Pacchetto Estate 1
Elemento tipico della stagione: temporale estivo nel bel mezzo della notte
Bevanda: tè alla pesca
Oggetto: un diario segreto
Elemento tipico della stagione: temporale estivo nel bel mezzo della notte
Bevanda: tè alla pesca
Oggetto: un diario segreto
Cronache di una gravidanza
I tuoni e i lampi illuminavano il cielo da almeno un’ora, come messaggeri di un temporale incombente. Ma la pioggia, quella vera, era arrivata solo da pochi minuti, proprio mentre sua moglie aveva distolto lo sguardo dalla serie TV che stavano vedendo e, con la tipica inoppugnabile serenità delle donne incinte, si era voltata verso di lui e gli aveva chiesto un tè freddo alla pesca, come se fosse la cosa più normale del mondo desiderare una cosa qualunque in piena notte.
Paolo ricordava nitidamente di aver consumato l’ultima bottiglia solo pochi giorni prima quando, in preda ad un attacco di fame nervosa, aveva deciso di ingurgitare tutto ciò che gli capitasse a tiro, purché contenesse zuccheri. Nella speranza che qualcosa fosse sfuggito a quel suo raptus alimentare, si era lanciato comunque in una disperata ricerca nel frigo e in ogni angolo della dispensa, ma purtroppo gli divenne ben presto chiaro che l'unica soluzione a quel problema era uscire a comprare quel benedetto tè. Nonostante la moglie avesse provato a distoglierlo da quel suo stupido intento in tutti modi, Paolo non era intenzionato ad arrendersi; quindi, armato di ombrello e di una volontà imperturbabile, ignorò le proteste della donna e uscì di casa per incamminarsi alla volta del Carrefour 24 ore.
La pioggia scrosciava sull’asfalto ancora caldo dopo settimane di siccità, liberando l’inconfondibile profumo di terra bagnata e di umidità che esalava dal suolo. Il silenzio della notte era rotto solo dal tamburellare incessante delle gocce che piombavano violente e dai tuoni che scuotevano l’aria. In giro non c’era nessuno, la città era completamente deserta.
Ad osservare quel desolato panorama urbano, in piedi sulla soglia del palazzo, c’era Paolo. Era vestito in modo totalmente inadeguato per affrontare quella pioggia: aveva dei vecchi pantaloncini con ampie tasche, una maglietta a mezze maniche e un paio di infradito da mare. Prima di uscire, aveva dato una rapida occhiata fuori dalla finestra e aveva concluso che con quel temporale si sarebbe bagnato comunque da capo a piedi; tanto valeva rassegnarsi e cercare almeno di evitare di dover asciugare le scarpe al suo rientro.
Infilò la mano in tasca, ne estrasse il telefono e lo porto di fronte al viso. Impostò la telecamera interna e iniziò a registrare una nuova pagina del suo diario segreto.
«Diario di gravidanza: giorno numero 133. Sono le 2:15 di notte del 18 agosto e sono pronto ad affrontare il diluvio universale armato di infradito e di questo minuscolo ombrello. Ma la missione di stanotte è troppo importante perché mi faccia scoraggiare da un po’ di pioggia: la mia adorata mogliettina vuole del tè alla pesca e io glielo porterò, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Lanciò uno sguardo al cielo, tirò un sospiro profondo e si avventurò nella pioggia. Alle prime folate di vento, il gracile ombrellino che aveva acquistato per due euro da un venditore ambulante diede subito prova del suo valore, ribaltandosi e piegandosi irrimediabilmente sotto la forza del temporale.
Paolo osservò il groviglio deforme di tela e alluminio in cui si era trasformato il suo ormai defunto compagno di viaggio e lo gettò con un gesto deciso nel primo bidone che trovò. Rimasto senza alcun riparo, sentiva l’acqua scorrergli lungo il corpo e penetrargli gli abiti fradici. I pantaloncini e la maglietta a mezze maniche gli si appiccicavano alla pelle, mentre le infradito, rese scivolose dall’acqua, rischiavano ad ogni passo di farlo volare gambe all’aria.
Eppure, nonostante la situazione assurda in cui si trovava, la consapevolezza di poter fare qualcosa di speciale per sua moglie dava a Paolo di un senso di gioia. Dopo settimane di caldo soffocante, vacanze cancellate, corse all’ospedale e ansie accumulate, finalmente, anche se si trattava solo di esaudire un piccolo capriccio notturno, Paolo si sentiva di nuovo utile, per la prima volta dopo tanto tempo.
Arrivò finalmente al Carrefour. La distanza tra casa sua e il supermercato era breve, ma più che sufficiente affinché sembrasse appena uscito da una lavatrice senza centrifuga. Sentiva l’acqua colargli dai capelli, scendere lungo la schiena e infilarsi sotto la maglietta, ormai appiccicata addosso come una seconda pelle. Le infradito sbattevano contro il pavimento, producendo un suono stridulo e umidiccio ad ogni passo, lasciandosi dietro una serie di piccole pozze d’acqua.
Appena entrò, venne accolto da un clima siberiano. Folate gelide lo colpirono come frustate, facendogli rizzare i peli delle braccia e mandandogli un brivido lungo la schiena. Paolo era un grande estimatore dell’aria condizionata, per lui era sempre stata un’ancora di salvezza nelle torride giornate estive torinesi, un magico congegno capace di fargli dimenticare, anche se solo per qualche ora, i 35 gradi all'esterno. Ma non quella sera. Essere fradicio dalla testa ai piedi trasformava quel gelo, che in altre circostanze avrebbe accolto con sollievo, in una tortura glaciale. Le porte automatiche si chiusero alle sue spalle con un sibilo, lasciando fuori l'ultimo residuo di tepore estivo.
Estrasse il cellulare dalla tasca. Anche quello gocciolava, inzuppato quasi quanto lui. Sbloccò lo schermo con mani umide e leggermente tremanti, benedicendo chiunque avesse avuto l’idea di rendere impermeabili gli smartphone, e cercò di pulire la telecamera anteriore con la maglietta, ma era tutto inutile.
La sua immagine sfocata riflessa nel display non era un granché. Le luci fredde del supermercato, impietose, accentuavano il suo viso stanco e le occhiaie, che negli ultimi tempi erano diventate sue fidate compagne di vita; i ricci appesantiti dalla pioggia gli erano collassati sulla fronte, dando origine a piccoli rivoli d’acqua che gli scivolavano sul viso e sul collo, e la maglietta bianca bagnata gli si era incollata addosso, mettendo in risalto ogni curva e difetto. Paolo non aveva mai avuto un fisico statuario e la leggera pancetta che si era guadagnato negli ultimi anni non passava inosservata sotto il tessuto ormai semitrasparente. L’effetto vedo-non vedo era decisamente imbarazzante e poco lusinghiero. A quella vista, non poté fare a meno di pentirsi di non aver pensato di indossare una maglietta di un colore diverso. Forse una bella maglia scura sarebbe stata più clemente con la sua forma fisica. Per fortuna quello spettacolo inglorioso non sarebbe stato visibile nel video.
Si passò una mano tra i capelli nel tentativo di sistemarli e avvio la registrazione.
«Sono finalmente arrivato al Carrefour, l’ombrello purtroppo non ce l’ha fatta, ma io sono sopravvissuto... anche se dal video si può capire bene in che condizioni sono arrivato. Ora bisogna solo trovare la corsia giusta e potrò tornare a casa vittorioso con il mio tè.» Sorrise alla telecamera, agitando il pugno della mano libera per darsi carica.
Quando ebbe stoppato il video, Paolo notò che la guardia di sicurezza lo stava fissando e non era difficile capirne il motivo. Stava sgocciolando su tutto il pavimento e, con i suoi vestiti inzuppati, doveva sembrare più un naufrago che un normale cliente. Per non parlare del fatto che si era appena ripreso in video descrivendo le sue "gesta" come se fosse un eroe epico, quando in realtà era solo un uomo in procinto di fare la spesa. La guardia lo squadrava con un’espressione che mescolava disapprovazione e un certo sospetto, ma Paolo decise di ignorarla, puntando dritto verso la sua destinazione: la corsia 8.
Mentre camminava, le raffiche gelide dell'aria condizionata non gli davano tregua. Paolo sentiva il freddo entrare fino alle ossa, come se fosse avvolto in un mantello di ghiaccio. Ogni pelo del suo corpo si era rizzato per il gelo, e non solo loro: i suoi capezzoli si erano irrigiditi tanto da sembrare due piccoli chiodi che spuntavano al di sotto della maglietta bianca ormai semitrasparente, rendendo ancora più imbarazzante la situazione. Con un gesto istintivo, cominciò a strofinarsi il petto, sperando di scaldarsi un po’. Ma la cura si rivelò peggiore del male. Dopo averli sfregati, i capezzoli sembravano ancora più evidenti.
Si dice che in ogni supermercato notturno ci sia sempre un pervertito. Si tratta di una legge non scritta. Così come non ci può essere un cantiere senza un vecchietto ad osservarlo, così non può esistere una spesa fatta dopo le 2 di notte senza incontrare un maniaco sessuale. Paolo si guardò intorno nella speranza di adocchiare un uomo losco nascosto dietro un espositore, magari intento a fare cose strane con qualche ortaggio o a toccarsi con passione pensando alle offerte sulla frutta secca, ma non vide nessuno. Ciò poteva voler dire solo una cosa: il pervertito, quella notte, pareva proprio essere lui.
Fu mentre si guardava nervosamente in giro che incrociò lo sguardo della guardia di sicurezza, che lo fissava a braccia conserte e con espressione sardonica, come se aspettasse di vedere cos'altro avrebbe combinato. Paolo abbassò subito lo sguardo, sentendo le orecchie bruciare per l’imbarazzo, nonostante il freddo. Doveva smetterla di comportarsi come un pazzo e concentrarsi sulla missione.
Accelerò il passo, incrociando le braccia sul petto e ingobbendosi, nel tentativo di nascondere i suoi capezzoli e di trattenere un po’ di calore corporeo. Con quella postura da goblin, sfrecciò verso la corsia delle bevande, cercando di sottrarsi agli occhi attenti e derisori della guardia.
Dopo aver superato bibite gasate, acque toniche, aranciate, chinotti e numerose varianti della Coca-Cola, si trovò davanti a un muro di tè. Rimase immobile a fissare gli scaffali per interi minuti, mentre l’allegria sul suo viso svaniva pian piano. I suoi occhi passarono in rassegna tutte le bottiglie che aveva davanti a sé più e più volte, ma il risultato non cambiava: l’Estathè alla pesca non c’era. Al suo posto, sullo scaffale restava uno spazio tristemente vuoto e un beffardo cartellino rosso con una grande scritta che annunciava uno sconto del 50% su quel prodotto. C’era stata una razzia e Paolo era arrivato troppo tardi.
Era un’autentica tragedia. Sua moglie era molto esigente sulle marche di tè; tornare a casa con un tè qualunque equivaleva ad un fallimento e questo Paolo non poteva accettarlo.
«La vita stasera ha deciso di mettermi alla prova,» Disse Paolo, mentre inquadrava lo scaffale vuoto col cellulare. «L’Estathè è finito. Ma non ho affrontato una tempesta e il freddo glaciale di questo supermercato per tornare a casa con un misero San Benedetto. No, se dovrò beccarmi una bronchite, dovrà esserne valsa la pena! Magari qualcuno ha preso una bottiglia e poi ci ha ripensato e l’ha abbandonata da qualche parte. Controllerò ogni singolo scaffale di questo supermercato se necessario, ma uscirò da qui con il mio maledetto Estathè.»
Chiuse il suo diario digitale e, sospinto da un misto di determinazione e disperazione, iniziò a ripercorrere tutta la corsia 8, guardando attentamente ogni singolo prodotto, per poi fare lo stesso con tutte le altre corsie.
Stava scrutando tra barattoli di fagioli e verdure in salamoia quando, d’improvviso, sentì dietro di sé il rumore di un carrello della spesa che si avvicinava lentamente. Si voltò d’istinto e vide un vecchio che sospingeva con fatica un carrello stracolmo di prodotti di ogni genere. Paolo non poté fare a meno di chiedersi cosa ci facesse quell’uomo al supermercato nel bel mezzo della notte durante una tempesta, intento ad acquistare abbastanza cibo da poter sfamare un esercito. Forse era affetto da un’insonnia cronica o, più probabilmente, era un sociopatico che faceva la spesa a quell’ora per evitare ogni tipo di contatto umano.
Il giovane notò subito che, tra varie scatole di detersivo in polvere e una decina di barattoli di pelati, c'erano ben quattro bottiglie di Estathè alla pesca. Con un balzo di speranza, si avvicinò al vecchio, cercando di risultare quanto più possibile gentile ed amichevole.
«Scusi, signore,» esordì Paolo «non volevo farmi gli affari suoi, ma ho notato che ha varie bottiglie di tè. Potrei chiederle se per caso me ne darebbe una? Sono venuto in questo supermercato in piena notte proprio per quello, ma purtroppo sono finite.»
Il vecchio si voltò piano e lo fissò per un istante con lo stesso interesse con cui si osserva una macchia di umidità sul muro di un ufficio postale.
«Mi dispiace, ma queste sono tutte per me.» Disse brusco e, senza aggiungere altro, si voltò a guardare i prodotti sullo scaffale di fronte a sé e ad afferrare barattoli su barattoli.
Paolo rimase sorpreso da quel rifiuto inaspettato, ma non aveva intenzione di arrendersi. Fece un respiro profondo e decise di provare a spiegare meglio la situazione in cui si trovava, sperando di intenerire l'uomo.
«Capisco, ma la prego, mi ascolti un momento,» disse, passandosi nervosamente una mano tra i capelli bagnati «non è per me, ma per mia moglie. È incinta e le ultime due settimane sono state davvero difficili. Abbiamo persino dovuto cancellare le vacanze che avevamo programmato perché ha rischiato di perdere il bambino ed è stata ricoverata in ospedale per molti giorni. Finalmente ieri è stata dimessa ed è potuta tornare a casa, ma, anche se dice che sta bene, lo vedo che è preoccupata e ha paura. Tutto ciò che voglio è alleggerire il suo cuore e renderla felice, anche solo con un piccolo gesto apparentemente insignificante, come portarle il suo tè preferito. Mi basterebbe una sola bottiglia, una soltanto.»
Mentre l’uomo parlava, il vecchio spostava continuamente lo sguardo dal suo interlocutore all’orologio che portava al polso, come se quel contrattempo lo stesse facendo tardare per qualche appuntamento improrogabile. Paolo non riusciva a trattenere un’ondata di irritazione: cosa mai poteva avere da fare di così urgente un pensionato alle 3 di notte, di domenica, durante la settimana di Ferragosto? Doveva forse correre ad un raduno di mummie? O c’era una tombolata per vecchi insonni alla RSA dietro l’angolo? Nonostante sentisse la rabbia crescere dentro di sé, Paolo riuscì a mantenere il controllo e a concludere il discorso con la stessa calma educata con cui aveva iniziato.
Quando ebbe finito di parlare, il vecchio alzò lo sguardo e lo fissò con gli stessi occhi annoiati ed inespressivi di prima. "Capisco la situazione, ma come ho detto, non le darò nulla. Mi spiace." Rispose, glaciale, senza dimostrare un briciolo di empatia.
Prima che Paolo potesse replicare in alcun modo, il vecchio gli diede le spalle e riprese a spingere il carrello, allontanandosi lentamente tra gli scaffali.
Il ragazzo restò lì, sconcertato, a guardarlo andar via, incapace di credere a quanto fosse appena successo. Sentì una rabbia cieca montargli dentro. Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni fino a sentire le unghie affondare nei palmi. Dentro di sé avvertiva una sensazione familiare: l’impotenza. Ma quella volta Paolo non aveva intenzione di lasciarsi sopraffare, non quella notte, non dopo tutto quello che aveva sopportato, non dopo essere stato così vicino alla vittoria. No, avrebbe fatto qualcosa.
Una scintilla di risolutezza si accese nei suoi occhi. Prese il suo smartphone e, furibondo, si sfogò all’interno del suo diario virtuale.
«Non ci posso credere! Ho chiesto a un vecchio se potesse darmi una bottiglia di Estathè, dato che ne aveva ben quattro, e lui ha avuto il coraggio di dire di no. Avevo ragione a pensare che fosse un vecchio stronzo sociopatico. Che diavolo se ne fa di tutto quel tè? Se non sta attento, con tutti quegli zuccheri gli sale anche la glicemia! E dire che gliel’ho chiesto con gentilezza, gli ho anche spiegato che è per mia moglie incinta. Niente, non ne ha voluto sapere!»
Paolo fece una pausa, ansimando dalla frustrazione, poi guardò dritto nella telecamera del telefono. «Ora basta, mi sono stancato. Ho provato con le buone, ora è il momento di passare alle cattive. Aspetterò che arrivi alla cassa e che metta le bottiglie sul nastro, poi ne afferrerò una e correrò via. Ma siccome rubare è sbagliato, non commetterò un furto. No, lascerò cinque euro che serviranno a pagare sia il tè che i danni morali che subirà quel vecchio bastardo.»
Tirò fuori dalla cover del telefono una banconota da cinque euro un po’ umida e la sventolò davanti alla telecamera.
«Non volevo arrivare a questo punto, ma il destino non mi lascia altra scelta.» Fece una pausa drammatica durante la quale fissò intensamente l’obiettivo della videocamera, poi interruppe la registrazione e si preparò a mettere in atto il suo piano criminale.
Si appostò dietro uno scaffale vicino alle casse automatiche. Il cuore gli martellava nel petto come se si stesse preparando a perpetrare il furto del secolo all’interno di un caveau impenetrabile.
Il vecchio, ignaro di ciò che stava per succedere, imbustava le sue conserve con la lentezza esasperante di chi ha ormai solo tempo da perdere.
"Maledizione, quanto tempo ci mette?" pensava Paolo, mentre l'adrenalina gli scorreva nelle vene.
Ogni secondo di attesa era una tortura. Le sue mani iniziarono a sudare mentre la mente si riempiva di scenari apocalittici. Si vedeva già, ripreso dalle telecamere di sorveglianza con la faccia zoomata in primo piano. Nei titoli del TG locale avrebbero mostrato la scena del furto in loop, mentre un conduttore si sarebbe lamentato di quella gioventù perduta, dai valori morali corrotti, senza rispetto per gli anziani. Il servizio avrebbe intervistato il vecchio, descritto come una vittima indifesa di un furto crudele, raccontando l’umiliazione subita e mostrando la sua espressione contrita davanti alle telecamere.
Immaginava già i titoli sui giornali: "Giovane trentenne arrestato per furto di Estathè"; e poco sotto, accanto all’articolo, ci sarebbe stata una foto di lui con sguardo colpevole, capelli scompigliati, maglia bianca bagnata e capezzoli turgidi. Sarebbe finito in tribunale e la sua fedina penale sarebbe stata irrimediabilmente macchiata per sempre. Si immaginò sua madre e sua moglie in lacrime in aula mentre il giudice emetteva una condanna esemplare.
Suo figlio, cresciuto senza una figura paterna, sarebbe diventato un bambino ribelle, poi un ragazzo problematico ed infine un piccolo spacciatore o, peggio ancora, un trapper.
Il panico gli fece quasi tremare le ginocchia, e per un attimo si sentì sopraffatto, come se tutto potesse crollargli addosso.
Non poteva permettersi di perdere la testa. Si assestò due schiaffoni sulle guance, per scacciare via quei pensieri senza senso. Doveva restare concentrato, non c’era tempo per ripensamenti o esitazioni, il momento decisivo era vicino.
Appena il vecchio si distrasse un attimo per sistemare l’ennesimo barattolo in una busta troppo gracile per poter trasportare tutto quello scatolame, Paolo scattò come un fulmine. Con un solo, preciso movimento, afferrò al volo uno degli Estathè. Il contatto freddo della bottiglia contro la sua mano era preludio dell’imminente vittoria. Con altrettanta rapidità, lasciò cadere la banconota da cinque euro nel carrello, che planò con un lieve fruscio tra le varie provviste.
«Ehi! Maledetto ladro!» urlò il vecchio, sobbalzando per la sorpresa e iniziando a scagliare contro di lui una serie di insulti irripetibili. Ma il ragazzo era ormai lanciato in volata, con le infradito che schiaffeggiavano il pavimento e una sensazione di trionfo e rivalsa che lo facevano sorridere come un idiota.
La guardia, fortunatamente, era ancora intenta ad asciugare le scie d'acqua che Paolo aveva lasciato dietro di sé percorrendo avanti e dietro ogni corridoio del supermercato, quindi nessuno lo fermò mentre varcava la soglia delle porte automatiche e si lanciava fuori, sotto la pioggia battente.
All’esterno, il temporale continuava ad imperversare, seppur con meno furia rispetto a prima. Paolo, però, non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Correva con le ginocchia alte e le dita dei piedi tese, cercando disperatamente di non farsi sfuggire le infradito che sembravano voler volare via a ogni passo. Rischiò di cadere rovinosamente un paio di volte, ma alla fine, in qualche modo, arrivò sano e salvo sotto il portone del palazzo. Nessuno lo aveva seguito, nessuno lo aveva fermato. Stringeva nella mano la bottiglia di Estathè alla pesca, trionfante.
«Missione compiuta!» Esclamò, ansimante ma euforico, mentre, con lo schermo del suo telefono davanti a sé e un sorriso a 32 denti stampato in faccia, inquadrava con orgoglio il suo prezioso bottino.
«Non potrei essere più felice di così,» continuò con voce ricolma di gioia «Non solo perché ho portato a casa questo benedetto tè, ma perché finalmente, dopo tanti giorni difficili, posso tornare a scrivere una pagina allegra in questo diario.» Fece una pausa, lo sguardo si abbassò un istante mentre rifletteva. «Come ben sai, l’ultimo periodo non è stato facile. Tua madre è stata davvero male, non sapevamo cosa sarebbe successo. Ma adesso sento che il peggio è passato!» sollevò di nuovo la bottiglia verso la telecamera, simbolo della sua rivalsa contro il mondo. «Ti prometto che, da ora in poi, ci saranno tante avventure stupide e divertenti come questa. Magari, un giorno, ci sarà anche tua madre a partecipare.»
Paolo abbassò leggermente il tono della voce e si guardò intorno, quasi a volersi assicurare che nessuno lo stesse ascoltando. «Per il momento, però, questo diario deve restare un segreto, altrimenti mi ammazza! Superstiziosa com'è, mi direbbe che porta sfiga fare un diario per te quando potresti... beh, insomma...»
Si fermò per un momento, poi riprese. «Sai, in origine ho iniziato a tenere questo diario per raccogliere i miei pensieri. A volte, nei momenti più difficili, di ritorno dai vari controlli in ospedale, quando tornavamo a casa con il cuore a pezzi, sentivo il bisogno di sfogarmi, di urlare, piangere, imprecare e disperarmi; ma non volevo pesare su tua madre, che aveva già i suoi dolori da affrontare. Per lei ho sempre cercato di essere forte e ottimista, perché so che è ciò di cui ha bisogno. Anche se, a volte, il mio ottimismo a tutti i costi, come lo chiama lei, la fa imbestialire più di quanto tu possa immaginare.»
Paolo fece una piccola pausa, poi riprese il filo del discorso. «Insomma, che fosse per dare voce alla mia tristezza o al mio immotivato ottimismo che tanto infastidisce la mamma, avevo preso l’abitudine di registrare questi brevi video-diario. Col passare del tempo, però, questo è diventato molto più di un semplice sfogo. Ho iniziato a collezionare ricordi delle piccole avventure e delle cose stupide che facevo e ho pensato che sarebbe stato bello rendere tutto questo un regalo per te. Così, un giorno, quando sarai abbastanza grande, potremo rivedere insieme tutte queste avventure: io, te e la mamma. Sarà come un viaggio nel tempo, un modo per ricordare quanto amore ci unisce e per farti conoscere il tuo papà in un modo diverso.»
Paolo sorrise di nuovo, lasciando trasparire l’amore profondo che provava per il figlio in arrivo. «Ora devo andare, la mamma mi aspetta e devo assolutamente raccontarle delle mie peripezie notturne. Alla prossima avventura, Leo. Ci vediamo presto.» Con un ultimo sorriso, spense la telecamera.
Quando varcò la soglia del palazzo, la pioggia era ormai cessata e la città era piombata di nuovo in un silenzio assoluto, interrotto solo dal rumore delle ultime gocce d’acqua che si staccavano pigre dai balconi e dai rami degli alberi per tuffarsi nelle enormi pozzanghere che il temporale aveva lasciato dietro di sé.
[3806 parole]
Dedicato a mio fratello e al piccolo Leo.
Paolo ricordava nitidamente di aver consumato l’ultima bottiglia solo pochi giorni prima quando, in preda ad un attacco di fame nervosa, aveva deciso di ingurgitare tutto ciò che gli capitasse a tiro, purché contenesse zuccheri. Nella speranza che qualcosa fosse sfuggito a quel suo raptus alimentare, si era lanciato comunque in una disperata ricerca nel frigo e in ogni angolo della dispensa, ma purtroppo gli divenne ben presto chiaro che l'unica soluzione a quel problema era uscire a comprare quel benedetto tè. Nonostante la moglie avesse provato a distoglierlo da quel suo stupido intento in tutti modi, Paolo non era intenzionato ad arrendersi; quindi, armato di ombrello e di una volontà imperturbabile, ignorò le proteste della donna e uscì di casa per incamminarsi alla volta del Carrefour 24 ore.
La pioggia scrosciava sull’asfalto ancora caldo dopo settimane di siccità, liberando l’inconfondibile profumo di terra bagnata e di umidità che esalava dal suolo. Il silenzio della notte era rotto solo dal tamburellare incessante delle gocce che piombavano violente e dai tuoni che scuotevano l’aria. In giro non c’era nessuno, la città era completamente deserta.
Ad osservare quel desolato panorama urbano, in piedi sulla soglia del palazzo, c’era Paolo. Era vestito in modo totalmente inadeguato per affrontare quella pioggia: aveva dei vecchi pantaloncini con ampie tasche, una maglietta a mezze maniche e un paio di infradito da mare. Prima di uscire, aveva dato una rapida occhiata fuori dalla finestra e aveva concluso che con quel temporale si sarebbe bagnato comunque da capo a piedi; tanto valeva rassegnarsi e cercare almeno di evitare di dover asciugare le scarpe al suo rientro.
Infilò la mano in tasca, ne estrasse il telefono e lo porto di fronte al viso. Impostò la telecamera interna e iniziò a registrare una nuova pagina del suo diario segreto.
«Diario di gravidanza: giorno numero 133. Sono le 2:15 di notte del 18 agosto e sono pronto ad affrontare il diluvio universale armato di infradito e di questo minuscolo ombrello. Ma la missione di stanotte è troppo importante perché mi faccia scoraggiare da un po’ di pioggia: la mia adorata mogliettina vuole del tè alla pesca e io glielo porterò, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Lanciò uno sguardo al cielo, tirò un sospiro profondo e si avventurò nella pioggia. Alle prime folate di vento, il gracile ombrellino che aveva acquistato per due euro da un venditore ambulante diede subito prova del suo valore, ribaltandosi e piegandosi irrimediabilmente sotto la forza del temporale.
Paolo osservò il groviglio deforme di tela e alluminio in cui si era trasformato il suo ormai defunto compagno di viaggio e lo gettò con un gesto deciso nel primo bidone che trovò. Rimasto senza alcun riparo, sentiva l’acqua scorrergli lungo il corpo e penetrargli gli abiti fradici. I pantaloncini e la maglietta a mezze maniche gli si appiccicavano alla pelle, mentre le infradito, rese scivolose dall’acqua, rischiavano ad ogni passo di farlo volare gambe all’aria.
Eppure, nonostante la situazione assurda in cui si trovava, la consapevolezza di poter fare qualcosa di speciale per sua moglie dava a Paolo di un senso di gioia. Dopo settimane di caldo soffocante, vacanze cancellate, corse all’ospedale e ansie accumulate, finalmente, anche se si trattava solo di esaudire un piccolo capriccio notturno, Paolo si sentiva di nuovo utile, per la prima volta dopo tanto tempo.
Arrivò finalmente al Carrefour. La distanza tra casa sua e il supermercato era breve, ma più che sufficiente affinché sembrasse appena uscito da una lavatrice senza centrifuga. Sentiva l’acqua colargli dai capelli, scendere lungo la schiena e infilarsi sotto la maglietta, ormai appiccicata addosso come una seconda pelle. Le infradito sbattevano contro il pavimento, producendo un suono stridulo e umidiccio ad ogni passo, lasciandosi dietro una serie di piccole pozze d’acqua.
Appena entrò, venne accolto da un clima siberiano. Folate gelide lo colpirono come frustate, facendogli rizzare i peli delle braccia e mandandogli un brivido lungo la schiena. Paolo era un grande estimatore dell’aria condizionata, per lui era sempre stata un’ancora di salvezza nelle torride giornate estive torinesi, un magico congegno capace di fargli dimenticare, anche se solo per qualche ora, i 35 gradi all'esterno. Ma non quella sera. Essere fradicio dalla testa ai piedi trasformava quel gelo, che in altre circostanze avrebbe accolto con sollievo, in una tortura glaciale. Le porte automatiche si chiusero alle sue spalle con un sibilo, lasciando fuori l'ultimo residuo di tepore estivo.
Estrasse il cellulare dalla tasca. Anche quello gocciolava, inzuppato quasi quanto lui. Sbloccò lo schermo con mani umide e leggermente tremanti, benedicendo chiunque avesse avuto l’idea di rendere impermeabili gli smartphone, e cercò di pulire la telecamera anteriore con la maglietta, ma era tutto inutile.
La sua immagine sfocata riflessa nel display non era un granché. Le luci fredde del supermercato, impietose, accentuavano il suo viso stanco e le occhiaie, che negli ultimi tempi erano diventate sue fidate compagne di vita; i ricci appesantiti dalla pioggia gli erano collassati sulla fronte, dando origine a piccoli rivoli d’acqua che gli scivolavano sul viso e sul collo, e la maglietta bianca bagnata gli si era incollata addosso, mettendo in risalto ogni curva e difetto. Paolo non aveva mai avuto un fisico statuario e la leggera pancetta che si era guadagnato negli ultimi anni non passava inosservata sotto il tessuto ormai semitrasparente. L’effetto vedo-non vedo era decisamente imbarazzante e poco lusinghiero. A quella vista, non poté fare a meno di pentirsi di non aver pensato di indossare una maglietta di un colore diverso. Forse una bella maglia scura sarebbe stata più clemente con la sua forma fisica. Per fortuna quello spettacolo inglorioso non sarebbe stato visibile nel video.
Si passò una mano tra i capelli nel tentativo di sistemarli e avvio la registrazione.
«Sono finalmente arrivato al Carrefour, l’ombrello purtroppo non ce l’ha fatta, ma io sono sopravvissuto... anche se dal video si può capire bene in che condizioni sono arrivato. Ora bisogna solo trovare la corsia giusta e potrò tornare a casa vittorioso con il mio tè.» Sorrise alla telecamera, agitando il pugno della mano libera per darsi carica.
Quando ebbe stoppato il video, Paolo notò che la guardia di sicurezza lo stava fissando e non era difficile capirne il motivo. Stava sgocciolando su tutto il pavimento e, con i suoi vestiti inzuppati, doveva sembrare più un naufrago che un normale cliente. Per non parlare del fatto che si era appena ripreso in video descrivendo le sue "gesta" come se fosse un eroe epico, quando in realtà era solo un uomo in procinto di fare la spesa. La guardia lo squadrava con un’espressione che mescolava disapprovazione e un certo sospetto, ma Paolo decise di ignorarla, puntando dritto verso la sua destinazione: la corsia 8.
Mentre camminava, le raffiche gelide dell'aria condizionata non gli davano tregua. Paolo sentiva il freddo entrare fino alle ossa, come se fosse avvolto in un mantello di ghiaccio. Ogni pelo del suo corpo si era rizzato per il gelo, e non solo loro: i suoi capezzoli si erano irrigiditi tanto da sembrare due piccoli chiodi che spuntavano al di sotto della maglietta bianca ormai semitrasparente, rendendo ancora più imbarazzante la situazione. Con un gesto istintivo, cominciò a strofinarsi il petto, sperando di scaldarsi un po’. Ma la cura si rivelò peggiore del male. Dopo averli sfregati, i capezzoli sembravano ancora più evidenti.
Si dice che in ogni supermercato notturno ci sia sempre un pervertito. Si tratta di una legge non scritta. Così come non ci può essere un cantiere senza un vecchietto ad osservarlo, così non può esistere una spesa fatta dopo le 2 di notte senza incontrare un maniaco sessuale. Paolo si guardò intorno nella speranza di adocchiare un uomo losco nascosto dietro un espositore, magari intento a fare cose strane con qualche ortaggio o a toccarsi con passione pensando alle offerte sulla frutta secca, ma non vide nessuno. Ciò poteva voler dire solo una cosa: il pervertito, quella notte, pareva proprio essere lui.
Fu mentre si guardava nervosamente in giro che incrociò lo sguardo della guardia di sicurezza, che lo fissava a braccia conserte e con espressione sardonica, come se aspettasse di vedere cos'altro avrebbe combinato. Paolo abbassò subito lo sguardo, sentendo le orecchie bruciare per l’imbarazzo, nonostante il freddo. Doveva smetterla di comportarsi come un pazzo e concentrarsi sulla missione.
Accelerò il passo, incrociando le braccia sul petto e ingobbendosi, nel tentativo di nascondere i suoi capezzoli e di trattenere un po’ di calore corporeo. Con quella postura da goblin, sfrecciò verso la corsia delle bevande, cercando di sottrarsi agli occhi attenti e derisori della guardia.
Dopo aver superato bibite gasate, acque toniche, aranciate, chinotti e numerose varianti della Coca-Cola, si trovò davanti a un muro di tè. Rimase immobile a fissare gli scaffali per interi minuti, mentre l’allegria sul suo viso svaniva pian piano. I suoi occhi passarono in rassegna tutte le bottiglie che aveva davanti a sé più e più volte, ma il risultato non cambiava: l’Estathè alla pesca non c’era. Al suo posto, sullo scaffale restava uno spazio tristemente vuoto e un beffardo cartellino rosso con una grande scritta che annunciava uno sconto del 50% su quel prodotto. C’era stata una razzia e Paolo era arrivato troppo tardi.
Era un’autentica tragedia. Sua moglie era molto esigente sulle marche di tè; tornare a casa con un tè qualunque equivaleva ad un fallimento e questo Paolo non poteva accettarlo.
«La vita stasera ha deciso di mettermi alla prova,» Disse Paolo, mentre inquadrava lo scaffale vuoto col cellulare. «L’Estathè è finito. Ma non ho affrontato una tempesta e il freddo glaciale di questo supermercato per tornare a casa con un misero San Benedetto. No, se dovrò beccarmi una bronchite, dovrà esserne valsa la pena! Magari qualcuno ha preso una bottiglia e poi ci ha ripensato e l’ha abbandonata da qualche parte. Controllerò ogni singolo scaffale di questo supermercato se necessario, ma uscirò da qui con il mio maledetto Estathè.»
Chiuse il suo diario digitale e, sospinto da un misto di determinazione e disperazione, iniziò a ripercorrere tutta la corsia 8, guardando attentamente ogni singolo prodotto, per poi fare lo stesso con tutte le altre corsie.
Stava scrutando tra barattoli di fagioli e verdure in salamoia quando, d’improvviso, sentì dietro di sé il rumore di un carrello della spesa che si avvicinava lentamente. Si voltò d’istinto e vide un vecchio che sospingeva con fatica un carrello stracolmo di prodotti di ogni genere. Paolo non poté fare a meno di chiedersi cosa ci facesse quell’uomo al supermercato nel bel mezzo della notte durante una tempesta, intento ad acquistare abbastanza cibo da poter sfamare un esercito. Forse era affetto da un’insonnia cronica o, più probabilmente, era un sociopatico che faceva la spesa a quell’ora per evitare ogni tipo di contatto umano.
Il giovane notò subito che, tra varie scatole di detersivo in polvere e una decina di barattoli di pelati, c'erano ben quattro bottiglie di Estathè alla pesca. Con un balzo di speranza, si avvicinò al vecchio, cercando di risultare quanto più possibile gentile ed amichevole.
«Scusi, signore,» esordì Paolo «non volevo farmi gli affari suoi, ma ho notato che ha varie bottiglie di tè. Potrei chiederle se per caso me ne darebbe una? Sono venuto in questo supermercato in piena notte proprio per quello, ma purtroppo sono finite.»
Il vecchio si voltò piano e lo fissò per un istante con lo stesso interesse con cui si osserva una macchia di umidità sul muro di un ufficio postale.
«Mi dispiace, ma queste sono tutte per me.» Disse brusco e, senza aggiungere altro, si voltò a guardare i prodotti sullo scaffale di fronte a sé e ad afferrare barattoli su barattoli.
Paolo rimase sorpreso da quel rifiuto inaspettato, ma non aveva intenzione di arrendersi. Fece un respiro profondo e decise di provare a spiegare meglio la situazione in cui si trovava, sperando di intenerire l'uomo.
«Capisco, ma la prego, mi ascolti un momento,» disse, passandosi nervosamente una mano tra i capelli bagnati «non è per me, ma per mia moglie. È incinta e le ultime due settimane sono state davvero difficili. Abbiamo persino dovuto cancellare le vacanze che avevamo programmato perché ha rischiato di perdere il bambino ed è stata ricoverata in ospedale per molti giorni. Finalmente ieri è stata dimessa ed è potuta tornare a casa, ma, anche se dice che sta bene, lo vedo che è preoccupata e ha paura. Tutto ciò che voglio è alleggerire il suo cuore e renderla felice, anche solo con un piccolo gesto apparentemente insignificante, come portarle il suo tè preferito. Mi basterebbe una sola bottiglia, una soltanto.»
Mentre l’uomo parlava, il vecchio spostava continuamente lo sguardo dal suo interlocutore all’orologio che portava al polso, come se quel contrattempo lo stesse facendo tardare per qualche appuntamento improrogabile. Paolo non riusciva a trattenere un’ondata di irritazione: cosa mai poteva avere da fare di così urgente un pensionato alle 3 di notte, di domenica, durante la settimana di Ferragosto? Doveva forse correre ad un raduno di mummie? O c’era una tombolata per vecchi insonni alla RSA dietro l’angolo? Nonostante sentisse la rabbia crescere dentro di sé, Paolo riuscì a mantenere il controllo e a concludere il discorso con la stessa calma educata con cui aveva iniziato.
Quando ebbe finito di parlare, il vecchio alzò lo sguardo e lo fissò con gli stessi occhi annoiati ed inespressivi di prima. "Capisco la situazione, ma come ho detto, non le darò nulla. Mi spiace." Rispose, glaciale, senza dimostrare un briciolo di empatia.
Prima che Paolo potesse replicare in alcun modo, il vecchio gli diede le spalle e riprese a spingere il carrello, allontanandosi lentamente tra gli scaffali.
Il ragazzo restò lì, sconcertato, a guardarlo andar via, incapace di credere a quanto fosse appena successo. Sentì una rabbia cieca montargli dentro. Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni fino a sentire le unghie affondare nei palmi. Dentro di sé avvertiva una sensazione familiare: l’impotenza. Ma quella volta Paolo non aveva intenzione di lasciarsi sopraffare, non quella notte, non dopo tutto quello che aveva sopportato, non dopo essere stato così vicino alla vittoria. No, avrebbe fatto qualcosa.
Una scintilla di risolutezza si accese nei suoi occhi. Prese il suo smartphone e, furibondo, si sfogò all’interno del suo diario virtuale.
«Non ci posso credere! Ho chiesto a un vecchio se potesse darmi una bottiglia di Estathè, dato che ne aveva ben quattro, e lui ha avuto il coraggio di dire di no. Avevo ragione a pensare che fosse un vecchio stronzo sociopatico. Che diavolo se ne fa di tutto quel tè? Se non sta attento, con tutti quegli zuccheri gli sale anche la glicemia! E dire che gliel’ho chiesto con gentilezza, gli ho anche spiegato che è per mia moglie incinta. Niente, non ne ha voluto sapere!»
Paolo fece una pausa, ansimando dalla frustrazione, poi guardò dritto nella telecamera del telefono. «Ora basta, mi sono stancato. Ho provato con le buone, ora è il momento di passare alle cattive. Aspetterò che arrivi alla cassa e che metta le bottiglie sul nastro, poi ne afferrerò una e correrò via. Ma siccome rubare è sbagliato, non commetterò un furto. No, lascerò cinque euro che serviranno a pagare sia il tè che i danni morali che subirà quel vecchio bastardo.»
Tirò fuori dalla cover del telefono una banconota da cinque euro un po’ umida e la sventolò davanti alla telecamera.
«Non volevo arrivare a questo punto, ma il destino non mi lascia altra scelta.» Fece una pausa drammatica durante la quale fissò intensamente l’obiettivo della videocamera, poi interruppe la registrazione e si preparò a mettere in atto il suo piano criminale.
Si appostò dietro uno scaffale vicino alle casse automatiche. Il cuore gli martellava nel petto come se si stesse preparando a perpetrare il furto del secolo all’interno di un caveau impenetrabile.
Il vecchio, ignaro di ciò che stava per succedere, imbustava le sue conserve con la lentezza esasperante di chi ha ormai solo tempo da perdere.
"Maledizione, quanto tempo ci mette?" pensava Paolo, mentre l'adrenalina gli scorreva nelle vene.
Ogni secondo di attesa era una tortura. Le sue mani iniziarono a sudare mentre la mente si riempiva di scenari apocalittici. Si vedeva già, ripreso dalle telecamere di sorveglianza con la faccia zoomata in primo piano. Nei titoli del TG locale avrebbero mostrato la scena del furto in loop, mentre un conduttore si sarebbe lamentato di quella gioventù perduta, dai valori morali corrotti, senza rispetto per gli anziani. Il servizio avrebbe intervistato il vecchio, descritto come una vittima indifesa di un furto crudele, raccontando l’umiliazione subita e mostrando la sua espressione contrita davanti alle telecamere.
Immaginava già i titoli sui giornali: "Giovane trentenne arrestato per furto di Estathè"; e poco sotto, accanto all’articolo, ci sarebbe stata una foto di lui con sguardo colpevole, capelli scompigliati, maglia bianca bagnata e capezzoli turgidi. Sarebbe finito in tribunale e la sua fedina penale sarebbe stata irrimediabilmente macchiata per sempre. Si immaginò sua madre e sua moglie in lacrime in aula mentre il giudice emetteva una condanna esemplare.
Suo figlio, cresciuto senza una figura paterna, sarebbe diventato un bambino ribelle, poi un ragazzo problematico ed infine un piccolo spacciatore o, peggio ancora, un trapper.
Il panico gli fece quasi tremare le ginocchia, e per un attimo si sentì sopraffatto, come se tutto potesse crollargli addosso.
Non poteva permettersi di perdere la testa. Si assestò due schiaffoni sulle guance, per scacciare via quei pensieri senza senso. Doveva restare concentrato, non c’era tempo per ripensamenti o esitazioni, il momento decisivo era vicino.
Appena il vecchio si distrasse un attimo per sistemare l’ennesimo barattolo in una busta troppo gracile per poter trasportare tutto quello scatolame, Paolo scattò come un fulmine. Con un solo, preciso movimento, afferrò al volo uno degli Estathè. Il contatto freddo della bottiglia contro la sua mano era preludio dell’imminente vittoria. Con altrettanta rapidità, lasciò cadere la banconota da cinque euro nel carrello, che planò con un lieve fruscio tra le varie provviste.
«Ehi! Maledetto ladro!» urlò il vecchio, sobbalzando per la sorpresa e iniziando a scagliare contro di lui una serie di insulti irripetibili. Ma il ragazzo era ormai lanciato in volata, con le infradito che schiaffeggiavano il pavimento e una sensazione di trionfo e rivalsa che lo facevano sorridere come un idiota.
La guardia, fortunatamente, era ancora intenta ad asciugare le scie d'acqua che Paolo aveva lasciato dietro di sé percorrendo avanti e dietro ogni corridoio del supermercato, quindi nessuno lo fermò mentre varcava la soglia delle porte automatiche e si lanciava fuori, sotto la pioggia battente.
All’esterno, il temporale continuava ad imperversare, seppur con meno furia rispetto a prima. Paolo, però, non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Correva con le ginocchia alte e le dita dei piedi tese, cercando disperatamente di non farsi sfuggire le infradito che sembravano voler volare via a ogni passo. Rischiò di cadere rovinosamente un paio di volte, ma alla fine, in qualche modo, arrivò sano e salvo sotto il portone del palazzo. Nessuno lo aveva seguito, nessuno lo aveva fermato. Stringeva nella mano la bottiglia di Estathè alla pesca, trionfante.
«Missione compiuta!» Esclamò, ansimante ma euforico, mentre, con lo schermo del suo telefono davanti a sé e un sorriso a 32 denti stampato in faccia, inquadrava con orgoglio il suo prezioso bottino.
«Non potrei essere più felice di così,» continuò con voce ricolma di gioia «Non solo perché ho portato a casa questo benedetto tè, ma perché finalmente, dopo tanti giorni difficili, posso tornare a scrivere una pagina allegra in questo diario.» Fece una pausa, lo sguardo si abbassò un istante mentre rifletteva. «Come ben sai, l’ultimo periodo non è stato facile. Tua madre è stata davvero male, non sapevamo cosa sarebbe successo. Ma adesso sento che il peggio è passato!» sollevò di nuovo la bottiglia verso la telecamera, simbolo della sua rivalsa contro il mondo. «Ti prometto che, da ora in poi, ci saranno tante avventure stupide e divertenti come questa. Magari, un giorno, ci sarà anche tua madre a partecipare.»
Paolo abbassò leggermente il tono della voce e si guardò intorno, quasi a volersi assicurare che nessuno lo stesse ascoltando. «Per il momento, però, questo diario deve restare un segreto, altrimenti mi ammazza! Superstiziosa com'è, mi direbbe che porta sfiga fare un diario per te quando potresti... beh, insomma...»
Si fermò per un momento, poi riprese. «Sai, in origine ho iniziato a tenere questo diario per raccogliere i miei pensieri. A volte, nei momenti più difficili, di ritorno dai vari controlli in ospedale, quando tornavamo a casa con il cuore a pezzi, sentivo il bisogno di sfogarmi, di urlare, piangere, imprecare e disperarmi; ma non volevo pesare su tua madre, che aveva già i suoi dolori da affrontare. Per lei ho sempre cercato di essere forte e ottimista, perché so che è ciò di cui ha bisogno. Anche se, a volte, il mio ottimismo a tutti i costi, come lo chiama lei, la fa imbestialire più di quanto tu possa immaginare.»
Paolo fece una piccola pausa, poi riprese il filo del discorso. «Insomma, che fosse per dare voce alla mia tristezza o al mio immotivato ottimismo che tanto infastidisce la mamma, avevo preso l’abitudine di registrare questi brevi video-diario. Col passare del tempo, però, questo è diventato molto più di un semplice sfogo. Ho iniziato a collezionare ricordi delle piccole avventure e delle cose stupide che facevo e ho pensato che sarebbe stato bello rendere tutto questo un regalo per te. Così, un giorno, quando sarai abbastanza grande, potremo rivedere insieme tutte queste avventure: io, te e la mamma. Sarà come un viaggio nel tempo, un modo per ricordare quanto amore ci unisce e per farti conoscere il tuo papà in un modo diverso.»
Paolo sorrise di nuovo, lasciando trasparire l’amore profondo che provava per il figlio in arrivo. «Ora devo andare, la mamma mi aspetta e devo assolutamente raccontarle delle mie peripezie notturne. Alla prossima avventura, Leo. Ci vediamo presto.» Con un ultimo sorriso, spense la telecamera.
Quando varcò la soglia del palazzo, la pioggia era ormai cessata e la città era piombata di nuovo in un silenzio assoluto, interrotto solo dal rumore delle ultime gocce d’acqua che si staccavano pigre dai balconi e dai rami degli alberi per tuffarsi nelle enormi pozzanghere che il temporale aveva lasciato dietro di sé.
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Dedicato a mio fratello e al piccolo Leo.