Era una di quelle domeniche di primavera in cui il sole splendeva tra i vicoli stretti di Napoli, illuminando i balconi pieni di panni stesi e gerani rossi. Nella piccola casa dei Di Lauro, al terzo piano di un palazzo antico, il pranzo della domenica era un rito sacro. Intorno alla tavola, coperta da una tovaglia bianca e rossa, i tre fratelli – Antonio, Pasquale e Gennaro – ridevano e scherzavano, mentre si passavano piatti di pasta al forno, carciofi fritti e immancabili bottiglie di vino rosso. Le voci si sovrapponevano, piene di battute e ricordi, in un'atmosfera vivace.
Sofia, seduta accanto a loro, era affascinata dal continuo flusso di conversazioni. Aveva quattordici anni e, ogni domenica, cercava di cogliere qualche frammento di quei racconti che i suoi zii si scambiavano, pieni di vita e passione. Ma quella domenica c'era un pensiero che le girava per la testa e non riusciva più a trattenersi. Aveva passato qualche minuto prima del pranzo a guardare le foto di famiglia accanto alla statuina della Madonna, come faceva sempre sua madre per ricordare i cari scomparsi. Una delle foto la incuriosiva particolarmente: un uomo giovane, dallo sguardo furbo e un sorriso accattivante, che sembrava avere sempre un segreto nascosto.
"Zio Antonio," iniziò Sofia, cercando di inserirsi tra il chiacchiericcio dei fratelli, "ma è vero che avevate un altro fratello?"
Il silenzio calò improvvisamente sulla tavola. I tre fratelli si scambiarono sguardi complici e poi, quasi come se si fossero accordati senza parlare, iniziarono a ridere.
"Ah, Sofia mia," disse Antonio, "sì sì, avevamo un altro fratello. Lello, si chiamava. Ma nun era ‘nu fratello normale. Lello... chillo teneva ‘nu dono."
"‘Nu dono?" chiese Sofia, avvicinandosi con curiosità, già pregustando un racconto incredibile.
"Eh sì," intervenne Gennaro, appoggiando il bicchiere e facendosi serio come se stesse per rivelare un segreto importante. "Lello vedeva ‘e cose primma ca succedevano. Aveva ‘na specie ‘e connessione cu San Gennaro, capisci? Ma nun te pensà che fosse ‘nu santone, eh! Era ‘nu tipo speciale, faceva sempre cose strane."
Pasquale, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, si aggiustò il colletto della camicia e intervenne ridendo: "Te lo ricordo, Gennà, quanno alla festa ‘e San Gennaro nel ’79, Lello se presentaje cu ‘na bottiglia ‘e vino, dicendo ca l’aveva benedetta lui stesso?"
Gennaro scoppiò a ridere, battendo la mano sul tavolo. "Ah, sì sì, chillo diceva che l'acqua santa era troppo poco, che ci voleva qualcosa ‘e più potente. ‘O vino benedetto, diceva! E tutti quanti ce credettero! Se bevevano ‘o vino come fosse ‘na benedizione vera!"
Sofia rise, immaginando la scena: Lello in mezzo al rione, con una bottiglia di vino in mano, a benedire i passanti convinti che fosse tutto parte del miracolo. Eppure, nonostante le risate, sentiva che c’era qualcosa di più dietro quelle storie.
"Ma voi ci credevate davvero a quello che diceva?" chiese Sofia, incerta se prendere sul serio o no i racconti.
"Ah, Sofia," rispose Antonio, con un tono che mescolava affetto e serietà, "a Napoli, ce credi sempre a metà. Tra ‘na preghiera a San Gennaro e ‘na partita a carte, la verità sta sempre ‘mmiezzo. Lello nun era uno che prediceva ‘o futuro... ma certe cose le sentiva, capisci? E a volte, te lo giuro, ci azzeccava!"
"Come quella volta del temporale," aggiunse Pasquale, ridendo. "Chillo ce lo predisse quando ‘o cielo era limpido, e dopo un'ora venne giù ‘nu diluvio! E tu dici: ma come faceva? Eppure..."
Sofia rimase a riflettere su quelle parole, con il suono delle risate dei suoi zii in sottofondo. Zio Lello non era solo una figura del passato, ma un uomo che viveva ancora nei racconti di famiglia, una presenza sfuggente e magica, capace di portare risate e mistero anche nelle giornate più ordinarie.