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Autore: _Alcor    29/08/2024    3 recensioni
Gli emersi – invasori dimensionali che appaiono all’improvviso e senza apparente regolarità – hanno già devastato una delle province del paese e minacciano ogni giorno di causare nuove morti.
In risposta, l’umanità ha creato le armature d’assalto CHIMERA, l’unica speranza di combattere ad armi pari contro individui che sembrano poter piegare la natura al loro volere con un movimento della mano.
Eppure ci sono forze che vogliono che il testing delle armature venga interrotto e sembrano disposte a tutto: aggressioni, minacce e attentati…
Perché?
{Terzo capitolo della serie Chimere | ispirato all'esperimento di Milgram&Kamen Rider}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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XV. Glenn Ajax

[Messaggio da Mamma]

Tesoro, un giorno le persone capiranno quanto sei speciale





Una coppietta a braccetto attraversa la strada e si ferma a due passi dal nutrito gruppo di nerd di fronte all’entrata dell’auditorium Khanterz. La rossa ghigna dietro gli occhiali, spalma il seno contro il suo braccio. «Che dici, tu mi salveresti se passassi al lato oscuro?»

«Dovrei lasciarti qui e mettermi all’opera allora.»

«…mi stai dando della antagonista?»

«Della edgy, un po’.»

Non capisco se lo sta facendo per far schiattare d'invidia la gente, o se è il loro modo di interagire.

Il resto del gruppo rimane disposto in semicerchio intorno a un cosplayer in mantello nero e cappuccio sul viso, gilet e shorts neri fasciano gli arti villosi. Batte il pugno alla compagna in un abito goth dai toni di nero e fucsia, da cui pendono gioielli che sembrano plasticaccia rispetto al resto del vestiario.

I flash di un paio di foto illuminano la notte.

Mi sistemo il cappellino e lancio uno sguardo all’orologio, ancora quindici minuti prima di entrare. Le finestre dell’edificio gettano luce calda sul piazzale, da uno dei balconcini fa capolino un uomo con giubbotto antiproiettile e caschetto nero. Dentro è gremito di gente, hanno avuto solo due giorni ma hanno rovesciato l’auditorium come un calzino.

È probabile che i membri della Parata siano tra di noi.

Tendo le orecchie. Un trentenne con un copricapo a forma di drago stellare si accosta all’amica con i capelli rasati e con un ear cuff a forma di farfalla, le indica i cosplayer con il palmo. «È stata una scelta coraggiosissima lasciar morire Eririn così.»

«Ho pianto lacrime virili in Ali del Corvo.» Gli dà un colpo di fianchi. «Non c’è niente di più banale di farla tornare come cattiva, ma lo sguardo di orrore delle compagne mi ha ripagato di tutto. Le doppiatrici poi sono state picco. Picco.»

Piccoli artigli mi pizzicano la spalla, dalla mia schiena spunta il pipistrellino metallico. La membrana nera che gli ricopre le ali è frastagliata, tenuta insieme da venature rosse lucide come vetro.

Mi trattengo dal passargli il pollice sul muso, visto che sono l’unico che può vederlo.

«Analesa è stata chef kiss come Eririn.» Copricapo drago si bacia i polpastrelli. «Sii testimone della distruzione delle stelle che dovevi proteggere. Tu sarai la prossima.»

«Era che dovevamo proteggere.» Una ragazzina dagli occhi celati dalla frangetta rosa smanetta sul cellulare poco lontano, lo schermo mostra il menù di chissà quale videogame con un banner inferiore per l’espansione promozionale di Ali del Corvo. «Quella battuta è la parte più importante del film, lascia trasparire quanto si è sentita tradita dai compagni. Non rovinatela.»

Credo di averla vista almeno un paio di volte a scuola.

Niente da fare. Tra i pochi che son qui, tutti sembrano genuinamente ansiosi di godersi la serata.

Il pipistrello struscia il muso metallico contro il mio collo, piccole pulsazioni di calore si dipanano dall’innesto e mi avvolgono il cuore. Havel ha detto che sto esibendo i tratti di chi ha sviluppato una forte compatibilità con la chimera.

Sarò più di aiuto anche nei prossimi test, così.

Un paio di agenti spalancano le porte d’entrata. La ragazzina sgomita, mi arriva un colpo al fianco che mi strappa un respiro dolorante. La maleducata si mette in prima fila a entrare.

«Per favore, passate per di qua.» Fanno cenno al metal detector nuovo di zecca che hanno montato a un passo dall’entrata. «I controlli sono per garantire anche la vostra sicurezza.»

Rossa mi affianca e accarezza la schiena. Fa cenno dell’okay con la mano, piega la testa di lato con sguardo interrogativo.

Annuisco. Sto bene. «Grazie.»

Sotto il metal detector passa un tizio con i capelli unti e gli abiti macchiati di sugo, ha persino il braccio avvolto da un tutore. Mi scappa una smorfia, certe persone fanno apposta a vivere come uno stereotipo.

«Documenti?» gli chiede il poliziotto.

Mi metto in fila per entrare ma l’agente mi fa cenno di oltrepassarla, la ragazzina in rosa è ancora sulle scale ad agitare la carta d’identità addosso a un ragazzo con la casacca gialla dello staff. «È vietato ai minori di dodici, ne ho tredici, qui c’è il mio documento, non potete cambiare i requisiti alla sede!»

«Non fa piacere nemmeno a noi che l’evento sia stato dirottato così.»

Lei mi indica. «Quello è “piccolo” come me, se lui può entrare io posso entrare.»

«Lui è un–» Tira un sospiro. «Senti, tanto non succederà nulla. Vai su.»

Rosa sale la rampa a grandi falcate, le sto distante di due passi per non rischiare di farmi insultare. Sbuco nell’auditorium, dove sono sparsi a sedere una ventina di uomini spessi come armadi.

Non passano per niente inosservati.

Tiro fuori dalla tasca della giacca gli smart glasses e scorro il dito sull’asticella spessa per trovare il pulsante di accensione. Clicco e li inforco, le lenti vengono attraversate da stringhe di dati.

Sono disorientanti rispetto allo schermo della chimera. Poggio la mano su una delle poltroncine libere e prendo un paio di respiri, il pipistrello spicca un balzo e mi ondeggia davanti agli occhi.

Gente con la casacca dello staff fa avanti e indietro su per gli scalini, regolano la posizione delle telecamere su treppiede e si scambiano gesti. In cima alla sala collegano i fili di un portatile alla postazione del mixer, sul palco stanno regolando l’altezza del microfono.

Anche questi sembrano presi dall’evento, non penso che la Parata sia tra loro.

Con un bip gli occhiali segnalano il collegamento con il centro di comando. «E anche la visuale dagli occhiali è perfetta,» annuncia la coordinatrice Leyven. «Glenn, fammi il favore di salire alla postazione del fonico, oggi mi farai da telecamera su gambe quindi non fare movimenti troppo repentini.»

Irrigidisco il collo e lo tengo ben dritto, mi avvio.

«Coso, non intendevo di essere impeccabile. Come fai a camminar–»

Incespico su dei fili, mi sfaccio e il dolore mi morde il ginocchio. Qualcosa di pesante viene trascinato di lato.

Porca putt–

Stringo gli occhi. Non si impreca.

«Stai bene!?» la voce di Tae arriva dagli occhiali. A quanto pare la coordinatrice è riuscita a farla assistere. Non devo darle occasioni di preoccuparsi.

«Benissimo.»

Un altro tizio in casacca gialla con una spruzzata di brufoli sul viso mi arriva di fronte. «Ma benissimo cosa? Coglione!» Fa una smorfia. «Se la tiravi giù dal treppiedi, non ti bastavano tutti i risparmi per ripagarla.»

«Mi dispiace, è stato un incidente.»

«Ma guarda dove vai! Che te li han fatti a fare gli occhiali!?» Lo sguardo si concentra sui miei bracciali, fa una smorfia disgustata. «Sei uno dei robottini Kaiser.»

Pianto le mani e mi tiro su in piedi. Il filo della telecamera sul quale sono inciampato è per fortuna ancora sul suo treppiede. «Sono Ajax, piacere. Mi han detto che devo rimanere nella postazione del fonico.»

«Oltre a rovinarci l’evento, volete anche farci esplodere la strumentazione?»

Il pipistrello trasparente sotto forma di pallina schizza dal nulla e gli trapassa la faccia, il ragazzo non dà cenno di accorgersene. La creaturina continua ad attraversargli la faccia, gli tira schiaffi con le ali e artiglia le guance senza fare effetto.

Balbetto, in difficoltà davanti alla scena. «No, certo che no. Se potessi, preferirei rimanere a vedere i film e basta. Ho sentito da amici che migliorano la serie animata originale sotto ogni punto di vista.»

«Hai visto l’originale? Allora dimmi il nome del regista.»

Posso rinunciare alla cordialità, questo ce l’avrà con me in ogni caso ora che ho messo male il primo piede.

Schiocca la lingua. Si avvia verso la postazione del mixer ed apre il portatile accanto. «Tra prenotare la sala, pagare per avere il permesso di far visionare il film, streammarlo ad altri fan e invitare la doppiatrice di Erion abbiamo speso una caterva di soldi che non recupereremo. E va bene così, perché il punto dell’evento era divertirsi, ma…»

Acchiappo una sedia libera dalla postazione del fonico e la sistemo a diversi passi di distanza dal tizio. Inquadro con gli occhiali l’intera platea, che si è riempita di circa la metà e mi siedo. Ormai è ora di iniziare; un sacco di gente che si è prenotata non ha voluto rischiare di rimanere coinvolta con degli emersi.

«Ma…» riprende. «Ora abbiamo lo staff dimezzato, non possiamo più streammare l’evento per un ordine vostro e la doppiatrice di Erion non è nemmeno venuta per una questione di sicurezza. E tutto perché volete pararvi il culo per i vostri fallimenti.»

Non mi serve a niente rispondere.

Il tizio si alza. «Non riuscite a prendere un paio di emersi graffittari e prima fate credere che vi abbiano distrutto la sede, poi che abbiano ragione di venire a un evento minore come il nostro per attaccare? Vi sentite quanto siete ridicoli?»

Stringo le dita sui pantaloni.

«Ragazzino, mi stai ascoltando?»

«Sto lavorando,» replico, la frustrazione mi vena la voce di un tremolio. «E se siete a corto di staff, tu dovresti pensare a coprire il lavoro di chi non è presente.»

«Chiamalo lavoro il tuo.» Si fa da parte e lancia uno sguardo allo schermo del pc. Scende le scale, viene intercettato da un’altra Casacca che gli passa il microfono. Lo stringe con entrambe le mani e sale sul palco.

«Beh, ecco, ragazzi!» Un fischio taglia il silenzio, il ragazzo allontana il microfono dalle labbra. «Come vi abbiamo detto per mail, l’incontro con Analesa Rudd è stato sospeso per ragioni di sicurezza. Nessuno vorrebbe mettere la nostra queen a rischio, vero?»

Qualcuno fischia. «Sono il cane di Analesa!»

Uno spasmo di disgusto mi stringe lo stomaco, Tae e la coordinatrice tirano un gemito orripilato.

Il viso del membro dello staff si contorce in un sorriso imbarazzato. «Ma anche se la voce della nostra amata Eririn non può essere presente, non ha voluto lasciarci soli!» Clicca il pulsante di un piccolo telecomando, lo schermo alle sue spalle sfarfalla di vita. «Abbassate le luci, ragazzi.»

Con pochi scrocchi, l’auditorium viene immerso nel buio.

«Sii testimone della distruzione delle stelle che dovevamo proteggere. Tu sarai la prossima.» Il viso vivace, segnato da rughe di espressione, di quella che immagino sia la famigerata doppiatrice si allontana dalla telecamera, la voce cambia inflessione e raggiunge un tono maturo. «Ehi, Analesa qui! Siete pronti al rewatch prima dell’uscita del film che chiude la trilogia? Io no, registrare le scene al tempo ci ha lasciato in lacrime parecchie volte…»

«Che significa che è scomparso?» sibila Tae.

«Tae, fai silenzio o dovrò chiederti di uscire.»

Di che stanno parlando quelle due? Poso le dita sull’asticella degli occhiali per avvicinarmeli al padiglione ma non arrivano altri suoni. Leyven deve essersi mutata.

Pennacchi di fumo semitrasparente dividono a metà il viso della doppiatrice. Se ne alzano altri due, il fumo riempie la sala nel giro di pochi respiri e porta con sé il brusio preoccupato dei presenti. Fragranze floreali mi pizzicano il naso.

Dalla platea si alza un’ombra e si sposta sulla scala per andare verso il palco.

Uno dei poliziotti la segue, allunga la mano per afferrarla. L’ombra gli tira un colpo nelle costole, scintille elettriche illuminano il fumo e i capelli rossi dell’aggressore. L’agente si affloscia. Un altro poliziotto si alza, ma la detonazione una pistola illumina il buio.

Crolla a terra, tenendosi la spalla.

Le urla scoppiano intorno a noi con la forza di una bomba. L’ombra acchiappa un tizio e se lo trascina sul palco, schiocca le dita. «Ragazzi, accedente la luce, non vi lascio distogliere gli occhi dallo spettacolo che ho programmato.»

A fatica si sente da qui.

La coordinatrice riattiva il microfono. «Aspetta a muoverti.»

I faretti del palco prendono vita, illuminano la ragazza dai capelli rossi che tiene il braccio sotto il collo dello Stereotipo. Con l’altra mano, usa una pistola per scostargli i capelli unticci dalla tempia.

Si volta verso il tizio dello staff. «Lasciami il microfono, dal fondo il signor tester non mi sentirà di sicuro. Su.»

Esita, con mano tremante glielo consegna nella mano che sta strozzando il suo ostaggio. Il tizio non prova nemmeno a scappare, atterrito com’è dalla situazione.

Rossa si schiarisce la gola. «Fan del genere mahou-shoujo, vi ho preparato una sorpresa! Una possibilità di vedere dal vivo gli eroi della città contro la leader della Parata del Fumo, che sarei io.» Alza il braccio e mi punta.

Mi ritraggo d’istinto. Il pipistrello trasparente zigzaga, impaziente; so istintivamente che non vede l’ora di andare ad aggredirla.

La Parata sistema il braccio sotto l’ostaggio. «Prego, Glenn, vieni. Non ti dirò nemmeno di liberarti dei bracciali, non sarebbe uno scontro onesto altrimenti.»

Se vuole lo scontro diretto, lo avrà. «C02, attivazione!»

Il pipistrello mi schizza addosso e sparisce dentro l’innesto, che si accende di calore. Ondate di elettricità mi scendono le braccia fino alle punta delle dita, i bracciali scroccano.

  
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