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Autore: Historic    09/09/2024    0 recensioni
Kuroda Akuma, ventunenne giapponese di Tokyo, è l'incarnazione stessa del male assoluto. Commette crimini su crimini dopo che tutte le forze dell'ordine entrano misteriosamente nella metropolitana di Tokyo, lasciando nel caos totale la città. Un anno dopo, mostri assetati di sangue escono dalla stazione, facendo quasi estinguere l'umanità. L'anno seguente Kuroda, che trascorre una vita noiosa e solitaria a Tokyo, movimentata solo da qualche incontro con i mostri, viene forzatamente reclutato da Takeshi Ryuzaki, un signore della sua età con grandissimi poteri, e inserito in una squadra con due killer per entrare nella stazione e cercare il creatore dei mostri, gli Abaddon.
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Tokyo Station

 

Mostri e Caos (Capitolo 1)

 

Tokyo, Chiyoda, vicino Marunouchi

23 Ottobre 2018, 13:30

 

Un ragazzo, oramai adulto da pochi anni. 21 compiuti l'8 aprile, Kuroda Akuma, non aveva mai fatto niente per la società e la società non gli aveva mai dato niente. O, meglio dire, lui aveva rifiutato tutto da essa.

L'anima nera forse più dell'abisso, così tanto da far paura a questo. Una persona a cui non bisogna dare un briciolo di pietà, è un malvagio puro e in piena regola. Capelli neri e occhi così rossi che gli sfortunati che li hanno fissati, almeno quelli che sono sopravvissuti, li hanno descritti come biglie con una pupilla e del sangue riversato dentro.

I disordini, il caos, la criminalità e tutto ciò vietato dalla legge facevano al suo caso, soprattutto quando due anni fa l'intera polizia e forza militare di Tokyo fu indirizzata verso la stazione metropolitana, lasciando l'intera città nelle mani di criminali. Ma nessuno come lui spargeva il terrore, seminando morte e raccapriccio.

Poi, dalla stazione, il 23 Ottobre 2017 uscirono loro. Sembravano di un film o di una novella horror dei migliori scrittori mai esistiti. Veloci, lenti, alti, bassi, rumorosi, silenziosi, orrendi, terrorizzanti, grossi, esili. Di tutte le varietà, chi veniva ucciso da uno e chi veniva divorato da un altro, l'esito era sempre la morte. Nessuno poteva capire se si soffrisse o no, ma le vittime non facevano nemmeno in tempo ad esprimere ciò che provavano che già la loro vita era sparita, svanita verso paradiso o inferno.

Che sapessero nuotare, sì, sapevano. E fu la fine della società umana.

Forse un castigo divino per punire i delitti dell'umanità, forse una razza aliena in cerca di un pianeta da invadere, forse creature di un altro universo arrivate tramite un portale o forse... la creazione di qualcuno.

L'umanità, quanto cocciuta fosse, tentò di rimettersi in piedi. Gli americani, guidati dalla CIA, entrarono nell'ormai martoriato e infestato Giappone, trovando ben pochi mostri, addirittura nella zona di Tokyo. Era come se i mostri si fossero ritirati nuovamente nella stazione e fossero pronti a riversarsi nel mondo per una seconda, ancora più violenta ondata.

Non potevano permetterlo.

I mostri erano un problema. Non per Kuroda.

 

“Sono a casa...”, la voce di Kuroda risuonava nel suo appartamento semibuio e vuoto. Salutava qualcuno ma non c'era nessuno. La sua casa solitaria come il suo cuore. Una solitudine creata da lui stesso a forza di spari e fendenti di armi da taglio.

Rimanendo fisso davanti l'entrata, aprì il pugno della sua mano destra con dentro le chiavi e le fissò. Il suo sguardo era così penetrante e senza emozioni che avrebbe potuto fare un buco nell'anima di una persona, ma le chiavi rimasero così com'erano. Sempre le solite chiavi metalliche che servivano ad aprire la porta.

Non le aveva mai usate. Lasciava sempre la porta aperta. Non aveva visto un essere umano dal 24 Ottobre, quando sparò nella gamba destra di un impiegato d'ufficio cinquantenne che stava cercando di scappare, provocando la sua caduta che lo condannò alla cattura dei due mostri che lo seguivano. Kuroda se ne andò solo dopo aver visto la carneficina che fecero di quel pover'uomo.

Nella mano sinistra teneva una busta di cartone biodegradabile marrone con dentro del cibo, due pesi da 4 chili ognuno, due magliette, una nera attillata e una bianca a collo alto e trenta proiettili per una pistola 25mm.

Posò la busta affianco al muro. La guardò con la stessa intensità di un killer che guarda la sua prossima vittima.

 

Non mi piace quel marrone...

 

In preda a quel pensiero, non sentì un grugnito. Al secondo, girò la testa verso il corridoio opposto alla sua cucina che portava al bagno, camera da letto e una camera per gli ospiti inutilizzata e vuota. Gli occhi rosso sangue erano proiettati nell'oscurità di quella parte di casa. Un altro grugnito profondo e minaccioso, simile a quello dei maiali quando mangiano. Le sue pupille si dilatarono e sembrava che il sangue dei suoi occhi ribollisse da quanto si muovesse freneticamente.

Camminò verso il corridoio, mettendosi davanti alla porta aperta a uno spiraglio e infilando l'occhio nella fessura per vedere qualcosa. Il nulla. Ma i grugniti, ora più forti ma della stessa frequenza, continuavano.

Prendendo la maniglia della porta, la spinse fino a quando non ebbe una visuale chiara su tutta la stanza illuminata.

Lì, nell'angolo opposto a quello guardato prima da Kuroda, c'era.

Più di tre metri, scheletrico, con la pelle liscia color cenere così sottile che sembrava si potesse sgretolare da un momento all'altro, gambe sottili alte un metro come le braccia, le quali finivano con delle mani esili e dita acuminate e rigide come artigli con le quali si appoggiava ai due muri adiacenti. La schiena ricurva quasi toccava il soffitto e lasciava in bella vista tutte le vertebre della sua spina dorsale. Il collo lungo era simile a quello di uno stelo e la bocca, piatta e circolare, ricordava quella di un girasole appassito sotto un sole troppo caldo.

 

“Hey...”

 

La voce sottotono di Kuroda fece girare di scatto la testa del mostro. Il collo fece una torsione innaturale, come se non ci fosse nessun osso là dentro. I contorni del collo si ampliavano fino a formare un cerchio più grande che poi andava a curvarsi per formare delle sottilissime labbra circolari. L'interno della bocca, anche da più vicino, risultava totalmente cupo come se dentro ci fosse un buco nero e l'unica cosa visibile erano due file concentriche di denti piccoli e aguzzi.

Kuroda guardò tra le gambe del mostro, vedendo uno scheletro ben spolpato e con pochi stracci di vestiti che lo ricoprivano.

Senza la minima esitazione. Prese la pistola 25mm dalla sua tasca destra e sparò dritto nella bocca e petto della creatura. Questa fece un urlo acuto e cadde per terra con un tonfo sordo. Tutto tornò al silenzio più totale.

 

Il tuo ultimo pasto...

 

“Avrà rosicchiato ben poco... dopotutto quel corpo era lì da qualche giorno.”

 

Una delle finestre erano rimaste aperte, lasciando al mostro la possibilità di entrare.

Chiuse con cura la porta, lasciando che scricchiolasse e rimbombasse in tutto l'appartamento.

La sua arma era una semplice calibro 25mm, accompagnata da un semplice coltello.

I punti deboli di quelle bestie erano la testa e il petto. O questo era quello che aveva supposto. Il secondo colpo al petto lo faceva per sicurezza, forse per divertimento. Ma lui non sentiva divertimento, solo rabbia di rado e poi... niente.

Sparava alla testa non perchè qualcuno glielo aveva insegnato, non per istinto, non perchè aveva imparato che gli umani morissero immediatamente se colpiti là, ma perchè lui vedeva.

Una sfera di luce. Fluttuava, danzava, luccicava come se a chiamarlo a sé. Là il suo istinto entrò in gioco. La prima volta che incontro uno di loro era il 25 Ottobre 2017, due giorni dopo l'inizio della fine. Faceva freddo. Gli alberi, come se raccolti in un requiem per l'umanità, perdevano le foglie, spogliandosi di colori vibranti come il rosso che ora pitturava le strade, deserte di vita ma straripanti di morte. Cadaveri non ancora consumati. Tanta carneficina ma poco odore, puzza di decomposizione. Anche i corpi dei mostri, quei pochi uccisi, veniva mangiati dai propri simili. Capaci di tale fredda logica che Kuroda si sentiva per una volta vicino a qualcosa, ma quel qualcosa non era umano, non provava empatia proprio come lui e lo voleva morto.

Come biasimarli. Kuroda Akuma voleva lo stesso.

Vide la bestia, la guardò in faccia. La sfidò a chi avrebbe provato per primo paura. Uno senza occhi, l'altro con occhi che raggelavano anche il magma.

Il mostro grugnì, come un gatto che mostra le unghie per intimidire. Nulla, nessuna emozione. Come se stesse guardando ad una tela bianca, che per lui era pronta per essere dipinta di rosso.

 

La sfera, la sfera... devo sparare... alla sfera...

 

Pensò, e come in film western d'epoca, la sua pistola uscì dalla tasca con velocità impressionanti. Il proiettile calibro 25mm volò, trapassando quella pelle simile a carta ma flessibile come gomma. Il sangue cadde per terra e così fu anche per il mostro.

Dietro di esso, alla fine del vicolo, una donna terrorizzata si girò verso di lui. I quattro occhi si connetterono ma per qualche istante solo. Venne catturata dalle grinfie di uno di loro.

Kuroda sorrise. Non aveva sentito nessun urlo da parte della donna.

 

“Che tutti gli esseri siano felici. Che tutti gli esseri siano in pace. Che tutti gli esseri vivano liberi dalla sofferenza.”

 

Recitò una brevissima preghiera di Metta. Venne fuori come voleva lui: una presa in giro all'umanità, che di fronte alla loro fine si nascondevano dietro false speranze.

 

 

Erano passate le undici di sera. Kuroda stava seduto sul divano, cercava di addormentarsi. La televisione dava solo segnali statici per tutto il giorno e il rumore gli faceva in qualche modo venir fame. Non aveva sonno. Tentava comunque di dormire per perdere tempo. L'indomani aveva deciso di andare nella periferia di Tokyo. Ci sarebbe stato qualcosa di sicuro lì. Solo i suoi occhi lo avrebbero constatato.

 

Non riesco a dormire...

 

Si alzò e camminò verso la porta. Scese giù per le scale fino al portone di vetro infranto del complesso di appartamenti in cui viveva. La fredda brezza della sera gli accarezzava la faccia e pungeva la pelle, ma lui rimase impassibile come se a guardarla venire contro i suoi occhi quasi vitrei.

Era tutto buio. Guardo a destra e poi a sinistra.

 

“...!”

 

Un proiettile calibro 50mm gli passò di rado sullo zigomo destro, graffiandolo di netto con una sottilissima linea di sangue che scendeva sulla guancia.

I suoi occhi erano sbarrati. Tutti i suoi sensi in uno stato di allerta ma non provava paura.

Pensava che ne sarebbero partiti altri di colpi, ma calò il silenzio. Si voltò lentamente, ruotando prima la testa e poi il corpo.

Nell'oscurità stava una figura alta forse un metro e ottantatré centimetri e gli unici capi d'abbigliamento che si potevano notare subito erano una giacca a vento aperta e un berretto sulla testa.

Kuroda estrasse prontamente il coltello dalla tasca.

 

“Fermati...”

 

Quell'uomo alzò una mano, tenendo l'altra fissa sul lato del corpo dritto e ben formato.

 

“...sono più forte di te, il mio nome è Takeshi Ryuzaki.”, la sua voce era tagliente e mascolina.

 

“E quindi? So perchè sei qua... sei venuto per me.”

 

Takeshi rimase fermo. Abbasso la mano e rise.

 

“Pensi? Beh, l'istinto di un killer.”

 

 

“Non sono un killer. Un killer uccide con uno scopo. Io no.”

 

Senza dire nient'altro scattò in avanti. La persona comune non lo avrebbe visto arrivare.

Takeshi era già dietro di lui, come se si fosse teletrasportato. Mancò solo di un pelo la nuca di Kuroda.

 

“Mhh... bravo.”

 

Aspettò. Kuroda, senza emozioni visibili in volto, sferrò un secondo attacco, sparando prima e poi seguendo con un fendente.

Takeshi gli afferrò il braccio e lo colpì allo stomaco con la suola delle scarpe nere.

 

“Ngh!”

 

Kuroda volò attraverso un palazzo, perdendo coltello e pistola. Atterrò a pancia all'aria su un marciapiede sporco. Alzò la testa e guardò in giro. Rotolò in avanti per evitare il colpo da dietro di Takeshi.

 

“Te la cavi. È per questo che ti voglio!”

 

Kuroda se lo ritrovò davanti. Ora lo vedeva bene. Aveva un sorrisetto calmo e prepotente, ciglia lunghe e ben curate come i capelli beige ondulati e corti, tagliati in due frange opposte. Gli occhi erano color perla e simil vitrei come i suoi. Riflettevano la figura omicida di Kuroda per quanto fossero splendenti.

Il combattimento continuò corpo a corpo. Entrambi dimostravano grandissime abilità sovrumane ma anche combattive in generale. Nessuno di loro cambiava espressione, come se le loro facce fossero due maschere. Takeshi era chiaramente il più forte e fu l'unico a dare colpi decisivi a Kuroda.

 

“Ben combattuta, Akuma!”

 

“Tch...”

 

Come se lo sapesse già, Kuroda fece una smorfia di fastidio e rabbia vedendo per un attimo il pugno diretto verso la sua faccia. Poi nero e il sangue dal suo naso che colava.

 

 

Da nero vide i suoi piedi. Il pavimento era bianco e illuminato tanto da fargli male agli occhi sensibili. Sentiva uno strano formicolio al naso. Alzò la mano per grattarlo e sentì degli spostamenti proprio davanti a sé.

C'erano tre persone. Quattro, ora che un uomo di media statura era entrato nella stanza tutta bianca.

 

“Oh, he woke up! Finally... this piece of shit is the last thing we need.”

 

Tre sedie tra lui e Kuroda. Su una seduta Takeshi, sulle altre due dei giapponesi. Uno aveva occhiali ed era in giacca e cravatta mentre quello alla sua sinistra vestiva dei jeans blu e una maglietta bianca.

Takeshi girò la testa verso il signore che aveva appena parlato.

 

“Oh, you're here Mark! Ehehe, did you see what I got for you?”

 

Mark non rispose e fissò Kuroda. Prima i capelli e poi gli occhi. Brividi. Così forti da fargli venire un veloce spasmo alla schiena.

Deglutì nervosamente e appoggiò una mano sulla spalla alla persona in maglietta.

 

“He's fucking horrifying... be wary, Hirata. He just might be the devil, or maybe it's just inside his eyes... who knows.”

 

Detto questo con disgusto e diffidenza, uscì dalla stanza. Ora erano solo loro quattro nella stanza.

Hirata finalmente alzò gli occhi dal tablet che stava usando. Guardò dritto in faccia Kuroda. Fu come se un gatto fosse andato in allerta. Le pupille si dilatarono, gli occhi si spalancarono e i peli si drizzarono. Si girò verso Takeshi che sorrise.

 

“Non male, eh?”

 

“Dico che hai preso veramente il diavolo, Ryuzaki. Non parla nemmeno.”

 

“Oh tranquillo, parla eccome! Solo che lo fa raramente.”, lo tranquillizzò lui.

 

Al centro, l'altra persona alzò la faccia. Ebbe la stessa reazione alla visione degli occhi di Kuroda. Deglutì pure lui aggiustandosi gli occhiali.

 

“Kuroda Akuma.”, iniziò improvvisamente Takeshi, “Duecentoventiquattro omicidi confermati, trenta rapine e circa cinquecento distruzioni di proprietà private nel corso dei disordini di Tokyo. Ossia... tra il 23 Ottobre 2016 e lo stesso giorno del 2017. Mi sorprendo di come tu abbia fatto tutte queste cose nel corso di soli 365 giorni. Non contiamo che tu possa aver ucciso altre persone dopo quella data.”

 

Guardò Kuroda. Nessuna emozione sulla faccia. Sembrava di guardare un manichino senziente.

Takeshi si sporse in avanti.

 

“La tua anima è nera come l'abisso. Se qualcuno mi dicesse di aver trovato il diavolo in te... direi che lo sei tu stesso.”

 

Silenzio per 6 secondi.

Un sospiro profondo di Kuroda.

Silenzio per 6 secondi.

I lati delle labbra di Kuroda si alzarono leggermente.

Silenzio per 6 secondi.

 

“Lo sono... no? E poi, Takeshi Ryuzaki... la tua anima è angelica d'altro canto, candida come un fiore, uno che calpesterei.”

 

Tutti e tre lo guardarono sorpreso.

 

“Pft! Sai vedere le anime altrui, Akuma!”, ruppe il ghiaccio Takeshi con leggerezza nella sua voce.

 

“Devi sapere che quella sfera che vedi nella testa degli Abaddon è essenzialmente la loro anima. La loro anima può essere colpita ed è il loro punto debole, il loro tallone d'Achille insomma...”

 

Quindi chiamano i mostri Abaddon. Come i mostri biblici... interessante.

 

Kuroda incrociò le braccia. Takeshi capì di avere la sua attenzione.

 

“Il motivo per cui ti ho preso e portato qua è semplice. Farai una cosa molto semplice e nella quale sei molto bravo: ucciderai. Kazuma, spiega te.”

 

Oh, il tipo con gli occhiali parla adesso... si chiamano Kazuma, Hirata e Takeshi. Inciderò i loro nomi sulle loro tombe.

 

L'uomo in giacca e cravatta, dall'aspetto aguzzo e molto maturo si alzò.

 

“Bene... grazie a delle ricerche condotte da Takeshi, ehm, sappiamo che gli Abaddon si sono ritirati nella stazione metropolitana di Tokyo. Il suo layout è irriconoscibile e alterato per... motivi sconosciuti. Abbiamo anche scoperto che gli Abaddon sono stati creati da un certo Lord Kagutsuchi Tenma.”

 

Un dio? Chi sarebbe questo qua? Lo vorrei incontrare...

 

“Perchè il Lord?”, chiese Kuroda.

 

“Ehm... è così che si è presentato.”

 

“L'avete incontrato e manco ucciso?”, tutti percepirono uno strano senso di frustrazione crescente provenire da Kuroda.

 

“Ehm...”

 

“Devi sapere che solo io e Hirata siamo capaci di combattere.”, parlò Takeshi, “Kazuma raccoglie informazioni. È della nostra intelligence e lavora insieme a quelli della CIA che ci siamo portati dall'America.”

 

Si alzò dalla sedia con il solito sorriso calmo.

 

“Il resto te lo dirò io. Sulla nostra via verso Tokyo, abbiamo raccolto due persone come te, dei killer affiatati e...”

 

“Non sono un killer, te lo ripeto.”, lo interruppe bruscamente Kuroda.

 

“Vero, vero... delle persone dall'anima oscura come te! Una ragazza diciannovenne di Sapporo e un macellaio di 30 anni di Sendai. Entrambi hanno commesso crimini gravi durante gli orrori provocati da quei mostri in tutto il Giappone. Sarà con loro, sotto la supervisione di Hirata, che scenderete nella stazione metropolitana e darete la caccia a Katsuguchi.”

 

“Era Kagutsuchi, Ryuzaki.”, lo corresse Kazuma.

 

“Ah! Vero, vero. Scusami l'errore, Raiden!”

 

Il silenzio calò nella stanza. I muri erano lisci in um modo che la rendeva quasi microscopica. Un incubo per claustrofobici. Si perdeva quasi il senso di profondità se non fosse per le linee della porta metallica.

Kuroda rimase fermo. Fissava come un'automa i tre davanti a sé. Non faceva trasparire nessuna emozione e non perchè le trattenesse, ma perchè non ne aveva da dimostrare.

 

“Bene!”, disse improvvisamente Takeshi, “Ti prego di seguirmi! È il momento di conoscere i tuoi alleati.”

   
 
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