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Autore: Star_Rover    03/11/2024    1 recensioni
Autunno 1945.
La guerra è finita e il soldato Johnny Maddocks può finalmente far ritorno a casa.
Al suo arrivo al villaggio però, le persone faticano a riconoscerlo. Persino l’amata moglie è diffidente nei suoi confronti.
Il giovane cerca di fare del suo meglio per adattarsi nuovamente alla quotidianità, ma in diverse occasioni il lato oscuro che ha conosciuto sul campo di battaglia torna a prendere il sopravvento.
E poi c’è quell'ombra, cupa e misteriosa, che sembra uscita dai suoi incubi, ma che diventa sempre più reale.
Johnny è davvero cambiato a causa della guerra, oppure c’è dell’altro?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1
 
 
Ya' got to know it's shinin' through a crack in the cloud
And the shadows keep on fallin', when Johnny comes marchin' home
(The Clash – English Civil War)
 
 
Le truppe avanzavano verso Parigi, la campagna francese era spettrale, un paesaggio devastato, il fumo si innalzava dai villaggi distrutti dagli incendi.
Johnny camminava nella nebbia, gli scarponi affondavano nella melma, l’odore di marciume e polvere da sparo impregnava l’aria umida. Johnny strinse il fucile, all’orizzonte intravide la linea della strada. I mortai avevano colpito l’obiettivo, due veicoli con la croce della Wehrmacht giacevano sventrati su un fianco.
I suoi compagni dovevano aver già raggiunto i margini della foresta, li aveva visti scomparire tra le nubi di fumo. Il suo obiettivo era raggiungerli, quello non era un luogo sicuro.
Potevano esserci altri tedeschi nella zona, da quando si era ritrovato in quel campo aveva la sensazione di non essere solo.
Johnny avanzò di qualche passo, udì un fruscio tra gli alberi e un leggero fischio, ma ormai era già troppo tardi.
L’esplosione fu improvvisa, una granata fece saltare in aria la terra intorno a lui. Venne scaraventato violentemente contro il tronco di un albero, sbatté la testa e una scheggia gli si conficcò nella coscia destra. Non era in grado di comprendere la gravità delle ferite, sentiva solo dolore, ovunque.
Quando aprì gli occhi la vista era offuscata, un rivolo di sangue caldo scese sulla sua fronte.
Vide un soldato in uniforme britannica, quando fu più vicino si accorse di una cosa assurda. Quello non era un soldato qualunque, era uguale identico a lui.
Capì così di essere vittima di un’allucinazione, il trauma cranico doveva essere più serio del previsto.
L’altro Johnny si avvicinò ancora, poi si chinò su di lui per accertarsi che fosse ancora vivo.
In quel momento percepì qualcosa di strano, ma era solo una sensazione. Una pessima sensazione, ad essere sincero.
Il soldato immaginario indietreggiò, poi ad un tratto estrasse la sua pistola. Johnny provò l’istinto di urlare, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
Il botto dello sparo echeggiò nella sua testa, poi cadde nel buio.
 
***

Era una fresca mattina autunnale quando Johnny giunse alla stazione di Paddington insieme a una moltitudine di uniformi color khaki. La folla non festeggiava il ritorno dei soldati, si limitava ad osservarli in silenzio, come se fossero tutti fantasmi. C’era chi piangeva, alcuni di gioia e altri di dolore…ma la maggior parte della gente aveva scelto l’indifferenza. È tutto finito ora, voltiamo pagina e non parliamone più. Era questo che stavano pensando in tacito accordo.
Il periodo del terrore giunto al termine, le sirene antiaereo tacevano, i rifugi sotterranei erano già un triste ricordo per gli abitanti della città.
Johnny si allontanò dai binari per vagare in quell’Inghilterra libera dove regnava la pace. Il treno per Cardiff non sarebbe partito prima di un’ora, e con la gran mobilitazione di quei giorni, probabilmente avrebbe ritardato ulteriormente. Non sarebbe arrivato a destinazione prima di sera.
Le strade di Londra erano affollate, la città stava tornando alla vita, resuscitando dalle macerie. Un timido sole d’ottobre schiariva un cielo limpido e azzurro. I ragazzini correvano e urlavano rumorosamente, pieni di vita e speranza per il futuro.
Non c’era nulla di strano in tutto ciò. Eppure per chi aveva visto le ceneri di Berlino, Londra sembrava appartenere a un altro mondo.
Johnny avvertì il cuore rimbombare nel petto, il rumore di un’automobile lo fece sobbalzare all’improvviso. Istintivamente chiuse gli occhi. Quando li riaprì, tutto era tornato tranquillo.
Il giovane emise un sospiro, poi tornò sui suoi passi.
Per tutto il viaggio non fece altro che ripetere le stesse frasi nella sua mente.
 
Sono John Maddocks, per tutti Johnny. Vivo a Blackwood, un piccolo villaggio di minatori nel Galles. Anche io sono un minatore, lavoro alla vecchia cava di carbone. Ho una famiglia, mia moglie Gladys è una donna stupenda, ci siamo sposati prima della guerra, era incinta quando sono partito.
Mi ha scritto decine di lettere al fronte, molte le conservo ancora in quella vecchia scatola nel mio zaino. Dice sempre che nostro figlio ha i miei stessi occhi. Il piccolo Robin è nato nel 1943, ha due anni ed io non l’ho mai visto. Avevo una sua fotografia scattata quando era solo un neonato, ma l’ho persa da qualche parte in Normandia.
Mio fratello Henry ha ventidue anni, anche lui mi scriveva spesso, ma da mesi non parla più. Il dottore ha detto che si tratta di mutismo causato dal trauma della guerra. Suppongo che anche io non parlerei più dopo aver visto gli orrori di Bergen-Belsen, per mia fortuna non ho assistito al peggio di questa guerra.
In ogni caso voglio bene a Henry, cercherò di fargli visita al più presto.
 
Johnny pensava a tutto ciò più per farsi coraggio che per ricordare effettivamente ciò che aveva lasciato nel Galles. Era nervoso, dopo essere mancato da casa per tanto tempo temeva che le cose fossero cambiate.  
La stazione fantasma di Blackwood era ancora più inquietante al calare delle tenebre. Il villaggio era deserto, l’unico a scendere a quella fermata fu Johnny. Gli altri volontari di Blackwood erano stati feriti nel corso del conflitto, come suo fratello, oppure erano tornati all’interno di una bara.
Johnny avrebbe dovuto considerarsi fortunato, ma in fondo sapeva che la sua non era stata buona sorte. Probabilmente lui era il più dannato di tutti.
 
La strada avrebbe dovuto risultare familiare ai suoi occhi, invece non fu così. Era disorientato e confuso a ogni bivio, gli stessi vicoli dove da bambino aveva giocato a pallone e a biglie con suo fratello ora sembravano solo angoli vuoti. Nessun ricordo si materializzò nella sua mente, al suo posto pensò alle strade di un villaggio francese, disseminato di decine di cadaveri di soldati americani, inglesi e tedeschi.
Ancora una volta la visione scomparve, era giunto a destinazione. La casetta in mattoni rossi era la sua, l’indirizzo era quello giusto. Niente cancello, soltanto un piccolo vialetto, l’erba del giardino era troppo alta. Era compito suo occuparsene? Non lo ricordava.
Avrebbe dovuto costruire un muretto, e magari prendere un cane. I cani erano ottimi per fare la guardia. Il suo plotone in Francia aveva adottato un bastardino, lo avevano chiamato Bucky…ora era di proprietà del capitano Stones. Sarebbe vissuto felice in un’elegante villa di campagna nello Yorkshire.
Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto che Bucky aveva vinto la guerra. Un vero bastardo fortunato.
Johnny bussò alla porta verniciata di verde scuro, forse avrebbe dovuto semplicemente entrare. No, era meglio aspettare.
Bussò ancora, questa volta con più decisione. Avvertì dei rumori all’interno, dei passi leggeri si stavano avvicinando. La serratura scattò.
La donna che si presentò sulla soglia quasi si spaventò quando lo vide, come se stesse assistendo all’apparizione di uno spettro.
Rimase a guardarlo con gli occhi strabuzzati e la bocca semiaperta per lo stupore.
«Gladys, sono io…Johnny!»
La giovane esitò, aveva atteso a lungo quel momento, eppure qualcosa le impediva di gettargli le braccia al collo. Forse aveva paura che tutto ciò non fosse reale, temeva che l’uomo davanti a lei non fosse il suo Johnny. Ma erano paure assurde, la guerra era finita, suo marito era tornato a casa.
Gladys prese coraggio, tremava e gli occhi si riempirono di lacrime.
Johnny la strinse a sé, per la prima volta dopo tanto tempo si ricordò di essere ancora vivo. Forse era il profumo dei suoi capelli, la soffice stoffa dei suoi abiti…oppure il solo contatto con quel corpo femminile, morbido e caldo.
Lei nascose il volto sulla sua spalla, iniziò a singhiozzare, Johnny volle sperare che fosse per la commozione.
 
Lo strinse per mano mentre salivano le scale, come se stesse visitando quel luogo per la prima volta e avesse bisogno della sua guida per orientarsi. Lo accompagnò subito nella stanza del piccolo Robin.
Il bambino era ancora sveglio nel suo lettino.
Gladys lo prese in braccio per mostrarlo con orgoglio al marito. Robin era un bambino sano, forse un po’ gracilino, ma era comune per chi era nato in tempo di guerra.
Quando prese suo figlio tra le braccia Johnny si sentì a disagio, non aveva mai avuto a che fare con dei bambini piccoli, e poi Robin non era solo un bambino, era il suo bambino. Non sapeva come comportarsi, ma tutto risultò più naturale di quanto avesse previsto, dubbi e timori svanirono in fretta.
Il bambino però non sembrava della stessa idea. Iniziò subito a piangere, dimenandosi tra le braccia del padre.
Era normale, il piccolo non poteva riconoscerlo, in fondo non l’aveva mai visto. Era comprensibile che per lui fosse soltanto uno sconosciuto.
Johnny tentò di calmarlo cullandolo dolcemente, ma il bambino continuò a strillare finché non tornò in seno alla madre.
Lei lo rassicurò. 
«Si abituerà presto alla tua presenza. È troppo piccolo per capire, ma sono certa che sappia che suo padre gli vuole bene»
Egli rimase ad osservare la moglie che sistemava il bimbo sotto alle coperte.
«Avrei voluto esserci…per lui e per te»
Gladys si avvicinò, sfiorò il suo viso con una tenera carezza. Faticò a credere che quel volto spaventosamente pallido e incavato fosse quello di suo marito. Ma era così, doveva essere così.
Quando pronunciò quelle parole la sua voce risultò rotta dal pianto.
«Bentornato a casa, Johnny»
   
 
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