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Autore: Maura85    30/05/2005    6 recensioni
Questa fic mi è stata chiesta da molti, dopo che ho messo in scena il personaggio di Kisala, figlia di Sesshomaru e Rin... è una creatura che apprezzo molto e che sto imparando a caratterizzare... quindi non aspettatevi un granché da questa storia, altro non è che un semplice esperimento, e una raccolta delle avventure che la fanciulla potrebbe vivere... che ne dite vi piace? E' da proseguire? Se avete suggerimenti, sapete che sono bene accetti! ;)
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO

“Non ti muovere!”
La campagna ondeggiava sinuosamente, mossa dal soffio di un Eolo quel giorno particolarmente in forma; il grande prato sui cui si erano fermati, sulla parete di una tondeggiante e simpatica collinetta, rispose a quello stimolo, increspandosi come un mare verde.
Anche la chioma di Kisala era unita alla danza, e ciò non dava altro che fastidio al povero Makau, che dalla sua postazione si ritrovava sempre con qualche ciocca malandrina in bocca.
“Accidenti, tieni questo mucchio selvaggio!” ordinò, continuando a maneggiare la grezza stoffa verde. “Non vedo nemmeno cosa sto facendo!”
“Scusa, Makau.” mormorò la mezza demone; già da prima aveva tentato di catturare tra le lunghe dita quanti più capelli poteva, ma qualcuno riusciva sempre a sfuggirle, tornando in faccia al suo nuovo amico, accucciato proprio dietro a lei. E il suo lavoro, legarle attorno ai fianchi quel po’ di stoffa che avevano acquistato da una viandante, richiedeva un po’ troppa concentrazione per permettergli di lottare anche contro quei fili così simili a seta.
“Nascondere questa coda è un problema più complicato del previsto.” borbottò il ragazzo, svolgendo il telo e provando ad avvolgerlo in un altro modo, così che sembrasse una normale gonna sopra i pantaloni, e non un geniale espediente per celare quella massa di pelo corvino. “E vorrei fare in fretta: se arrivasse tuo padre e mi vedesse così…”
Kisala si irrigidì, cosa che avvertì anche dalla sua postazione; non seppe bene come, ma lo avvertì.
“Mamma ha promesso di tenerlo a bada; non mi seguirà più.” Spiegò infine, una volta ricacciata dentro tutta l’aggressività in eccesso. “Ma è proprio necessario nasconderla? Mi hanno sempre detto che è molto elegante…”
“Lo è, infatti… da un peloso punto di vista.” strinse un laccio, togliendole un po’ di respiro. “Ma se vuoi passare per un normale essere umano…gli esseri umani non hanno la coda, sai?”
“Lo so.” ribatté, quasi offesa da quel mettere in dubbio le sue conoscenze. “Infatti, mi sono sempre chiesta come facciate…”
“Come facciamo, che cosa?” Si rialzò, asciugandosi un po’ di sudore sulla fronte e ammirando la sua opera: ora sembrava che lei avesse un enorme fondoschiena, ma almeno nessuno avrebbe sospettato la presenza di una coda.
In piedi era alto almeno un palmo più di lei; era abbastanza muscoloso, con capelli color fuoco e occhi castani, grandi.
“Come facciate a mantenere l’equilibrio.”spiegò la giovane, facendo un paio di giri su sé stessa e sperimentando il movimento del suo nuovo capo di vestiario. “Sembrate così traballanti…”
“Traballanti? Non…” ma non fece neppure in tempo a dire ‘… è vero’, che un suo semplice colpo d’indice lo spedì a terra, causandogli una poco simpatica zuccata. “Visto? Vi basta un nonnulla, e cadete.” Spiegò con innocenza del tutto sincera. Allungò una mano per aiutarlo, e lui di malavoglia l’accettò.
“Non sono caduto perché ho carenza di equilibrio, ma perché hai la forza di tre elefanti! E la prossima volta che vuoi fare esperimenti, ti prego di trovarti un’altra vittima!”
“Sì, come vuoi tu.” fece spallucce, e lui scoraggiato intuì che non aveva capito una sola parola del discorso.
“Dai, andiamo…” Fece svogliatamente.
“Al villaggio? Mi porti davvero al villaggio degli uomini?”
“Ma sì, te l’ho già detto… NO! COSA FAI?”
La coda di lei era letteralmente esplosa, sciogliendo ogni nodo della stoffa, e ora, trionfante, si agitava per l’aria, in un eccitato scodinzolio.
“Devi tenerla ferma, ti ho detto! FERMA!” l’afferrò, ma l’arto non volle saperne di essere fermato, costringendolo a volare da destra a sinistra. “Aiuto!”
“Scusa Makau, è che quando sono felice non riesco a controllarla…”
“Se proprio vuoi fare il cane, sii almeno obbediente! Cuccia!” ma di obbedienza la coda non ne voleva sentir parlare, e così, con un ulteriore, violento movimento, spedii il povero ragazzo qualche metro più in là, e le innocenti orecchie di Kisala furono risparmiate da esclamazioni che è meglio non trascrivere.

Come ogni straniero che entrava in quel piccolo villaggio a fondo valle, anche questi due giovani furono scrutati attentamente, non tanto per sospetto quanto per semplice curiosità, e dopo un primo esame vennero ovviamente bollati come innocui… ma non certo indifferenti, soprattutto per la singolare bellezza di lei.
“Un villaggio di esseri umani!” sussurrò Kisala, guardandosi attorno con due occhi grandi così, e restituendo ampiamente la curiosità ai paesani.
Vivendo in semplici e modeste case, e il centro era attorniato dai piccoli orti coltivati in modo ossessivo, che però non davano mai abbastanza frutti da riempire abbondantemente tutte le pance.
“Smettila di guardarli così, o li spaventerai… cerca di essere normale, non farti notare. E ricordati: stiamo qui pochi munti, va bene?” fece qualche passo, e poi gli venne un sospetto, purtroppo confermato non appena si girò a cercarla: lei non era più accanto a lei. “Kisala?”
“Makau, guarda!” il suo urlo gioioso e un altro urlo, un po’ meno gioioso, gli fece venire i brividi al solo pensiero di voltarsi; ma dovette farlo lo stesso, per trovare la sua nuova compagna di viaggio che, trionfante, reggeva per la caviglia a testa in giù un moccioso. Quest’ultimo non era molto felice del trattamento, e strillava come un’aquila. “Ho trovato un cucciolo!”
“Mettilo giù!” Più che un ordine era un’implorazione, alla quale lei decise di non prestare orecchio, sventolando come una bandiera il bambino e osservando come una zoologa le reazioni.
“Ehm…” una voce azzardò dietro di lui. “Quello sarebbe mio figlio…” Era una signora quella che parlava, una signora accorsa non appena quella stramba straniera aveva catturato il suo terzogenito.
“E’ veramente interessante!” Forse Kisala pensava di fare un complimento, ma in effetti sembrava che si stesse studiando il moccioso per la cena. Per Makau ciò che contava era che lei finalmente lo avesse restituito alla titubante genitrice.
“Cosa vi porta da queste parti, stranieri?” un vecchio, molto più probabilmente il più anziano del paese, si era deciso ad intervenire, intimando con cenno del capo alla donna e a suo figlio di sparire. Li osservò con attenzione, non mancando di soffermarsi per qualche secondo in più del dovuto sulle iridi color miele di lei.
“Noi… ehm, noi volevamo acquistare della… ehm, qualcosa.” In effetti, Makau non si era preparato nessuna scusa plausibile, e adesso ciò gli sembrò molto stupido
. “Ahimé, poco abbiamo per noi, nulla da vendere.” sospirò il vecchio. “La costruzione della diga sul fiume va molto a rilento, ed è già tanto se non moriamo di fame.”
“Oh, ma è terribile!” l’urlo della fanciulla era stato così forte che non pochi pensarono ad una presa in giro.
“Sì è un vero, peccato, ma è meglio se ora andiamo…” lui fece per tirarla via, ma ovviamente Kisala con naturalezza gli appoggiò l’indice sul petto; ed un altro volo a terra gli fu inevitabile.
“Cosa blocca la costruzione della diga?” Domandò la ragazza, ignorando o non comprendendo lo sguardo sconvolto dell’anziano, posto su un borbottante e dolorante Makau.
“Uno… uno spettro dispettoso, continua a buttarla giù…”
“Tutto qui? Dov’è la diga? Come la costruite? Perché? Come state in piedi senza coda?”
“Coda?”
Continuando a conversare, si spostarono verso il fiume e i lavori per la diga, seguita da Makau e dal suo bernoccolo.

Era piccolo e rugoso, con qualche spruzzo di pelo grigio sulle sopracciglia e sugli arti; camminava su tozze zampette caprine, motivo ripreso dalle arcuate corna che crescevano ai lati della testa. Un ghigno giallo, sporco, si apriva sul volto, macchiato di sangue.
“Che schifo.” osservò Kisala, estraendo con una lentezza tutta del Principe dei Demoni la spada che tanti anni prima era stata costruita apposta per lei. “Ehi, spettro! Perché importuni questo villaggio?”
Lui dapprima non risposte, comodamente seduto su di un tronco posto in mezzo al fiume. Fissò con ripugnante avidità quella bella ragazza, sorseggiando qualcosa dalla fiaschetta che teneva legata al fianco.
“Sono loro che importunano me.” spiegò infine, con voce bassa. “Il fiume è mio, e faccio ciò che voglio.”
“Se continui a bloccare i lavori della diga, moriremo di fame!” il vecchio si gettò in ginocchio, prostrandosi.
Quasi tutti gli abitanti del paese li avevano timidamente seguiti e ora, più da lontano, osservavano con preoccupata curiosità quella fanciulla che non accennava minimamente ad inchinarsi di fronte al temibilissimo Spettro delle Acque.
Le rosse labbra di lei era incrinate in un sorriso divertito: una creatura cresciuta e allenata da Sesshomaru se li mangiava a colazione, gli spettri di quel genere.
Makau si avvicinò a lei, un po’ preoccupato per la piega che aveva preso la vicenda: “Suppongo tu voglia affrontarlo… non credi che questo risulti… sospetto?”
“Forse, ma non lascerò queste persone sole ed indifese… in guardia!” brandì la spada, puntandola contro di lui, e avvicinandosi attentamente, la stoffa attorno ai fianchi che le impediva di poco i movimenti, i capelli ondeggianti che donavano quasi un’aria soprannaturale a quella gracile fanciulla.
“Ma cosa fa?” si disperò il vecchio, eppure un braccio di Makau scattò davanti al suo petto, bloccando ogni sua intenzione di intervenire.
Non disse nulla; semplicemente scattò, le agili gambe che trovavano con estrema sicurezza ogni possibile luogo d’appoggio. Scattò verso quella creature la quale, dopo averla fissata con ostile divertimento, iniziò saggiamente a preoccuparsi.
“Ehi, cosa fai…? Cosa…?” ma non ebbe tempo di urlare altro, quando la spada di lei lo raggiunse sulla sommità del capo, tagliandolo con sadica precisione in due esatte metà; non perse sangue, non agonizzò: divenne polvere, polvere vecchia di secoli, che un provvidenziale soffio di brezza badò bene di spazzare via subito.
Kisala si voltò con un allegro sorriso verso quelle donne, quegli uomini, quei bambini.
Un boato di trionfo esplose.
Un’ovazione che giunse sino ai paesi vicini.
“Grazie, grazie!” l’anziano capo era davanti a tutti, in ginocchio, in lacrime, che baciava con reverenza un candido palmo di lei; tutti gli altri la circondarono presto, urlando di gioia, i bambini sulle spalle dei padri, le mogli strette ai mariti.
Lo spettro era sparito, lo spettro era sparto grazie a quella strana ma potente fanciulla venuta da chissà dove! Finalmente la diga sarebbe stata costruita, finalmente la fame sarebbe stato un lontano ricordo… e tutto questo grazie a lei!
Era così felice…
“Mamma, guarda!” la vocetta del bambino a fatica raggiunse l’attenzione dell’interpellata, che comunque volse lo sguardo in cerca di ciò che il figlio le indicava. “Guarda che bello, ha una coda!”

Qualche minuto dopo, mentre la stringeva per un polso e correva via, evitando pietre lanciate con la massima ferocia e precisione, Makau non mancò di insultare Kisala, forse non troppo consapevole della situazione, ma ancora scodinzolante.
Mentre fuggivano in tutta fretta dalla folla inferocita, con lei che, forse cieca alle pietre?, ancora protestava per la partenza frettolosa, ebbe il tempo per girarsi un solo attimo, e scorgere la figura che stava apparendo nel centro del paese.
L’uomo, dai lunghi capelli argentati e ricche vesti, alzò l’arma e osservò con silenziosa rabbia quella persone, che solo ora lo avevano notato.
“Avete trattato male la mia bambina.”
A quel punto, Makau ebbe ancora più buoni motivi per correre come mai in vita sua.

“Io ancora non capisco.” Kisala gettò da parte l’osso di cervo (tre, se n’era mangiati tre, e sosteneva d’avere ancora fame…), e fissò con aria metidabonda le stelle che lentamente attraversavano la volta celeste.
Makau le rivolse un’occhiataccia.
“Se solo avessi evitato di scodinzolare… ma non ti vergogni di avere le stesse reazioni di un cane?”
“Li avevo appena aiutati… insomma, anche se sono un mezzo spettro… beh li avevo appena salvati no?”
“Li hai sentiti che hanno detto, che avevi ucciso quello spettruncolo da nulla per rubargli il posto e vessarli più di prima…”
“Mi sembra una scusa.” poggiò la schiena contro una pietra, e chiuse gli occhi, godendosi il profumo della notte.
Makau non rispose, dato che anche i suoi pensieri coincidevano con quella teoria; ma dirglielo forse l’avrebbe fatta star male, così come rivelarle che ancora una volta suo padre la teneva costantemente d’occhio.
“Sai? E’ strano, da quel villaggio arriva odore di… sangue umano?” riaprì di scatto gli occhi d’ambra, guardandolo con preoccupazione. Beata innocenza…
“Magari una pietra ha colpito qualcuno.” fece a fatica spallucce, cercando di darle le spalle, così che la sua espressione non tradisse la sua menzogna.
“Speriamo non si sia fatto male.”
“Ho come il dubbio che nessuno là sentirà mai più del male…”
Ma lei era già lontana, vagando nei pensieri come un poeta romantico; dopo poco chiuse gli occhi, addormentandosi quietamente. Makau, al solo pensiero che il Principe dei Demoni potesse osservarlo da qualche parte nel cielo, neppure si azzardò ad avvicinarla per coprirla.

Sesshomaru riapparve sulla soglia del castello; chinò il capo sulla spada sporca di sangue, e sullo sfondo dei capelli morbidamente ricaduti in avanti ghignò con soddisfazione. Anche per quella volta, giustizia era stata fatta.
  
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