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Autore: TheAngelica93    24/09/2024    0 recensioni
Una strana bocciatura costringe Pamela Monaldeschi e i suoi amici a ripetere l'ultimo anno nel collegio che frequentano. I quattro non hanno mai avuto un anno davvero tranquillo, ma nemmeno uno fuori dal comune come quello che stanno per affrontare. Siamo a Cruentapugna, città molto superstiziosa, dove vi sono due antiche famiglie in guerra; ragazzi instabili al limite del ridicolo; segreti che fanno fatica a restare tali; persone vendicative che hanno soldi, tempo e salute mentale da buttare; presidi e professori dalla dubbia moralità; alunni avvenenti e irriverenti; edifici inquietanti. Situazioni inverosimili a profusione, amori discussi e abitanti grotteschi... sono la regola qui in zona!
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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9 – Vite catalogate

 

Una casetta tutta costruita in legno, alta quanto un'abitazione di due piani, con diverse finestre e la paglia secca sul tetto spiovente, era ben nascosta tra cipressi, pini e querce. I segni che alcuni alberi fossero stati sacrificati, per dar vita a quella scombinata costruzione, erano palesi dai monconi dei tronchi. Qualcuno aveva anche improvvisato una sorta di sentiero, che si inoltrava ancora di più nel bosco.

Chiunque sia il misterioso costruttore abusivo non è giunto in questo punto dal rifugio antiaereo.

Come Gilberti, ero incuriosita anch'io da quella novità, ma lo trattenni per un braccio, godendomi il contatto con quei suoi muscoli ben sviluppati, ostaggio di un presentimento che mi implorava di tornare indietro, dicendomi che quella era l'opzione meno infelice tra cui scegliere; fu come assistere a un'esplosione di luce che mise in mostra ciò che i miei occhi non erano riusciti a scorgere.

«Tranquilla», mi incoraggiò lui, e mi strinse anche la mano per darmi forza. «Non si sente alcun rumore sospetto: non vi è nessun altro, qui... a parte noi due. Andiamo.»

Un po' scettica, mi incamminai dietro di lui.

Avanzammo tra l'erba; alcuni rami spinosi si innamorarono del mio top viola con volant e della mia lunga gonna nera, al punto da trattenermi a loro con la minaccia di strapparmi i vestiti, se avessi osato muovere dei passi.

«Accidenti!» smisi di divincolarmi e allungai la mano per staccare quelle spine pestifere.

«Sta ferma! Ci penso io», Gilberti si inchinò e liberò dalla morsa dei rovi, per prima, la mia gonna e, in seguito, rialzandosi, anche il mio top. «Stai sanguinando... Ti sei graffiata!» indirizzò il suo sguardo sul mio braccio destro.

Il forte contrasto, tra la mia pelle chiara e il rosso vivo del sangue, spiccava come una pantera nera in mezzo a un paesaggio innevato.

«Devi disinfettarti. Hai dell'acqua ossigenata e una garza, per caso?» continuò a esaminarmi i tagli per appurarne la gravità. «Di solito, ti porti dietro di tutto...»

«Il mio essere previdente serve a qualcosa!» non persi tempo ed estrassi dalla mia borsa l'occorrente.

Gilberti, senza proferire alcuna parola, versò l'acqua ossigenata su una garza pulita e incominciò a pulirmi le piccole ferite. Non avvertii alcun bruciore.

Lanciai un'occhiata al mio amico. La distanza tra noi era così minima che il mio ginocchio fu colto da un improvviso e incontrollato tremore; un peso invisibile si decise a schiacciarmi il petto proprio in quel momento, togliendomi persino il respiro. Mi resi conto che prima di allora, nella mia vita, mai avevo avvertito la compagnia di Gilberti come una costrizione.

Mi ritrovai a pensare anche al come a qualsiasi altra ragazza si sarebbe sciolto il cuore nel vederlo così amorevole, ma io, per quanto cercassi in me un qualsiasi segnale di un potenziale sentimento per lui, che andasse oltre l'amicizia, mi resi conto di non sentire nulla, se non l'incalzante bisogno di allontanarmi all'istante da lui.

Gilberti assottigliò gli occhi, aggrottando le sopracciglia; tirò la testa indietro con uno scatto. «Strano...» sussurrò.

«Cosa è strano?» fuggii i suoi occhi dubbiosi, concentrando la mia attenzione su degli uccellini che volavano tra un ramo e un altro. Invidiai il loro volare in alto, lontano dai problemi.

«Non ci sono tagli... Si sono già rimarginati?» il tono di voce scettico e allarmato mi fece voltare nuovamente verso di lui.

«Sembra che l'acqua ossigenata abbia svolto il suo compito in fretta... Non vuoi più entrare in quella catapecchia?» con la mia parlantina veloce, mi avviai verso i tre stretti scalini di legno situati davanti alla porta chiusa. «Vieni?»

Giunti dinanzi alla casetta, dalle alte e strette finestre rettangolari, che per come erano fatte mi ricordavano le sbarre di una prigione, uno dopo l'altra varcammo la soglia.

Il primo senso a essere colpito maggiormente fu l'olfatto, per via della puzza di chiuso. Il secondo fu la vista.

Dall'esterno, mi ero fatta l'idea che la costruzione fosse su più piani, invece, quello che notammo all'interno fu che la casetta era costituita da un unico stanzone dal soffitto altissimo.

L'occhio cadde su una poltrona vintage giallo ocra piazzata dinanzi a un televisore a tubo catodico, con lettore dvd incorporato, poggiato su di un mobiletto assai impolverato, il tutto al centro della camera. Alla nostra sinistra vi era un alto scaffale carico di quelli che sembravano contenitori di dvd, sulla destra c'era un discreto termocamino, tutto sporco di cenere, che giustificava la presenza del comignolo sul tetto. Il pavimento era composto da una lastra di cemento.

Alzai nuovamente gli occhi verso il soffitto, decorato da delle grosse ragnatele penzolanti, mentre Gordon Gilberti dava anche lui un ulteriore sguardo in giro.

«Deve essere passato diverso tempo da quando qualcuno ha messo piede qua dentro...» affondò l'indice nei due centimetri di polvere che ricoprivano il televisore; le labbra di Gilberti puntarono in basso per il disgusto. «Un diario?» esclamò sorpreso.

Quello che reggeva tra le mani, e che mi mostrò, era un diario segreto depredato del lucchetto; la copertina di velluto viola chiaro era spezzata da una striscia diagonale rossa sul davanti.

«Ehi!» mi diressi verso di lui e glielo strappai dalle mani con un gesto rapido. Sfogliandolo ebbi la conferma dei miei sospetti. «Questo è mio! È del periodo prima del mio incidente... Come cavolo ci è finito qui...»

Aprii sulle ultime pagine e, dando una lettura veloce, mi resi conto di non avere memoria di ciò che avevo riportato, pur avendo riconosciuto la calligrafia come mia.

«Devo studiarlo con più calma, e non qui... Accidenti! Mi sento così male al pensiero che qualcuno abbia letto il mio diario», confessai a Gilberti, sentendomi, subito dopo, confortata dal suo braccio, che mi aveva circondato dolcemente le spalle. «Qui dentro, ci sono riversati tutti i miei pensieri più intimi...»

«Mi dispiace», due parole sentite troppo spesso, ma che mi giunsero sincere pronunciate da lui.

Alzai lo sguardo dal mio diario, dirottandolo allo scaffale. «Ora che leggo meglio cosa c'è scritto su quelle custodie... Oh, cazzo!» esclamai stizzita. «Questo è peggio... Guarda!»

Afferrai un cofanetto e glielo misi davanti alla faccia. Il titolo riportato era il seguente: "Terzo Quarto – Terza Stagione. Episodi 5 – 8".

«Cioè, qualcuno ha fatto una serie segreta su di noi!» aprii, uno a uno, i cofanetti e, racchiuse all'interno, trascritte in maniera riassuntiva su dei fogli plastificati, vi erano addirittura le trame. «Ben sei stagioni! Cos'è questo? Un magazzino segreto?»

«Ma non sono solo sul Terzo Quarto! Anche gli altri venti collegi sono stati soggetti a questo trattamento...» Gilberti afferrò una dozzina di cofanetti sul ripiano più in alto e me li mostrò uno a uno, gettandoli poi sulla poltrona come fossero spazzatura. «Guarda. Ci sono la MPM, il Collegio Argenteo, persino quel disprezzabile istituto de La Musicale Lucia Poemi... Davvero allarmante!»

«Una sola stagione per il Trio Trifoglio? Troppo antipatici anche per questo maniaco? No...» scossi la testa in completa negazione, «ma che roba è?» i miei occhi si soffermarono sulle due file in basso, occupate tutte dalla serie incentrata su un solo collegio. «Il LPA è addirittura a soap opera? Leggi qui il numero degli episodi su questo disco...» i numeri riportati andavano dal 9928 al 9935. «Roba da pazzi. Siamo spiati da sempre, tutti... Perché non ci abbiamo mai fatto caso? No... Qualcuno deve averlo pur notato, no? Comunque, questa robaccia, i ragazzi devono assolutamente vederla. Dobbiamo chiamarli subito!» presi il cellulare, ma lì il segnale – come potei appurare – era assente.

Al ricordo della chiamata robotica, con Edoardo Gregoriadis presente, mi venne la paranoia che potessero essere spiate anche le nostre telefonate. Riposi subito il cellulare nella borsa.

«Però...» Gilberti si zittì, non appena iniziò a parlare.

«Cosa?» lo spintonai piano sul petto.

«Deve avercela di più con te», si lasciò sfuggire. «Insomma... C'era il tuo diario qui, e non abbiamo trovato ulteriori effetti personali che possano essere appartenuti ad altri... Non voglio metterti ancora più agitazione addosso, ma... Scusami, dovevo restarmene in silenzio.»

«Di più con me?» provai a confutarlo. «Ma se il LPA ha sui diecimila episodi! Magari questa schifezza è cominciata ancora prima che noi nascessimo.»

Gilberti si chinò e raccolse il disco sul LPA contenente il primo episodio. «No, leggi l'anno: 2012!» e picchiettò l'indice sulla custodia, in basso a destra. «Pochi anni prima che iniziassimo a frequentarlo anche noi...»

«Ma è assurdo!» sbottai a voce molto alta. «Non torna, non ha senso! Cosa ci può aver trovato da spiare in una scuola che non ha mai più di cento iscritti e dove i suoi stessi studenti a malapena interagiscono tra loro, perché troppo impegnati e stressati dal tanto studiare?»

«E che vuoi che ne sappia, io.»

«No, non fare quella faccia, Gilberti...» il mio amico alzò confuso un sopracciglio, mentre gli puntai sotto il naso l'indice accusatore. «Non mi piace come mi guardi... Come se fossi uscita di senno... Non fraintendere! Non sto affatto giustificando tutto questo, sia chiaro! Cerco solo di adottare il suo punto di vista per comprenderne la mentalità e, soprattutto, per scoprire chi è così tanto perverso da... Comincio a dubitare che si tratti di Gualtiero, sai? Questo è troppo anche per lui.»

Ero e sarò sempre e solo io la persona a cui rivolgerà i suoi scherzetti paurosi!

«No,» mi portai le mani sui fianchi e, con fare pensieroso, incominciai a camminare avanti e indietro per la stanza, «chiunque sia, il tipo è messo peggio di Johnny, a livello mentale... Anzi, sta più male di tutti e tre noi messi insieme; Mario non l'ho contato, per ovvie ragioni.»

«Con tutta la gente strana che c'è in circolazione... Difficile intuire di chi si tratti.»

«Mi sta per venire un attacco d'ansia... Guarda!» e, con gli occhi, gli indicai le mie mani. «Le mie dita tremano... e non ho neanche bevuto!»

«Dobbiamo andarcene subito da qui!» mi incoraggiò Gilberti; mi prese per mano e cercò di trascinarmi verso la porta. «Tutto questo... è assurdo

«Non possiamo!» mi liberai dalla sua presa; gli misi tra le mani tutti i cofanetti che riuscii ad afferrare. «Vediamo cosa e chi è stato ripreso. Distruggeremo questo posto... Gli daremo fuoco!»

«Pamela...» Gilberti quasi mi urlò in faccia; facendo cadere a terra le custodie dei dvd, mi afferrò per le spalle e puntò i suoi occhi chiari dritti verso i miei, «questa è una pessima idea.»

«No, invece! Lo spione deve capire che non può intimorirci... e deve assolutamente imparare il significato della parola privacy! I limiti esistono per delle ragioni precise. Non credo che lui gradirebbe ricevere il trattamento che riserva agli altri...»

«Ascoltami! Calmati... Non sappiamo neanche quali contenuti sono stati riportati su disco o se sono di fatto vuoti...» il mio amico riposò, uno a uno, i cofanetti sullo scaffale. «Potrebbe semplicemente trattarsi di uno strano scherzo...»

«Uno scherzo? Sei serio?» incrociai le braccia al petto. «Perché... Lo trovi forse divertente?»

«No, ma cerco di non vedere sempre il peggio delle cose... come mi hai insegnato tu. Facciamo così... Per adesso, lasciamo tutto com'è. Più in là, prenderemo questi dvd e, quando avremo finito di vederli... Oh, beh... Forse per il LPA, eviterei, visto il numero spropositato degli episodi. Guarderemo il grosso e riporteremo tutto qui. Non dobbiamo far capire, a nessuno, che sappiamo

«E se, invece, lo sapesse già? Ci potrebbero essere microspie anche qui dentro. Non pensi? Potremmo essere osservati persino adesso...» seguii con lo sguardo la presa di corrente del televisore, chiedendomi a cosa fosse collegata. «Non lascio qui il mio diario!» lo riposi nella borsa. «Non mi importa se, leggendolo, lo ha pure imparato a memoria... È mio!» serrai le labbra, inspirando furente. «No, no! Distruggiamo tutto e basta!»

«Ora parli come un Gregoriadis. No! Noi non...» Gilberti, sovrappensiero, aggrottò le sopracciglia. «Consultiamoci prima con gli altri; decideremo insieme il da farsi, come sempre. Va bene? Adesso, però, usciamo! Prima quel tunnel, ora questo posto... Tra un po' mi scatta la rupofobia!»

Con un cenno svogliato della testa, lo seguii all'esterno; il piacevole odore dei pini mi fece tornare un po' di lucidità mentale.

«Come se a me piacesse quel sudiciume che abbiamo trovato... Mi spiace per te, Gilberti, ma ci conviene ripercorrere il tunnel... Non credo sia prudente restare nel bosco, col tempo che sta per mutare. Dove hai parcheggiato la tua auto?»

«Voglio scusarmi con te, per prima», mi interruppe, con dei modi talmente seri da farmi quasi spavento, «io non ho alcun diritto di accusarti come ho fatto... Non dirò niente a Johnny, di te e suo padre, tranquilla, se mai vi sarà qualcosa da...» sospirò, come se parlare lo affaticasse a livello mentale. «È solo che...» respirò a pieni polmoni e mi guardò con occhi affranti; tenendomi per mano, mi aiutò anche a scavalcare un masso su cui sarei potuta inciampare. «Mi ero ingelosito parecchio. Il signor Gregoriadis e i suoi amici... Con ciò che hanno detto, non mi hanno lasciato molto all'immaginazione. Ma se tu dici che non andate a letto insieme...»

«Ovvio che no!» ribattei decisa. «Hanno per caso detto qualcosa di offensivo e o volgare? Per farti reagire così...»

«No, affatto!» mi rispose, scuotendo il capo. «Hanno speso parole più che belle per te... Possiamo evitare? Te ne prego.»

I nuvoloni grigi, che avevano oscurato il sole, resero l'aria assai più fresca, ma il solo abbassamento delle temperature non era sufficiente per far tornare vivaci gli alberi disidratati; sulle mie braccia la pelle d'oca avanzò senza freni e dei fastidiosi brividi mi fecero tremare un bel po'.

«Senti, Gilberti...» mi incamminai con lui verso l'entrata del rifugio antiaereo, situato a diversi metri di distanza dalla casetta, alla botola accerchiata da rocce che la rendevano poco visibile. Fui attenta nell'evitare i rami spinosi che mi avevano già attaccata in precedenza. Lo bloccai, afferrandolo per un braccio; mi piazzai di fronte al mio amico e lo squadrai da capo a piedi. «Sì. Ammetto che, tutto questo,» e con la mano serpeggiai dall'alto in basso, indicando tutto il suo corpo, «non mi è mai stato davvero indifferente. Insomma... Mi piacevi già per la tua mente, quando eravamo bambini, e col corpo che ti ritrovi adesso... è difficile resisterti! Tu sei davvero perfetto: sei sexy, bellissimo, intelligente, colto... Sei completo! Sì, hai anche dei difetti, come tutti, alcuni tremendamente insopportabili, ma chi non ci passerebbe sopra per averti? Non nego che in passato io stessa avevo tanto desiderato che noi due...» mi zittii di botto, rendendomi conto che, se avessi continuato a dare fiato alla bocca, avrei affermato cose che avrei fatto meglio a tacere.

Gilberti, in risposta, non riuscì a trattenere un sorrisino compiaciuto.

«Non voglio che tu possa fraintendere, né ora e tantomeno in futuro. Sarò molto, ma molto, chiara, quindi ascolta! Sì, tra noi due ci sarebbe potuto essere qualcosa... prima del Serena-gate!» al pronunciare quel nome, rivolsi il capo in basso e sbarrai gli occhi dalla rabbia. «Ora non più, però. Dimenticami!» alzai, per un attimo, le spalle con fare disinvolto, mentre lo osservavo rivolgermi occhiatacce offese. «A-mi-ci!» continuai a gesticolare con le mani. «Solo amici, è questo che siamo e che saremo d'ora in poi. Non tornerò più su questo argomento... Va bene?» adottai il mio collaudato sguardo da cerbiatta, con tanto di battito di ciglia, capace sia di rendermi tenera agli occhi altrui, sia di piegare chiunque al mio volere... fatta eccezione per Gualtiero.

«Cosa potresti desiderare di preciso dal Gregoriadis, eh?» ribadì Gilberti, probabilmente ignorando tutto ciò che gli avevo appena detto. «Se è quello che penso... Sappi che posso dartelo anch'io... e meglio

A quell'affermazione spalancai la bocca incredula. «Cosa mi hai appena detto? Hai insinuato davvero ciò che penso?» mi espressi col tipico tono dell'offeso sotto accusa. «Ma quanto cazzo sei volgare? Bada a quello che pensi, mio principe.»

Una nuvola scura turbò la quiete del viso di Gilberti, tradendo una tormenta in arrivo. «Ah...» esclamò stizzito. «Dalla tua reazione non proprio pacata, deduco che ciò che vuoi dal Gregoriadis non è esattamente quello a cui mi stavo riferendo io», le mie guance andarono a fuoco, mentre lui sospirò con amarezza. «Hai affermato di non voler più tornare sull'argomento, e non discuterò oltre su questo, ma ti dirò una cosa, e voglio che tu ci rifletta su con molta serietà: a differenza di lui, io sono più ricco, ho la tua stessa età, ho ricevuto un'educazione eccellente sin dalle elementari e – tu stessa lo hai dichiarato – ho un bell'aspetto...»

«Gilberti...»

«Io ti ho lasciata parlare... Per favore, chiedo solo che tu, ora, ascolti me», alzò una mano come a volermi invitare alla calma. «Più importante del resto c'è il fatto che il mio sentimento per te è sincero e non andrà a scemare col tempo», aggiunse, quasi a volermi chiarire che non mi avrebbe dimenticata, come gli avevo chiesto di fare. «Se è sempre tuo desiderio mantenere un cognome importante e l'appartenenza a una famiglia ricca e dalle antiche radici, sai che con me non ti mancherebbero mai queste cose. I Gilberti sono ben considerati ovunque, qui nell'isola di Biornia; non si può dire lo stesso dei Gregoriadis, specie in questa città... Girano troppe voci strane sul loro conto; c'è chi li adora e chi li detesta...» ammutolì, come se pensasse che proseguire a parlare fosse inutile.

Forse ha intravisto dello scetticismo sul mio viso e non lo ha gradito... Mi dissi.

Un paio di gocce d'acqua mi colpirono sul capo, seguite da altre gocce più decise e violente.

Incominciò a piovere a dirotto, gli alberi si rivitalizzarono poco dopo, come il resto della natura; Gilberti e io non ci curammo dell'acqua gelida che ci stava infradiciando i vestiti, intenti a fissarci con gli occhi ridotti a due sottili fessure.

Il mio amico scosse il capo e, alzando le mani in segno di resa, mi diede le spalle. Si infilò nella botola che avevamo lasciato aperta, proprio sopra la scalinata che portava al tunnel sotterraneo.

«No, no!» lo seguii e, una volta dentro, richiusi la botola; la pioggia aveva bagnato gli scalini in alto, rendendoli scivolosi. «Poco fa, lo hai sminuito, facendo paragoni tra te e lui... E no, non ti riferivi a cognomi e appartenenze: tu volevi dirmi che, con me, saresti più bravo di lui a le... Lasciamo perdere, che è meglio», lo sorpassai a passi svelti.

Almeno l'ansia di prima, per lo spione, è svanita!

«La mia auto è nel parcheggio», ricevetti in ritardo una risposta assai irritata.

«Se non vuoi più darmi un passaggio,» mi strinsi nelle braccia, avvertendo i brividi scuotermi da cima a fondo; i capelli mi si erano appiccicati al viso, gelidi come vestiti imbevuti di ghiaccio, «troverò un altro modo per tornare in città, tranquillo.»

«Non essere sciocca», mi raggiunse e, una volta accanto a me, notai che la sua bagnatissima t-shirt bianca era diventata trasparente e che aderiva troppo al suo corpo; mi morsi il labbro e chiusi gli occhi per non pensarci. «Solo perché abbiamo discusso un po', e siamo in disaccordo, non significa che mi comporterò da stronzo con te.»

«Credo dovremmo concentrarci su altro...» esclamai, puntando lo sguardo sul davanti. «Le questioni personali rimandiamole a... Pensiamo a risolvere il problema del guardone ruba diari. Dobbiamo prenderci, una volta per tutte, quel cazzo di diploma...»

«E tu mi devi spiegare come mai, pur essendoti ferita con le spine, non ne porti alcun segno addosso!»

«Non sono del tutto umana, forse? Come pensi reagirà Johnny quando gli diremo dei dvd su di noi?»

   
 
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