STOP TECNOLOGY
Ed eccomi qui, distesa sull'asfalto di una strada trafficata. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. Nessuno avrebbe potuto.
Sono un oggetto comune, il più delle volte quasi invisibile per la maggior parte delle persone; eppure mi trovo ovunque e spesso accompagno gli umani per tutto l'arco della loro vita.
Sono nelle scuole, negli ospedali, nei tribunali, nei cimiteri, nei musei, nei campeggi... viaggio negli zaini, nelle tasche, nelle valigette di pelle, riposo in vecchi barattoli di caffè vuoti, nei bicchieri di plastica, a volte sono persino incatenata al muro o alla scrivania di qualcuno per non essere portata via da qualche umano distratto.
Tengo la mano ai poveri, ai ricchi, ai felici e infelici, ai professori, agli studenti, ai giudici, ai medici, alle casalinghe, ai musicisti, agli scrittori, ai poeti...
Come penna, ho scritto di tutto, dai moduli più austeri alle lettere d'amore. Ma non sottovalutatemi: ho anche un mio carattere. A volte mi nascondo, a volte non ho voglia di scrivere, mi blocco o funziono a singhiozzo, oppure mi perdo e giaccio in un angolo buio e nascosto, a volte anche per anni, fino a quando qualcuno non si prende il disturbo di cercarmi.
Fortunatamente il mio ultimo padrone non è tipo da dimenticarmi o farmi restare a lungo in solitudine. Lui sembra amare solo due cose, scrivere e ascoltare musica. Non è il tipo che corre dietro alla moda tecnologica, scrive quasi sempre a mano, su qualunque superficie vagamente scrivibile.
Ricordo ancora quando si svegliò nel bel mezzo della notte e, non trovando un foglio di carta degno di questo nome nella confusione della scrivania, prese con urgenza un bloc-notes giallo e cercò di farci stare un intero capitolo del suo romanzo, scrivendo le lettere nel formato più piccolo che riusciva a creare. Fu alquanto buffo essere partecipe di tutto ciò.
Come dicevo, il padrone non è mai stato un fanatico di tecnologia e rinuncia di malavoglia agli strumenti che gli sono familiare per qualcosa di più moderno, ma alla fine anche a lui tocca scendere a patti.
Pian piano cambiò le sue musicassette in cd e la vecchia radio con mangia nastri fece posto a un lettore; anni dopo anche quelli sparirono, ormai consumati e rotti, e comprò Lei.
Anche Lei era una penna, ma non del genere che scrive. Il suo compito era quello di immagazzinare i file musicali scaricati dal pc.
Che rivelazione! Non ci stancavamo mai noi tre. Era così bello poter scrivere ovunque con un sottofondo musicale, senza dover aspettare di tornare a casa per scegliere quello più adatto. Anzi, spesso era proprio Lei, con i suoi numerosi album, a far scattare la scintilla. Ed eccoci intenti a creare scene piene di movimento, mentre viaggiavamo in autobus, ascoltando a tutto volume musica elettronica; insieme potevamo descrivere epiche battaglie, ascoltando metal in un giardino pubblico, o scrivere placide conversazioni, seduti sul divano di casa, con il gatto addormentato a fianco, mentre si diffondeva una tranquilla melodia composta da pianoforte e violini.
La notte riposavamo tutti e due sul comodino, vicino al letto del nostro padrone.
Era tutto perfetto. La vita aveva il suo ritmo, eravamo felici in un modo che non lasciava spazio ad altre richieste.
Poi qualcosa iniziò ad andar storto. Lei incominciava ad avere problemi: a furia di essere usata, i pulsanti non rispondevano più bene e, se si abbassava il volume, poi Lui ci metteva quasi cinque minuti ad alzarlo.
Ma non era solo quello il problema: un giorno il padrone invitò un suo amico e sentii una conversazione poco piacevole.
L'amico lo prendeva bonariamente in giro perché da dieci anni aveva lo stesso cellulare, oramai non più al passo con i tempi. Il padrone rispose che avrebbe avuto bisogno anche di un nuovo mp3, possibilmente uno che non gli facesse sprecare tante pile ogni mese.
Smisi istantaneamente di ascoltare. Sapevo cosa voleva dire.
Gli esseri umani sono così volubili, danno l'anima a qualcosa per poi gettarla via non appena questa non serve più o li ha stancati.
Non potevamo farci niente. Lei ed io passammo i giorni che ci restavano facendo finta di nulla: non valeva la pena guastare il tempo assieme con inutili tristezze. Fino a quando accadde: un giorno Lei sparì e al mio fianco fu messo uno smartphone bianco, dall’aspetto freddo e sterile.
Fu odio a prima vista: il nuovo aggeggio non aveva nulla della morbida eleganza della sua predecessora, sembrava più che altro uno squallido mattone, mezzo affogato nella vernice. Non so come il nostro padrone facesse a sopportarlo. Improvvisamente il suo, il NOSTRO, lavoro era costantemente interrotto. E-mail, telefonate, segnalazioni, sms e aggiornamenti irrompevano nella nostra vita ogni tre per due.
Una vita a singhiozzo che non ero disposto a tollerare.
Purtroppo il padrone era talmente soddisfatto di me che, invece di gettarmi non appena l'inchiostro finiva, sostituiva la carica. Non mi avrebbe lasciato andare facilmente. Ma io non potevo più sopportare quella situazione: senza di Lei la mia vita non aveva più senso.
Un giorno, come sempre, il padrone attraversò la strada che lo portava a casa; quella volta per la fretta mi aveva messo in tasca, assieme a un pacco di fazzoletti, che prese proprio mentre stava sulle strisce pedonali. Non fu difficile sbilanciarmi fuori...
Ed eccomi qui, distesa sull'asfalto di una strada trafficata. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. Nessuno avrebbe potuto, penso, mentre il semaforo da rosso diventa verde.
31/01/2016
Ciao, grazie per aver letto fino a qui, se ti è piaciuta la storia, lascia un commento, mi farebbe molto piacere.