Caro diario...
Avrei iniziato così il racconto di quell'indimenticabile anno scolastico se solo fossi stata quel particolare tipo di persona. Invece ero Emily Juliet Scott, una diciassettenne distratta, volubile e con una tendenza deleteria alla procrastinazione. Non custodivo con me un diario segreto e per tutta onestà neanche un'ottima memoria ma del resto fino ad allora non c'erano mai stati racconti scottanti o scabrosi da tenere a mente.
Doveva trattarsi di un banalissimo rientro a scuola dopo che le vacanze estive erano giunte a termine e in verità la trepidante attesa aveva spinto il mio subconscio a riaprire gli occhi ancor prima che la sveglia prendesse a suonare. Appena misi a fuoco lo spazio circostante, realizzai di essere finalmente nella cameretta di casa mia a chilometri e chilometri di distanza dal Massachusetts. Sopra la mia testa sormontava il poster dei Guardiani della Galassia e attorno a me si distingueva la stanza di una ragazza patita di un universo Comics, con poster attaccati alle pareti e una libreria enorme ricolma di manga che avevo letto e collezionato in tutti quegli anni. Rivederla adesso, dopo che per un'estate intera ero stata relegata in uno stanzino dal letto singolo e con una cassapanca per i vestiti mi faceva uno strano effetto. Mi stiracchiai fino a sentire la colonna vertebrale scricchiolare e appena poggiai i piedi sulla moquette, un batuffolo peloso e miagolante mi si strusciò tra le gambe. «Mi sei mancato anche tu, Leon».
Sarei rimasta volentieri ore a coccolarlo ma quando abbassai lo sguardo mi resi conto sconvolta che una chiazza rossastra si era andata a formare tra lo spacco dei miei pantaloni. Un istante dopo una fitta lancinante al basso ventre rese ancora più reale la disgrazia che mi era appena capitata e tuttavia la parte peggiore fu constatare che la macchia si era espansa prendendo di mira anche la copertina di Sailor Moon, la mia preferita, su cui avevo dormito. «Mia madre mi ammazzerà...» Il primo pensiero fu quello di prendere della biancheria pulita e cambiarmi, ma allo stesso tempo mettere in lavatrice il lenzuolo così da non lasciare prove.
«Sciò, sciò...» Bisbigliai nel corridoio mentre Leon mi seguiva imperterrito a fare le fusa. Facendo leva sulla maniglia della porta del bagno mi accorsi che era chiusa. «C'è qualcuno dentro?» Chiesi allora sulle spine. Leon per aggrapparsi al cumulo di lenzuola mi graffiò la gamba e abbassando lo sguardo mi accorsi che un rivolo di sangue stava scendendo copioso minacciando di atterrare presto sul pavimento. «Accidenti!» Gli improperi violenti vennero bloccati sulla punta della lingua quando la porta si aprì d'improvviso e un volto tra l'assonnato e l'imbronciato emerse prendendomi completamente alla sprovvista. Pensavo si sarebbe trattato di mio fratello essendo quello il bagno che usavamo in comune ma il ragazzo alto che mi si stagliava davanti non assomigliava affatto al mio gemello, piuttosto i suoi occhi smeraldini erano riconducibili soltanto ad un volto.
«Derek!» Esclamai facendo però in modo di non alzare troppo la voce. «Emily...?» Lo disse come se facesse fatica a crederci; il suo sguardo prese a delineare la mia figura fino a soffermarsi sul piccolo dettaglio per il quale ero uscita dalla camera di soppiatto. La sua pelle seppur olivastra andò a tingersi di un rosso porpora e la sua espressione traumatizzata parlò da sé. Per evitare ulteriore imbarazzo, lo agguantai per un polso al fine di spingerlo via, senza dire una parola. Che diavolo ci fa lui sempre qui?!
Ero rientrata dalle vacanze estive da meno di dodici ore e la prima persona che incontravo quella mattina era l'ultima che avrei desiderato vedere. Derek Andrew Cooper non era altro che il miglior amico di mio fratello Will, lo conoscevo dall'età di undici anni ed era praticamente un membro della famiglia. Peccato che si trattasse comunque di un ragazzo – in aggiunta piuttosto petulante – che mi aveva colta in uno dei momenti peggiori. Mi staccai dalla superficie in legno su ci mi ero appoggiata ma quando feci per raggiungere la vasca, fui vittima di una forza contraria e quando mi voltai per capire di cosa si trattasse, mi resi conto che il lenzuolo che mi ero portata con me era rimasto incastrato tra lo stipite.
Derek era ancora lì davanti che sbadigliava quando il cigolio prodotto dall'apertura attirò la sua attenzione. L'espressione sul suo volto pareva essere già cambiata; i suoi occhi quando si soffermarono di nuovo sui miei andarono alla ricerca di ciò che prima lo aveva imbarazzato, quasi volesse assicurarsi avesse visto bene, e intanto un sorrisino divertito andò a rafforzare quell'espressione da ebete. «Si è sentita proprio la tua mancanza Emily Scott.»
«Guai a te se apri bocca di questa cosa con qualcuno». Fu la mia replica e procedetti nel chiudergli nuovamente la porta in faccia.
Tutti i vestiti che avevo indossato fino ad ora – ad esclusione di quelli che mi ero portata dalle vacanze e che erano ancora dentro l'asciugatrice - mi andavano troppo larghi; persino i jeans di quando avevo quattordici anni mi cascavano ai piedi ma del resto era un qualcosa che mi sarei dovuta aspettare. Perdere dieci chili in soli tre mesi era stato una sorta di record e nonostante ciò non mi ero ancora abituata all'idea, tanto che dovette venire in mio soccorso mia madre, ripescando una gonna nera attillata nei meandri più bui del suo armadio. L'outfit per nulla nelle mie corde si completava con sopra una camicetta bianca a mezze maniche. «Così sei bellissima!»
Ora che avevo perso peso ed ero stata vestita secondo il gusto di Melania Maria Hernandez Scott, la somiglianza con lei da giovane era impressionate. Peccato per il mio seno piccolo...
In realtà detestavo quel look. Dovevo assolutamente trovare del tempo oggi pomeriggio da dedicare allo shopping perché in nessun universo alternativo il mio stile da personaggio uscito da una puntata di Big Bang Theory con i baggy jeans e le t-shirts colorate oversize e fumettistiche sarebbe stato sostituito da una mise tipo hostess di volo. L'unica parte rassicurante erano le Dr. Martens ai piedi e le calze nere che spezzavano quell'aria troppo formale. «Dici che va bene andare a scuola vestita così?»
Una parte di me sperava che dall'armadio mia madre tirasse fuori dei vecchi jeans consunti ma la mia genitrice era piuttosto entusiasta e alla fine prevalse il suo gusto femminile sul mio. Mi trascinò al piano di sotto ignorando pazientemente le mie lamentele.
Tuttavia la tortura peggiore doveva ancora arrivare: in cucina, infatti, spuntarono le figure di mio padre, mio fratello gemello Will e di Derek. La tavola era sormontata dalle più deliziose pietanze mattutine: c'erano le uova strapazzate, la pancetta che friggeva in padella e una confezione di ciambelle glassate già aperta e svuotata per metà. «Un attimo di attenzione prego!» Con la sua voce squillante, mia madre attirò l'attenzione delle tre figure già tratteggiate. La prima reazione che ottenni fu la risata strozzata di William Jeremiah Scott e l'esclamazione di stupore di Edward William Scott. Derek invece aveva calato il capo per non farsi beccare mentre se la rideva anche lui di gusto. «Che ve ne pare, non è bellissima? Will smettila subito!»
«Quindi è vero quello che si dice sulla prozia Andy e sul suo stile di vita tirannico». Will non si era affatto espresso con un tono di preoccupazione, piuttosto sghignazzava sotto i baffi. «Oggi andiamo a scuola con la tua macchina Will? Ah già dimenticavo... l'hai fatta schiantare un mese fa.» Di certo non me ne sarei stata lì a farmi punzecchiare da loro. Derek parve trovare piuttosto divertente quella mia uscita, mentre al ricordo le orecchie di nostro padre si tinsero di rosso e in tono perentorio disse al mio gemello di darsi un contegno; quest'ultimo invece incrociò il mio sguardo con l'obiettivo probabilmente di incenerirmi.
Ben ti sta! Si leggeva dalla mia espressione trionfante mentre con una mano agguantavo una ciambella e con un'altra mi servivo del succo.
Dopo essermi lavata i denti ed aver preparato lo zaino alla rinfusa, scoprii che il motivo per cui Derek era rimasto a dormire da noi quella notte era perché sarebbe stato lui ad accompagnarci e avendo fatto nottata ieri sera – lo si notava dalle loro occhiaie – alla fine aveva deciso di rimanere da noi occupando la stanza degli ospiti che comunque da un paio di anni a questa parte era stata ribattezzata stanza di Derek.
I due bellimbusti mi precedevano camminando fianco a fianco mentre attraversavamo il vialetto in direzione della Jeep nera parcheggiata proprio di fronte casa e dai loro discorsi mi pareva di capire che si stessero organizzando per il ritorno, tuttavia perché parlavano in codice, riuscii solo a distinguere la voce di Derek affermare "ci penserò io a tua sorella" e sentendomi tirata in ballo, affrettai il passo per cercare di capire. «Cosa andate confabulando voi due?»
Eravamo arrivati davanti l'automobile; Will senza dire una parola, mi aprì privo di garbo la portiera per spintonarmi all'interno come se non mi volesse tra i piedi e nel farlo senza pensarci mi aveva concesso il posto accanto al conducente. Derek intanto aveva fatto il giro e quando prese posto al volante, i suoi occhi si soffermarono per un secondo sulle mie gambe. Me ne accorsi perché nel momento in cui mi voltai per agganciare la cintura lo beccai in flagrante. Stavo pensando di dargli una botta in testa quando d'improvviso i suoi occhi incrociarono i miei e le orecchie color porpora nonché l'espressione incerta mi lasciarono intuire all'istante del perché di quell'occhiata innanzitutto. Avvampando dalla vergogna, alzai un dito nella sua direzione come ad intimarlo di fare silenzio. Prova solo a dire una parola in merito e ti ammazzo.
Il conducente recepì e non accennò ad aprire bocca ma anche dal suo sguardo traspariva un messaggio piuttosto chiaro: una sola goccia di sangue su quel sedile e non vedrai più la luce del giorno.
La San Luis High School era una scuola pubblica con ottime borse di studio, si presentava come un imponente edificio compreso di parcheggio libero, dall'ampio cortile affollato e un ingresso fatiscente. I corridoi erano ampli e arieggiati; calche di studenti eccitati per il primo giorno si muovevano per riabbracciare amici che non avevano visto e sentito per tutta l'estate. Il comitato di benvenuto avrebbe tenuto il discorso di presentazione annuale tra una decina di minuti; la maggior parte dei presenti infatti andava in direzione del campo da football che per l'occasione era stato allestito con le tipiche sfumature di blu e bianco, i colori che rappresentavano la San Luis nonché la squadra di football di cui mio fratello Will era capitano.
La sua popolarità mi aveva travolto non appena avevamo varcato l'ingresso dell'istituto. Pacche sulla spalla, lo schiocco delle nocche che si battevano, le urla di chi voleva attirare l'attenzione perché stava salutando William Scott... Una routine che mi aveva ben presto fatto dileguare per raggiungere il mio armadietto e restare un po' da sola. Erano soltanto le nove del mattino e avevo già mal di testa e mal di pancia e anche mal di schiena. Essere donna era una tortura, pensai e aprendo l'armadietto la prima cosa che i miei occhi incrociarono fu una foto di me con le ragazze. Appena riconobbi il sorriso ammaliante di Jasmine, la bellezza mozzafiato di Valentina, il broncio amorevole di Katie, i riccioli ramati di Ellen e lo sguardo fiero di Rachel, la mia migliore amica, un sorriso nostalgico prese a farsi spazio sul mio volto.
Ad un certo punto sobbalzai. L'armadietto accanto al mio era stato chiuso con una violenza tale da lasciarmi stordita. Sporgendomi per capire chi fosse stato, feci per incrociare il mio sguardo con due profondi occhi neri, così scuri da darmi l'impressione che non ci fosse distinzione tra pupilla e iride e il cui taglio orientale gli accentuavano l'espressione piuttosto tagliente che aveva dipinta in viso. Non mi sembrava di averlo mai visto in giro eppure non era il tipo da passare inosservato: innanzitutto ai piedi portava lo stesso modello di Dr. Martens che avevo anche io, inoltre la canotta bianca che aveva indosso non era affatto adatta a nascondere i tatuaggi che gli rivestivano interamente la pelle: dalle braccia fino al collo. Il viso era l'unico tratto immacolato, ad eccezione forse del piercing al labbro inferiore. La sua pelle era d'avorio e i suoi capelli- «Che hai da fissare?»
Ebbi un sussulto. «Mi hai spaventata...» esitai a dirgli ma ebbi la sensazione che avesse frainteso dal modo in cui aggrottò le sopracciglia. «Intendo il modo in cui hai chiuso l'armadietto. Non mi ero accorta che ci fosse un'altra persona». L'ultima cosa che volevo era che pensasse mi fossi lasciata intimidire dall'apparenza. Non era mica per quell'aria da criminale che mi tremavano le gambe... piuttosto quand'è che si era fatto così vicino? «Ti ho già vista da qualche parte...» mormorò come se lo stesse dicendo più a se stesso che a me. «O forse no... Ma il tuo volto è familiare». Aveva delle spalle larghe nonostante fosse piuttosto asciutto ed essendo che gli arrivavo a malapena al petto, la sensazione che mi stesse torreggiando si fece più concreta quando senza rendermene conto finii letteralmente con le spalle al muro. «Ti ho fatto una domanda.»
«Mh...?» Davvero?
«Come ti chiami?» Perché diavolo avrei dovuto dirgli il mio nome?
«Emily».
Aveva delle dita lunghe e affusolate ma notandole così da vicino doveva suonare uno strumento a corde perché i polpastrelli erano segnati da calli che avevo già visto sulle mani di Ellen; tuttavia furono le nocche spaccate come di chi avesse fatto a pugni con qualcuno ad attirare la mia attenzione. Una leggera carezza ai capelli ebbe la capacità di farmi venire i brividi e allo stesso tempo mandarmi in cortocircuito il sistema nervoso. Paralizzata seguii il movimento della sua mano mentre mi sfilava via l'elastico con cui mi era stata fatta l'acconciatura stamattina. «Emily...» ripetuto dalle sue labbra il mio nome aveva un suono del tutto diverso. Mentre la chioma castana si librava sulle mie spalle, l'incantesimo con lo sconosciuto si spezzò quando indietreggiò abbastanza da permettermi di riprendere capacità motorie. Schiarendomi la voce e assumendo un tono più deciso, indicai l'oggetto di cui si era appropriato. «Ridammelo».
Lui tese la mano e nel momento in cui pensavo stesse per restituirmelo, cambiò idea. Un ghigno malizioso si era andato delineando su quel viso cinereo, facendo comparire una piccola fossetta sul lato destro. «Un altro giorno» e senza aggiungere altro, mi voltò le spalle e se ne andò. Per un attimo restai interdetta, chiedendomi se fosse il caso di inseguirlo o meno ma osservandolo di spalle, con gli altri studenti che facevano ben attenzione a non intralciargli la strada, alla fine rinunciai. Ancora sconvolta, mi incamminai nella direzione opposta alla sua.
Il campo da football era uno dei più grandi su cui avessi mai messo piede; alla San Luis si tenevano spesso importanti eventi riguardanti lo sport e per questo il sentimento sportivo era molto presente tra i partecipanti rendendo il quarterback più forte degli ultimi due anni, William Scott, la persona in assoluto più popolare del liceo. Non mi stupii affatto di vederlo sugli spalti, accanto al comitato studentesco mentre il preside Rodriguez teneva il suo discorso di inizio anno. Ero arrivata proprio nel momento in cui i posti migliori andarono esauriti e mentre con lo sguardo cercavo i volti familiari delle mie amiche ebbi modo di intercettare la squadra di football, con Derek seduto in prima fila accanto ad una meravigliosa nonché fin troppo familiare figura vestita da cheerleader che non era altro se non la mia amica Jasmine. La sua lunga chioma castana da raperonzolo non mi aveva lasciato alcun dubbio e quando feci per sollevare la mano nella loro direzione, sperando mi notassero, sentii una voce chiamarmi dagli ultimi spalti. Era Rachel che sedeva accanto alle ragazze. «Oddio, Emily!»
«Sei bellissima», «un incanto direi!», «potrei essermi appena invaghita di una ragazza».
Dovevo ammetterlo: era l'accoglienza che avevo sperato di ricevere e nonostante ci fosse un po' di imbarazzo, il motivo per cui alla fine ero ceduta alle preghiere di mia madre nell'indossare una gonna per il primo giorno di scuola era chiaramente perché avevo acquistato un po' di fiducia in me stessa e speravo che qualcuno quella mattina, oltre ai miei genitori, lo notasse. Sapevo che Will e Derek non mi avrebbero dato quella soddisfazione e che le ragazze, invece, non mi avrebbero delusa. E infatti era dalle loro espressioni genuinamente compiaciute che mi sentii per la prima volta carina.
«Addirittura anche la gonna!» Fischiò Ellen mentre mi faceva spazio tra lei e Rachel. Aveva accorciato i lunghi riccioli ramati per un taglio più corto e dalla rasatura laterale che combaciava perfettamente con il suo stile punk. Valentina che invece aveva fatto il commento sull'essersi invaghita si sporse con la sua bellezza disarmante per osservarmi meglio. Accanto Katie, la quale addirittura si era commossa e non smise per un attimo di complimentarsi nemmeno quando sentimmo il preside Rodriguez schiarirsi la voce al microfono. «Hai conosciuto qualche ragazzo? Da quand'è che hai la frangia? Ti sta benissimo! Voglio farla anche io ma Valentina dice-»
«Katie!» Il tono perentorio di Rachel ci fece sussultare. Notando che la stavamo osservando tutte stranite, si affrettò a giustificarsi: «una domanda alla volta. Così esco pazza...»
Katie borbottò qualcosa e si rifiutò di proseguire, spostando la sua attenzione sul preside Rodriguez. Approfittai per chiedere di Jasmine. «Perché indossa l'uniforme da cheerleader?»
«Pare che abbia trascorso quest'estate a Baltimora con Ashley. E' stata lei a chiederle di far parte della squadra.»
Ashley era la ragazza bionda seduta accanto a Jasmine, piuttosto popolare e da quello che si diceva in giro la prima fidanzata di Will ma io non l'avevo mai vista se non a scuola e con mio fratello ci parlava a malapena. Eppure la cosa strana era che nonostante non avessimo mai interagito se capitava di vederci tra i corridoi o in classe si assicurava sempre di salutarmi con entusiasmo. Osservandoli di spalle mi resi conto della vicinanza tra Derek e la mia amica. I due stavano parlando ed evidentemente quello stacanovista aveva appena detto qualcosa per farla ridere perché una delle persone più genuine e dolci che conoscevo si lasciò andare ad una risata sommessa. Derek dovette sentire come se la nuca gli prudesse perché si voltò alla ricerca di qualcosa o meglio di qualcuno e quando si accorse di me subito mutò espressione.
Ti ammazzo. Gli comunicai con il pensiero.
Non sto facendo nulla di male. Fu la sua risposta con tanto di spallucce.
«Allora hai conosciuto un bel cowboy che ti ha rapito il cuore e anche la verginità?»
La domanda diretta di Katie mi fece distogliere l'attenzione da quei due per rivolgerlo basita alla ragazza senza peli sulla lingua. «Guarda che non ero in una cittadina sperduta del Texas...»
«Si però hai detto che saresti stata nel countryside a vivere in una fattoria.»
«Be'.... Se proprio vuoi posso farti vedere Pablo.» Gli occhi grandi di Katie si spalancarono. Aveva un volto così innocente... eppure allo stesso tempo era la ragazza più perversa che conoscessi. «Davvero?! E' un bel ragazzo? Fammi vedere una sua foto.»
«Ti avviso però... è un vero gallo nel pollaio» sperai che cogliesse l'allusione ma era così emozionata che non ci fece caso. Piuttosto mi incalzò a prendere il telefono e a mostrare loro qualche foto. Non ero mai stata una grande fotografa ma avevo promesso alle ragazze prima di partire di portare con me dei ricordi da mostrare. In verità non c'era molto... Almeno non per Katie. «E Pablo chi sarebbe?» «Lui.» Dissi con disinvoltura mentre le mostravo una foto di me seduta su una palla di fieno con in braccio un gallo piuttosto affascinante per essere solo un pennuto. «Non so però quante speranze tu abbia con lui... E' molto popolare tra le femmine della sua specie.» Le ragazze scoppiarono a ridere mentre le guance di Katie andarono a colorarsi di rosso. La bionda dalle guance paffute mi guardò torva ma non disse nulla. Fu Valentina allora a prendere la palla al balzo per chiedermi se avessi conosciuto qualcuno quest'estate. Scossi la testa. «E voi?»
«Nada...» mormorò Katie lasciandosi andare ad un lungo sospiro di rassegnazione. «Non sono successe molte cose,» intervenne Rachel con la stessa espressione delusa di Katie, «Valentina come al solito ha un sacco di pretendenti che continua a rifiutare, Katie è troppo timida per provarci con qualcuno, Ellen pensa solo alla sua musica e io... be' non credo di avere molte possibilità...» Ellen fece per chiederle qualcosa in merito ma in qualche modo la anticipai: «e Jasmine?» So che non fu tanto carino da parte mia ignorare di proposito i sentimenti turbati di Rachel ma da un po' di tempo sospettavo di una cotta a senso unico della mia migliore amica per Will e una parte di me voleva ignorare la cosa. Almeno per il momento.
«Esce sicuramente con qualcuno» sentenziò Katie a proposito di Jasmine. La mia testa scattò subito in direzione della panchina più avanti. «E' piuttosto impegnata nell'ultimo periodo» il tono sprezzante che Rachel utilizzò non passò inosservato. «Non gliel'abbiamo ancora chiesto» fu invece la risposta di Valentina per difenderla. A Katie, a cui interessava soprattutto del gossip, brillavano gli occhi. «Secondo me non vuole dircelo perché spera di farci una sorpresa. Se fosse vero sarebbe la prima tra di noi ad avere un ragazzo...»
Intanto Derek aveva cambiato postazione per andare a sedersi tra la cerchia di amici e pareva piuttosto impegnato a fare l'imbecille con i suoi compagni di football e a schiamazzare per Will, neanche fosse la sua fan numero uno, per prestare attenzione a Jasmine. «Che patetico...»
«Hai detto qualcosa?» Ellen seguì il mio sguardo incuriosita. Con un cenno del capo le indicai Jasmine e Derek sperando che cogliesse al volo. «Mmh non credo sai. Jasmine è stata a Baltimora quest'estate e mi pare tuo fratello e Derek a San Francisco. Se si fossero frequentati dove l'avrebbero trovato il modo di vedersi?»
Tirai un sospiro di sollievo. L'ultima cosa che desideravo per me e per le mie amiche era che si creassero situazioni imbarazzanti con la combriccola di mio fratello. In tutti quegli anni mi ero assicurata che io e il mio gemello, al di fuori delle mura domestiche ci muovessimo su strade separate. Il nostro rapporto era costruito sulla nostra incredibile capacità di trovare sempre un compromesso a tutto, essendo due persone molto diverse era importante vivere secondo delle norme stabilite perché il rischio che potesse scoppiare una violenta discussione tra di noi era piuttosto alta. Osservandolo adesso, su un palco acclamato da un intero istituto mentre presenziava un discorso che lo stesso preside gli aveva chiesto di tenere, con la sua celebrità e le sue avventure spericolate non potevo evitare di pensare a quanto vivessimo la vita su due lunghezze d'onda differenti. Io non avevo mai frequentato nessuno e di Will si mormorava che avesse addirittura avuto una relazione con la professoressa di spagnolo del terzo anno. Inoltre non ero popolare, forse per qualcuno ero la sorella del quarterback Scott ma questo solo per i fan più fanatici di Will. Il fatto era che fin da bambini ero sempre passata per la gemella grassottella e goffa che in confronto al bimbo prodigio non emergeva. L'anonimato tuttavia mi aveva sempre pesato. Riflettendoci non avevo nessuna storia meravigliosa da raccontare, nessuna foto memorabile da mostrare alle mie amiche e stasera a cena con i nostri genitori ero certa che mi aspettassero le fantomatiche avventure di William Scott tra San Francisco e il rientro a scuola. Già potevano notarsi gli sforzi di un'estate intera a cambiare aspetto passare in secondo piano nel momento in cui la luce abbagliante di Will avrebbe spento i miei di riflettori.
«Emily...» Rachel si chinò verso di me per sussurrarmi qualcosa all'orecchio. «Ti devo confessare un segreto». Presa alla sprovvista stavo giusto per chiederle di cosa si trattasse, quando un ruggito si proruppe tra la folla. William Scott aveva appena promesso: la San Luis vincerà le nazionali quest'anno. «Tuo fratello è proprio un figo...»
***
Finire in infermeria il primo giorno di scuola non era proprio il massimo ma era quello che mi era capitato durante l'ora di ginnastica di Mr. John Lewis, anche conosciuto come il Prosciugatore. Si trattava dell'allenatore della squadra di pallavolo femminile ed era una delle persone più competitive e tiranniche che conoscessi; inoltre per mia sfortuna era al corrente dei geni ai quali appartenevo e per un periodo piuttosto breve aveva riposto molte speranze nella sorella gemella del portento William Scott. «Sarai il nostro orgoglio...» Mi aveva detto il primo giorno in campo. Scontato se vi dicessi che adesso invece mi odiava ed ogni occasione era buona per sfinirmi con prove di atletica per cui non ero affatto portata. Inoltre il Mister mi aveva puntata proprio il primo giorno di mestruazioni e questo mi aveva inevitabilmente compromessa.
Sdraiata sul durissimo materassino dell'infermeria dopo aver ripreso coscienza, mi godevo le caramelle della signora Dowson, l'infermiera che si occupava di noi. «Come sono andate le tue vacanze, Emily?» Potevamo dire di essere ottime amiche.
«Ho munto mucche...» Mugugnai con risentimento. Avevo ancora in testa l'immagine di Will acclamato dalla folla. «E tu?» Parve dal modo in cui mi sorrise che non si aspettava altro se non quella domanda. «Be'... In verità ho conosciuto un uomo quest'estate.»
«Persino lei...»
«Come?»
Mi schiarii la voce realizzando di aver pensato ad alta voce. «Dicevo... E' una bella notizia! Come si chiama il fortunato?»
Passò un bel quarto d'ora a raccontarmi di essersi iscritta ad un sito per incontri ed aver incontrato l'uomo della sua vita. Si trattava di un meccanico divorziato con tre figli e dal modo in cui me ne parlava mi dava l'impressione che stesse dipingendo Brad Pitt o comunque un uomo avvenente che tutte le donne desideravano ma soltanto lei era riuscita a conquistare. Il modo fiabesco in cui lui si era dichiarato nonostante la vicina di casa avesse cercato in tutti i modi di ostacolarli, alleandosi con la vecchia e terribile madre di lui mi tenne incollata alla storia, tanto da non accorgermi di non essere più sole. «E' permesso?»
Un giovanotto piuttosto carino fece il suo ingresso picchiettando le nocche sulla porta già aperta. Appena i nostri sguardi si incrociarono notai che distolse immediatamente il suo. La signora Dowson mi diede un pizzicotto su un braccio per ammonirmi e solo allora mi resi conto di essere sdraiata a gambe aperte e con la gonna, la quale, un solo centimetro in più verso l'alto e si sarebbero intraviste pure le mutande. Maledendo me stessa per non essere affatto abituata ad indossare qualcosa di così tanto scomodo, cercai di recuperare un po' di contegno mettendomi seduta.
«Hoon, oddio! Che cosa hai combinato in viso? Una rissa? Chi è stato?»
Il ragazzo appena entrato aveva le labbra gonfie e un ematoma che andava formandosi lì dove era stato colpito con un pugno. «Sono soltanto caduto.»
Mio fratello era stato un tipo piuttosto ribelle in passato e in mezzo ai guai finivi spesso con un occhio rosso. Riconoscevo i segni di una violenza e così anche la signora Dowson che però per non imbarazzarlo non lo contradisse ma mi chiese gentilmente di fargli posto. Gli cedetti il lettino, andando ad occupare una sedia vuota mentre l'infermiera che non trovava quello che stava cercando ci avvisò che sarebbe tornata presto. «Fatti raccontare cosa è successo.»
«Ci penso io.»
Un silenzio di tomba piombò nella stanza non appena la signora Dowson mi lasciò in compagnia di quel ragazzino che a ben vedere portava un indumento con lo stemma di League of Legends, il mio gioco preferito in assoluto.
«Ahri è il mio main.» Fu così che ricevetti la sua totale attenzione. «Giochi a League of Legends?»
«Qualche volta.» Risposi con nonchalance mentre mi godevo il luccichio di ammirazione che trapelava dalle sue pupille. Hoon, supponevo fosse quello il suo nome, era ancora stregato da quella rivelazione da non essersi accorto di star sanguinando dal labbro.
«Davvero? Quindi immagino giochi come mid laner», «qualche volta anche support. Metti questo dove ti fa male. Dovrebbe alleviare il gonfiore.»
Avevo preparato con quello che avevo trovato un impacco di ghiaccio, necessario per contrastare il peggioramento dell'ematoma. «Deve essere stato un pugno forte.»
Hoon annuì rendendo fondate le mie supposizioni e quando se ne accorse prese ad agitarsi. «Te l'ho detto, sono caduto.»
La San Luis era una scuola con tanti difetti ma fino ad allora non erano mai emersi episodi di bullismo. Mi chiedevo se si fosse trattato di una semplice scazzottata tra ragazzi oppure un'ignobile ingiustizia... Sicuramente se fosse stato il primo caso presto si sarebbe venuto a sapere mentre gli episodi di bullismo, ahimè, erano facilmente depistabili se la vittima in questo caso si rifiutava di collaborare. «Comunque io mi chiamo Emily.»
«Lo so.»
«Come?»
Non mi aspettavo quella risposta. «Be'... sei la sorella di William Scott, giusto?» «Già...»
«Sono un grande fan di tuo fratello.» Per sapere di me non avevo dubbi. «Non mi dire...» Fu la mia risposta laconica intanto che recuperavo le mie cose.
«L'anno scorso ho fatto da masquotte per i quarti di finali. Will si ricorderà sicuramente di me, mi ha regalato il suo frontino quel giorno.»
Non credevo che i ragazzi potessero essere più fanatici delle ragazze in merito all'idolatrare qualcuno ma l'effetto di Will era ormai risaputo. «Proverò a chiederlo.» Avevo già un piede fuori dalla porta. «Be' io vado-»
«Aspetta!»
Si era alzato in piedi in tempo record. «Che fai?» Gli chiesi sconvolta quando lo sentii afferrarmi per un polso. Mi aveva presa di soprassalto ed ero finita per scontrarmi contro il suo petto che, contrariamente da quello che mi sarei aspettata, era piuttosto duro. Sotto quella felpa oversize si nascondeva un fisico piuttosto palestrato. Avvampai al solo pensiero di star immaginando il fisico di uno sconosciuto
«G-grazie per il ghiaccio.» Non avevo mai visto una persona arrossire fino alla punta dei capelli come in questo caso. «Figurati, se hai bisogno mi trovi in giro.» Aspettai che mi lasciasse andare per poter uscire ma pareva restio.
«Io mi chiamo Ji Hoon.»
«Si, lo avevo capito...»
Era ancora lì a stringermi lievemente il polso. Abbassai lo sguardo per fargli intendere che doveva lasciarmi andare e come accortosi solo allora del contatto, mi lasciò come scottato. «S-scusami.»
«Figurati. Be', ci si vede...»
Non era stato l'unico ragazzo con cui avevo avuto un incontro ravvicinato oggi. Prima quello sconosciuto dagli occhi color pece e l'aria cattiva e adesso questo dolce ma ben piazzato fanciullo. Mica male, però.
Fischiettando raggiunsi allegramente il mio armadietto e tra le cose che avevo lasciato custodite all'interno c'era un piccolo specchietto dimenticato. Presi ad osservarmi attentamente.
Oltre che a perdere peso avevo maturato anche dei tratti visivi che erano sempre apparsi troppo da ragazzina. La mia pelle era liscia come il culetto di un bebè grazie all'aria pulita che avevo respirato tra le montagne e i miei occhi da cerbiatto mi davano un'aria così innocente... Se fossi stato un ragazzo probabilmente ci avrei provato anche io. Guarda che zigomi!
«Che stai facendo?»
Un piccolo urlo di spavento si proruppe nel corridoio desolato in cui credevo di trovarmi. «Derek!»
Sospettavo ci provasse gusto a farmi prendere un colpo al cuore ogni volta. Lui aveva un'espressione tra lo stupito e il divertito. Era palese dal modo in cui sorrideva che avesse notato la mia vanità. «Che vuoi?»
«Ti cercavo.»
«Perché?»
Possibile che fosse rimasto anche lui folgorato da questa nuova versione di me? «Oggi finiamo alle sei di allenarci. Will non ci sarà però mi ha chiesto di accompagnarti a casa. Vieni con me o hai già il passaggio?»
«Perché Will non c'è?» Derek sospirò come se si fosse aspettato quella domanda. «Non sono affari tuoi.»
Tipico.
«Allora?»
«Se non è un problema per te...»
In un altro contesto non l'avrei posto in quei termini e avrei approfittato del passaggio senza fronzoli ma non essendoci Will un po' mi imbarazzava. Infondo eravamo sempre noi tre. «Non lo è ma se per le sei e un quarto non sei davanti alla macchina ti lascio a piedi.»
Non diceva sul serio ma gli feci comunque una smorfia. Lui se ne stava per andare quando d'un tratto mi sentii prudere la lingua dalla voglia di porgli una domanda.
«Aspetta! Prima di andare...Ti devo chiedere una cosa.»
«Mmh?»
«Mi trovi diversa?»
Nella mia testa non era apparsa così imbarazzante come domanda ma adesso che i nostri sguardi si incrociarono, realizzai di aver chiesto alla persona sbagliata. «Diversa?»
«Insomma...» Forse avrei dovuto lasciar stare. Eppure la voglia di sapere mi premeva troppo. «Non pensi che sia più carina?»
Sentii quegli occhi verde smeraldo percorrere per intero la mia umilissima figura. Per un attimo contrasse la mascella e il suo sguardo si indurì. Pensai di averlo fatto arrabbiare ma poi i contorni del suo viso si distesero in quella sua solita espressione da ebete. Il solito arrogante!
«La piccola di casa Scott si è svegliata donna tutta ad un tratto.»
«Ah, lascia perdere.»
Ero parecchio risentita da quella risposta ma in parte era colpa mia. Non avrei mai dovuto chiedere a lui. Solo perché era un uomo non voleva dire che ne capisse qualcosa. Derek però ci teneva ad infierire. «È per questo che ti specchiavi prima?»
«Vai via.»
«E la gonna stamattina...»
«Ultimo avvertimento, Cooper.»
«Lo conosco?»
«Non capisco di cosa tu stia parlando.»
Derek avanzò di un passo ed ecco che iniziò a girare il nastro di un film prodotto nella mia testa. Il passo successivo era che mi prendesse per il mento e mi costringesse a guardarlo mentre moriva di gelosia, considerato che “la stretta al polso” e “con le spalle al muro” erano due tecniche già state adoperate quest'oggi dai suoi rivali. Tuttavia quello che fece fu darmi un colpetto alla fronte per riscuotermi da quegli strani pensieri. «Alle sei e un quarto fuori l'ingresso della scuola. Non fare tardi.» Il suo tono annoiato non mi era piaciuto affatto.
Imbronciata osservai la sua figura dileguarsi senza avermi dato la soddisfazione sperata e solo quando sparii dalla vista ammisi a me stessa di essermi verso la fine leggermente montata la testa. Tra me e me mormorai: «Meglio così. I quadrati amorosi sono forse troppo complicati...»