Lo scherzo è bello quando dura poco
(A molti ragazzi piace scherzare e fare dispetti ai propri compagni. Ma lo scherzo è bello quando dura poco. Se gli scherzi diventano sempre più pesanti, possono comportare delle gravissime conseguenze).
Era divertente fare scherzi a Barbara. Lei era una ragazza di nove anni, bionda e con gli occhi azzurri. Aveva però il grosso difetto di mangiare molto e per questo era grassa. Per i gusti dei ragazzi le ragazze dovevano essere magre. Perciò era una ragazza brutta e cattiva. I ragazzi potevano trattarla come un pupazzo. Tanto non importava a nessuno. Ma forse a qualcuno si che importava?
Era lunedì terzo di ottobre. Era appena suonata la campana. Mentre Barbara si sedeva comoda sulla sedia, venne trafitta da un forte dolore. C’erano delle puntine sulla sua sedia e qualcuna gli era rimasta appiccicata. Si mise a piangere. La maestra Russo chiese cosa fosse successo e Barbara singhiozzando rispose: “Mi hanno messo delle puntine sulla sedia”.
La professoressa Russo gridò agli alunni: “Siete pazzi. Oggi tutti in castigo. Niente ricreazione”.
Molti in classi si arrabbiarono con la maestra. Non avevano fatto niente e non era stata colpa loro.
“Barbara poteva stare più attenta”.
“Gli occhi servono per guardare. Non è colpa nostra se non guardava dove si sedeva” commentò un ragazzo.
Alla professoressa non gli piaceva sentire tutti questi discorsi. Capì che la classe non aveva nessun rispetto per Barbara. Perciò aveva bisogno di una lezione e già sapeva che castigo dargli.
All’ora della ricreazione le altre classi andarono a giocare fuori in cortile. Invece la quarta B se ne restò in classe. Tuttavia, fu meno noioso del previsto. La professoressa Russo aveva una storia importante da raccontargli.
La professoressa affermò: “A molti ragazzi piace scherzare e fare dispetti ai propri compagni. Ma lo scherzo è bello quando dura poco. Se gli scherzi diventano sempre più pesanti, possono comportare delle gravissime conseguenze, come fu il caso della classe 4 C della Scuola Gulli”.
Erano le quattro di pomeriggio di mercoledì. La classe elementare 4 C camminava per una strada chiamata piazza Savilla. Tutti i mercoledì uscivano alle due e mezza e andava in un’altra scuola per la lezione di canto natalizio. La lezione era andata bene. Ora stavano tornando alla loro scuola per tornare a casa. Fu dalì che iniziarono tutti i problemi.
“Mi annoio”. commentò Giacomo.
“Magari potessimo andare a giocare a pallone” concordò Andrea.
Mentre seguivano il resto della classe, si fissarono su Marta. Sebbene fosse una ragazza bella, aveva un modo di fare diverso rispetto alla classe. E per questo la consideravano un’idiota ed era giusto maltrattarla.
“Guarda come cammina Marta!?” Commentò Federico.
“Sempre cammina come una papera!?” Concordò Giacomo.
“Perché non gli insegniamo noi a camminare bene?!” Propose Andrea.
“Si, facciamolo?!” Risposero in coro.
Marta, che seguiva tranquillamente tutti, non badò a loro. Essendo stata presa in fallo, cascò per terra al primo sgambetto. La maestra vedendo la caduta, si spaventò. Urlando istericamente a squarciagola disse a Marta in tono severo: “Ma tu vuoi fare un più attenzione. Devo finire nei guai per te!”
L’atteggiamento aggressivo della maestra spaventò Marta più della caduta. Quasi le venivano le lacrime agli occhi. Perciò, riprese la sua camminata lontana dalla maestra.
A Federico, Giacomo e Andrea era piaciuta un sacco la scena. Perciò accettarono volentieri di continuare.
Così Federico le sbarrò la strada con un piede. Di nuovo, inciampò e cadde per terra. Qui la maestra li vide e li riprese. Loro, per dimostrare di essere più forti di chiunque, persino della stupida Marta, erano indifferenti ai rimproveri. Perciò, continuarono. Era troppo divertente. La maestra non sapendo più cosa fare, li ignorò. Dopotutto Marta era grande e grossa. Doveva imparare a difendersi.
Sebbene più volte Marta avesse cercato di avvicinarsi alla maestra, lei seguiva come se niente fosse. I ragazzi erano impossibili da tenere e pensò che arrivando a scuola, sarebbe tutto finito.
Capito che la maestra non avrebbe più detto nulla, ora Federico, Giacomo e Andrea erano liberi di continuare.
Per arrivare alla scuola si doveva scendere delle scale e svoltare a sinistra. La scala era una lunga scalinata con i gradini alti e di pietra.
Qui i ragazzi ebbero una grande idea: “E se la sgambettassimo e la facessimo rotolare per la di scalinata era molto buona”.
“Si, facciamolo”.
Lo dissero anche alle compagne e loro risero forte. O meglio, ad alcune l’idea non piaceva per niente. Ma pensarono era meglio che fosse Marta l’oggetto del divertimento dei ragazzi piuttosto che loro.
Marta, che era meno stupida di quello che sembrava, aveva sentito tutto. Perciò, lo disse alla maestra e la supplicò di cambiare giro per questa volta. I ragazzi continuavano a sgambettarla e aveva paura a scendere quella scalinata.
La maestra scocciata rispose: “E’ lo so, ma io che ci posso fare? La strada è questa, mi dispiace”.
Marta ugualmente non si sentiva tranquilla, quasi si metteva a piangere. Ma la maestra la ignorò completamente. Aveva fretta. Doveva riportare gli alunni a scuola alle quattro e mezza in punto.
Capito di non poter contare su nessuno tranne che sé stessa, si appoggiò saldamente alla spalliera della scala. Purtroppo la sfortuna si abbatté su di lei. Sembrava che fosse il destino che voleva così. Signora con le stampelle stava salendo e Marta le sbarrava la strada.
“Lasci libera la spalliera!”
Marta fece con il capo di no. Aveva troppa paura. Nuovamente la maestra la riprese e le ordinò di mettersi dall’altra parte, come facevano gli altri.
“Non vedi che la spalliera serve per i passanti, cretina!”
Ancora una volta Marta fu costretta a cedere con la paura negli occhi. Sentiva che qualcosa di brutto le stava capitando.
Faceva bene ad avere paura. Infatti, i compagni la circondarono immediatamente in un abbraccio confortevole. In realtà, le sbarravano la strada, per impedirle di riappoggiarsi alla spalliera.
Forse Marta aveva una possibilità. Ormai erano a metà scalinata. Non avevano più possibilità.
Purtroppo i compagni, decisi di farla cadere per le scale, finsero di aver dimenticato una cosa e ritornarono tutti su. La maestra era furiosa. Come si permetteva tutta la classe di scappare a quel modo.
“Vi giuro che appena torniamo a scuola, vi convoco tutti dal preside”.
Tutti finsero di preoccuparsi, ma cosa importava in quel momento. Erano pronti a tutto, pur di mettere in atto il loro piano.
Tutti scesero, facendo finta di niente. Mentre tutti si spostavano, lasciando il campo aperto Federico, Giacomo e Andrea si prepararono. Dal momento che erano scocciati della maestra e di Marta, ebbero un’idea migliore. Spinsero Marta davanti alla maestra, poi misero i loro piedi tra quelli di Marta e… come Marta aveva temuto, cadde nel vuoto.
Sembrava una caduta divertente per tutti. Marta su tutte le scale. Stava per colpire la maestra. Questa si accorse appena in tempo e si spostò. Marta rotolò fino all’ultimo gradino. Mentre rotolava, la ragazza sbatté contro una bottiglia di vetro. Il peso del suo corpo ruppe la bottiglia di vetro e i molti vetri le rimasero attaccati.
Tutta la classe sghignazzò, mentre vedeva la maestra precipitarsi verso la ragazza. Marta dolorante cercava di alzarsi. La maestra cercò di aiutarla, ma Marta: “Non mi tocchi!”
Quando Marta aveva bisogno di aiuto, la maestra non aveva fatto nulla. Adesso che era troppo tardi, allora la maestra si era precipitata. Marta non poteva sopportarlo. Non trovava più la forza di muoversi o alzarsi. Un pezzo di vetro appunta le aveva trafitto un fianco. C’era tanto sangue. La maestra tentò di togliere il vetro, ma peggiorò le cose.
Con le ultime forze rimaste Marta si rivolse alla maestra: " Perché non mi hai salvata, cambiando il giro?"
Poi rivolgendosi alla classe esclamò: “Vi siete divertiti con me. Ma adesso io mi divertirò di più con voi. Vi rovinerò nella peggiore maniera possibile. Aspettate e vedrete, ve ne pentirete”.
Alla fine esalò l’ultimo respiro e non si mosse più. La maestra era inorridita. Mandò un sacco di occhiatacce agli alunni, come per dire: “Mannaggia a voi”.
“Fermi tutti dove siete e mani in alto”.
A questo punto nessuno rise più. La polizia, apparsa dal nulla, li aveva circondati.
La maestra spiegò innocentemente che avevano avuto un incidente. I ragazzi stavano giocando. La polizia se ne infischiò delle spiegazioni della maestra. Poteva riportare tutte le sue smancerie in tribunale. Infatti, stavano uscendo un’infinità di testimoni, che tutti avevano fino allora ignorato, che avevano visto tutto. Perciò bastavano loro. Come Marta aveva promesso a loro, adesso la 4 C della Scuola Gulli non rideva più. Anzi erano in preda al terrore.
“Avete tutti il diritto di non parlare e di rimanere in silenzio. Qualunque prova potrebbe essere usata contro di voi in tribunale. Avete diritto a un avvocato”.
Il giorno del processo i ragazzi non ridevano più. Tremavano e singhiozzavano. Non volevano fare niente di male. Stavano solo giocando. Invece avevano fatto un disastro irreparabile. Infatti, saltò fuori una storia diversa da come erano andate le cose veramente. Quando i genitori di Marta di presentarono in aula, spiegarono davanti al giudice che i genitori di Giacomo, Andrea e Federico li avevano sempre maltrattati al lavoro, a causa di essere due immigranti stranieri. Perciò, presero l’omicidio della figlia come un atto razzista.
“Non ci muoveremo da qui, fino a quando non ci renderete giustizia”.
Non erano da soli. Altri colleghi li appoggiavano e anche i testimoni erano dalla loro parte.
La maestra giurò di non aver mai avuto a che vedere con un atto razzista. Disse umilmente: “Avevo detto ai ragazzi di smetterla, ma non mi davano retta. Che altro dovevo fare?”
“Bugie! Bugie!” Urlò un testimone.
“Marta aveva supplicato di cambiare strada. C’era un’altra strada che portava alla scuola. Era più lunga, ma più sicura. Quando ha visto che i ragazzi sgambettavano Marta, perché non ha preso quella strada? Avrebbe evitato a Marta di passare per quella scala”.
“Avevo il dovere di riportare tutti a scuola alle quattro e mezza”.
“Quindi, una ragazza si può far male tranquillamente, purché lei gli riporti a scuola in orario perfetto. Ammesso che l’idea non sia stata sua, lei voleva che Marta cadesse nella trappola, che i ragazzi le stavano preparando. In questo modo si è resa complice dell’omicidio”.
Il giudice affermò: “Questo equivale a galera perpetua. Buona giornata”.
La maestra venne arrestata. Mentre la portavano via, maledisse quella classe e quella scuola.
Effettivamente i ragazzi e la scuola non la passarono liscia.
“Poiché la scuola Gulli ha permesso che accadessero incidenti simili, chiuderà da domani”.
Il preside non ci credeva. Era rovinato. Uscì dall’aula bestemiando.
Tutti i genitori della classe 4 C furono tutti arrestati a causa dello scherzo dei loro figli. In quanto ai ragazzi, il giudice stabilì che fossero degli irresponsabili. Perciò, sarebbero stati chiusi in un collegio speciale, per i ragazzi difficili come loro. In questo modo si avrebbero condotto una vita sana e avrebbero imparato la lezione. “Resterete in questo collegio fino ai diciott’anni. E vi avverto: un altro passo falso e ai quattordici anni avrete un viaggio di solo andata per il riformatorio”.
Così iniziò per i ragazzi una vita dura, identica a una prigione. Erano obbligati tutti i giorni a svegliarsi alle sette in punto. Se ci mettevano di più venivano puniti. Non indossavano più i loro vestiti eleganti. D’ora in avanti avevano due divise, di cui dovevano occuparsi. Dovevano loro sbrigare le faccende in collegio: si preparavano da soli la colazione, si pulivano da soli i vestiti e dovevano pulire le loro camere e il bagno. Non aderirono alla festa di carnevale o Halloween nemmeno a quella di natale. E poi si erano già abbastanza divertiti. Non c’era tempo per i giochi o piccoli lavoretti decorativi. Lo studio o il lavoro veniva prima di tutto. Gli concessero solamente delle attività extrascolastiche: sport, suonare uno strumento e il teatro. Tuttavia, non erano attività leggere. Erano prese molto seriamente. Perciò, anche in quel caso si lavorava duro. I professori pretendevano il meglio.
I giorni passavano e i ragazzi erano costantemente perseguitati dagli sghignazzi di Marta: “Vi siete divertiti con me. Ma adesso io mi divertirò con voi. Io non arriverò fino ai miei diciotto anni e voi invece, passerete tutto questo tempo in una scuola prigione”.
Questa vita durò per diciotto anni e poi…
La classe 4C si ruppe. Nessuno era più amico di nessuno. Ognuno andò per una strada diversa e nessuno volle sapere più niente di nessuno.
“A distanza di ventidue anni faccio ancora fatica ad ammettere di essere stata io a ordinare alla povera Marta di farmi passare. Io sono qui del tutto guarita. Invece Marta non arrivò nemmeno al suo decimo compleanno”.
La storia rattristò molto triste la classe.
La maestra Russo: “Già! Quello che è stato fatto, non si può cambiare. Ma spero che ne facciate tesoro di questa storia”.
(A molti ragazzi piace scherzare e fare dispetti ai propri compagni. Ma lo scherzo è bello quando dura poco. Se gli scherzi diventano sempre più pesanti, possono comportare delle gravissime conseguenze).
Era divertente fare scherzi a Barbara. Lei era una ragazza di nove anni, bionda e con gli occhi azzurri. Aveva però il grosso difetto di mangiare molto e per questo era grassa. Per i gusti dei ragazzi le ragazze dovevano essere magre. Perciò era una ragazza brutta e cattiva. I ragazzi potevano trattarla come un pupazzo. Tanto non importava a nessuno. Ma forse a qualcuno si che importava?
Era lunedì terzo di ottobre. Era appena suonata la campana. Mentre Barbara si sedeva comoda sulla sedia, venne trafitta da un forte dolore. C’erano delle puntine sulla sua sedia e qualcuna gli era rimasta appiccicata. Si mise a piangere. La maestra Russo chiese cosa fosse successo e Barbara singhiozzando rispose: “Mi hanno messo delle puntine sulla sedia”.
La professoressa Russo gridò agli alunni: “Siete pazzi. Oggi tutti in castigo. Niente ricreazione”.
Molti in classi si arrabbiarono con la maestra. Non avevano fatto niente e non era stata colpa loro.
“Barbara poteva stare più attenta”.
“Gli occhi servono per guardare. Non è colpa nostra se non guardava dove si sedeva” commentò un ragazzo.
Alla professoressa non gli piaceva sentire tutti questi discorsi. Capì che la classe non aveva nessun rispetto per Barbara. Perciò aveva bisogno di una lezione e già sapeva che castigo dargli.
All’ora della ricreazione le altre classi andarono a giocare fuori in cortile. Invece la quarta B se ne restò in classe. Tuttavia, fu meno noioso del previsto. La professoressa Russo aveva una storia importante da raccontargli.
La professoressa affermò: “A molti ragazzi piace scherzare e fare dispetti ai propri compagni. Ma lo scherzo è bello quando dura poco. Se gli scherzi diventano sempre più pesanti, possono comportare delle gravissime conseguenze, come fu il caso della classe 4 C della Scuola Gulli”.
Erano le quattro di pomeriggio di mercoledì. La classe elementare 4 C camminava per una strada chiamata piazza Savilla. Tutti i mercoledì uscivano alle due e mezza e andava in un’altra scuola per la lezione di canto natalizio. La lezione era andata bene. Ora stavano tornando alla loro scuola per tornare a casa. Fu dalì che iniziarono tutti i problemi.
“Mi annoio”. commentò Giacomo.
“Magari potessimo andare a giocare a pallone” concordò Andrea.
Mentre seguivano il resto della classe, si fissarono su Marta. Sebbene fosse una ragazza bella, aveva un modo di fare diverso rispetto alla classe. E per questo la consideravano un’idiota ed era giusto maltrattarla.
“Guarda come cammina Marta!?” Commentò Federico.
“Sempre cammina come una papera!?” Concordò Giacomo.
“Perché non gli insegniamo noi a camminare bene?!” Propose Andrea.
“Si, facciamolo?!” Risposero in coro.
Marta, che seguiva tranquillamente tutti, non badò a loro. Essendo stata presa in fallo, cascò per terra al primo sgambetto. La maestra vedendo la caduta, si spaventò. Urlando istericamente a squarciagola disse a Marta in tono severo: “Ma tu vuoi fare un più attenzione. Devo finire nei guai per te!”
L’atteggiamento aggressivo della maestra spaventò Marta più della caduta. Quasi le venivano le lacrime agli occhi. Perciò, riprese la sua camminata lontana dalla maestra.
A Federico, Giacomo e Andrea era piaciuta un sacco la scena. Perciò accettarono volentieri di continuare.
Così Federico le sbarrò la strada con un piede. Di nuovo, inciampò e cadde per terra. Qui la maestra li vide e li riprese. Loro, per dimostrare di essere più forti di chiunque, persino della stupida Marta, erano indifferenti ai rimproveri. Perciò, continuarono. Era troppo divertente. La maestra non sapendo più cosa fare, li ignorò. Dopotutto Marta era grande e grossa. Doveva imparare a difendersi.
Sebbene più volte Marta avesse cercato di avvicinarsi alla maestra, lei seguiva come se niente fosse. I ragazzi erano impossibili da tenere e pensò che arrivando a scuola, sarebbe tutto finito.
Capito che la maestra non avrebbe più detto nulla, ora Federico, Giacomo e Andrea erano liberi di continuare.
Per arrivare alla scuola si doveva scendere delle scale e svoltare a sinistra. La scala era una lunga scalinata con i gradini alti e di pietra.
Qui i ragazzi ebbero una grande idea: “E se la sgambettassimo e la facessimo rotolare per la di scalinata era molto buona”.
“Si, facciamolo”.
Lo dissero anche alle compagne e loro risero forte. O meglio, ad alcune l’idea non piaceva per niente. Ma pensarono era meglio che fosse Marta l’oggetto del divertimento dei ragazzi piuttosto che loro.
Marta, che era meno stupida di quello che sembrava, aveva sentito tutto. Perciò, lo disse alla maestra e la supplicò di cambiare giro per questa volta. I ragazzi continuavano a sgambettarla e aveva paura a scendere quella scalinata.
La maestra scocciata rispose: “E’ lo so, ma io che ci posso fare? La strada è questa, mi dispiace”.
Marta ugualmente non si sentiva tranquilla, quasi si metteva a piangere. Ma la maestra la ignorò completamente. Aveva fretta. Doveva riportare gli alunni a scuola alle quattro e mezza in punto.
Capito di non poter contare su nessuno tranne che sé stessa, si appoggiò saldamente alla spalliera della scala. Purtroppo la sfortuna si abbatté su di lei. Sembrava che fosse il destino che voleva così. Signora con le stampelle stava salendo e Marta le sbarrava la strada.
“Lasci libera la spalliera!”
Marta fece con il capo di no. Aveva troppa paura. Nuovamente la maestra la riprese e le ordinò di mettersi dall’altra parte, come facevano gli altri.
“Non vedi che la spalliera serve per i passanti, cretina!”
Ancora una volta Marta fu costretta a cedere con la paura negli occhi. Sentiva che qualcosa di brutto le stava capitando.
Faceva bene ad avere paura. Infatti, i compagni la circondarono immediatamente in un abbraccio confortevole. In realtà, le sbarravano la strada, per impedirle di riappoggiarsi alla spalliera.
Forse Marta aveva una possibilità. Ormai erano a metà scalinata. Non avevano più possibilità.
Purtroppo i compagni, decisi di farla cadere per le scale, finsero di aver dimenticato una cosa e ritornarono tutti su. La maestra era furiosa. Come si permetteva tutta la classe di scappare a quel modo.
“Vi giuro che appena torniamo a scuola, vi convoco tutti dal preside”.
Tutti finsero di preoccuparsi, ma cosa importava in quel momento. Erano pronti a tutto, pur di mettere in atto il loro piano.
Tutti scesero, facendo finta di niente. Mentre tutti si spostavano, lasciando il campo aperto Federico, Giacomo e Andrea si prepararono. Dal momento che erano scocciati della maestra e di Marta, ebbero un’idea migliore. Spinsero Marta davanti alla maestra, poi misero i loro piedi tra quelli di Marta e… come Marta aveva temuto, cadde nel vuoto.
Sembrava una caduta divertente per tutti. Marta su tutte le scale. Stava per colpire la maestra. Questa si accorse appena in tempo e si spostò. Marta rotolò fino all’ultimo gradino. Mentre rotolava, la ragazza sbatté contro una bottiglia di vetro. Il peso del suo corpo ruppe la bottiglia di vetro e i molti vetri le rimasero attaccati.
Tutta la classe sghignazzò, mentre vedeva la maestra precipitarsi verso la ragazza. Marta dolorante cercava di alzarsi. La maestra cercò di aiutarla, ma Marta: “Non mi tocchi!”
Quando Marta aveva bisogno di aiuto, la maestra non aveva fatto nulla. Adesso che era troppo tardi, allora la maestra si era precipitata. Marta non poteva sopportarlo. Non trovava più la forza di muoversi o alzarsi. Un pezzo di vetro appunta le aveva trafitto un fianco. C’era tanto sangue. La maestra tentò di togliere il vetro, ma peggiorò le cose.
Con le ultime forze rimaste Marta si rivolse alla maestra: " Perché non mi hai salvata, cambiando il giro?"
Poi rivolgendosi alla classe esclamò: “Vi siete divertiti con me. Ma adesso io mi divertirò di più con voi. Vi rovinerò nella peggiore maniera possibile. Aspettate e vedrete, ve ne pentirete”.
Alla fine esalò l’ultimo respiro e non si mosse più. La maestra era inorridita. Mandò un sacco di occhiatacce agli alunni, come per dire: “Mannaggia a voi”.
“Fermi tutti dove siete e mani in alto”.
A questo punto nessuno rise più. La polizia, apparsa dal nulla, li aveva circondati.
La maestra spiegò innocentemente che avevano avuto un incidente. I ragazzi stavano giocando. La polizia se ne infischiò delle spiegazioni della maestra. Poteva riportare tutte le sue smancerie in tribunale. Infatti, stavano uscendo un’infinità di testimoni, che tutti avevano fino allora ignorato, che avevano visto tutto. Perciò bastavano loro. Come Marta aveva promesso a loro, adesso la 4 C della Scuola Gulli non rideva più. Anzi erano in preda al terrore.
“Avete tutti il diritto di non parlare e di rimanere in silenzio. Qualunque prova potrebbe essere usata contro di voi in tribunale. Avete diritto a un avvocato”.
Il giorno del processo i ragazzi non ridevano più. Tremavano e singhiozzavano. Non volevano fare niente di male. Stavano solo giocando. Invece avevano fatto un disastro irreparabile. Infatti, saltò fuori una storia diversa da come erano andate le cose veramente. Quando i genitori di Marta di presentarono in aula, spiegarono davanti al giudice che i genitori di Giacomo, Andrea e Federico li avevano sempre maltrattati al lavoro, a causa di essere due immigranti stranieri. Perciò, presero l’omicidio della figlia come un atto razzista.
“Non ci muoveremo da qui, fino a quando non ci renderete giustizia”.
Non erano da soli. Altri colleghi li appoggiavano e anche i testimoni erano dalla loro parte.
La maestra giurò di non aver mai avuto a che vedere con un atto razzista. Disse umilmente: “Avevo detto ai ragazzi di smetterla, ma non mi davano retta. Che altro dovevo fare?”
“Bugie! Bugie!” Urlò un testimone.
“Marta aveva supplicato di cambiare strada. C’era un’altra strada che portava alla scuola. Era più lunga, ma più sicura. Quando ha visto che i ragazzi sgambettavano Marta, perché non ha preso quella strada? Avrebbe evitato a Marta di passare per quella scala”.
“Avevo il dovere di riportare tutti a scuola alle quattro e mezza”.
“Quindi, una ragazza si può far male tranquillamente, purché lei gli riporti a scuola in orario perfetto. Ammesso che l’idea non sia stata sua, lei voleva che Marta cadesse nella trappola, che i ragazzi le stavano preparando. In questo modo si è resa complice dell’omicidio”.
Il giudice affermò: “Questo equivale a galera perpetua. Buona giornata”.
La maestra venne arrestata. Mentre la portavano via, maledisse quella classe e quella scuola.
Effettivamente i ragazzi e la scuola non la passarono liscia.
“Poiché la scuola Gulli ha permesso che accadessero incidenti simili, chiuderà da domani”.
Il preside non ci credeva. Era rovinato. Uscì dall’aula bestemiando.
Tutti i genitori della classe 4 C furono tutti arrestati a causa dello scherzo dei loro figli. In quanto ai ragazzi, il giudice stabilì che fossero degli irresponsabili. Perciò, sarebbero stati chiusi in un collegio speciale, per i ragazzi difficili come loro. In questo modo si avrebbero condotto una vita sana e avrebbero imparato la lezione. “Resterete in questo collegio fino ai diciott’anni. E vi avverto: un altro passo falso e ai quattordici anni avrete un viaggio di solo andata per il riformatorio”.
Così iniziò per i ragazzi una vita dura, identica a una prigione. Erano obbligati tutti i giorni a svegliarsi alle sette in punto. Se ci mettevano di più venivano puniti. Non indossavano più i loro vestiti eleganti. D’ora in avanti avevano due divise, di cui dovevano occuparsi. Dovevano loro sbrigare le faccende in collegio: si preparavano da soli la colazione, si pulivano da soli i vestiti e dovevano pulire le loro camere e il bagno. Non aderirono alla festa di carnevale o Halloween nemmeno a quella di natale. E poi si erano già abbastanza divertiti. Non c’era tempo per i giochi o piccoli lavoretti decorativi. Lo studio o il lavoro veniva prima di tutto. Gli concessero solamente delle attività extrascolastiche: sport, suonare uno strumento e il teatro. Tuttavia, non erano attività leggere. Erano prese molto seriamente. Perciò, anche in quel caso si lavorava duro. I professori pretendevano il meglio.
I giorni passavano e i ragazzi erano costantemente perseguitati dagli sghignazzi di Marta: “Vi siete divertiti con me. Ma adesso io mi divertirò con voi. Io non arriverò fino ai miei diciotto anni e voi invece, passerete tutto questo tempo in una scuola prigione”.
Questa vita durò per diciotto anni e poi…
La classe 4C si ruppe. Nessuno era più amico di nessuno. Ognuno andò per una strada diversa e nessuno volle sapere più niente di nessuno.
“A distanza di ventidue anni faccio ancora fatica ad ammettere di essere stata io a ordinare alla povera Marta di farmi passare. Io sono qui del tutto guarita. Invece Marta non arrivò nemmeno al suo decimo compleanno”.
La storia rattristò molto triste la classe.
La maestra Russo: “Già! Quello che è stato fatto, non si può cambiare. Ma spero che ne facciate tesoro di questa storia”.