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Autore: sicurakiarasi    26/09/2009    2 recensioni
Marco ed Eva non si sono piú rivisti dopo il finale della seconda serie. Lei é partita e ognuno dei due ha seguito la propria vita, senza mai incontrarsi... Fin quando un giorno...
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I vestiti appena lavati, ancora caldi per l'asciugatrice, erano appoggiati rigorosamente sul letto, giá piegati in pile e pronti per essere riposti.

Il beauty-case era stato solo momentaneamente aperto, per ricaricarlo di una nuova boccetta di profumo e un'altra tavoletta di sapone. Il porta spazzolino-dentifricio era chiuso e di nuovo riposto via, dopo avre preso un po' di aria solo la sera prima.

Gli altri vestiti, quelli che erano giá puliti, erano ancora all'interno della valigia aperta, ancora accanto al letto, ancora abbastanza piena.
C'erano ancora le riviste comprate, in francese, a Parigi. C'era il libro di Goethe comprato, con felicitá, ad Amburgo. C'era il nuovo Newsweek, preso qualche giorno prima, a New York. C'era un Glamour in spagnolo, giusto per sapere cosa si sarebbe dovuta comprare a Milano. Per un ricordo di quel Paese, di cui a malapena conservava la carta d'identitá.

E allora aveva fatto anche uno scappo a casa.
Giusto un giorno.
Giusto per dire che é ancora quella, casa sua.

Falsa.

Bugiarda.

Ormai se n'era dimenticata, di com'era fatta casa sua.

Erano passati anni, in fondo.

Tanti anni.

Allora forse non si sarebbe dovuta stupire di trovare quella casa, una volta dinamica e piena di gente, completamente desolata rispetto a quanto si ricordasse.

La sua camera, vuota. Le due magliette che lei aveva lasciato, che tanto non voleva piú.
Ma stavolta non c'erano piú neanche gli abiti della sorella.
I letti entrambi vuoti, senza lenzuola né coperte.
Le pareti tutte rosa, senza foto né libri.

Erano passati troppi anni.

La camera che una volta accoglieva tutti i suoi fratelli era solo di poco piú viva.
C'era solo un letto che era fatto, c'era solo un armadio che era ancora pieno.
Peró era tutto diverso. Non c'erano Gormiti o pupazzi. C'era un poster di Playboy appeso al muro e le chiavi di scorta di uno scooter.
Gli altri letti, vuoti e senza vita, erano forse solo a volte testimoni di serate fra amici.

Scese le scale, non c'era neanche piú la sedia sulla quale aveva passato gli ultimi momenti in cui abitava lí.

Anche il salotto era diverso. Il divano era cambiato, piú piccolo, spostato. Non c'erano piú 20 persone al giorno nello stesso edificio.

Poi l'aveva notata, una foto che allora non c'era. Non era lí. Non era mai stata parte della "casa". Era stata sempre parte della sua scatola che teneva in quell'appartamento enorme che aveva a Manhattan, se n'era dimenticata che anche lui ne aveva una copia.

Evidentemente, quando se n'era andato, l'aveva lasciata lí, simbolo della fine.
Della fine di quel sorriso che nella foto era vivo, vivo come solo allora poteva essere, mentre lui suonava la chitarra e le scostava una ciocca di capelli, sulla spiaggia.

Erano passati troppi anni da allora.

Un'occhiata all'orologio le fece tornare in mente i suoi impegni. Smise di osservare quella foto che giá conosceva a memoria e salí di nuovo nella camera. Aveva giá disfatto di nuovo il letto, esattamente come lo aveva trovato. Morto, senza niente e nessuno.

Infiló nella valigia quegli abiti che ancora aspettavano fedelmente il loro momento, sistemó il beauty-case, e si guardó velocemente in giro. Scrivania vuota. Armadio ancora con quelle stesse magliette che erano rimaste lí per anni.
Con un gesto sicuro, prese anche quelle ultime cose e le mise in valigia, certa che il peso non sarebbe stato eccessivo.

Erano passati troppo anni da quando le aveva lasciate lí.

Ora anche il suo armadio era completamente vuoto, come quello di tutti gli altri.

La camera era spoglia, e grazie a questo capí di aver finito.
Era un po' in anticipo.
Ma non vedeva l'ora di andersene.

Sua madre non ci credeva che sarebbe venuta lei, a trovarla.
Non la vedeva quasi piú, ormai. E quando l'aveva vista era sempre stato a New York.

Non aveva piú voluto tornare in quelle mura. Pensava che avrebbe visto troppe cose. Troppe persone. Troppi ricordi.

Illusa.

Erano passati troppi anni da allora. Nulla era piú come lo aveva lasciato.

Non aveva neanche osato chiedere, fare domande. Su di lui. Sugli altri.

Il padre di lui l'aveva abbracciata, sempre contendo di vederla.
Ovvio. Per lui, la sua partenza aveva voluto dire nessun altro pericolo per la famiglia.
Era andata esattamente cosí. A ripensarci, avevano fatto tutto un pandemonio per una storia che, in tutto, dal punto di vista effettivo, era durata giusto giusto poco piú di un mese. Una storiella, insomma. Peccato che poi c'erano tutti quegli stupidi sentimenti che non l'avevano mai abbandonata.

L'aveva colpita una frase, soprattutto. Un "Che coincidenza, anche tu qui!" che l'avea lasciata perplessa.
Perché allora si aspettava di trovare un altro dei suoi fratelli in casa. Invece no, non c'era nessuno, tranne il piccolo che ormai era cresciuto.
E poi sua madre, che aveva subito risposto "Va via domani mattina."
E allora nessuno aveva detto piú nulla.
Eppure non c'era nessuno.

Scosse la testa, a eliminare quei pensieri, subito rivolti a un volto mai dimenticato e sicuramente ormai cambiato.

Perché erano passati troppi anni da allora.

E solo adesso lo aveva capito, che quella valigia aperta che aveva sempre desiderato le aveva chiuso il cuore.
Ora aveva il lavoro che sempre aveva desiderato.
Viaggiava come sempre aveva voluto.
La valigia sempre pronta, la casa solo come un hotel.
Era quello che sognava sempre allora.

Ma erano passati troppi anni da allora.

la valigia, pronta e sicura. Con la mano ormai esperta, alzó il bagaglio, cosí da essere giá in postazione per portarlo al piano inferiore, e prese la borsetta. Entró velocemente in bagno, per lasciare una linea di rossetto sulle sue labbra. Controlló che avesse il passaporto. C'era. I soldi. Anche. L'assicurazione sanitaria. Presente. Con noia, controlló che ci fosse anche la carta d'identitá. Quella non le serviva praticamente mai, con il passaporto sempre tra le mani. Il suo tesserino era nel porta-ID, quello che aveva comprato -ai tempi- alla Columbia, e quindi chiuse il tutto e tornó in camera.
Si infiló la giacca e si controlló un'ultima volta allo specchio. In fondo non era cambiata piú di tanto, sembrava solo piú matura.
I capelli mossi, il fisico asciutto, gli abiti forse ancora piú alla moda.

Peró allora il suo sorriso era piú puro e i suoi occhi piú luccicanti.

Purtroppo, erano passati troppi anni da allora.

La borsa sulle spalle, la valigia in mano, scese ormai con facilitá in un rito ripetuto ormai milioni di volte.

Prese il cellullare, ultimo modello, e chiamó annoiata un taxi. Era in anticipo, ancora, ma non voleva restare in quella casa. Aveva già aspettato fin troppo.

Non capiva sul serio il significato di quelle visite di cortesia. Certo, gli faceva piacere rivedere suo padre, un po' la sua famiglia. Ma la verità è che ormai non c'era più un vero senso.
Non voleva tornare in quella casa, soprattutto. L'aveva lasciata tempo prima, il giorno dopo che l'aveva lasciata lei. E da allora non aveva più voluto rimetterci piede se non ne fosse stato proprio obbligato.

Erano passati anni.

E poi quando tornava tutto era diverso, troppo diverso. Suo fratello minore ormai era andato via, così come la sorella più piccola acquisita. E come quella piú grande acquisita. Ma a lei non voleva pensare.
Era tutto spoglio ora, le camere vuote, mancavano di vita. C'era solo lui, il piú piccolino, che ormai peró era cresciuto, che era ogni volta meno ragazzo e piú uomo, allontanandosi dai ricordi che lui aveva.

Erano passati troppi anni.

E poi c'era la madre di lei, che gli faceva riportare il viso perfetto di lei nella mente. Era come se si aspettasse che lei sarebbe scesa in ogni momento, quando sua madre sorrideva.
Come un bambino, si illudeva che sarebbe arrivata, con di nuovo i suoi sorrisi luminosi, i suoi abbracci a sorpresa, il suo scrivere le canzoni insieme a lui. Un po' come facevano allora.

Ma erano passati troppi anni da allora.

Ora le canzoni le doveva scrivere da solo, ispirandosi al massimo alla sua assenza, invece che a lei. Al vuoto invece che all'unione di tutto ció che lei gli regalava con ogni piú piccolo gesto.
Certo, quel borsone che anche adesso stava portandosi appresso non era mai lasciato in un ripostiglio.
Era sempre aperto, pronto per essere riempito, poi svuotato leggermente, per essere di nuovo ripreparato, chiuso, mandato in qualche posto del mondo.

Il suo sogno l'aveva realizzato, in fondo.
E lei aveva realizzato il suo, ne era sicuro.

Ció di cui non era sicuro era se anche lei si sentisse ancora incompleta, come lui.
Ancora obbligata a combattere contro i propri sentimenti, come lui.

Ma ne dubitava. In fondo, era stata lei a decidere. Un tempo era lei a baciarlo a sorpresa, a pensarlo di continuo, a corrergli incontro.
Un tempo era lei ad amarlo.

Purtroppo, erano passati troppi anni da allora.

Era ormai arrivato, sicuro che tanto non avrebbe trovato nessuno.
Proprio nessuno.
Non come una volta, quando era impossibile restare soli. Quando neanche chiudersi in camera bastava.
Quando bisognava nascondersi nel bagno, nella casetta per gli attrezzi nel giardino.

Ma era inutile, erano passati troppi anni da quei momenti.

Gli sembró di sentire una voce mentre prendeva le chiavi di casa -che ancora aveva; come lei, del resto- ma si rese conto che era impossibile. Non poteva esserci qualcuno.

Stava ancora guardando lo schermo del suo cellulare, tenuto nelle sue mani dalle unghie smaltate rosso fuoco, quando sentí il rumore di una chiave nella serratura del portone.
Ma non poteva essere che sua madre fosse giá tornata. O qualsiasi altra persona. Eppure il rumore continuava.

Non poteva esserci nessuno, perché gliela aveva detto al telefono suo padre che sarebbero tornati tutti tardi.
Solo una cosa l´aveva particolarmente colpito. La madre di lei aveva detto "Purtroppo" quando l'aveva informata che sarebbe arrivato di sera.
Come se ci dovesse essere qualcuno da vedere.
Qualcuno da incontrare.
Qualcosa per cui valeva la pena restare.

Scosse la testa, come a volersi dimenticare di tutto quello che, in un secondo, gli era tornato in testa.
Non sapeva neanche poi come, ed era tornato molto prima di quanto aveva previsto.
Ma non aveva avvisato nessuno.
Non c'era il senso, né la voglia, di incontrare tutti prima del dovuto.
Giró la chiave con sicurezza, e aprí un poco la porta.

E invece la porta si aprí, e allora lei alzó gli occhi dal cellulare, senza peró appoggiarlo da nessuna parte.
L'unica cosa che vide, all'inizio, anche a causa della luce forte da fuori, fu un borsone.
Solo dopo alzó lo sguardo sempre di piú, identificando la figura che le era davanti.

La prima cosa che notó fu una valigia in mezzo al salotto. C'era qualcuno che doveva partire? Strano, nessuno l'aveva avvisato. Ma non sarebbe stata la prima volta che non gli dicevano qualcosa in fondo. Anche perché, a dirla tutta, c'erano molte cose che non gli interessava piú sapere.

Ma c'era anche delle gambe vicino alla valigia, c'era qualcuno in quella casa.
E quelle gambe erano diverse dalle gambe della madre o della sorella di lei.
Quelle gambe potevano essere solo sue.

Solo allora alzó lo sguardo e incontró quello di lei, sempre lo stesso e decisamente cambiato, molto maturo e incredibilmente uguale a quello di una ragazzina.

Lei deglutí piano, e aprí la bocca come per parlare. Ma lui non fece né disse nulla, e allora la richiuse. Si fermó solo nel mezzo del salotto, con la valigia pronta, a guardare quegli occhi di cui un tempo era stata pazzamente innamorata.

Peró erano passati troppi anni da allora.

Eppure quel sentimento era sempre uguale, mai cambiato, mai deperito, mai indebolito.

E lei aspettava, aspettava e sperava che stavolta lui potesse e volesse dire qualcosa.

Di nuovo lei, e di nuovo una valigia. Di nuovo un aereo che la porterá via. Come un altro, del resto, porterá via lui. Lontani uno dall'altro, da due vite che ormai non si appartengono piú.
E avrebbe avuto voglia -di nuovo- di fermarla. Peró per davvero stavolta. Avrebbe avuto voglia di parlare, di farla rimanere.
Come voleva farlo anni prima.

Ma erano passati troppi anni da allora.

E nonostante tutto, quella voglia di tenersela vicino, di abbracciarla e barciarla a non finire non era mai sparita. Ma ormai non la conosceva piú. Ed era per quello che non sapeva cosa dirle. Era per quello che non l'aveva salutata. Era ormai un'estranea per lui, non poteva affermare di conoscerla. Non piú come la conosceva un tempo.

Erano passati troppi anni da allora.

Il taxi era arrivato, e suonó il clacson per farla uscire. Lei osservó lui ancora un attimo, quasi per supplicarlo.
Ma non un suono la fermó.
Lui si scostó dalla porta, e lasció giú il borsone. Le aveva anche fatto spazio per lasciarla uscire anche con lui sul portone.
E allora prese la valigia e inizió a muoversi, a ogni passo piú sicura fuori e piú indecisa dentro.
Fino alla porta.
Fino a quando erano di nuovo uno accanto all'altra.
Aveva pensato che ci sarebbero stati degli angeli a incoronare quel momento, che ci sarebbe stata una scintilla in quell'attimo, e invece... niente.

Erano passati troppi anni da quando questo succedeva.

Ce l'aveva fatta, in un certo senso. Era riuscito a non mostrare nulla fino a quel momento, e ora bastava poco. Un secondo, e lei sarebbe stata di nuovo fuori dalla sua vita.
Per sempre, come lo era stata per tutti quegli anni.
E lei era lí, gli stava passando accanto, di nuovo cosí vicini.
Troppo vicini.
E cosí, non era stato lui a reagire. No, lui non aveva fatto niente.

Era stato la sua mano da sola.

Una volta, forse, avrebbe saputo controllarsi.

Ma erano passati troppi anni da allora.

Era rimasta visibilmente stupita. Ancora di piú perché lui non stava dicendo niente. L'aveva solo bloccata.
Tenendola per il polso, cosí, sulla soglia di una casa che un tempo era loro.

"Sono passati tanti anni da allora e vuoi fare ancora la stessa scelta?"

Questa frase, invece, l'aveva scossa. E allora poteva sorridere, e si sentiva piú simile a quella persona che era tanti, troppi anni prima.

"Sono passati troppi anni per non poter aver capito che é stato solo un errore..."

La sua risposta l'aveva sconcertato. Non se lo sarebbe mai aspettato.
Aveva pensato a delle urla, magari a uno schiaffo, o semplicemente pensava che lei si sarebbe scostata e se ne sarebbe andata con indifferenza.

E allora, in quel momento, aveva perso tutto quel coraggio di prima.

"Che ne dici, chiudiamo le valige nel ripostiglio per una volta?"

Tempo prima le avrebbe detto che era una pazza, che doveva assolutamente prendere quell'aereo e che doveva dimenticarsi di lui.

Ma erano decisamente passati troppi anni da allora.

  
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