare, con un pregiato tappeto posizionato a losanga nel mezzo. L’aria era pesa e sapeva di chiuso. Ma l’ambiente era pressoché vuoto, con poche panche sistemate lungo le pareti ornate da dei vecchi stendardi Imperiali, che benché fossero polverosi davano un minimo di colorito su quei mattoni mezzi ammuffiti, un tavolo con sedia, ridicolmente piccolo rispetto allo spazio della sala, e alcune celle.
Dopo aver ripreso fiato, Ralof si chinò sul corpo senza vita di un compagno Manto della Tempesta massacrato di fronte alle prigioni, sussurrando, dopo alcuni attimi di silenziosa preghiera: « Ci rivedremo a Sovngarde, fratello. A quanto pare siamo gli unici che ce l’hanno fatta… »
Eravamo al sicuro all’interno delle mura, ma ancora si udivano gli spaventosi ruggiti ovattati della bestia giungere da fuori, quasi fosse stata lì dentro insieme a noi, seguiti dalle grida della gente che tentava invano di sfuggire alla sua furia.
« Dobbiamo muoverci, gli altri ci raggiungeranno appena possibile. Vieni, fammi vedere se riesco a liberarti… » Raccolse un pugnale dal cadavere del soldato e lo usò per tagliarmi le corde. « … Ecco fatto! Puoi anche prendere l’equipaggiamento di Gunjar, tanto non credo gli servirà ancora. » Mi vide esitante. « Avanti, prendi pure senza vergogna. Non c’è niente di male nel prendere in prestito un’arma », sorrise.
Non mi piaceva depredare i morti, per nessuna ragione; ma in effetti non potevo nemmeno permettermi di aggirarmi per la fortezza senza possibilità di difesa. Mia madre era sempre stata una maga abile, per cui mi aveva insegnato alcuni incantesimi elementari per potermi difendere in assenza di armi; ma non sempre le pochissime capacità arcane di cui disponevo si rivelavano sufficienti, abbastanza potenti o adatte a qualunque situazione, inoltre ero addirittura meno di una principiante nel campo della magia. Me la cavavo decisamente meglio nell’uso delle armi a una mano e ancor più con gli archi, un’arte che mi era stata voluta insegnare da mio padre. Quindi mi avvicinai al corpo, mi piegai lentamente e raccolsi l’ascia che era ancora custodita nel suo fodero.
« Come te la cavi con quella? » mi chiese Ralof, fermo in piedi con le mani poggiate sui fianchi.
« Posso cavarmela », annuii in maniera pratica.
« Prova a menare un paio di fendenti. »
Io lo guardai per un attimo, poi mi girai verso il centro spoglio della sala e mi misi in posizione di guardia. L’ascia era piccola, semplice e in ferro, piuttosto leggera rispetto ad altre armi che avevo impugnato, ma molto sbilanciata per i miei gusti.
Colpii l’aria di fronte a me con dei fendenti impacciati e ben poco aggraziati, quando sentii un mugolio abbastanza soddisfatto da parte del Nord giungere a pochi passi dalle mie spalle. « Direi che può andare. Forse avrai bisogno di un po’ di allenamento, ma di certo saprai cavartela per uscire da qui. Ora vieni, vedo se riesco a trovare una via d’uscita… No, questa è bloccata... Vediamo con quel cancello. »
Ci avviammo verso la parte opposta della sala. Uscire dalla fortezza non fu semplice: le stanze, i sotterranei, le lugubri sale di tortura e la caverna adiacente brulicavano di Imperiali che cercavano di ripararsi dal caos di fuoco e morte là fuori, oltre alle bestie feroci che vi dimoravano quali orsi ed enormi ragni velenosi. Durante la lotta inciampai in uno scalino e mi graffiai una gamba a un paletto appuntito, ma anche se la ferita non era preoccupante decisi di ricorrere alla magia di Cura (nonostante avrebbe significato consumare energie in quel momento così preziose), per poter riuscire a camminare in modo più rapido e non rischiare che prendesse infezioni.
Trovammo anche alcuni Manto della Tempesta scampati alle grinfie del drago, ma non vedemmo Ulfric insieme a loro; molti di loro, stremati dalla prigionia e dalla fuga, ci diedero man forte e caddero negli scontri contro le guardie Imperiali. Quando poi tornò la calma, i sopravvissuti, quei pochi che potei contare sulle dita di una mano, si separarono da noi e si apprestarono ad occuparsi dei feriti e dei possibili superstiti che erano rimasti indietro.
Così, alla fine di tutto, rimanemmo di nuovo solo io e Ralof. Uscimmo dalla caverna naturale che si estendeva a pochi metri di distanza da Helgen. Si vedeva la coltre di fumo salire da dietro la foresta di pini parzialmente coperta di neve, quando all’improvviso risuonò un ruggito sinistro proveniente da quella medesima direzione.
« Aspetta! » bisbigliò lui, nascondendosi sotto le fronde degli alberi.
Io lo imitai quando udii anche il rumore di uno sbattere d’ali: il drago aveva terminato il suo massacro e si stava allontanando verso l’orizzonte nordorientale.
Avrebbero potuto sentirlo a miglia e miglia di distanza; ben presto, tutta la provincia si sarebbe resa conto della sua presenza.
Appena quell’ombra fu scomparsa tra le vette e i ruggiti divennero un cupo eco lontano, Ralof tirò un soffio di sollievo. « Per fortuna se n’è andato. Per Shor, quella creatura era davvero un drago! Come nelle leggende e nelle favole. Il precursore della Fine dei Tempi… », esclamò incredulo, uscendo dal suo rifugio tra le frasche. « Mai avrei pensato di vederne uno nella mia vita, i draghi si erano estinti molto tempo fa. »
“Evidentemente, non è davvero così”, considerai tra me.
« Non sapremo mai se qualcun altro si è salvato oppure no, a parte Ulfric »
« Credi che Ulfric se la sia cavata? » gli chiesi, speranzosa.
« Certo. Non basta un drago per fermare Ulfric Manto della Tempesta! » rispose lui tutto orgoglioso. « Intanto, quel che è certo, è che presto qui pullulerà di Imperiali. Per cui non ci conviene restare, sarà meglio andarsene… »
Fece per incamminarsi, ma si bloccò e mi guardò: « Anzi, perché non vieni con me? Mia sorella Gerdur gestisce la segheria a Riverwood, è un piccolo villaggio qua vicino, da qui ci arriveremo benissimo anche a piedi. Tu sei nuova a Skyrim, sono certo che saprà come aiutarti », sorrise.
Mi limitai ad annuire, quindi Ralof iniziò a camminare attraverso la vegetazione della collina in discesa e io subito lo seguii, benché fossi un po’ incerta su ciò che sarebbe accaduto dopo e se accettare o meno il suo consiglio. Dopotutto, eravamo scampati alla morte insieme, inoltre ero completamente un’estranea in quel luogo e una guida mi sarebbe stata sicuramente utile.
« Senti, Ralof, mi spieghi perché stavate per essere giustiziati? » chiesi, pochi passi dopo.
Lui si girò e mi guardò torvo. « Davvero non lo sai? Era Ulfric Manto della Tempesta in persona. Vedo che la gente di Cyrodiil ha altre cose a cui pensare »
« Non ho prestato molta attenzione ai recenti eventi. Certo, ho sentito parlare dello Jarl Ulfric e so di questa guerra, ma non conosco le precise cause. C’entra l’abolizione del Culto di Talos? E questi ribelli? »
« È molto semplice. Ulfric è il nostro comandante, il capo dei Manto della Tempesta. Creò i Manto della Tempesta diversi anni fa. I Nord sono stanchi di versare il loro sangue per le guerre dell’Impero e pagare la sua dissolutezza con le nostre tasse. Ulfric è il nostro legittimo Re dei Re, e ci sta guidando alla lotta per liberare Skyrim dalla supremazia Imperiale una volta per tutte. Noi Manto della Tempesta siamo i ribelli che si sono uniti ad Ulfric Manto della Tempesta in questa lotta. »
A quel punto, tra di noi calò il silenzio.
Il paesaggio che ci circondava era per lo più taciturno, lontano da qualunque fonte artificiale o insediamento, ma era pieno dei suoni della natura, dal flebile soffio del vento ai canti occasionali degli uccelli. Anche se stavamo camminando il mio corpo si stava sempre più raffreddando, calmandosi dopo la corsa, la lotta e l’ardore assorbito dai roghi di Helgen, per cui la mia pelle cominciava a irrigidirsi. Mi strinsi nella veste sgualcita che ancora indossavo, strusciandomi le braccia per cercare calore. Ralof se ne accorse, così si sganciò il lungo mantello blu dalle spalle e me lo poggiò indosso; era di un tessuto ruvido e pungente ma piacevolmente caldo.
« Sai », mormorò, « credo proprio che dovresti venire con me anche a Windhelm e unirti ad Ulfric nella lotta per liberare Skyrim »
« Dici? » feci, girandomi perplessa ma anche incuriosita.
« Certo. Qui oggi hai visto il vero volto dell’Impero. Come potresti restare ancora dalla sua parte? »
Mi sentii impreparata a una domanda e una proposta simile, ma bastarono pochi attimi di riflessione per riordinare le mie considerazioni e formulare una nuova idea.
« Ecco… in realtà fino adesso la mia fedeltà si è sempre limitata all’obbedienza e il rispetto per l’Impero. Ma ora sento anche di provare disgusto per la crudeltà e l’ingiustizia che ha dimostrato. Fino a poco tempo fa credevo di essere al sicuro fra gli Imperiali, di essere parte di loro come lo è parte della mia natura, ma l’Impero mi ha anche condannata ingiustamente e… insomma, solo perché ho attraversato una frontiera, perché pensare di far parte di un gruppo di ribelli? E poi, ciò che l’Impero e i Thalmor vi hanno fatto… è terribile! »
« Ecco perché dovresti unirti alla nostra causa »
« Non mi sono mai interessata alla politica. Pensi davvero che dovrei unirmi a Ulfric? Io, un’Imperiale? »
« Certamente! » affermò Ralof con un gran sorriso. « Non importa essere un Nord per combattere per la libertà di Skyrim. E sono certo che cambierai presto idea riguardo alla tua idea sulla politica. Fidati. La guerra la sentirai anche tu, molto presto, se deciderai di restare qui. Ma se non facciamo qualcosa, la vita diventerà molto dura con i Thalmor al potere »
« E con il drago cosa facciamo? »
« Se c’è qualcuno che è a conoscenza della venuta del drago, quello è Ulfric »
« Tu credi davvero che Ulfric sappia da dove è venuto? »
« Beh, non proprio. Forse no. Era da più di un’Era che non si vedevano draghi a Skyrim. Ma da qualunque luogo sia giunto quel drago, e qualunque cosa voglia, Ulfric lo scoprirà. Puoi contarci. Inoltre, tu ora hai le tue questioni da risolvere con l’Impero… e il drago. »
Guardai verso il sentiero che stavamo percorrendo e abbassai ancora indecisa la testa. « Ci devo pensare »
« Capisco, non devi decidere subito. Ma io so che dopo che avrai riflettuto su quello che hai visto oggi, capirai che Skyrim merita di essere liberata. Come diciamo noi, combatti bene o muori con onore. »
Mi strofinai il naso e mi rinvolsi meglio nel mantello. Decisi di cambiare discorso.
« Dov’è Riverwood? È molto lontana da qui? »
« No, è lungo la strada. Non ci vuole molto se ci sbrighiamo. Sta per tramontare, cerchiamo di arrivare prima che faccia buio. Di notte si aggirano creature sinistre per le strade »
« Lupi? »
« Peggio. C’è anche di peggio dei lupi, qui a Skyrim… », mormorò cupo Ralof buttando occhiate attorno.
Il sole era quasi all’orizzonte, palesandosi di un colore più aranciato mentre si apprestava a calare. Avevamo raggiunto la strada principale e notai che ci stavamo anche avvicinando ad un fiume, udendo l’impeto di una cascata.
Skyrim era un ambiente decisamente più suggestivo rispetto a Cyrodiil, con i suoi panorami mirabili, la tipica tundra e le distese innevate, i fiumi cristallini con i grandi laghi simili a specchi. Era un luogo in cui le alture più vertiginose regnavano sovrane, ed era irto di colline perfino sulle poche pianure presenti: era difficile trovare delle zone pianeggianti a Skyrim, ma le maggiori di esse dominavano quasi prevalentemente sul feudo centrale in cui mi trovavo in quel momento.
Io e Ralof stavamo seguendo la strada che si allungava a fianco ai margini del Fiume Bianco, come i Nord da sempre lo chiamavano. Oltrepassate le sue poderose cascate, scorsi una maestosa struttura in pietra che si stagliava sulle pendici della montagna nevosa, abbarbicata sulle sponde opposte del corso d’acqua mentre davanti a noi s’intravedevano i tetti distanti di Riverwood. Ralof mi disse che quelle rovine appartenevano a un antichissimo tumulo Nord e mi confidò che non riusciva a comprendere come facesse sua sorella a vivere all’ombra di un luogo simile.
Alla fine del viaggio, quando la notte stava lentamente scendendo, giungemmo finalmente all’insediamento, dopo aver abbattuto un minuscolo branco di lupi che ci aveva teso un agguato lungo la via con l’intenzione di ridurci nel loro pasto. Ralof sorrise sospirando, come sull’orlo di piangere dalla felicità e insieme varcammo il confine sotto il pontile di veglia del villaggio.
Avevo reclamato la mia libertà e potevo finalmente vivere Skyrim come meglio credevo.
Skyrim è la patria dei Nord, gente indomita e temperata che in battaglia dà grande importanza a onore e abilità.
La provincia è ora macchiata dal sangue del conflitto tra i ribelli Manto della Tempesta e i soldati della Legione Imperiale.
La provincia è ora macchiata dal sangue del conflitto tra i ribelli Manto della Tempesta e i soldati della Legione Imperiale.
Dizionario Draconico |
Hin sil fen nahkip bahloki | La tua anima alimenterà la mia fame |
Zu’u lost daal | Sono tornato |
Nivahriin joorre | Mortali codardi |