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Autore: Orso Scrive    05/11/2024    3 recensioni
Una serie di racconti senza senso, perché in fondo nulla ha un vero e unico senso, a parte le strade a senso unico, anche se c’è sempre chi le percorre in senso contrario...
Genere: Demenziale, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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ATTESA

 

 

Oggi il tempo non passa più.

È sempre così, quando ti fanno aspettare.

«Che palle», borbotto.

Fisso la porta, che si ostina a rimanere chiusa. Non ho altro, su cui concentrare la mia attenzione. La stanza è pitturata di bianco, senza nessun orpello per potermi distrarre almeno un po’ dalla monotonia di questa interminabile attesa. Nell’aria fischia il ronzio snervante e piatto della luce al neon. L’unica finestra ha le tende tirate, così non posso nemmeno vedere fuori.

Eppure, l’appuntamento era alle dodici in punto. Mi è stata richiesta assoluta puntualità. Era di vitale importanza, anzi, che io fossi qui alle dodici, senza un solo secondo di ritardo. Io mi sono presentato in orario, per quanto non ne avessi alcuna voglia. Ritengo che sia sempre necessario arrivare giusti, quando si ha un appuntamento con qualcuno, soprattutto se ti dicono che un ritardo potrebbe fare la differenza. Ma, a quanto pare, quel qualcuno non la vede allo stesso modo, e ritiene che lasciarmi qui ad ammuffire di noia non sia un problema.

Come se uno avesse a sua disposizione tutto il tempo del mondo, poi. Come se non avesse altro a cui pensare, di cui occuparsi. Sempre a disposizione degli altri, bisogna essere. E sono capaci di non scusarsi nemmeno per il tempo che ti hanno fatto perdere. Che gliene frega, a loro, se tu hai sprecato minuti e secondi – preziosi minuti e secondi – della tua esistenza ad aspettare i comodi loro?

«Che palle», ripeto.

Almeno avessi qualcosa per distrarmi. Ma non c’è niente, non una rivista, non un fumetto, nulla. Nemmeno un quadro o una fotografia – come spesso ci sono, in ambulatori simili a questo – su cui far scorrere lo sguardo e fantasticare di luoghi lontani che mi piacerebbe visitare, un giorno o l’altro.

Niente da fare.

C’è soltanto la parete bianca accompagnata dal ronzio del neon. Mi mette angoscia. Sento crescere l’ansia. Questa attesa è snervate.

«Dai, cazzo», mi trovo a sbottare. Uno, nella sua vita, ha anche altro di cui preoccuparsi, che non i comodi degli altri. Quanto avrà di ritardo, ormai, quel deficiente? Venti minuti? Mezz’ora? Tempo che avrei potuto impiegare benissimo a fare altro, qualcosa di utile per me e per il mondo magari, anziché starmene qui immobile, inutile.

«Non si tratta così la gente», sbotto.

Deficiente di un deficiente. Lo odio. E la cosa peggiore è che – lo so! – non appena arriverà, si limiterà a bofonchiare a mezza voce una scusetta da niente e io dirò di non preoccuparsi, che non è molto che aspetto, saranno al massimo cinque minuti neanche: queste solite stronzate qui che si dicono in simili occasioni. Perché uno, pur sapendo di avere ragione, alla fine finisce sempre per strisciare, mannaggia la miseria.

Provo a muovermi. Vorrei almeno sgranchirmi un po’ le gambe. Non ci riesco. I ganci che mi tengono fissato al lettino non mi permettono alcun movimento. Posso soltanto muovere la testa, a destra e a sinistra, ma non serve a nulla: da una parte la squallida parete bianca, dall’altra la finestra con le tende tirate.

Finalmente, sento la porta aprirsi.

«Mi scusi tanto per il ritardo, c’era traffico», dice l’uomo con cui ho appuntamento, entrando. È trafelato, ha il fiato corto: si vede che ha corso, per salire le scale fin qui.

In situazioni come questa, avresti voglia di dirgliene quattro. Ma la buona creanza impone di far buon viso a cattivo a gioco, come dicevo un attimo fa.

«Si figuri, non ho alcuna fretta», mento. «Poi non è molto che aspetto, dico davvero.» Ecco, lo sapevo! Ci sono cascato! Come al solito! Uno ha ragione, ma finisce sempre per assumersi il torto! Accidenti alla vita!

«La ringrazio tanto per la sua comprensione», dice, sincero.

Poi infila il cappuccio nero e comincia a preparare l’iniezione letale.

 

 
   
 
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