La notte è densa di oscurità, ma è anche breve. Le ore scorrono inesorabili e l’alba giungerà prima che possa impedirlo. Domani lei si sottrarrà alla sua influenza. Il tempo stringe.
§
Selene ascolta i rumori della notte: da una porta finestra aperta su un balcone l’aria entra fresca, un balsamo dopo il caldo di quella giornata di maggio, profumata di tiglio. Non ha capito perché si trova in quella villa bellissima, né quando ci è arrivata. Si alza dal letto per appuntare sul diario quello che ricorda della giornata, ma prima rilegge quanto aveva scritto la sera prima. Non ha altro modo per tenere il filo della sua vita da quando si è ammalata.
È venuto un signore vestito di nero nel pomeriggio, un avvocato. Mi ha consegnato un plico contenente tre fogli di carta.
Il primo era una lettera di accompagnamento dell’ente postale, che porgeva scuse per il pregresso smarrimento della lettera acclusa;
il secondo conteneva la suddetta: la confessione del barone Fabbrini di una tresca avuta con una cameriera quarant’anni prima, Elsa, e la garanzia che, con l’ultimo foglio contenuto nella busta, il frutto di quell’amore clandestino avrebbe potuto pretendere di dividere l’eredità con la figlia legittima dell’uomo, la baronessina Diana.
Il terzo foglio altro non era che il mio certificato di nascita.
Mi è crollato il mondo addosso e sono scoppiata a piangere sulla giacca dell’avvocato Spada. Mi ha porto il suo fazzoletto da taschino cifrato, A.S. Il nome Spada è familiare ma non ricordo perché. Gli ho chiesto se potevo vedere mio padre e mia sorella e se sapevano chi ero.
L’avvocato mi ha spiegato che mio padre è morto dieci anni fa. All’epoca Diana era stata l’unica figlia menzionata dal barone nel testamento, ma è già morta di ictus da due anni, senza figli né marito, lasciando il suo patrimonio a un collaboratore che lavorava per la tenuta. Quella lettera, scritta forse in punto di morte per riparare a un antico torto, è giunta nello studio legale che curava gli interessi della famiglia Fabbrini solo pochi giorni fa e riapre le pratiche di successione alla tenuta e al patrimonio dei baroni.
“Questo certificato non fa di voi una baronessa, ma domani vi accompagnerò a vedere i possedimenti della tenuta che vi spettano in tutto o in comproprietà con l’erede di vostra sorella.”
Aveva riletto quelle frasi al mattino, giustificando così l’emozione mista di commozione e sgomento con cui si era svegliata. La cameriera, Margot, l’aveva svegliata presto su sua istruzione e l’aveva aiutata a prepararsi e poi accompagnata nel viaggio in carrozza fino alla tenuta Poggio la Luna. Sul diario, adesso, provava a descriverla, prima che diventasse sfocata nella sua mente: la grande casa bianca, il bugnato della facciata, l’ampio viale ghiaioso fiancheggiato da cipressi e l’enorme parco in cui aveva passeggiato in compagnia di due uomini. Difficile stabilire se il giardino fosse frutto del ricordo o dell’immaginazione.
Il nuovo proprietario della tenuta, Rodolfo Portinai, aveva ricevuto una breve lettera sui cambiamenti imminenti da Spada, che gliel’aveva spedita in tutta fretta prima che di partire per incontrarmi. Si è fatto trovare ai piedi della scalinata della villa con un sorriso gentile quando siamo giunti. Un bell’uomo sulla cinquantina, con baffi impomatati e una folta capigliatura nera, non scontata a quell’età. Deve andarne molto fiero perché rinnova continuamente il gesto di passarci la mano sinistra per tirarli indietro. Ha salutato l’avvocato con una calorosa stretta di mano.
“Tony, non ci vediamo dal funerale…come stai? – ma non ha atteso risposta, lanciando uno sguardo stupefatto a lui e poi a me – Signorina Fabbrini…posso chiamarvi col vostro nuovo nome, vero? Bene, anche perché non conosco il precedente. Vorrei mostrarvi la camera che vi ho fatto preparare.”
Rodolfo e l’avvocato mi hanno mostrato tutta la proprietà e ho potuto rimanere sola con Spada solo al momento del tè, quando Portinai si è assentato per dare alcune disposizioni circa la cena. Ho rifiutato di stabilirmi qui fino a che non sarà chiarito se la mia nuova posizione annulla le disposizioni testamentarie di mia sorella. L’avvocato mi riaccompagnerà domattina a casa e poi farà sapere a me e a Rodolfo l’esito dell’interpello del giudice.
“Naturalmente – mi spiega, rivelando una certa indelicatezza, mentre una cameriera ci sta versando il tè – Portinai non sarebbe affatto felice di perdere questa proprietà e i beni che erano di sua sorella. Anche perché aveva ingenti debiti di gioco ed è probabile che l’ammontare del patrimonio si sia molto assottigliato negli ultimi due anni. Non gli ci voleva proprio.”
“È un forte giocatore?”
“Pare che sia uscito dal giro quando ha ereditato da sua sorella: fu una manna per lui.”
“Perché mia sorella ha lasciato tutto a quest’uomo?”
“Vedete, Diana era una persona solitaria e dedita a questa tenuta. Quando se ne è andata ha voluto ricompensare l’unica persona che l’aveva aiutata a gestirla. L’alternativa era un lascito ad associazioni di carità, ma, dopo di lei, Portinai è stata la persona che si è maggiormente spesa per far funzionare le rendite e per abbellire il parco. Anche se perdesse tutto in favore vostro, vi consiglio di tenerlo a lavorare con voi e di considerare i suoi trascorsi qui.”
Prima di cena Spada si è ritirato per un’oretta e io e Rodolfo abbiamo atteso in biblioteca il gong.
“Ho mantenuto le usanze che aveva questa tenuta, compiti del maggiordomo e tutto il resto. Sono un nostalgico.”
“Da quanti anni vivete qui?”
“Oh, da quasi trent’anni. Ho sempre lavorato qui, già per il barone, e mio padre prima di me: due tuttofare. E invece, cosa mi raccontate di voi?”
“Oh, mia madre era cameriera qui, ma quando sono nata si era già trasferita. Doveva aver ricevuto un indennizzo da parte del barone, però, perché non ci è mai mancato niente, anche se aveva continuato a lavorare come domestica. Mi ha anche potuto pagare un corso per diventare infermiera.”
“Ah, sì…me ne accennò Tony. Lavorate ancora?”
“Fino all’anno scorso sì. Poi mi sono ammalata e ho dovuto smettere. La mia ultima paziente era una donna dolcissima, Arabella. Dopo la sua morte ho smesso di lavorare, ma con quello che mi aveva lasciato mia madre e con una piccola pensione di invalidità sono riuscita a mantenermi fino ad adesso.”
“Se non sono indiscreto, di che malattia tanto grave soffrite per aver ricevuto una pensione? Sembrate in perfetta salute.”
“Il medico ha detto che si tratta di male caduco. Non c’è terapia, ma non sono molti i sintomi. Le crisi sono rare, ma hanno lasciato effetti sulla mia memoria, per quanto riguarda il passato recente, mentre ricordo bene tutto fino alla prima crisi grave. Il sussidio mi permette di avere una cameriera che mi aiuta. A proposito, è sistemata vicino a me?”
“Sì, non temete: le ho fatto allestire il guardaroba attiguo alla vostra camera.”
“Vi ringrazio. Siete gentile con me, eppure io...”
“Non ditelo neppure. Sono legato alla vostra famiglia e poi avete un’aria così angelica…” un sorriso strano gli ha alterato il volto serio.
“A proposito – ho voluto cambiare argomento – ha un’aria così grave l’avvocato Spada.”
“Oh, Tony è vedovo da un anno. Porta ancora il lutto.”
“Siete in confidenza?”
“Non particolarmente: ha curato il testamento di vostra sorella e poi…ecco, annunciano la cena.”
È venuto un signore vestito di nero nel pomeriggio, un avvocato. Mi ha consegnato un plico contenente tre fogli di carta.
Il primo era una lettera di accompagnamento dell’ente postale, che porgeva scuse per il pregresso smarrimento della lettera acclusa;
il secondo conteneva la suddetta: la confessione del barone Fabbrini di una tresca avuta con una cameriera quarant’anni prima, Elsa, e la garanzia che, con l’ultimo foglio contenuto nella busta, il frutto di quell’amore clandestino avrebbe potuto pretendere di dividere l’eredità con la figlia legittima dell’uomo, la baronessina Diana.
Il terzo foglio altro non era che il mio certificato di nascita.
Mi è crollato il mondo addosso e sono scoppiata a piangere sulla giacca dell’avvocato Spada. Mi ha porto il suo fazzoletto da taschino cifrato, A.S. Il nome Spada è familiare ma non ricordo perché. Gli ho chiesto se potevo vedere mio padre e mia sorella e se sapevano chi ero.
L’avvocato mi ha spiegato che mio padre è morto dieci anni fa. All’epoca Diana era stata l’unica figlia menzionata dal barone nel testamento, ma è già morta di ictus da due anni, senza figli né marito, lasciando il suo patrimonio a un collaboratore che lavorava per la tenuta. Quella lettera, scritta forse in punto di morte per riparare a un antico torto, è giunta nello studio legale che curava gli interessi della famiglia Fabbrini solo pochi giorni fa e riapre le pratiche di successione alla tenuta e al patrimonio dei baroni.
“Questo certificato non fa di voi una baronessa, ma domani vi accompagnerò a vedere i possedimenti della tenuta che vi spettano in tutto o in comproprietà con l’erede di vostra sorella.”
Aveva riletto quelle frasi al mattino, giustificando così l’emozione mista di commozione e sgomento con cui si era svegliata. La cameriera, Margot, l’aveva svegliata presto su sua istruzione e l’aveva aiutata a prepararsi e poi accompagnata nel viaggio in carrozza fino alla tenuta Poggio la Luna. Sul diario, adesso, provava a descriverla, prima che diventasse sfocata nella sua mente: la grande casa bianca, il bugnato della facciata, l’ampio viale ghiaioso fiancheggiato da cipressi e l’enorme parco in cui aveva passeggiato in compagnia di due uomini. Difficile stabilire se il giardino fosse frutto del ricordo o dell’immaginazione.
Il nuovo proprietario della tenuta, Rodolfo Portinai, aveva ricevuto una breve lettera sui cambiamenti imminenti da Spada, che gliel’aveva spedita in tutta fretta prima che di partire per incontrarmi. Si è fatto trovare ai piedi della scalinata della villa con un sorriso gentile quando siamo giunti. Un bell’uomo sulla cinquantina, con baffi impomatati e una folta capigliatura nera, non scontata a quell’età. Deve andarne molto fiero perché rinnova continuamente il gesto di passarci la mano sinistra per tirarli indietro. Ha salutato l’avvocato con una calorosa stretta di mano.
“Tony, non ci vediamo dal funerale…come stai? – ma non ha atteso risposta, lanciando uno sguardo stupefatto a lui e poi a me – Signorina Fabbrini…posso chiamarvi col vostro nuovo nome, vero? Bene, anche perché non conosco il precedente. Vorrei mostrarvi la camera che vi ho fatto preparare.”
Rodolfo e l’avvocato mi hanno mostrato tutta la proprietà e ho potuto rimanere sola con Spada solo al momento del tè, quando Portinai si è assentato per dare alcune disposizioni circa la cena. Ho rifiutato di stabilirmi qui fino a che non sarà chiarito se la mia nuova posizione annulla le disposizioni testamentarie di mia sorella. L’avvocato mi riaccompagnerà domattina a casa e poi farà sapere a me e a Rodolfo l’esito dell’interpello del giudice.
“Naturalmente – mi spiega, rivelando una certa indelicatezza, mentre una cameriera ci sta versando il tè – Portinai non sarebbe affatto felice di perdere questa proprietà e i beni che erano di sua sorella. Anche perché aveva ingenti debiti di gioco ed è probabile che l’ammontare del patrimonio si sia molto assottigliato negli ultimi due anni. Non gli ci voleva proprio.”
“È un forte giocatore?”
“Pare che sia uscito dal giro quando ha ereditato da sua sorella: fu una manna per lui.”
“Perché mia sorella ha lasciato tutto a quest’uomo?”
“Vedete, Diana era una persona solitaria e dedita a questa tenuta. Quando se ne è andata ha voluto ricompensare l’unica persona che l’aveva aiutata a gestirla. L’alternativa era un lascito ad associazioni di carità, ma, dopo di lei, Portinai è stata la persona che si è maggiormente spesa per far funzionare le rendite e per abbellire il parco. Anche se perdesse tutto in favore vostro, vi consiglio di tenerlo a lavorare con voi e di considerare i suoi trascorsi qui.”
Prima di cena Spada si è ritirato per un’oretta e io e Rodolfo abbiamo atteso in biblioteca il gong.
“Ho mantenuto le usanze che aveva questa tenuta, compiti del maggiordomo e tutto il resto. Sono un nostalgico.”
“Da quanti anni vivete qui?”
“Oh, da quasi trent’anni. Ho sempre lavorato qui, già per il barone, e mio padre prima di me: due tuttofare. E invece, cosa mi raccontate di voi?”
“Oh, mia madre era cameriera qui, ma quando sono nata si era già trasferita. Doveva aver ricevuto un indennizzo da parte del barone, però, perché non ci è mai mancato niente, anche se aveva continuato a lavorare come domestica. Mi ha anche potuto pagare un corso per diventare infermiera.”
“Ah, sì…me ne accennò Tony. Lavorate ancora?”
“Fino all’anno scorso sì. Poi mi sono ammalata e ho dovuto smettere. La mia ultima paziente era una donna dolcissima, Arabella. Dopo la sua morte ho smesso di lavorare, ma con quello che mi aveva lasciato mia madre e con una piccola pensione di invalidità sono riuscita a mantenermi fino ad adesso.”
“Se non sono indiscreto, di che malattia tanto grave soffrite per aver ricevuto una pensione? Sembrate in perfetta salute.”
“Il medico ha detto che si tratta di male caduco. Non c’è terapia, ma non sono molti i sintomi. Le crisi sono rare, ma hanno lasciato effetti sulla mia memoria, per quanto riguarda il passato recente, mentre ricordo bene tutto fino alla prima crisi grave. Il sussidio mi permette di avere una cameriera che mi aiuta. A proposito, è sistemata vicino a me?”
“Sì, non temete: le ho fatto allestire il guardaroba attiguo alla vostra camera.”
“Vi ringrazio. Siete gentile con me, eppure io...”
“Non ditelo neppure. Sono legato alla vostra famiglia e poi avete un’aria così angelica…” un sorriso strano gli ha alterato il volto serio.
“A proposito – ho voluto cambiare argomento – ha un’aria così grave l’avvocato Spada.”
“Oh, Tony è vedovo da un anno. Porta ancora il lutto.”
“Siete in confidenza?”
“Non particolarmente: ha curato il testamento di vostra sorella e poi…ecco, annunciano la cena.”
§
Alcuni colpi alla porta svegliano Selene. La donna si guarda intorno, smarrita. Non riconosce il letto a baldacchino, né la stanza, molto più grande di quella in cui dorme in città.
Si alza tremante dal letto e si avvicina alla porta. Nell’oscurità ha freddo e chiede chi è. Anche la voce trema e spera di udire una voce familiare in risposta, magari quella della sua cameriera, ma l’unica cosa che sente sono passi che si allontanano in un corridoio.
Si fa forza e apre la porta, ripete la domanda, si affaccia. Non c’è nessuno, ma il piede sfiora qualcosa a terra: solo una rosa che sta aprendo il boccio.
Selene si ritrae nella camera. Quella casa in cui si trova non le dice niente, la smarrisce. Richiude la porta, si avvolge nella vestaglia, riprende il diario e accende una candela. Legge, si tranquillizza, anche se non capisce chi può averle bussato nel cuore della notte per lasciare ai piedi della porta una rosa. Ripone il diario nella tasca della vestaglia e torna ad aprire la porta. Raccogliendo il fiore, si accorge che c’è un pezzetto di carta avvolto stretto intorno allo stelo. Selene svolge il biglietto, che rivela un’ordinata grafia, con i gambi delle lettere orientate a sinistra:
Si alza tremante dal letto e si avvicina alla porta. Nell’oscurità ha freddo e chiede chi è. Anche la voce trema e spera di udire una voce familiare in risposta, magari quella della sua cameriera, ma l’unica cosa che sente sono passi che si allontanano in un corridoio.
Si fa forza e apre la porta, ripete la domanda, si affaccia. Non c’è nessuno, ma il piede sfiora qualcosa a terra: solo una rosa che sta aprendo il boccio.
Selene si ritrae nella camera. Quella casa in cui si trova non le dice niente, la smarrisce. Richiude la porta, si avvolge nella vestaglia, riprende il diario e accende una candela. Legge, si tranquillizza, anche se non capisce chi può averle bussato nel cuore della notte per lasciare ai piedi della porta una rosa. Ripone il diario nella tasca della vestaglia e torna ad aprire la porta. Raccogliendo il fiore, si accorge che c’è un pezzetto di carta avvolto stretto intorno allo stelo. Selene svolge il biglietto, che rivela un’ordinata grafia, con i gambi delle lettere orientate a sinistra:
«Temo siate in pericolo.»
La donna passeggia per lunghi minuti avanti e indietro nella stanza; infine spegne la candela e si distende di nuovo a letto: un leggero dormiveglia subentra infine tra i pensieri confusi della donna.
Malgrado il sonno leggero, Selene non sente sopraggiungere i nuovi passi che le si avvicinano. Non percepisce l’intensificarsi dell’oscurità quando l’ombra si frappone fra lei e la luce della luna. È solo quando la mano affonda il pugnale nelle sue carni che si desta con un grido, ma gli occhi folli di terrore non mettono a fuoco l’aggressore, che si volta e corre fuori dalla finestra aperta.
“Che è successo? Miss, che è…?”
Le grida della cameriera accorsa dal guardaroba vicino svegliano la casa. Nella camera, aperta da Margot che invocava aiuto, irrompono domestici e i signori Portinai e Spada, trafelati e in vestaglia. In mezzo al lago di sangue nel letto giace inerme la figura, la pelle completamente bianca, di Selene.
“Che è successo? Miss, che è…?”
Le grida della cameriera accorsa dal guardaroba vicino svegliano la casa. Nella camera, aperta da Margot che invocava aiuto, irrompono domestici e i signori Portinai e Spada, trafelati e in vestaglia. In mezzo al lago di sangue nel letto giace inerme la figura, la pelle completamente bianca, di Selene.
§
“Avete avuto fortuna.”
L’uomo anziano che aveva appena finito di fasciarmi l’addome mi ha mostrato un volume con la copertina rigida, solcata da un taglio che va da destra a sinistra, dall’alto in basso.
“Il vostro diario ha deviato il colpo, per questo la ferita non è stata troppo profonda. Avete perso sangue, però. Siete debole e avrete bisogno di assistenza. Posso farvi portare nel mio ospedale. Sarebbe un viaggio breve, altrimenti non vi farei spostare. Avrete infermiere che si occuperebbero di voi per tutto il tempo che occorrerà a riprendervi.”
Ho accettato e ho ripreso il mio diario dalle mani del medico, causando così un dolore al fianco sinistro che mi ha fatto svenire di nuovo. Margot mi ha appena detto di aver preso accordi per farmi trasferire domani. Fino ad allora veglierà lei su di me.
L’uomo anziano che aveva appena finito di fasciarmi l’addome mi ha mostrato un volume con la copertina rigida, solcata da un taglio che va da destra a sinistra, dall’alto in basso.
“Il vostro diario ha deviato il colpo, per questo la ferita non è stata troppo profonda. Avete perso sangue, però. Siete debole e avrete bisogno di assistenza. Posso farvi portare nel mio ospedale. Sarebbe un viaggio breve, altrimenti non vi farei spostare. Avrete infermiere che si occuperebbero di voi per tutto il tempo che occorrerà a riprendervi.”
Ho accettato e ho ripreso il mio diario dalle mani del medico, causando così un dolore al fianco sinistro che mi ha fatto svenire di nuovo. Margot mi ha appena detto di aver preso accordi per farmi trasferire domani. Fino ad allora veglierà lei su di me.
§
Dieci giorni dopo, Selene è seduta a un tavolino da giardino. L’ospedale è una sobria costruzione rettangolare a due piani che ospita venti camere di degenza. Il parco sulla parte posteriore ha favorito l’erede del barone Fabbrini nella sua convalescenza, dopo i primi giorni di allettamento e brodini di pollo. Passeggiate e riflessioni nella quiete di quel luogo hanno giovato in molti diversi modi alla donna. Davanti a sé ha il diario, sfogliato ormai innumerevoli volte, e il biglietto ricevuto poco prima dell’aggressione subita. Li sta ancora fissando, seguendo un ragionamento che la ossessiona da un paio di giorni, quando un’infermiera la raggiunge nel giardino per annunciarle una visita. Selene chiede alla donna la cortesia di accompagnarlo e di portare un messaggio.
Tony Spada si accomoda al tavolino della convalescente, dando le spalle all’ospedale, in modo da riparare la donna dal sole.
“Vi sentite meglio? Avete un’aria molto più pallida di quella con cui vi ho conosciuta.”
“Molto meglio, grazie. Sono ancora un po’ debole, ma il dottore ha detto che potrò tornare presto a casa e terminare là la convalescenza.”
“Venivo anche a dirvi questo: il giudice si è espresso sulla questione dell’eredità. Potete reclamarla per vostra, ma anche il testamento di vostra sorella è valido, poiché redatto senza essere a conoscenza della vostra esistenza. Entrambe le parti, dunque, dovranno essere convocate per addivenire a un accordo. Potete fare affidamento sul nostro studio legale.”
“Certamente. Oltre che per questa notizia, mi stavate dicendo, per cosa siete venuto, avvocato?”
Spada allunga una scatola avvolta in carta colorata alla donna.
“Un omaggio, signorina, e un avvertimento. Ritengo che Portinai perda molto con questa sentenza.”
Selene svolge il pacco che ha ricevuto e solleva il coperchio della scatola. Cioccolatini bianchi, marroni e neri sono allineati, lucidi, in quattro file.
“Avvocato, è un pensiero particolare, ma temo di non poterne ancora mangiare dopo quanto è successo.”
Due figure provenienti dall’ospedale si avvicinano alla coppia seduta al tavolino. Selene prosegue dopo una pausa:
“Temo che mi farebbero male. Sapete che intendo, non è vero? – e, con un sorriso amaro, si rivolge all’uomo alle spalle di Spada – Dottor Malaspina, non potremmo far analizzare il contenuto di questi cioccolatini o volete favorire, avvocato?”
L’avvocato assume un colore grigiastro al gesto della donna che simula un'offerta.
“So che siete voi il mio aggressore – prosegue Selene inespressiva – anche se avete provato a seminare dentro di me e di fronte a testimoni il dubbio che Portinai avesse interesse a sbarazzarsi di me. Ma Rodolfo è mancino: data l’inclinazione delle lettere, piuttosto è lui che mi ha scritto il biglietto di avvertimento, non so perché. Ma se mi avesse pugnalato, la ferita sarebbe stata inferta sul fianco destro e con inclinazione opposta.”
“Rodolfo deve avere capito chi eravate…”
“Già, ci ho messo molto più tempo io, perché non lo ricordavo. Ma voi non vi chiamate Antony. Rodolfo non usava un diminutivo, ma il vostro nome proprio. Quindi le iniziali sul fazzoletto da taschino non sono vostre, ma…”
“La vostra dannata memoria…”
“Non fu una mia omissione a causare la morte di vostra moglie Arabella, avvocato. Fu molto chiaro il dottor Venturi su questo e avreste dovuto saperlo. È vero, smisi di lavorare un anno fa perché dimenticavo di somministrare ai pazienti le medicine, ma appena mi accorsi degli effetti del mio male ne parlai al dottore che aveva in cura la buona Arabella e convenne con me che quello sarebbe stato il mio ultimo compito, ma non intendevo lasciarla negli ultimi giorni della sua vita. Col medico concordammo che sarebbe venuto tutti i giorni a dispensare la terapia e a me restava l’incarico di assistere vostra moglie e di farle bere acqua e zucchero, nient’altro che un placebo. Vostra moglie aveva un cancro in fase avanzata: perché attribuire a me la colpa di qualcosa di inevitabile? Il medico fu molto chiaro allora con voi e vostra moglie.”
“Ma mi taceste la vostra malattia.”
“Allora ero meno grave di adesso e la mia condizione fu ritenuta irrilevante dal dottore, dato quel che restava da fare.” Selene abbassò lo sguardo e il dottor Malaspina approfittò della pausa per afferrare la scatola di cioccolatini e porgerla all’infermiera che lo aveva accompagnato.
“Portateli nel mio laboratorio e chiamate la polizia.”
Tony Spada si accomoda al tavolino della convalescente, dando le spalle all’ospedale, in modo da riparare la donna dal sole.
“Vi sentite meglio? Avete un’aria molto più pallida di quella con cui vi ho conosciuta.”
“Molto meglio, grazie. Sono ancora un po’ debole, ma il dottore ha detto che potrò tornare presto a casa e terminare là la convalescenza.”
“Venivo anche a dirvi questo: il giudice si è espresso sulla questione dell’eredità. Potete reclamarla per vostra, ma anche il testamento di vostra sorella è valido, poiché redatto senza essere a conoscenza della vostra esistenza. Entrambe le parti, dunque, dovranno essere convocate per addivenire a un accordo. Potete fare affidamento sul nostro studio legale.”
“Certamente. Oltre che per questa notizia, mi stavate dicendo, per cosa siete venuto, avvocato?”
Spada allunga una scatola avvolta in carta colorata alla donna.
“Un omaggio, signorina, e un avvertimento. Ritengo che Portinai perda molto con questa sentenza.”
Selene svolge il pacco che ha ricevuto e solleva il coperchio della scatola. Cioccolatini bianchi, marroni e neri sono allineati, lucidi, in quattro file.
“Avvocato, è un pensiero particolare, ma temo di non poterne ancora mangiare dopo quanto è successo.”
Due figure provenienti dall’ospedale si avvicinano alla coppia seduta al tavolino. Selene prosegue dopo una pausa:
“Temo che mi farebbero male. Sapete che intendo, non è vero? – e, con un sorriso amaro, si rivolge all’uomo alle spalle di Spada – Dottor Malaspina, non potremmo far analizzare il contenuto di questi cioccolatini o volete favorire, avvocato?”
L’avvocato assume un colore grigiastro al gesto della donna che simula un'offerta.
“So che siete voi il mio aggressore – prosegue Selene inespressiva – anche se avete provato a seminare dentro di me e di fronte a testimoni il dubbio che Portinai avesse interesse a sbarazzarsi di me. Ma Rodolfo è mancino: data l’inclinazione delle lettere, piuttosto è lui che mi ha scritto il biglietto di avvertimento, non so perché. Ma se mi avesse pugnalato, la ferita sarebbe stata inferta sul fianco destro e con inclinazione opposta.”
“Rodolfo deve avere capito chi eravate…”
“Già, ci ho messo molto più tempo io, perché non lo ricordavo. Ma voi non vi chiamate Antony. Rodolfo non usava un diminutivo, ma il vostro nome proprio. Quindi le iniziali sul fazzoletto da taschino non sono vostre, ma…”
“La vostra dannata memoria…”
“Non fu una mia omissione a causare la morte di vostra moglie Arabella, avvocato. Fu molto chiaro il dottor Venturi su questo e avreste dovuto saperlo. È vero, smisi di lavorare un anno fa perché dimenticavo di somministrare ai pazienti le medicine, ma appena mi accorsi degli effetti del mio male ne parlai al dottore che aveva in cura la buona Arabella e convenne con me che quello sarebbe stato il mio ultimo compito, ma non intendevo lasciarla negli ultimi giorni della sua vita. Col medico concordammo che sarebbe venuto tutti i giorni a dispensare la terapia e a me restava l’incarico di assistere vostra moglie e di farle bere acqua e zucchero, nient’altro che un placebo. Vostra moglie aveva un cancro in fase avanzata: perché attribuire a me la colpa di qualcosa di inevitabile? Il medico fu molto chiaro allora con voi e vostra moglie.”
“Ma mi taceste la vostra malattia.”
“Allora ero meno grave di adesso e la mia condizione fu ritenuta irrilevante dal dottore, dato quel che restava da fare.” Selene abbassò lo sguardo e il dottor Malaspina approfittò della pausa per afferrare la scatola di cioccolatini e porgerla all’infermiera che lo aveva accompagnato.
“Portateli nel mio laboratorio e chiamate la polizia.”
§
Un anno dopo a Poggio la Luna, Selene è ancora una volta seduta a un tavolino, stavolta sul balcone della camera dove era stata aggredita. Il profumo del tiglio è di nuovo pungente mentre versa il tè nelle tazze.
“Continuo a non capacitarmi del perché non essere più esplicito nel biglietto.”
È una discussione che va avanti da undici mesi: da quando Selene e Rodolfo si incontrarono nello studio legale per trovare un accordo da presentare al giudice. Alla fine, dopo un certo numero di colloqui, risolsero tutti gli inconvenienti legali e sentimentali derivanti dalla loro conoscenza decidendo di sposarsi, ma la questione del biglietto restava l’unico nodo che ogni tanto riemergeva, con le stesse invariabili modalità, anche a cinque mesi dal matrimonio.
“Come potevo muovere accuse precise? Non ero certo che Spada avrebbe agito.”
“Ma a cosa avrei dovuto stare attenta, se non sapevo che forma avrebbe assunto il pericolo?”
“Avresti almeno potuto chiudere la finestra, per sicurezza...”
La discussione sarebbe proseguita tutta la serata, senza risolversi.
“Continuo a non capacitarmi del perché non essere più esplicito nel biglietto.”
È una discussione che va avanti da undici mesi: da quando Selene e Rodolfo si incontrarono nello studio legale per trovare un accordo da presentare al giudice. Alla fine, dopo un certo numero di colloqui, risolsero tutti gli inconvenienti legali e sentimentali derivanti dalla loro conoscenza decidendo di sposarsi, ma la questione del biglietto restava l’unico nodo che ogni tanto riemergeva, con le stesse invariabili modalità, anche a cinque mesi dal matrimonio.
“Come potevo muovere accuse precise? Non ero certo che Spada avrebbe agito.”
“Ma a cosa avrei dovuto stare attenta, se non sapevo che forma avrebbe assunto il pericolo?”
“Avresti almeno potuto chiudere la finestra, per sicurezza...”
La discussione sarebbe proseguita tutta la serata, senza risolversi.