“Il Serial Killer ‘Black Carnival’ continua a terrorizzare l’America. Due nuovi corpi sono stati ritrovati in terribili condizioni presso la cittadina di [REDACTED]. È consigliato a chiunque di non uscire da soli durante la notte e di chiudere la porta a chiave.
Proseguiamo con il meteo.”
[…]
Quando, dopo aver suonato il campanello, alla porta della casa apparve una fata dai lunghi capelli tinti di rosa, il vestitino azzurro catarifrangente e le gote coperte da brillantini multicolori a forma di stellina, il suo cuoricino fece una capriola.
Quando quella stessa fata allargò la propria sottile boccuccia in un sorriso adorabile e accese i propri occhi del colore d’acqua marina con tutto l’entusiasmo del mondo, la capriola diventò doppia.
“OPHY!” saltò la bassa impalcatura e stritolò con le esili braccia sbrilluccicose la nuova arrivata, incurante della piega non esattamente piacevole che presero le alette da farfalla di plastica fissate dietro la schiena, poggiando il mento sulla sua spalla “Sei già qui? Questa sera avevi proprio tanta voglia di vedermi!”
Ophelia, che per poco non era caduta all’indietro dopo l’assalto di quell’altra, cercò di mantenere un minimo di contegno. Cosa difficile a causa del profumo di fragola che aveva dolcemente aggredito le sue narici “Eli” mormorò con voce roca, scostandola con delicatezza e guardandola con una lieve nota di rimprovero “Non dovresti aprire senza prima chiedere di chi si tratta. Inoltre, non è meglio chiudere la porta a chiave? Non sei nemmeno un po’ preoccupata dopo le ultime notizie?”
“Oh caspita, hai ragione!” la ragazza-fata si sbatté una mano sulla fronte, per poi rientrare – piegando nuovamente le ali che costavano forse più di tutto il costume messo assieme – e cercare le chiavi appese contro al muro “Se non ci fossi tu…”
Ophelia chiuse gli occhi e sospirò rassegnata.
“Sono comunque felice che ti preoccupi così tanto per me” Elise tornò a guardarla, facendo capolino da dietro l’uscio “ti sei per caso innamorata dopo avermi vista vestita così?”
Di fronte a quel sorrisetto beffardo, l’ospite strinse le mani intorno allo scettro di plastica e si strinse nelle spalle, quasi volesse svanire all’interno del largo mantello nero.
“Coraggio, entra” proseguì dolcemente l’altra ragazza “non voglio che prendi freddo!”
Dopo aver riacquistato la calma, Ophelia entrò in casa con un timido ‘permesso’, abbassandosi appena per evitare che l’altissimo cappello da strega impattasse con il bordo superiore della porta.
Ad accoglierla, oltre ad una Elise che – senza smettere di sorridere – le fece strada, ci fu un corridoio dal cui soffitto pendevano fantasmini, pipistrelli e qualche zucca ritagliata. In cima alla prima rampa di scale che portava al piano di sopra, stava un’impalcatura sulla quale era stato montato uno spaventapasseri travestito da Tristo Mietitore, con falce insanguinata e maschera da teschio sotto al cappuccio stracciato.
Sapeva che tra le due, era lei quella più fan di quella festività, ma porca miseria i padroni di casa non avevano assolutamente badato a spese.
Padroni di casa che, al momento, dovevano essere a festeggiare da qualche altra parte.
Ringraziò mentalmente anche i propri genitori per averle dato comunque la possibilità di vedersi con la sua migliore amica, a patto di portarla di persona davanti a casa sua e di non perderla di vista finché non fosse entrata: a causa del serial killer che al momento sembrava terrorizzare quella zona dell’America, tutti in paese erano abbastanza su di giri. E questo significava, ovviamente, il cancellare permanentemente il fare Dolcetto o Scherzetto assieme agli amici. Cosa che l’aveva depressa più del dovuto, ma poteva consolarsi con l’avere una serata intima assieme ad Elise, sommersa tra film dell’orrore e dolcetti.
Inoltre, per quanto amasse i documentari sugli assassini, non era assolutamente la prima persona che voleva parteciparne attivamente ad uno.
Superato un archetto dalla quale pendevano un paio di piccoli scheletri di plastica, Ophelia si ritrovò in salotto. Elise, dopo essersi levata le ingombrantissime ali da farfalla – le aveva tenute tutto quel tempo solo per farsi vedere da lei, per caso? – si accomodò sul largo divano posto davanti al tavolo imbandito con... anche troppo cibo per una serata di sole due persone.
Il televisore a schermo piatto era già acceso e già impostato su Shiver.
Era tutto talmente tanto perfetto che, probabilmente, se fosse precipitato un meteorite sulla sua testa in quel momento, non se ne sarebbe nemmeno accorta.
E’ il Miracolo di Halloween.
Me lo sento: Questa notte lo Spirito è con me!
“E’ davvero un peccato che gli altri non siano potuti venire, però allo stesso tempo sono contenta che siamo solo noi due! E’ da un sacco che non passavamo un po’ di tempo assieme da sole” la voce squillante ed allegra di Eli contribuì ben poco a calmare le farfalle nella pancia di Ophelia. Ancor meno lo fece quando quella si voltò verso di lei raggiante, colpendo dolcemente il sedile con una mano “vieni su. Accomodati che altrimenti poi ti viene male ai piedi.”
“Mi hai preso per un’ultra-ottantenne?” mormorò fintamente offesa.
“Le streghe di una certa età dovrebbero solo rilassarsi” rispose a tono l’altra, con un sorriso furbetto.
La ‘strega’ sospirò rassegnata, poi si avvicinò e si sedette al fianco della sua amica. Si tolse il largo cappello e lo appoggiò sul sedile di fianco al suo, lasciando ricadere i fluentissimi capelli d’ebano lungo le spalle e la schiena. Stava anche per togliersi il mantello, quando la proprietaria di casa si appiccicò al suo fianco come una ventosa, strusciando la guancia del colore delle pesche con la sua più pallida.
Ora doveva assolutamente togliersi il mantello, altrimenti si sarebbe trasformata in una pozzanghera.
Il riscaldamento era spento.
“Visto che i nostri ci hanno impedito di uscire” senza nemmeno guardarla – e totalmente ignara del disagio che le stava provocando – Elise cominciò a fare zapping con il telecomando tra i vari cataloghi presentati dalla piattaforma di streaming “credo sia semplicemente logico che passeremo la serata a vedere OGNI SINGOLO film horror del sito! Non sei d’accordo?”
Ophelia sbatté le palpebre, basita “M-ma sono troppi… vorresti vederli tutti in una singola serata!”
“Oh. Beh. Effettivamente hai ragione” si staccò da lei, per poi guardarla sorridente. L’ospite si voltò verso di lei a propria volta, deglutendo a vuoto “allora li guarderemo tutti finché non saremo due vecchiette. Ti piace di più come idea?”
Noi due. Sole. Assieme anche nella nostra anzianità in qualche casetta di campagna isolata. Mano nella mano a vedere film horror per il resto dei nostri giorni.
Sperò che la risata disgustosa che sentì fosse solo nella sua mente, e che fosse solo arrossita sfregando i piedi mentre pensava a quel possibile futuro.
Fortunatamente, la risata era effettivamente uscita perché Eli tornò a guardare il televisore senza fare ulteriori commenti.
“Ah! Ti consiglio di provare la crostata!” aggiunse poi la stessa, indicando senza voltarsi il dolce sul tavolino “Ho assolutamente bisogno di sapere che cosa ne pensi!”
Ophelia sbatté le palpebre un paio di volte, per poi voltarsi verso la torta. Benché l’unica luce fosse dovuta al televisore acceso e qualche lanterna dentro alle zucche di Halloween finemente intagliate, poteva vedere il rosso brillante della marmellata e il colore quasi dorato della crosta.
Invitante, lo era.
Quindi prese il coltello poggiato sul tavolino e ne tagliò una piccola fetta, per poi portarsela alla bocca e mangiarsela in un sol boccone.
Sgranò gli occhi, mentre sentiva il proprio fiato mancare.
“Eli…” si voltò verso di lei, con voce tremante “ma questa è…”
“Ho fatto centro?” l’altra era tornata a guardarla sorridente “Ho chiesto a tua nonna di passarmi la ricetta della crostata di ciliegie che ti piace così tanto! Mi aspettavo fosse più difficile da fare, per questo ho chiesto un parere dell’unica intenditrice che conosco.”
Ophy guardò la torta, ancora senza parole, sforzandosi al massimo per non mettersi a piangere. Era come mangiare quella della nonna materna, eppure era stata preparata dalla sua migliore amica. Avesse anche fatto schifo avrebbe pianto per il suo tentativo, ma così era fin troppo bello per essere vero “…L’hai preparata solo per me…?”
“Mi piace sorprenderti, qualche volta!” fece l’occhiolino, Elise, per poi tornare a guardare lo schermo della televisione “Ora, mi consiglieresti qualcosa di buono con cui cominciare? Così almeno se poi fa troppa paura guardiamo qualcosa di più ridicolo per stemperare la tensione.”
“Ti amo.”
Il dito sul telecomando di Eli si congelò sul posto.
“… puoi ripetere?” il ragazza si era voltata verso la sua ospite, con l’espressione sorridente sostituita da una leggermente più sorpresa e turbata.
Chiaramente non aveva inteso quelle parole come il titolo criptico di un film dell’orrore.
E Ophelia chiaramente non doveva essersi resa del tutto conto di quello che aveva detto, perché appena realizzò che aveva fatto andare troppo la bocca senza connetterla al cervello, arrossì così tanto che il colore della sua pelle faceva invidia alla luce emessa dalle lampade-zucca. Guardò l’amica pronta ad inventarsi una scusa alla quale non avrebbe creduto nemmeno lei, per poi perdersi nuovamente nella sua espressione da cucciolino smarrito e disconnettere il cervello una seconda volta.
Rimasero in silenzio a guardarsi per un po’.
Fanculo Ophy: lo Spirito di Halloween è con te!
Ed era convinta fosse ormai troppo tardi per fare la codarda, adesso.
Quindi sospirò, si alzò in piedi, chiuse gli occhi – Eli intanto seguiva ogni suo singolo movimento senza staccarle gli occhi di dosso – e strinse i pugni conficcandosi le unghie dipinte di nero nel palmo della mano.
Poi si piegò su se stessa, sopra le proprie ginocchia, prostrandosi ai piedi di Elise con una violenza e rapidità che la fece sussultare con un urletto acuto, facendole cadere il telecomando dalla mano.
“Ci conosciamo da così tanti anni e mesi e settimane e giorni e ore e secondi e io benedico ogni singolo secondo in cui sono assieme a te, che sia per un progetto scolastico, per un’uscita assieme o per quando mi passi i compiti perché sono rimasta a casa a causa della febbre” prese fiato, senza alzare lo sguardo “Elise Couri, ogni volta che ti vedo sorridere e che mi parli delle cose che ami mi illumini la vita come un dannatissimo faro e non smetterò mai di essere grata al fatto che fai parte di ogni mia singola giornata ed ogni mio singolo pensiero” prese fiato ancora una volta “e… e… non so se lo sto dicendo perché l’angoscia mi artiglia il cuore da quando sono nata o perché c’è un serial killer che ammazza ragazzini a piede libero e potrei non avere più occasioni per dirlo in futuro, ma mi piaci da impazzire. Q-quindi ti prego” strinse le palpebre serrate sugli occhi fino a farsi quasi venire mal di testa “… ti va di uscire con me? N-non più solo come migliori amiche… ma come qualcosa di più?”
Il tempo che passò da quando aveva finito quel turpiloquio alla possibile risposta della persona che aveva tutto il diritto di cacciarla via di casa dopo una rivelazione simile parve durare quanto un era geologica.
“Ophy.”
Quando Elise parlò, sentì un brivido lungo tutta la schiena.
Non sembrava disgustata o sconcertata, però.
Raccogliendo il poco coraggio che l’aveva abbandonata dopo il monologo, riuscì ad alzare gli occhi di cristallo verso l’amica.
Amica che, prima che potesse dire qualcosa, le posò dolcemente una mano sulla guancia.
Il contatto con la pelle morbida e fresca la rilassò un poco.
Il suo sorriso affranto lo fece molto meno.
“Sei… sei dolcissima, davvero. Non avrei mai pensato che pensassi tutto questo di me. Anche io ti voglio bene, così tanto, Ophelia, però…” Eli voltò lo sguardo, abbassando poi la mano. E il sorriso abbandonò del tutto il suo volto, lasciando solo un’orribile espressione mortificata “… non posso farlo.”
Seduta sulle proprie gambe, ancora a terra, Ophelia si sentì morire.
“Non… puoi?”
“… mi dispiace.”
Questa volta volle veramente tanto che un meteorite le atterrasse sulla fronte, perché avrebbe sicuramente fatto meno male del cratere che le si era appena formato in fondo all’anima.
“M-ma…” balbettò con voce roca, e i lacrimoni che le si erano formati alla base degli occhi “… m-ma lo Spirito di Halloween era dalla mia questa sera…”
“Cosa?” Elise tornò a guardare l’amica con un sopracciglio inarcato.
“L-lascia perdere.” Svuotata da qualsivoglia emozione o anche solo dall’intenzione di respirare ancora, Ophelia si alzò da terra, con sguardo basso “Scusami, davvero. Me ne sono uscita con una sfilza di stupidaggini a causa della mia impulsività. Non avrei dovuto. Perdonami. Non volevo rovinare la serata, ma non credo di poter rimanere qui un minuto di più. Chiamo i mie-”
“Ophy, aspetta!”
Elise si alzò a sua volta, afferrando la mano della sua ospite, che si voltò verso di lei con le guance zuppe di lacrime ed un’espressione che voleva risultare fredda, ma che sembrava solo miserabile.
“P-per favore… non peggiorare il mio stato d’animo” tirò su col naso “se mi guardi così, sarà più difficile per me dimenticarmi di te…”
“Che tragica che sei, accidenti!” Ophelia ammise con se stessa che, un pochino, le diede fastidio il sorrisetto che le mostrò, quasi fosse completamente ignara del fatto che il suo cuore fosse finito in mille pezzi.
L’animosità finì nell’esatto momento in cui Elise le asciugò le lacrime con le dita e le prese le guance nelle mani, guardandola con affetto “Che sciocca che sei. Sempre troppo emotiva e salti subito alle conclusioni senza che gli altri possano spiegarsi. Anche se sei carina quando sei tutta turbata così.”
Era per caso una sadica la sua migliore amica? O qualcosa del genere?
“Ascoltami, Ophy: non ho detto che non mi piacerebbe un mondo essere la tua ragazza. Ho sempre avuto una cotta per te da quando ci siamo incontrate la prima volta, soprattutto perché mi hai sempre dato la sensazione fossi molto di più della compagna di classe dark, ma una vera e propria strega. La gente così tenebrosa mi fa impazzire” arrossì sotto i brillantini a forma di stella “oh mamma, il pensiero mi sta facendo sentire tutta strana. Chissà se è così che ti sei sentita prima di dirmi tutto questo, eheheheh.”
Mentre quella rideva come una scolaretta, Ophelia sentì la propria testa girare talmente tanto che per un attimo ebbe paura si svitasse staccandosi dal collo. Si premette una mano sulla nuca mentre un turbinio di emozioni facevano scempio del suo stomaco “Ma scusa… ma allora cos’era quel ‘vorrei ma non posso’. Se è uno scherzo ti garantisco che non sto ridendo!”
Forse anche a causa del tono un po’ caustico dell’amica, Eli sussultò appena.
Poi tornò a guardare mogiamente lo schienale del divano, facendo sentire così tanto in colpa Ophy da farle quasi venir voglia di spaccare il tavolino imbandito a testate.
“Ecco, quello… è vero…” si voltò senza più sorridere “ti ho detto quelle cose perché… non sono stata sempre sincera con te. Sul mio conto, intendo.” Si rigirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un dito, portandosi l’altra mano dietro la schiena.
Lo sguardo turbato di Elise le fece dimenticare ogni pensiero negativo tranne la preoccupazione “… cosa intendi dire?”
“C’è… c’è una cosa che non ti ho mai detto, per paura di una tua reazione. Una cosa che, probabilmente, renderebbe un possibile rapporto tra noi di quel tipo estremamente complicato, ecco.”
“Una cosa brutta?”
Eli sembrò tentennare, aumentando lo sgomento nell’altra.
“Aspetta…”
Riprese a piangere, stavolta con più violenza rispetto a prima.
Elise aveva visto meno acqua uscire da una cascata.
“S-stai per caso morendo?”
“Cosa?”
“G-guanti giorni di vimangodo?” continuò Ophelia con una voce nasale “E’ un bruddo bale scoberdo da poco? Senza una gura?”
“… hai visto recentemente un film drammatico?”
Quella annuì, ed Elise sospirò rassegnata.
“Sono sana come una rosa. Non intendo morire nel fiore dei miei anni, dannazione!”
“Allora…” la disperazione nella voce della mora si spense assieme ad ogni altra emozione. Poi la stessa afferrò a bimane il coltello della torta e se lo portò davanti al petto. Le ombre calarono sui suoi occhi, lasciando intravedere solo una luce sinistra infondo alle iridi.
“Per caso qualcuno mi ha preceduta? Di chi si tratta?” disse con voce monotona, trasformandosi nella forse protagonista del film horror che ancora non avevano visto.
“Non c’è nessuno che ha confessato i suoi sentimenti per me alla quale non ho dato un due di picche. Per favore, posa il coltello.”
Era sorprendente quanto gravemente lunatica fosse la sua migliore amica.
Inquietante ma adorabile.
“Senti, sediamoci.”
Ophelia ubbidì, e le due ragazze tornarono sedute assieme sul divano, mani nelle mani, anche se il coltello non era stato ancora posato.
“… questo è un segreto che mi porto dentro da ancora prima che ci conoscessimo. E non avrei mai voluto nemmeno farti sapere della sua esistenza, ma al tempo stesso vederti così devastata dalla mia risposta mi ha anche fatto capire che non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti.” Voltò lo sguardo dal divano verso di lei “è una cosa che anche mamma e papà mi hanno sempre detto di tenere all’oscuro, da tutto e da tutti. E per ottime ragioni.”
Ok, ora la cosa si stava facendo preoccupante.
Cos’avrà mai avuto di così assurdamente terribile da nascondere con un’introduzione di questo tipo?
“E’ che… ho paura di come potresti prenderla.” La voce sembrò incrinarsi “dopo aver saputo questa cosa… non credo nemmeno vorresti ancora essere mia amica. Figuriamoci la mia ragazza! È per questo che…”
Aveva parlato troppo.
Senza indugiare oltre, Ophelia si slanciò verso di lei e la strinse nell’abbraccio più rassicurante e dolce della quale era capace. Eli sussultò adorabilmente tra le sue braccia, ma non disse altro.
“Eli, basta.” Mormorò dolcemente. Adesso era il suo turno quello di tranquillizzare l’amica “Non puoi sapere come reagirei senza dirmi nulla.”
Elise sembrò rilassarsi. Buon segno.
“M-ma…”
“Niente ma” si scostò da lei, stringendole le spalle brillantate con le mani e guardandola dritta negli occhi, determinata “io ti voglio bene, Elise. Più di quanto immagini e, a meno che non mi riveli di torturare criceti nel tuo tempo libero, non ci sarà ASSOLUTAMENTE NULLA che potrà far diminuire l’affetto che provo per te in questo microsecondo ed in ogni singolo microsecondo della mia vita. Qualunque sia questo segreto, qualunque sia il tuo problema, voglio saperlo. E se posso, voglio stare al tuo fianco per risolverlo assieme a te. Sono stata chiara?”
“… e se poi comincerai ad avere paura di me?”
E sti cazzi. Ma si può sapere che cosa mi hai nascosto per tutto sto’ tempo?
“Prometto che starò comunque al tuo fianco. Paura o meno.”
Elise sembrò tentennare ancora un po’. Poi sospirò rassegnata e, dopo aver annuito impercettibilmente, aprì la bocca, pronta a vuotare il sacco.
E il sacco venne richiuso, perché un rumore fortissimo fece saltare le due amiche sul divano.
Voltarono lo sguardo verso l’antro oscuro che dava sulla cucina, che a sua volta dava sul cortile interno della casa. Non seppero perché, nessuna delle due, ma forse a causa della tensione creata e di un’altra strana sensazione che nessuna si riusciva a spiegare, quell’improvvisa interruzione le mise molto più in allerta di quanto forse avrebbero dovuto essere.
Si scambiarono uno sguardo.
“… arrivava dal retro?”
Le luci esterne illuminavano un prato finemente tagliato, un paio di sedie a sdraio bianche aperte vicino ad una piscina coperta da un telo di plastica nero ed un piccolo capannino di legno per gli attrezzi, all’ombra di una quercia dai rami spogli che sembravano braccia di scheletro.
Ma a parte qualche grillo impertinente, non videro o sentirono altro.
Dopo aver aperto la porta a vetri scorrevole, coltello ben saldo nella mano, Ophy fece uscire la testa dall’uscio, guardandosi intorno circospetta, con Eli a pochi centimetri dietro di lei che le stringeva la maglietta nera.
La luce non illuminava, chiaramente, ciò che si trovava oltre lo steccato bianco. Quindi se qualcuno o qualcosa si nascondeva là dietro, non l’avrebbero scoperto finché non fosse uscito con una motosega.
Non pensare a queste cose adesso, non è il caso.
“Fa attenzione.” disse con premura la fatina, mentre la ragazza armata usciva di casa, guardinga e stando ben attenta a non finire nelle zone più buie del giardino sul retro.
Perlustrò la zona con attenzione e col coltello puntato in avanti.
Ma, ovviamente, non riuscì a trovare o vedere nessuno.
Sospirò rassegnata.
“Non so che dire. Magari qualche uccello si è schiantato sul vetro. E’ possibile?”
“N-non saprei.”
Ophelia si voltò verso la casa.
…
…
… da dove diavolo è passato?
Il primo pensiero istintivo che le arrivò, quando il bagliore dei vermigli occhi rossi della colossale ombra di oscurità entrò nel suo campo visivo. Si trovava esattamente alle spalle di Elise, che non si era accorta assolutamente di nulla. E forse nemmeno lei se ne sarebbe accorta, non fosse stato per la differenza di luce a causa dell’enorme stazza che si era posta tra lei e le lanterne accese nel salotto.
Il terrore la invase con una tale violenza che sentì le gambe cedere.
Ma non cadde, perché un altro tipo di terrore la invase quando vide un doppio bagliore argenteo balenare sopra la testa della sua migliore amica, per poi piovere verso di lei con violenza.
“ELISE VAI VIA DA LI’!” gridò, scattando in avanti.
Dal canto suo, la padrona di casa visse la scena quasi a rallentatore: sgranò gli occhi, voltò lo sguardo e, senza nemmeno riuscire a gridare per lo spavento, si ritrovò le punte di due coltellacci ad una distanza estremamente pericolosa dal collo.
Se Ophelia non l’avesse afferrata all’ultimo momento e l’avesse strattonata con violenza verso di sé, probabilmente a quest’ora si sarebbe trovata riversa a terra, a gorgogliare in una pozza di sangue mentre la vita l’abbandonava.
Le ragazze caddero scompostamente sull’erba gelida, mentre i due coltelli dell’intruso cozzavano tra loro con un rumore sinistro.
In un attimo, furono nuovamente in piedi, entrambe con lo sguardo terrorizzato fisso sulla porta di vetro spalancata.
L’ospite inaspettato, dopo un sospiro irritato che ricordava più il verso di una bestia, si mosse in avanti, calpestando con gli stivaloni neri il suolo. Un pastrano lungo e stracciato sugli orli ricopriva il corpo spesso di un uomo incredibilmente alto e ben piazzato, le cui mani guantate di nero reggevano il manico di due enormi coltelli dalla lama quasi comicamente lunga, ma abbastanza affilata da far smettere di ridere chiunque ci fosse finito sopra.
La luce illuminò una cascata di capelli scuri ed umidi, che riflettevano la luce in maniera disgustosa, orlando un ovale coperto per metà da una maschera di pagliaccio bianca, spaccata dove sarebbe dovuta esserci la bocca, poco sotto il grosso naso rosso.
Invece, il mento ricoperto di cicatrici e le labbra screpolate erano ben visibili.
Black Carnival mosse un altro paio di passi verso le due ragazze, che si allontanarono di più, poi si fermò ed inclinò la testa di lato. I capelli scesero verso il basso come vermi giganti e un bagliore vermiglio si accese in fondo alle cavità oscure degli occhi della maschera, mentre le labbra distrutte rivelarono un sorriso fatto di denti limati talmente tanto da ricordare quelli di una belva feroce, incastrati nelle gengive come microscopici scogli ingialliti.
“DOBBIAMO ANDARE!” Elise scosse l’amica con violenza, riportandola alla realtà dopo lo stupore terrificante provato davanti a quel demone travestito da persona “PRESTO!”
Si voltò di scatto stringendo i denti e con le lacrime che scendevano dagli occhi.
Fecero per correre, senza riuscire a fare nemmeno qualche metro.
Il rumore della carne lacerata, seguito subito dopo da un urlo che non si sarebbe mai più dimenticata per il resto della sua vita, la inchiodarono nuovamente sul posto.
Ophelia si voltò di scatto verso l’amica, rannicchiata a terra con le gambe contro il proprio petto e intenta a gridare disperata nel pianto. Le mani erano strette alla coscia sinistra, dove stava infilzato uno di quegli enormi coltelli da macellaio.
C’era così tanto sangue…
Tornò a guardare il killer, con occhi sgranati.
Il balordo, ancora nella posizione di slancio che aveva assunto per tirare l’arma, allargò il proprio aberrante sorriso, tornando eretto e ridacchiando sotto i baffi scuotendo appena le spalle.
E l’orrore abbandonò del tutto il corpo della giovane.
Come diavolo si permetteva di ridere in quel modo, dopo aver ferito una ragazzina disarmata?
Come?
COME!?
“O-Ophy…” sentì Elise chiamarla debolmente, mentre si posizionava davanti a lei a gambe larghe, tutta la sua attenzione rivolta verso il mostro “… no…”
Tremava come una foglia, e tra la paura di morire e quella per la morte della sua amica, non sapeva quale fosse ciò che la faceva vibrare di più. Ma l’unica via d’uscita era quella dove stava il loro assalitore, e di scavalcare la staccionata non se ne parlava. Strinse i denti tanto forte da incrinarli e, dopo aver afferrato il proprio coltello a bimane ed averlo puntato tremante in avanti, emise un basso ringhio.
Black Carnival inclinò un altro paio di volte la testa a destra e a sinistra.
Non smise di sorridere.
Il fatto che trovasse il suo disperato tentativo di rivalsa divertente, la fece infuriare ancora di più.
“M-maledetto…” scattò verso di lui, sorda alle suppliche provenienti da dietro di lei “… BASTARDO!”
Un fendente verso destra fu tutto quello che bastò al killer per disarmarla. L’arma impattò con la gemella più grande in una piccola deflagrazione di scintille, volando poi in mezzo al buio. Disarmata e a pochissimi passi dal suo carnefice, Ophelia non poté far altro che subire il violentissimo pugno in faccia che la mandò distesa per terra supina con il sangue che usciva da naso e labbra.
Il come non fosse svenuta dopo un colpo tanto violento non riuscì nemmeno a spiegarselo.
Posò i gomiti sull’erba, facendo per rialzarsi, ma non fu necessario.
La presa salda del killer imprigionò la sua gola con la forza di una tenaglia, e il suo corpicino esile venne sollevato da terra nemmeno pesasse come un peluche.
Aprì gli occhi lacrimanti, trovandosi faccia a faccia con il mostro che l’avrebbe aperta come un suino. L’essere snudò le fauci sfiatando un fetore che le fece venire i conati di vomito, poi si passò la parte piatta della lama del coltello sulla lingua nera come la pece, per poi passare con delicatezza la punta dell’arma sulla guancia della giovane, tracciando un solco sanguinante che le mandò a fuoco la faccia.
Disperata, artigliò la mano del killer, cercando di liberarsi.
Ma i suoi sforzi furono vani, e la bestia allontanò l’arma dal suo viso, portandola fin dietro la schiena, pronto per lasciare una ferita che sicuramente sarebbe stata più dolorosa.
Altroché miracolo… questa è una Maledizione di Halloween.
Diamine, davvero le ultime cose che avrebbe sentito prima di morire sarebbero stati i lamenti orribili di Elise e la consapevolezza di non essere stata in grado di proteggerla?
Poteva andare peggio di così?
Spero almeno duri meno di quanto temo durerà…
Proprio mentre pensava a ciò, Black Carnival bloccò la corsa del braccio.
E smettendo di sorridere, voltò la testa alle proprie spalle.
L’aveva sentita forse anche lui?
Quella terribile e maledetta sensazione di oppressione e terrore reverenziale, che forse provano solo le prede di fronte ad un branco di lupi… anche lui la sentiva?
Era convinta fosse dovuta solo alla sua precaria situazione, ma se era anche lui a sentirla…
Voltò gli occhi verso la porta a vetri spalancata.
E l’orrore che provò in quel momento spazzò via quello che aveva sentito dopo aver capito che un serial killer efferato era entrato in casa.
La mano guantata si aprì e Ophelia cadde a terra sulle natiche, per poi strisciare forsennatamente fino alle braccia di Elise, che la avvolsero con premura. Poi, dopo aver ripreso fiato, trovò il coraggio di voltarsi verso la casa, imitata dalla sua amica.
Mi ha tagliato la gola?
Sto delirando?
Sono all’Inferno?
A giudicare dal male che ancora sentiva, probabilmente non era morta.
Ma non aveva altre spiegazioni per poter comprendere ciò che aveva di fronte: un’ombra ben più immensa adesso copriva la luce delle lanterne, tanto grande da nascondere anche il profilo notturno della cucina. Un’ombra dalla quale spuntava l’immenso teschio di un cervo, grande quanto il busto di un uomo adulto, col muso lungo e ricoperto di solchi fino alle mascelle serrate, irte di denti aguzzi, e con le corna ramate che svettavano verso l’alto, avvolte da edera spettrale che brillava di azzurro. Una collana di pietre runiche avvolgeva un collo che Ophy non riusciva a vedere, e le stesse rune componevano i due bracciali legati ai polsi neri delle mani.
Mani gigantesche, dalle dita lunghissime e nere irte di artigli neri a loro volta, una che andava ad appoggiarsi sul tetto della casa e una sull’erba del cortile, entrambe attaccate a lunghissime braccia scheletriche del colore dell’ossidiana che sparivano tra le ombre che soffocavano la cucina.
Le orbite vuote del teschio animale puntavano il serial killer, ma l’essere non fece un singolo movimento. Limitandosi a fissarlo come un uomo fissa un verme di terra.
Ophelia era talmente tanto spaventata che, ne era certa, era sul punto di un crollo psicotico.
E probabilmente la cosa la si poteva dire anche di Black Carnival che, tremante, fece qualche passo indietro.
Questo non fu quello che provò la padrona di casa, tuttavia.
Elise, non appena vide l’incubo indescrivibile insediato dentro casa sua, sgranò gli occhi e, con un sorriso che arrivava da orecchio a orecchio, esclamò estasiata “PAPA’!”
Con un terribile scricchiolio, lo sguardo del mostro scattò verso le ragazze.
“… papà?” Ophy si voltò verso di lei con una vocina flebile e un sorriso nervoso sulle labbra.
Intanto, il ‘papà’ di Elise le sondò con attenzione.
E si accorse delle ferite.
Un vento proveniente dal nulla prese a soffiare ovunque, mentre gli abissi negli occhi del teschio di cervo si accesero di un rosso incandescente. L’essere sollevò il muso verso l’alto e snudò le zanne in un ruggito che, alle orecchie della giovane mora, suonò come il belare di un gregge di pecore infernali.
Black Carnival emise un verso estremamente patetico e, abbandonata la propria arma, scattò verso la staccionata. Ma non serviva un detective per capire che non sarebbe riuscito a scappare. La creatura uscì dalla casa – stranamente senza spaccare nulla – e si mosse rapidissima sulle otto zampe artigliate, che reggevano un corpo ogivale e peloso simile a quello di un gigantesco ragno.
L’essere si pose subito di fronte al killer, che tentò un repentino dietrofront per fuggire.
Peccato che una delle braccia della creatura, dopo essere scattata in avanti, gli afferrò una gamba, facendogli sbattere il muso mascherato a terra.
Non che non se lo meritasse, ma ciò che seguì fu una scena piuttosto spiacevole: il corpo del serial killer venne sollevato da terra e sbattuto al suolo più e più volte, con la stessa facilità e noncuranza con cui un bambino schianta sul pavimento una bambola di pezza. A fine pestaggio, a giudicare dai rivoli di sangue che colavano dal pastrano e dal resto del corpo, mischiati alle braccia e gambe piegate in posizioni quasi artistiche, l’assassino non doveva più nemmeno un osso integro in corpo. Era, tuttavia, ancora vivo.
Purtroppo per lui.
Il teschio di cervo tornò a puntare lo sguardo infuocato verso di lui.
Benché non potesse provarlo, Ophelia era convinta che in quel momento l’assassino avesse provato sulla propria pelle tutto il rancore e l’odio che la creatura provava nei suoi confronti in quel preciso istante.
Inesorabilmente, il mostro portò il corpo anchilosato della sua preda sopra la propria schiena.
Schiena che, con un rumore scrosciante come di una striscia di velcro gigante che si strappa, si squarciò in una cascata di liquido nero come il catrame, rivelando un’immensa scogliera di denti aguzzi che roteavano al centro di una bocca perfettamente circolare, come quella di una lampreda. Tentacoli uncinati e neri emersero dal fondo della gola di spuntoni, viscidi e danzanti come lingue.
Tutti che puntavano verso l’uomo mascherato.
Ophelia ed Elise, istintivamente, si coprirono gli occhi a vicenda.
Cosa che servì decisamente a poco, visto che le urla disperate e il rumore di carne maciullata descrissero alla perfezione la scena al loro cervello.
“Quindi…” Ophelia stava guardando il muro al fianco della TV, con un’espressione da pesce lesso “… ricapitolando: tua madre è un’umana.”
“Yup.”
“M-mentre…” deglutì a vuoto, quasi non si sentisse nemmeno pronta di dire quello che voleva dire “T-tuo padre… s-sarebbe…”
“Una divinità minore delle foreste finlandesi. Esatto.” Concluse per lei Eli.
Come se le stesse semplicemente dicendo che il genitore lavorava alle poste.
Ophy chiuse gli occhi e si passò una mano sulla fronte: dopo che il vecchio della sua migliore amica aveva finito di cibarsi del loro mancato carnefice, aveva assunto dimensioni più amichevoli – invece di essere grosso come una mietitrebbia, era solo diventato grande come un orso – ed aveva preso la gamba ferita della figlia con delicatezza. Mentre quella stringeva i denti per far fronte al dolore, l’essere aveva toccato il coltello ancora infilzato con un unghia, trasformandolo in una piccola accozzaglia di foglie secche che svolazzarono nella notte. Poi aveva tirato fuori una lunga lingua biforcuta nera dal fondo della gola ed aveva leccato la ferita sanguinante.
Ferita che era scomparsa nel nulla come se non fosse mai esistita.
Tutto bene finché il mostro non si era voltato verso di lei, puntando la lingua biforcuta come fosse una sonda cercapersone verso di lei. Ophelia s’irrigidì, ritraendosi appena – e probabilmente mancando anche di rispetto al genitore della sua amica – ma Eli, dopo averle messo una mano sulla propria, le aveva sussurrato con dolcezza che andava tutto bene.
La brunetta allora aveva sospirato e, ad occhi chiusi, aveva lasciato che la creatura compiesse la sua magia.
La sensazione di placida calma e rinascita che percepì quando la lingua di quel mostro le passò sulla ferita, non sapeva ancora se la placò o agitò ancora di più.
In conclusione, la visita del padre di Elise si compì in modo molto anti-climatico, visto che il dio, dopo essersi sincerato ulteriormente che le due non fossero ferite in altri punti che non aveva visto, si era defilato recuperando ciò per cui era tornato a casa: il portafogli.
E adesso se ne stava seduta, al fianco di una Eli fottutamente troppo rilassata per l’avventura che avevano passato, ancora a chiedersi cosa fosse reale e cosa no.
“Aspetta un-” si attivò all’improvviso, voltandosi violentemente verso la padrona di casa che, come da copione, si ritrasse “ERA QUESTO ciò che non sapevi come dirmi? Il tuo super mega segreto che avrebbe messo a repentaglio la nostra amicizia!?”
Eli sbatté le palpebre, poi si voltò verso un lato imprecisato della stanza e ridacchiò impercettibilmente, con un lieve rossore sulle guance rosate “B-beh… immagino adesso tu abbia capito come mai ero così restia al dirtelo…”
Avrebbe voluto rispondere con ‘grazie al cazzo’ però si trattenne.
Quindi.
L’adorabile ragazza che conosceva da una vita.
Con cui aveva condiviso così tanti momenti, tristi e non.
La persona più bella del mondo, per cui si sarebbe buttata in un Vulcano.
Quella Elise… era una specie di semidea delle selve?
“I-insomma, devo confessarti che adesso non saprei nemmeno cosa dire. Ora che conosci l’identità del mio segreto, come l’hai pre- perché stai ridendo in modo così inquietante?”
Elise strisciò leggermente lontano dall’amica, che aveva la testa piegata verso il basso e rideva sommessamente, con un’espressione che avrebbe messo in fuga il Diavolo in persona.
Che stesse avendo una qualche specie di crisi isterica dopo tutto quello che avevano passato?
Un po’, la fatina si sentì in colpa.
Sbuffò affranta “S-senti… scusami. Per tutto. Per averti tenuta all’oscuro di questa cosa e per aver rovinato la nostra serata… immagino che-”
“Mi prendi per il culo?”
Elise la guardò con tanto d’occhi “… uh?”
E quell’altra scattò verso di lei, afferrandole le mani e guardandola con un’espressionespiritata entusiasta “Rovinato la serata? Siamo sopravvissute ad un serial killer pazzo e, poco dopo, tuo padre è arrivato e lo ha letteralmente MACELLATO come un pezzo di carne! E ora, so che la ragazza che amo è la figlia di un fottuto mostro Lovercraftiano. Questa è stata la notte di Halloween PIU’ BELLA DI TUTTA LA MIA VITA!” scoppiò a ridere, buttandosi con la schiena sul divano “LO SAPEVO: LO SAPEVO CHE LO SPIRITO ERA DALLA MIA PARTE, QUESTA NOTTE!”
Elise sbatté le palpebre un paio di volte.
Sembrava aver preso il tutto… sorprendentemente bene?
Non che non fosse felice, ma qualcosa dentro di lei le suggeriva che poteva essersi verificato qualche mezzo danno cerebrale. Era così?
Poi si focalizzò su una particolare cosa che aveva detto prima di quella risata folle.
“U-un momento…” Elise la guardò.
“U-uh?” Ophelia riuscì a smettere di ridere, anche se aveva ancora il fiatone.
“T-ti va davvero bene così? Non sei nemmeno un minimo spaventata?”
“Questa notte non dormirò. Forse non lo farò per una settimana.” Si rimise seduta composta, ma non perse il sorriso “Ma passerà anche questa: non capita tutti i giorni di essere quasi uccise da un serial killer per poi vedere lo stesso venire sbranato dal padre divino della tua migliore amica!”
“O-ok però…” la guardò con occhi sgranati “Non provi proprio nient’altro? Niente di niente?” parve in difficoltà nel dire ciò che stava per dire “N-non mi trovi… un mostro?”
Capendo dove stava andando a parare il discorso, Ophy sospirò e riprese le mani dell’altra giovane, guardandola negli occhi con un’espressione serissima “Elise Couri, ciò che provavo per te prima di scoprire che eri una cazzo di semidea non è cambiato. Anzi, credo sia aumentato, a dismisura. E sicuramente spiega il motivo per cui ogni giorno sei sempre la più impeccabile della scuola.”
La vide arrossire. Segnò un punto a suo favore mentalmente.
“Ti faccio la stessa proposta di prima, mia dea dai capelli rosa” disse poi, con dolcezza “vuoi uscire assieme a me, non più come mia amica, ma come la mia ragazza?”
Elise rimase a guardarla per un po’, senza dire una parola.
Poi, lentamente, si portò le mani agli occhi, nascondendo la faccia tra le dita.
“Sei veramente stramba, Ophelia.”
“GUH!?” sussultò, esterrefatta.
Aveva rovinato tutto di nuovo!?
“Dopo quello che è successo oggi… saresti dovuta scappare a gambe levate, di corsa. Fingere addirittura che non ci siamo mai conosciute. Che non siamo mai state amiche… dovresti temermi, con tutta te stessa…”
Stava per ribattere, quando quell’altra scoprì finalmente il viso coperto di lacrime, ma con un sorriso raggiante sulle labbra.
“ti prego…” si asciugò una lacrimuccia “…prenditi cura di me.”
Fu quello di Ophy, adesso, il turno di commuoversi.
E poco dopo, entrambe furono nuovamente avvolte l’una tra le braccia dell’altra. E restarono così per un sacco di tempo, a coccolarsi con dolcezza. Finché Ophelia non aprì gli occhi, con un’espressione interrogativa “Un secondo, però” si scostò da lei, con un sopracciglio inarcato “come fa tuo papà a girare in strada senza terrorizzare letteralmente chiunque?”
“Beh, può trasformarsi in essere umano quando vuole.” Spiegò Eli, sorridente “E’ un dio, dopotutto!”
“Q-quindi…” la guardò negli occhi.
Ed Eli guardò negli occhi lei.
Poi capì.
E la sua espressione si fece dura.
“Non se ne parla.”
“Ti prego.”
“No.”
“Solo una sbirciatina!”
“E’…” Elise deglutì a vuoto “E’ imbarazzante! Non sembro minacciosa come papà, sono solo… ridicola.”
Ophelia si piegò come una cozza sul divano, prostrandosi nuovamente davanti alla padrona di casa.
“E ci risiamo…”
“Giuro che sarà solo il nostro segreto. Non lo saprà nessuno – non che avessi intenzione di condividerlo con qualcuno, ovviamente – e morirà con me quando sarò una mummia raggrinzita.”
Elise si grattò la testa, un po’ turbata. Poi emise un verso frustrato.
“BAH. E va bene. VA BENE. Ma promettimi che non riderai.”
Ophelia annuì vigorosamente.
In quel momento, Elise chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e, all’improvviso, la sensazione di oppressione e terrore antico che aveva provato alla comparsa della divinità Senior pervase nuovamente l’anima della brunetta.
Un lieve venticello spostò i capelli delle due ragazze, spiegazzando appena anche i tovagliolini di carta poggiati sul tavolo.
Poi, avvenne la metamorfosi.
Metamorfosi che si mostrò ad Ophelia come una Elise che… effettivamente non era cambiata troppo rispetto a prima.
Fatta eccezione per l’iride completamente rossa ed un paio di adorabili zanne che sporgevano dalle labbra rosa. E due ancora più adorabili, appuntite e dritte cornine da cerbiatto ai lati della nuca, che svettavano verso l’alto con le loro foglie di edera spettrale.
Brillanti di un’intensa luce rosa.
“C-come vedi, non è un granché” Elise si grattò dietro un orecchio con un sorriso imbarazzato. Orecchio che, Ophy si era accorta solo ora, adesso era più appuntito rispetto a prima “papà è molto più figo. Mi ha rassicurato, tuttavia, che con l’età anche io dovrei diventare più minacciosa, credo.”
Ophelia non disse nulla. Si limitò a guardarla, immobile.
“Ophy?” l’altra cominciò a preoccuparsi “Va tutto be-”
La mora scivolò sul divano, per poi cadere a terra.
Non sbatté la fronte sul bordo del tavolino solo per miracolo.
Elise intanto si era portata le mani alla bocca, sconvolta “LO SAPEVO che quella botta ti aveva fatto danni più seri!” si alzò di scatto dal divano “vado subito a prenderti un bicchiere d’acqua!”
E mentre fuggiva in cucina, Ophelia, sulla moquette, ridacchiava tra sé e sé, con un rivoletto di sangue che le scendeva dal naso.
Oggi davvero… davvero lo Spirito di Halloween mi ha benedetta…
E rimase a crogiolarsi nella sua beatitudine estrema, mentre sentiva la sua migliore amica ora ragazza preferita tornare concitatamente da lei.
Quando, dopo aver suonato il campanello, alla porta della casa apparve una fata dai lunghi capelli tinti di rosa, il vestitino azzurro catarifrangente e le gote coperte da brillantini multicolori a forma di stellina, il suo cuoricino fece una capriola.
Quando quella stessa fata allargò la propria sottile boccuccia in un sorriso adorabile e accese i propri occhi del colore d’acqua marina con tutto l’entusiasmo del mondo, la capriola diventò doppia.
“OPHY!” saltò la bassa impalcatura e stritolò con le esili braccia sbrilluccicose la nuova arrivata, incurante della piega non esattamente piacevole che presero le alette da farfalla di plastica fissate dietro la schiena, poggiando il mento sulla sua spalla “Sei già qui? Questa sera avevi proprio tanta voglia di vedermi!”
Ophelia, che per poco non era caduta all’indietro dopo l’assalto di quell’altra, cercò di mantenere un minimo di contegno. Cosa difficile a causa del profumo di fragola che aveva dolcemente aggredito le sue narici “Eli” mormorò con voce roca, scostandola con delicatezza e guardandola con una lieve nota di rimprovero “Non dovresti aprire senza prima chiedere di chi si tratta. Inoltre, non è meglio chiudere la porta a chiave? Non sei nemmeno un po’ preoccupata dopo le ultime notizie?”
“Oh caspita, hai ragione!” la ragazza-fata si sbatté una mano sulla fronte, per poi rientrare – piegando nuovamente le ali che costavano forse più di tutto il costume messo assieme – e cercare le chiavi appese contro al muro “Se non ci fossi tu…”
Ophelia chiuse gli occhi e sospirò rassegnata.
“Sono comunque felice che ti preoccupi così tanto per me” Elise tornò a guardarla, facendo capolino da dietro l’uscio “ti sei per caso innamorata dopo avermi vista vestita così?”
Di fronte a quel sorrisetto beffardo, l’ospite strinse le mani intorno allo scettro di plastica e si strinse nelle spalle, quasi volesse svanire all’interno del largo mantello nero.
“Coraggio, entra” proseguì dolcemente l’altra ragazza “non voglio che prendi freddo!”
Dopo aver riacquistato la calma, Ophelia entrò in casa con un timido ‘permesso’, abbassandosi appena per evitare che l’altissimo cappello da strega impattasse con il bordo superiore della porta.
Ad accoglierla, oltre ad una Elise che – senza smettere di sorridere – le fece strada, ci fu un corridoio dal cui soffitto pendevano fantasmini, pipistrelli e qualche zucca ritagliata. In cima alla prima rampa di scale che portava al piano di sopra, stava un’impalcatura sulla quale era stato montato uno spaventapasseri travestito da Tristo Mietitore, con falce insanguinata e maschera da teschio sotto al cappuccio stracciato.
Sapeva che tra le due, era lei quella più fan di quella festività, ma porca miseria i padroni di casa non avevano assolutamente badato a spese.
Padroni di casa che, al momento, dovevano essere a festeggiare da qualche altra parte.
Ringraziò mentalmente anche i propri genitori per averle dato comunque la possibilità di vedersi con la sua migliore amica, a patto di portarla di persona davanti a casa sua e di non perderla di vista finché non fosse entrata: a causa del serial killer che al momento sembrava terrorizzare quella zona dell’America, tutti in paese erano abbastanza su di giri. E questo significava, ovviamente, il cancellare permanentemente il fare Dolcetto o Scherzetto assieme agli amici. Cosa che l’aveva depressa più del dovuto, ma poteva consolarsi con l’avere una serata intima assieme ad Elise, sommersa tra film dell’orrore e dolcetti.
Inoltre, per quanto amasse i documentari sugli assassini, non era assolutamente la prima persona che voleva parteciparne attivamente ad uno.
Superato un archetto dalla quale pendevano un paio di piccoli scheletri di plastica, Ophelia si ritrovò in salotto. Elise, dopo essersi levata le ingombrantissime ali da farfalla – le aveva tenute tutto quel tempo solo per farsi vedere da lei, per caso? – si accomodò sul largo divano posto davanti al tavolo imbandito con... anche troppo cibo per una serata di sole due persone.
Il televisore a schermo piatto era già acceso e già impostato su Shiver.
Era tutto talmente tanto perfetto che, probabilmente, se fosse precipitato un meteorite sulla sua testa in quel momento, non se ne sarebbe nemmeno accorta.
E’ il Miracolo di Halloween.
Me lo sento: Questa notte lo Spirito è con me!
“E’ davvero un peccato che gli altri non siano potuti venire, però allo stesso tempo sono contenta che siamo solo noi due! E’ da un sacco che non passavamo un po’ di tempo assieme da sole” la voce squillante ed allegra di Eli contribuì ben poco a calmare le farfalle nella pancia di Ophelia. Ancor meno lo fece quando quella si voltò verso di lei raggiante, colpendo dolcemente il sedile con una mano “vieni su. Accomodati che altrimenti poi ti viene male ai piedi.”
“Mi hai preso per un’ultra-ottantenne?” mormorò fintamente offesa.
“Le streghe di una certa età dovrebbero solo rilassarsi” rispose a tono l’altra, con un sorriso furbetto.
La ‘strega’ sospirò rassegnata, poi si avvicinò e si sedette al fianco della sua amica. Si tolse il largo cappello e lo appoggiò sul sedile di fianco al suo, lasciando ricadere i fluentissimi capelli d’ebano lungo le spalle e la schiena. Stava anche per togliersi il mantello, quando la proprietaria di casa si appiccicò al suo fianco come una ventosa, strusciando la guancia del colore delle pesche con la sua più pallida.
Ora doveva assolutamente togliersi il mantello, altrimenti si sarebbe trasformata in una pozzanghera.
Il riscaldamento era spento.
“Visto che i nostri ci hanno impedito di uscire” senza nemmeno guardarla – e totalmente ignara del disagio che le stava provocando – Elise cominciò a fare zapping con il telecomando tra i vari cataloghi presentati dalla piattaforma di streaming “credo sia semplicemente logico che passeremo la serata a vedere OGNI SINGOLO film horror del sito! Non sei d’accordo?”
Ophelia sbatté le palpebre, basita “M-ma sono troppi… vorresti vederli tutti in una singola serata!”
“Oh. Beh. Effettivamente hai ragione” si staccò da lei, per poi guardarla sorridente. L’ospite si voltò verso di lei a propria volta, deglutendo a vuoto “allora li guarderemo tutti finché non saremo due vecchiette. Ti piace di più come idea?”
Noi due. Sole. Assieme anche nella nostra anzianità in qualche casetta di campagna isolata. Mano nella mano a vedere film horror per il resto dei nostri giorni.
Sperò che la risata disgustosa che sentì fosse solo nella sua mente, e che fosse solo arrossita sfregando i piedi mentre pensava a quel possibile futuro.
Fortunatamente, la risata era effettivamente uscita perché Eli tornò a guardare il televisore senza fare ulteriori commenti.
“Ah! Ti consiglio di provare la crostata!” aggiunse poi la stessa, indicando senza voltarsi il dolce sul tavolino “Ho assolutamente bisogno di sapere che cosa ne pensi!”
Ophelia sbatté le palpebre un paio di volte, per poi voltarsi verso la torta. Benché l’unica luce fosse dovuta al televisore acceso e qualche lanterna dentro alle zucche di Halloween finemente intagliate, poteva vedere il rosso brillante della marmellata e il colore quasi dorato della crosta.
Invitante, lo era.
Quindi prese il coltello poggiato sul tavolino e ne tagliò una piccola fetta, per poi portarsela alla bocca e mangiarsela in un sol boccone.
Sgranò gli occhi, mentre sentiva il proprio fiato mancare.
“Eli…” si voltò verso di lei, con voce tremante “ma questa è…”
“Ho fatto centro?” l’altra era tornata a guardarla sorridente “Ho chiesto a tua nonna di passarmi la ricetta della crostata di ciliegie che ti piace così tanto! Mi aspettavo fosse più difficile da fare, per questo ho chiesto un parere dell’unica intenditrice che conosco.”
Ophy guardò la torta, ancora senza parole, sforzandosi al massimo per non mettersi a piangere. Era come mangiare quella della nonna materna, eppure era stata preparata dalla sua migliore amica. Avesse anche fatto schifo avrebbe pianto per il suo tentativo, ma così era fin troppo bello per essere vero “…L’hai preparata solo per me…?”
“Mi piace sorprenderti, qualche volta!” fece l’occhiolino, Elise, per poi tornare a guardare lo schermo della televisione “Ora, mi consiglieresti qualcosa di buono con cui cominciare? Così almeno se poi fa troppa paura guardiamo qualcosa di più ridicolo per stemperare la tensione.”
“Ti amo.”
Il dito sul telecomando di Eli si congelò sul posto.
“… puoi ripetere?” il ragazza si era voltata verso la sua ospite, con l’espressione sorridente sostituita da una leggermente più sorpresa e turbata.
Chiaramente non aveva inteso quelle parole come il titolo criptico di un film dell’orrore.
E Ophelia chiaramente non doveva essersi resa del tutto conto di quello che aveva detto, perché appena realizzò che aveva fatto andare troppo la bocca senza connetterla al cervello, arrossì così tanto che il colore della sua pelle faceva invidia alla luce emessa dalle lampade-zucca. Guardò l’amica pronta ad inventarsi una scusa alla quale non avrebbe creduto nemmeno lei, per poi perdersi nuovamente nella sua espressione da cucciolino smarrito e disconnettere il cervello una seconda volta.
Rimasero in silenzio a guardarsi per un po’.
Fanculo Ophy: lo Spirito di Halloween è con te!
Ed era convinta fosse ormai troppo tardi per fare la codarda, adesso.
Quindi sospirò, si alzò in piedi, chiuse gli occhi – Eli intanto seguiva ogni suo singolo movimento senza staccarle gli occhi di dosso – e strinse i pugni conficcandosi le unghie dipinte di nero nel palmo della mano.
Poi si piegò su se stessa, sopra le proprie ginocchia, prostrandosi ai piedi di Elise con una violenza e rapidità che la fece sussultare con un urletto acuto, facendole cadere il telecomando dalla mano.
“Ci conosciamo da così tanti anni e mesi e settimane e giorni e ore e secondi e io benedico ogni singolo secondo in cui sono assieme a te, che sia per un progetto scolastico, per un’uscita assieme o per quando mi passi i compiti perché sono rimasta a casa a causa della febbre” prese fiato, senza alzare lo sguardo “Elise Couri, ogni volta che ti vedo sorridere e che mi parli delle cose che ami mi illumini la vita come un dannatissimo faro e non smetterò mai di essere grata al fatto che fai parte di ogni mia singola giornata ed ogni mio singolo pensiero” prese fiato ancora una volta “e… e… non so se lo sto dicendo perché l’angoscia mi artiglia il cuore da quando sono nata o perché c’è un serial killer che ammazza ragazzini a piede libero e potrei non avere più occasioni per dirlo in futuro, ma mi piaci da impazzire. Q-quindi ti prego” strinse le palpebre serrate sugli occhi fino a farsi quasi venire mal di testa “… ti va di uscire con me? N-non più solo come migliori amiche… ma come qualcosa di più?”
Il tempo che passò da quando aveva finito quel turpiloquio alla possibile risposta della persona che aveva tutto il diritto di cacciarla via di casa dopo una rivelazione simile parve durare quanto un era geologica.
“Ophy.”
Quando Elise parlò, sentì un brivido lungo tutta la schiena.
Non sembrava disgustata o sconcertata, però.
Raccogliendo il poco coraggio che l’aveva abbandonata dopo il monologo, riuscì ad alzare gli occhi di cristallo verso l’amica.
Amica che, prima che potesse dire qualcosa, le posò dolcemente una mano sulla guancia.
Il contatto con la pelle morbida e fresca la rilassò un poco.
Il suo sorriso affranto lo fece molto meno.
“Sei… sei dolcissima, davvero. Non avrei mai pensato che pensassi tutto questo di me. Anche io ti voglio bene, così tanto, Ophelia, però…” Eli voltò lo sguardo, abbassando poi la mano. E il sorriso abbandonò del tutto il suo volto, lasciando solo un’orribile espressione mortificata “… non posso farlo.”
Seduta sulle proprie gambe, ancora a terra, Ophelia si sentì morire.
“Non… puoi?”
“… mi dispiace.”
Questa volta volle veramente tanto che un meteorite le atterrasse sulla fronte, perché avrebbe sicuramente fatto meno male del cratere che le si era appena formato in fondo all’anima.
“M-ma…” balbettò con voce roca, e i lacrimoni che le si erano formati alla base degli occhi “… m-ma lo Spirito di Halloween era dalla mia questa sera…”
“Cosa?” Elise tornò a guardare l’amica con un sopracciglio inarcato.
“L-lascia perdere.” Svuotata da qualsivoglia emozione o anche solo dall’intenzione di respirare ancora, Ophelia si alzò da terra, con sguardo basso “Scusami, davvero. Me ne sono uscita con una sfilza di stupidaggini a causa della mia impulsività. Non avrei dovuto. Perdonami. Non volevo rovinare la serata, ma non credo di poter rimanere qui un minuto di più. Chiamo i mie-”
“Ophy, aspetta!”
Elise si alzò a sua volta, afferrando la mano della sua ospite, che si voltò verso di lei con le guance zuppe di lacrime ed un’espressione che voleva risultare fredda, ma che sembrava solo miserabile.
“P-per favore… non peggiorare il mio stato d’animo” tirò su col naso “se mi guardi così, sarà più difficile per me dimenticarmi di te…”
“Che tragica che sei, accidenti!” Ophelia ammise con se stessa che, un pochino, le diede fastidio il sorrisetto che le mostrò, quasi fosse completamente ignara del fatto che il suo cuore fosse finito in mille pezzi.
L’animosità finì nell’esatto momento in cui Elise le asciugò le lacrime con le dita e le prese le guance nelle mani, guardandola con affetto “Che sciocca che sei. Sempre troppo emotiva e salti subito alle conclusioni senza che gli altri possano spiegarsi. Anche se sei carina quando sei tutta turbata così.”
Era per caso una sadica la sua migliore amica? O qualcosa del genere?
“Ascoltami, Ophy: non ho detto che non mi piacerebbe un mondo essere la tua ragazza. Ho sempre avuto una cotta per te da quando ci siamo incontrate la prima volta, soprattutto perché mi hai sempre dato la sensazione fossi molto di più della compagna di classe dark, ma una vera e propria strega. La gente così tenebrosa mi fa impazzire” arrossì sotto i brillantini a forma di stella “oh mamma, il pensiero mi sta facendo sentire tutta strana. Chissà se è così che ti sei sentita prima di dirmi tutto questo, eheheheh.”
Mentre quella rideva come una scolaretta, Ophelia sentì la propria testa girare talmente tanto che per un attimo ebbe paura si svitasse staccandosi dal collo. Si premette una mano sulla nuca mentre un turbinio di emozioni facevano scempio del suo stomaco “Ma scusa… ma allora cos’era quel ‘vorrei ma non posso’. Se è uno scherzo ti garantisco che non sto ridendo!”
Forse anche a causa del tono un po’ caustico dell’amica, Eli sussultò appena.
Poi tornò a guardare mogiamente lo schienale del divano, facendo sentire così tanto in colpa Ophy da farle quasi venir voglia di spaccare il tavolino imbandito a testate.
“Ecco, quello… è vero…” si voltò senza più sorridere “ti ho detto quelle cose perché… non sono stata sempre sincera con te. Sul mio conto, intendo.” Si rigirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un dito, portandosi l’altra mano dietro la schiena.
Lo sguardo turbato di Elise le fece dimenticare ogni pensiero negativo tranne la preoccupazione “… cosa intendi dire?”
“C’è… c’è una cosa che non ti ho mai detto, per paura di una tua reazione. Una cosa che, probabilmente, renderebbe un possibile rapporto tra noi di quel tipo estremamente complicato, ecco.”
“Una cosa brutta?”
Eli sembrò tentennare, aumentando lo sgomento nell’altra.
“Aspetta…”
Riprese a piangere, stavolta con più violenza rispetto a prima.
Elise aveva visto meno acqua uscire da una cascata.
“S-stai per caso morendo?”
“Cosa?”
“G-guanti giorni di vimangodo?” continuò Ophelia con una voce nasale “E’ un bruddo bale scoberdo da poco? Senza una gura?”
“… hai visto recentemente un film drammatico?”
Quella annuì, ed Elise sospirò rassegnata.
“Sono sana come una rosa. Non intendo morire nel fiore dei miei anni, dannazione!”
“Allora…” la disperazione nella voce della mora si spense assieme ad ogni altra emozione. Poi la stessa afferrò a bimane il coltello della torta e se lo portò davanti al petto. Le ombre calarono sui suoi occhi, lasciando intravedere solo una luce sinistra infondo alle iridi.
“Per caso qualcuno mi ha preceduta? Di chi si tratta?” disse con voce monotona, trasformandosi nella forse protagonista del film horror che ancora non avevano visto.
“Non c’è nessuno che ha confessato i suoi sentimenti per me alla quale non ho dato un due di picche. Per favore, posa il coltello.”
Era sorprendente quanto gravemente lunatica fosse la sua migliore amica.
Inquietante ma adorabile.
“Senti, sediamoci.”
Ophelia ubbidì, e le due ragazze tornarono sedute assieme sul divano, mani nelle mani, anche se il coltello non era stato ancora posato.
“… questo è un segreto che mi porto dentro da ancora prima che ci conoscessimo. E non avrei mai voluto nemmeno farti sapere della sua esistenza, ma al tempo stesso vederti così devastata dalla mia risposta mi ha anche fatto capire che non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti.” Voltò lo sguardo dal divano verso di lei “è una cosa che anche mamma e papà mi hanno sempre detto di tenere all’oscuro, da tutto e da tutti. E per ottime ragioni.”
Ok, ora la cosa si stava facendo preoccupante.
Cos’avrà mai avuto di così assurdamente terribile da nascondere con un’introduzione di questo tipo?
“E’ che… ho paura di come potresti prenderla.” La voce sembrò incrinarsi “dopo aver saputo questa cosa… non credo nemmeno vorresti ancora essere mia amica. Figuriamoci la mia ragazza! È per questo che…”
Aveva parlato troppo.
Senza indugiare oltre, Ophelia si slanciò verso di lei e la strinse nell’abbraccio più rassicurante e dolce della quale era capace. Eli sussultò adorabilmente tra le sue braccia, ma non disse altro.
“Eli, basta.” Mormorò dolcemente. Adesso era il suo turno quello di tranquillizzare l’amica “Non puoi sapere come reagirei senza dirmi nulla.”
Elise sembrò rilassarsi. Buon segno.
“M-ma…”
“Niente ma” si scostò da lei, stringendole le spalle brillantate con le mani e guardandola dritta negli occhi, determinata “io ti voglio bene, Elise. Più di quanto immagini e, a meno che non mi riveli di torturare criceti nel tuo tempo libero, non ci sarà ASSOLUTAMENTE NULLA che potrà far diminuire l’affetto che provo per te in questo microsecondo ed in ogni singolo microsecondo della mia vita. Qualunque sia questo segreto, qualunque sia il tuo problema, voglio saperlo. E se posso, voglio stare al tuo fianco per risolverlo assieme a te. Sono stata chiara?”
“… e se poi comincerai ad avere paura di me?”
E sti cazzi. Ma si può sapere che cosa mi hai nascosto per tutto sto’ tempo?
“Prometto che starò comunque al tuo fianco. Paura o meno.”
Elise sembrò tentennare ancora un po’. Poi sospirò rassegnata e, dopo aver annuito impercettibilmente, aprì la bocca, pronta a vuotare il sacco.
E il sacco venne richiuso, perché un rumore fortissimo fece saltare le due amiche sul divano.
Voltarono lo sguardo verso l’antro oscuro che dava sulla cucina, che a sua volta dava sul cortile interno della casa. Non seppero perché, nessuna delle due, ma forse a causa della tensione creata e di un’altra strana sensazione che nessuna si riusciva a spiegare, quell’improvvisa interruzione le mise molto più in allerta di quanto forse avrebbero dovuto essere.
Si scambiarono uno sguardo.
“… arrivava dal retro?”
Le luci esterne illuminavano un prato finemente tagliato, un paio di sedie a sdraio bianche aperte vicino ad una piscina coperta da un telo di plastica nero ed un piccolo capannino di legno per gli attrezzi, all’ombra di una quercia dai rami spogli che sembravano braccia di scheletro.
Ma a parte qualche grillo impertinente, non videro o sentirono altro.
Dopo aver aperto la porta a vetri scorrevole, coltello ben saldo nella mano, Ophy fece uscire la testa dall’uscio, guardandosi intorno circospetta, con Eli a pochi centimetri dietro di lei che le stringeva la maglietta nera.
La luce non illuminava, chiaramente, ciò che si trovava oltre lo steccato bianco. Quindi se qualcuno o qualcosa si nascondeva là dietro, non l’avrebbero scoperto finché non fosse uscito con una motosega.
Non pensare a queste cose adesso, non è il caso.
“Fa attenzione.” disse con premura la fatina, mentre la ragazza armata usciva di casa, guardinga e stando ben attenta a non finire nelle zone più buie del giardino sul retro.
Perlustrò la zona con attenzione e col coltello puntato in avanti.
Ma, ovviamente, non riuscì a trovare o vedere nessuno.
Sospirò rassegnata.
“Non so che dire. Magari qualche uccello si è schiantato sul vetro. E’ possibile?”
“N-non saprei.”
Ophelia si voltò verso la casa.
…
…
… da dove diavolo è passato?
Il primo pensiero istintivo che le arrivò, quando il bagliore dei vermigli occhi rossi della colossale ombra di oscurità entrò nel suo campo visivo. Si trovava esattamente alle spalle di Elise, che non si era accorta assolutamente di nulla. E forse nemmeno lei se ne sarebbe accorta, non fosse stato per la differenza di luce a causa dell’enorme stazza che si era posta tra lei e le lanterne accese nel salotto.
Il terrore la invase con una tale violenza che sentì le gambe cedere.
Ma non cadde, perché un altro tipo di terrore la invase quando vide un doppio bagliore argenteo balenare sopra la testa della sua migliore amica, per poi piovere verso di lei con violenza.
“ELISE VAI VIA DA LI’!” gridò, scattando in avanti.
Dal canto suo, la padrona di casa visse la scena quasi a rallentatore: sgranò gli occhi, voltò lo sguardo e, senza nemmeno riuscire a gridare per lo spavento, si ritrovò le punte di due coltellacci ad una distanza estremamente pericolosa dal collo.
Se Ophelia non l’avesse afferrata all’ultimo momento e l’avesse strattonata con violenza verso di sé, probabilmente a quest’ora si sarebbe trovata riversa a terra, a gorgogliare in una pozza di sangue mentre la vita l’abbandonava.
Le ragazze caddero scompostamente sull’erba gelida, mentre i due coltelli dell’intruso cozzavano tra loro con un rumore sinistro.
In un attimo, furono nuovamente in piedi, entrambe con lo sguardo terrorizzato fisso sulla porta di vetro spalancata.
L’ospite inaspettato, dopo un sospiro irritato che ricordava più il verso di una bestia, si mosse in avanti, calpestando con gli stivaloni neri il suolo. Un pastrano lungo e stracciato sugli orli ricopriva il corpo spesso di un uomo incredibilmente alto e ben piazzato, le cui mani guantate di nero reggevano il manico di due enormi coltelli dalla lama quasi comicamente lunga, ma abbastanza affilata da far smettere di ridere chiunque ci fosse finito sopra.
La luce illuminò una cascata di capelli scuri ed umidi, che riflettevano la luce in maniera disgustosa, orlando un ovale coperto per metà da una maschera di pagliaccio bianca, spaccata dove sarebbe dovuta esserci la bocca, poco sotto il grosso naso rosso.
Invece, il mento ricoperto di cicatrici e le labbra screpolate erano ben visibili.
Black Carnival mosse un altro paio di passi verso le due ragazze, che si allontanarono di più, poi si fermò ed inclinò la testa di lato. I capelli scesero verso il basso come vermi giganti e un bagliore vermiglio si accese in fondo alle cavità oscure degli occhi della maschera, mentre le labbra distrutte rivelarono un sorriso fatto di denti limati talmente tanto da ricordare quelli di una belva feroce, incastrati nelle gengive come microscopici scogli ingialliti.
“DOBBIAMO ANDARE!” Elise scosse l’amica con violenza, riportandola alla realtà dopo lo stupore terrificante provato davanti a quel demone travestito da persona “PRESTO!”
Si voltò di scatto stringendo i denti e con le lacrime che scendevano dagli occhi.
Fecero per correre, senza riuscire a fare nemmeno qualche metro.
Il rumore della carne lacerata, seguito subito dopo da un urlo che non si sarebbe mai più dimenticata per il resto della sua vita, la inchiodarono nuovamente sul posto.
Ophelia si voltò di scatto verso l’amica, rannicchiata a terra con le gambe contro il proprio petto e intenta a gridare disperata nel pianto. Le mani erano strette alla coscia sinistra, dove stava infilzato uno di quegli enormi coltelli da macellaio.
C’era così tanto sangue…
Tornò a guardare il killer, con occhi sgranati.
Il balordo, ancora nella posizione di slancio che aveva assunto per tirare l’arma, allargò il proprio aberrante sorriso, tornando eretto e ridacchiando sotto i baffi scuotendo appena le spalle.
E l’orrore abbandonò del tutto il corpo della giovane.
Come diavolo si permetteva di ridere in quel modo, dopo aver ferito una ragazzina disarmata?
Come?
COME!?
“O-Ophy…” sentì Elise chiamarla debolmente, mentre si posizionava davanti a lei a gambe larghe, tutta la sua attenzione rivolta verso il mostro “… no…”
Tremava come una foglia, e tra la paura di morire e quella per la morte della sua amica, non sapeva quale fosse ciò che la faceva vibrare di più. Ma l’unica via d’uscita era quella dove stava il loro assalitore, e di scavalcare la staccionata non se ne parlava. Strinse i denti tanto forte da incrinarli e, dopo aver afferrato il proprio coltello a bimane ed averlo puntato tremante in avanti, emise un basso ringhio.
Black Carnival inclinò un altro paio di volte la testa a destra e a sinistra.
Non smise di sorridere.
Il fatto che trovasse il suo disperato tentativo di rivalsa divertente, la fece infuriare ancora di più.
“M-maledetto…” scattò verso di lui, sorda alle suppliche provenienti da dietro di lei “… BASTARDO!”
Un fendente verso destra fu tutto quello che bastò al killer per disarmarla. L’arma impattò con la gemella più grande in una piccola deflagrazione di scintille, volando poi in mezzo al buio. Disarmata e a pochissimi passi dal suo carnefice, Ophelia non poté far altro che subire il violentissimo pugno in faccia che la mandò distesa per terra supina con il sangue che usciva da naso e labbra.
Il come non fosse svenuta dopo un colpo tanto violento non riuscì nemmeno a spiegarselo.
Posò i gomiti sull’erba, facendo per rialzarsi, ma non fu necessario.
La presa salda del killer imprigionò la sua gola con la forza di una tenaglia, e il suo corpicino esile venne sollevato da terra nemmeno pesasse come un peluche.
Aprì gli occhi lacrimanti, trovandosi faccia a faccia con il mostro che l’avrebbe aperta come un suino. L’essere snudò le fauci sfiatando un fetore che le fece venire i conati di vomito, poi si passò la parte piatta della lama del coltello sulla lingua nera come la pece, per poi passare con delicatezza la punta dell’arma sulla guancia della giovane, tracciando un solco sanguinante che le mandò a fuoco la faccia.
Disperata, artigliò la mano del killer, cercando di liberarsi.
Ma i suoi sforzi furono vani, e la bestia allontanò l’arma dal suo viso, portandola fin dietro la schiena, pronto per lasciare una ferita che sicuramente sarebbe stata più dolorosa.
Altroché miracolo… questa è una Maledizione di Halloween.
Diamine, davvero le ultime cose che avrebbe sentito prima di morire sarebbero stati i lamenti orribili di Elise e la consapevolezza di non essere stata in grado di proteggerla?
Poteva andare peggio di così?
Spero almeno duri meno di quanto temo durerà…
Proprio mentre pensava a ciò, Black Carnival bloccò la corsa del braccio.
E smettendo di sorridere, voltò la testa alle proprie spalle.
L’aveva sentita forse anche lui?
Quella terribile e maledetta sensazione di oppressione e terrore reverenziale, che forse provano solo le prede di fronte ad un branco di lupi… anche lui la sentiva?
Era convinta fosse dovuta solo alla sua precaria situazione, ma se era anche lui a sentirla…
Voltò gli occhi verso la porta a vetri spalancata.
E l’orrore che provò in quel momento spazzò via quello che aveva sentito dopo aver capito che un serial killer efferato era entrato in casa.
La mano guantata si aprì e Ophelia cadde a terra sulle natiche, per poi strisciare forsennatamente fino alle braccia di Elise, che la avvolsero con premura. Poi, dopo aver ripreso fiato, trovò il coraggio di voltarsi verso la casa, imitata dalla sua amica.
Mi ha tagliato la gola?
Sto delirando?
Sono all’Inferno?
A giudicare dal male che ancora sentiva, probabilmente non era morta.
Ma non aveva altre spiegazioni per poter comprendere ciò che aveva di fronte: un’ombra ben più immensa adesso copriva la luce delle lanterne, tanto grande da nascondere anche il profilo notturno della cucina. Un’ombra dalla quale spuntava l’immenso teschio di un cervo, grande quanto il busto di un uomo adulto, col muso lungo e ricoperto di solchi fino alle mascelle serrate, irte di denti aguzzi, e con le corna ramate che svettavano verso l’alto, avvolte da edera spettrale che brillava di azzurro. Una collana di pietre runiche avvolgeva un collo che Ophy non riusciva a vedere, e le stesse rune componevano i due bracciali legati ai polsi neri delle mani.
Mani gigantesche, dalle dita lunghissime e nere irte di artigli neri a loro volta, una che andava ad appoggiarsi sul tetto della casa e una sull’erba del cortile, entrambe attaccate a lunghissime braccia scheletriche del colore dell’ossidiana che sparivano tra le ombre che soffocavano la cucina.
Le orbite vuote del teschio animale puntavano il serial killer, ma l’essere non fece un singolo movimento. Limitandosi a fissarlo come un uomo fissa un verme di terra.
Ophelia era talmente tanto spaventata che, ne era certa, era sul punto di un crollo psicotico.
E probabilmente la cosa la si poteva dire anche di Black Carnival che, tremante, fece qualche passo indietro.
Questo non fu quello che provò la padrona di casa, tuttavia.
Elise, non appena vide l’incubo indescrivibile insediato dentro casa sua, sgranò gli occhi e, con un sorriso che arrivava da orecchio a orecchio, esclamò estasiata “PAPA’!”
Con un terribile scricchiolio, lo sguardo del mostro scattò verso le ragazze.
“… papà?” Ophy si voltò verso di lei con una vocina flebile e un sorriso nervoso sulle labbra.
Intanto, il ‘papà’ di Elise le sondò con attenzione.
E si accorse delle ferite.
Un vento proveniente dal nulla prese a soffiare ovunque, mentre gli abissi negli occhi del teschio di cervo si accesero di un rosso incandescente. L’essere sollevò il muso verso l’alto e snudò le zanne in un ruggito che, alle orecchie della giovane mora, suonò come il belare di un gregge di pecore infernali.
Black Carnival emise un verso estremamente patetico e, abbandonata la propria arma, scattò verso la staccionata. Ma non serviva un detective per capire che non sarebbe riuscito a scappare. La creatura uscì dalla casa – stranamente senza spaccare nulla – e si mosse rapidissima sulle otto zampe artigliate, che reggevano un corpo ogivale e peloso simile a quello di un gigantesco ragno.
L’essere si pose subito di fronte al killer, che tentò un repentino dietrofront per fuggire.
Peccato che una delle braccia della creatura, dopo essere scattata in avanti, gli afferrò una gamba, facendogli sbattere il muso mascherato a terra.
Non che non se lo meritasse, ma ciò che seguì fu una scena piuttosto spiacevole: il corpo del serial killer venne sollevato da terra e sbattuto al suolo più e più volte, con la stessa facilità e noncuranza con cui un bambino schianta sul pavimento una bambola di pezza. A fine pestaggio, a giudicare dai rivoli di sangue che colavano dal pastrano e dal resto del corpo, mischiati alle braccia e gambe piegate in posizioni quasi artistiche, l’assassino non doveva più nemmeno un osso integro in corpo. Era, tuttavia, ancora vivo.
Purtroppo per lui.
Il teschio di cervo tornò a puntare lo sguardo infuocato verso di lui.
Benché non potesse provarlo, Ophelia era convinta che in quel momento l’assassino avesse provato sulla propria pelle tutto il rancore e l’odio che la creatura provava nei suoi confronti in quel preciso istante.
Inesorabilmente, il mostro portò il corpo anchilosato della sua preda sopra la propria schiena.
Schiena che, con un rumore scrosciante come di una striscia di velcro gigante che si strappa, si squarciò in una cascata di liquido nero come il catrame, rivelando un’immensa scogliera di denti aguzzi che roteavano al centro di una bocca perfettamente circolare, come quella di una lampreda. Tentacoli uncinati e neri emersero dal fondo della gola di spuntoni, viscidi e danzanti come lingue.
Tutti che puntavano verso l’uomo mascherato.
Ophelia ed Elise, istintivamente, si coprirono gli occhi a vicenda.
Cosa che servì decisamente a poco, visto che le urla disperate e il rumore di carne maciullata descrissero alla perfezione la scena al loro cervello.
“Quindi…” Ophelia stava guardando il muro al fianco della TV, con un’espressione da pesce lesso “… ricapitolando: tua madre è un’umana.”
“Yup.”
“M-mentre…” deglutì a vuoto, quasi non si sentisse nemmeno pronta di dire quello che voleva dire “T-tuo padre… s-sarebbe…”
“Una divinità minore delle foreste finlandesi. Esatto.” Concluse per lei Eli.
Come se le stesse semplicemente dicendo che il genitore lavorava alle poste.
Ophy chiuse gli occhi e si passò una mano sulla fronte: dopo che il vecchio della sua migliore amica aveva finito di cibarsi del loro mancato carnefice, aveva assunto dimensioni più amichevoli – invece di essere grosso come una mietitrebbia, era solo diventato grande come un orso – ed aveva preso la gamba ferita della figlia con delicatezza. Mentre quella stringeva i denti per far fronte al dolore, l’essere aveva toccato il coltello ancora infilzato con un unghia, trasformandolo in una piccola accozzaglia di foglie secche che svolazzarono nella notte. Poi aveva tirato fuori una lunga lingua biforcuta nera dal fondo della gola ed aveva leccato la ferita sanguinante.
Ferita che era scomparsa nel nulla come se non fosse mai esistita.
Tutto bene finché il mostro non si era voltato verso di lei, puntando la lingua biforcuta come fosse una sonda cercapersone verso di lei. Ophelia s’irrigidì, ritraendosi appena – e probabilmente mancando anche di rispetto al genitore della sua amica – ma Eli, dopo averle messo una mano sulla propria, le aveva sussurrato con dolcezza che andava tutto bene.
La brunetta allora aveva sospirato e, ad occhi chiusi, aveva lasciato che la creatura compiesse la sua magia.
La sensazione di placida calma e rinascita che percepì quando la lingua di quel mostro le passò sulla ferita, non sapeva ancora se la placò o agitò ancora di più.
In conclusione, la visita del padre di Elise si compì in modo molto anti-climatico, visto che il dio, dopo essersi sincerato ulteriormente che le due non fossero ferite in altri punti che non aveva visto, si era defilato recuperando ciò per cui era tornato a casa: il portafogli.
E adesso se ne stava seduta, al fianco di una Eli fottutamente troppo rilassata per l’avventura che avevano passato, ancora a chiedersi cosa fosse reale e cosa no.
“Aspetta un-” si attivò all’improvviso, voltandosi violentemente verso la padrona di casa che, come da copione, si ritrasse “ERA QUESTO ciò che non sapevi come dirmi? Il tuo super mega segreto che avrebbe messo a repentaglio la nostra amicizia!?”
Eli sbatté le palpebre, poi si voltò verso un lato imprecisato della stanza e ridacchiò impercettibilmente, con un lieve rossore sulle guance rosate “B-beh… immagino adesso tu abbia capito come mai ero così restia al dirtelo…”
Avrebbe voluto rispondere con ‘grazie al cazzo’ però si trattenne.
Quindi.
L’adorabile ragazza che conosceva da una vita.
Con cui aveva condiviso così tanti momenti, tristi e non.
La persona più bella del mondo, per cui si sarebbe buttata in un Vulcano.
Quella Elise… era una specie di semidea delle selve?
“I-insomma, devo confessarti che adesso non saprei nemmeno cosa dire. Ora che conosci l’identità del mio segreto, come l’hai pre- perché stai ridendo in modo così inquietante?”
Elise strisciò leggermente lontano dall’amica, che aveva la testa piegata verso il basso e rideva sommessamente, con un’espressione che avrebbe messo in fuga il Diavolo in persona.
Che stesse avendo una qualche specie di crisi isterica dopo tutto quello che avevano passato?
Un po’, la fatina si sentì in colpa.
Sbuffò affranta “S-senti… scusami. Per tutto. Per averti tenuta all’oscuro di questa cosa e per aver rovinato la nostra serata… immagino che-”
“Mi prendi per il culo?”
Elise la guardò con tanto d’occhi “… uh?”
E quell’altra scattò verso di lei, afferrandole le mani e guardandola con un’espressione
Elise sbatté le palpebre un paio di volte.
Sembrava aver preso il tutto… sorprendentemente bene?
Non che non fosse felice, ma qualcosa dentro di lei le suggeriva che poteva essersi verificato qualche mezzo danno cerebrale. Era così?
Poi si focalizzò su una particolare cosa che aveva detto prima di quella risata folle.
“U-un momento…” Elise la guardò.
“U-uh?” Ophelia riuscì a smettere di ridere, anche se aveva ancora il fiatone.
“T-ti va davvero bene così? Non sei nemmeno un minimo spaventata?”
“Questa notte non dormirò. Forse non lo farò per una settimana.” Si rimise seduta composta, ma non perse il sorriso “Ma passerà anche questa: non capita tutti i giorni di essere quasi uccise da un serial killer per poi vedere lo stesso venire sbranato dal padre divino della tua migliore amica!”
“O-ok però…” la guardò con occhi sgranati “Non provi proprio nient’altro? Niente di niente?” parve in difficoltà nel dire ciò che stava per dire “N-non mi trovi… un mostro?”
Capendo dove stava andando a parare il discorso, Ophy sospirò e riprese le mani dell’altra giovane, guardandola negli occhi con un’espressione serissima “Elise Couri, ciò che provavo per te prima di scoprire che eri una cazzo di semidea non è cambiato. Anzi, credo sia aumentato, a dismisura. E sicuramente spiega il motivo per cui ogni giorno sei sempre la più impeccabile della scuola.”
La vide arrossire. Segnò un punto a suo favore mentalmente.
“Ti faccio la stessa proposta di prima, mia dea dai capelli rosa” disse poi, con dolcezza “vuoi uscire assieme a me, non più come mia amica, ma come la mia ragazza?”
Elise rimase a guardarla per un po’, senza dire una parola.
Poi, lentamente, si portò le mani agli occhi, nascondendo la faccia tra le dita.
“Sei veramente stramba, Ophelia.”
“GUH!?” sussultò, esterrefatta.
Aveva rovinato tutto di nuovo!?
“Dopo quello che è successo oggi… saresti dovuta scappare a gambe levate, di corsa. Fingere addirittura che non ci siamo mai conosciute. Che non siamo mai state amiche… dovresti temermi, con tutta te stessa…”
Stava per ribattere, quando quell’altra scoprì finalmente il viso coperto di lacrime, ma con un sorriso raggiante sulle labbra.
“ti prego…” si asciugò una lacrimuccia “…prenditi cura di me.”
Fu quello di Ophy, adesso, il turno di commuoversi.
E poco dopo, entrambe furono nuovamente avvolte l’una tra le braccia dell’altra. E restarono così per un sacco di tempo, a coccolarsi con dolcezza. Finché Ophelia non aprì gli occhi, con un’espressione interrogativa “Un secondo, però” si scostò da lei, con un sopracciglio inarcato “come fa tuo papà a girare in strada senza terrorizzare letteralmente chiunque?”
“Beh, può trasformarsi in essere umano quando vuole.” Spiegò Eli, sorridente “E’ un dio, dopotutto!”
“Q-quindi…” la guardò negli occhi.
Ed Eli guardò negli occhi lei.
Poi capì.
E la sua espressione si fece dura.
“Non se ne parla.”
“Ti prego.”
“No.”
“Solo una sbirciatina!”
“E’…” Elise deglutì a vuoto “E’ imbarazzante! Non sembro minacciosa come papà, sono solo… ridicola.”
Ophelia si piegò come una cozza sul divano, prostrandosi nuovamente davanti alla padrona di casa.
“E ci risiamo…”
“Giuro che sarà solo il nostro segreto. Non lo saprà nessuno – non che avessi intenzione di condividerlo con qualcuno, ovviamente – e morirà con me quando sarò una mummia raggrinzita.”
Elise si grattò la testa, un po’ turbata. Poi emise un verso frustrato.
“BAH. E va bene. VA BENE. Ma promettimi che non riderai.”
Ophelia annuì vigorosamente.
In quel momento, Elise chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e, all’improvviso, la sensazione di oppressione e terrore antico che aveva provato alla comparsa della divinità Senior pervase nuovamente l’anima della brunetta.
Un lieve venticello spostò i capelli delle due ragazze, spiegazzando appena anche i tovagliolini di carta poggiati sul tavolo.
Poi, avvenne la metamorfosi.
Metamorfosi che si mostrò ad Ophelia come una Elise che… effettivamente non era cambiata troppo rispetto a prima.
Fatta eccezione per l’iride completamente rossa ed un paio di adorabili zanne che sporgevano dalle labbra rosa. E due ancora più adorabili, appuntite e dritte cornine da cerbiatto ai lati della nuca, che svettavano verso l’alto con le loro foglie di edera spettrale.
Brillanti di un’intensa luce rosa.
“C-come vedi, non è un granché” Elise si grattò dietro un orecchio con un sorriso imbarazzato. Orecchio che, Ophy si era accorta solo ora, adesso era più appuntito rispetto a prima “papà è molto più figo. Mi ha rassicurato, tuttavia, che con l’età anche io dovrei diventare più minacciosa, credo.”
Ophelia non disse nulla. Si limitò a guardarla, immobile.
“Ophy?” l’altra cominciò a preoccuparsi “Va tutto be-”
La mora scivolò sul divano, per poi cadere a terra.
Non sbatté la fronte sul bordo del tavolino solo per miracolo.
Elise intanto si era portata le mani alla bocca, sconvolta “LO SAPEVO che quella botta ti aveva fatto danni più seri!” si alzò di scatto dal divano “vado subito a prenderti un bicchiere d’acqua!”
E mentre fuggiva in cucina, Ophelia, sulla moquette, ridacchiava tra sé e sé, con un rivoletto di sangue che le scendeva dal naso.
Oggi davvero… davvero lo Spirito di Halloween mi ha benedetta…
E rimase a crogiolarsi nella sua beatitudine estrema, mentre sentiva la sua migliore amica ora ragazza preferita tornare concitatamente da lei.