Lights
Quando, esattamente, si accorse di poter vedere il colore dell’anima? La prima volta che vide la passione brillare di rosso, la rabbia mescolarsi di grigio e nero, l’amore colorarsi di rosa? Quand’è che vide il biondo platino, il colore originale dell’anima?
Meghan non avrebbe potuto dirlo, e da questo era solita dedurre che fosse un qualcosa che aveva sempre avuto con sé, il suo segreto. Suo padre non ne sapeva nulla, nessuno degli Underground ne era a conoscenza e forse, l’unica che sospettava qualcosa era Kairi… ma questo era naturale. La sua anima brillava più di quella di qualunque altro.
Era un barlume di candela nel grigio imperante della Città… Sorrise e si portò la sigaretta alle labbra tinte di nero, buttando fuori il fumo dalle narici. Aveva il volto cerato di bianco, i capelli, già neri al naturale, tinti di un nero corvino estremamente lucido. Osservava il panorama offertole dallo skyline della Città, una gamba penzoloni dal tetto e una cassa di birre accanto a sé.
Ondeggiava il nudo piede sinistro con una certa pigrizia, il vento della notte che le soffiava in faccia e la sensazione del duro cemento sotto di sé. Non c’erano nuvole, solo immensi cumulonembi di scarico e sotto di sé un fiume in piena di macchine e persone, pozze al neon e insegne olografiche di grandi marchi della moda. Vedeva l’anima di tutti quelli che passavano, ed erano anime spente, che brillavano di vita, ma non vitalità. Eppure, se quello spettacolo un tempo la devastava, le stringesse le viscere portandola a disperarsi, l’aveva superato.
Non perché si fosse abituata, non perché si fosse rassegnata. Il motivo era un altro, pensò mentre si accendeva la terza sigaretta di fila e il fumo evaporava dalle sue belle labbra, ed era molto semplice: la sua anima brillava, quella di Kendall brillava, quella di Isaac e Almar brillavano… tutti loro vivevano. “E se noi ci riusciamo, se noi siamo riusciti a risalire, allora può farcela chiunque. Questa oscurità non può vincere.”
A quel pensiero sorrise, si alzò in piedi stiracchiandosi, allungando le braccia oltre la testa, buttò il busto in fuori e si sollevò sulla punta dei piedi. Si trovava sull’orlo proprio, con l’asfalto a qualche decina di metri più in basso, sarebbe bastato un nulla per farla cadere. Eppure, sorrise da un orecchio all’altro, allargò le braccia e respirò a pieni polmoni. Lei esisteva, la sua anima brillava. Senza rendersene davvero conto aveva iniziato a lasciarsi molte cose alle spalle e le anime, in qualche modo, emanavano un bagliore più forte.
Da quando si era resa conto di poter vedere le anime delle persone? Quando, esattamente, si era accorta del colore dorato dell’omicidio, del piacere che provava nel percepire la luce sempre più flebile, sempre più smorta che si spegneva man mano che il sangue se bagnava le dita delle mani. La Città soffocava, depredava e fagocitava… ma lei non avrebbe fatto quella fine. Lei avrebbe mangiato, lei avrebbe consumato, si sarebbe nutrita del bagliore delle anime degli altri.
Pensava questo mentre affondava il coltello all’altezza del ventre della sua vittima, mentre lo spingeva in quel vicolo fra due edifici della città bassa, mentre il rosso del sangue schizzava ad ogni affondo. La mano sinistra attorno al collo dell’uomo e la destra a colpire, più volte. Era una visione celestiale… La vedeva, la vedeva con occhi sbarrati mentre la luce dell’anima di quell’uomo si spegneva e si spostava e la propria anima brillava, brillava intensamente quasi da bruciare.
Osservò trionfante, la camicetta aderente lorda di sangue, la pozza che lambiva i suoi stivaletti anfibi, il fiato corto dietro la maschera che portava. Osservò trionfante quell’anima inutile spegnersi e bevé dalla sua lue, bevé tutto, lasciando il coltello conficcato fra i suoi intestini. «Non sparirò… non sarò una nullità – sussurrò appoggiandosi con la schiena al muro di mattoni dall’intonaco scrostato, portandosi una sigaretta alle labbra – nessuno mi mangerà, non sarò un nessuno…».
La fiamma della sigaretta rischiarò per un attimo i suoi occhi oltre i buchi della maschera bianca: occhi grandi, dolci all’apparenza, di un azzurro intenso e vivido. Respirava a fatica per la frenesia e l’euforia del momento, con la punta delle dita tremanti e un sorriso nervoso, estatico che si tendeva da un orecchio all’altro. «Sarò la più grande» disse buttando la sigaretta in terra e schiacciandola sotto il tacco dello stivale sollevando lo sguardo al cielo, perennemente oscurato. «E la mia luce consumerà tutto il resto, così che finalmente questo mondo possa tornare a essere luminoso!» Saltellò sul posto, picchiò i talloni e atterrò con un’allegra piroetta.
Quanto sentiva… quanto sentiva di esistere! Lei vedeva la luce dell’anima, lei poteva capire quanto valesse il prossimo! «Deve esserci un motivo! – esclamò stringendosi nelle braccia e osservando il corpo, osservando il sangue, osservando quell’anima marcia e fatiscente che spariva davanti ai suoi occhi – io sono la prescelta! Io devo illuminare questo mondo morto e depravato! Io devo bruciare ogni cosa nel mio splendore!» Si abbassò sulle ginocchia, il jeans chiazzato si tese ed estrasse il coltello dai molli intestini della vittima osservando la propria immagine riflessa. «Sono l’unica che può farlo…»
Perché la Città era un enorme ammasso putrido di lumi tremolanti e deboli e lei li avrebbe consumati, li avrebbe consumati tutti affinché potessero risplendere con più forza, ritrovando linfa dalla morte, dalle ceneri. Un incendio al quale avrebbe dato vita con le sue mani, omicidio dopo omicidio… Che emozione!

Megan
Meghan non avrebbe potuto dirlo, e da questo era solita dedurre che fosse un qualcosa che aveva sempre avuto con sé, il suo segreto. Suo padre non ne sapeva nulla, nessuno degli Underground ne era a conoscenza e forse, l’unica che sospettava qualcosa era Kairi… ma questo era naturale. La sua anima brillava più di quella di qualunque altro.
Era un barlume di candela nel grigio imperante della Città… Sorrise e si portò la sigaretta alle labbra tinte di nero, buttando fuori il fumo dalle narici. Aveva il volto cerato di bianco, i capelli, già neri al naturale, tinti di un nero corvino estremamente lucido. Osservava il panorama offertole dallo skyline della Città, una gamba penzoloni dal tetto e una cassa di birre accanto a sé.
Ondeggiava il nudo piede sinistro con una certa pigrizia, il vento della notte che le soffiava in faccia e la sensazione del duro cemento sotto di sé. Non c’erano nuvole, solo immensi cumulonembi di scarico e sotto di sé un fiume in piena di macchine e persone, pozze al neon e insegne olografiche di grandi marchi della moda. Vedeva l’anima di tutti quelli che passavano, ed erano anime spente, che brillavano di vita, ma non vitalità. Eppure, se quello spettacolo un tempo la devastava, le stringesse le viscere portandola a disperarsi, l’aveva superato.
Non perché si fosse abituata, non perché si fosse rassegnata. Il motivo era un altro, pensò mentre si accendeva la terza sigaretta di fila e il fumo evaporava dalle sue belle labbra, ed era molto semplice: la sua anima brillava, quella di Kendall brillava, quella di Isaac e Almar brillavano… tutti loro vivevano. “E se noi ci riusciamo, se noi siamo riusciti a risalire, allora può farcela chiunque. Questa oscurità non può vincere.”
A quel pensiero sorrise, si alzò in piedi stiracchiandosi, allungando le braccia oltre la testa, buttò il busto in fuori e si sollevò sulla punta dei piedi. Si trovava sull’orlo proprio, con l’asfalto a qualche decina di metri più in basso, sarebbe bastato un nulla per farla cadere. Eppure, sorrise da un orecchio all’altro, allargò le braccia e respirò a pieni polmoni. Lei esisteva, la sua anima brillava. Senza rendersene davvero conto aveva iniziato a lasciarsi molte cose alle spalle e le anime, in qualche modo, emanavano un bagliore più forte.
Da quando si era resa conto di poter vedere le anime delle persone? Quando, esattamente, si era accorta del colore dorato dell’omicidio, del piacere che provava nel percepire la luce sempre più flebile, sempre più smorta che si spegneva man mano che il sangue se bagnava le dita delle mani. La Città soffocava, depredava e fagocitava… ma lei non avrebbe fatto quella fine. Lei avrebbe mangiato, lei avrebbe consumato, si sarebbe nutrita del bagliore delle anime degli altri.
Pensava questo mentre affondava il coltello all’altezza del ventre della sua vittima, mentre lo spingeva in quel vicolo fra due edifici della città bassa, mentre il rosso del sangue schizzava ad ogni affondo. La mano sinistra attorno al collo dell’uomo e la destra a colpire, più volte. Era una visione celestiale… La vedeva, la vedeva con occhi sbarrati mentre la luce dell’anima di quell’uomo si spegneva e si spostava e la propria anima brillava, brillava intensamente quasi da bruciare.
Osservò trionfante, la camicetta aderente lorda di sangue, la pozza che lambiva i suoi stivaletti anfibi, il fiato corto dietro la maschera che portava. Osservò trionfante quell’anima inutile spegnersi e bevé dalla sua lue, bevé tutto, lasciando il coltello conficcato fra i suoi intestini. «Non sparirò… non sarò una nullità – sussurrò appoggiandosi con la schiena al muro di mattoni dall’intonaco scrostato, portandosi una sigaretta alle labbra – nessuno mi mangerà, non sarò un nessuno…».
La fiamma della sigaretta rischiarò per un attimo i suoi occhi oltre i buchi della maschera bianca: occhi grandi, dolci all’apparenza, di un azzurro intenso e vivido. Respirava a fatica per la frenesia e l’euforia del momento, con la punta delle dita tremanti e un sorriso nervoso, estatico che si tendeva da un orecchio all’altro. «Sarò la più grande» disse buttando la sigaretta in terra e schiacciandola sotto il tacco dello stivale sollevando lo sguardo al cielo, perennemente oscurato. «E la mia luce consumerà tutto il resto, così che finalmente questo mondo possa tornare a essere luminoso!» Saltellò sul posto, picchiò i talloni e atterrò con un’allegra piroetta.
Quanto sentiva… quanto sentiva di esistere! Lei vedeva la luce dell’anima, lei poteva capire quanto valesse il prossimo! «Deve esserci un motivo! – esclamò stringendosi nelle braccia e osservando il corpo, osservando il sangue, osservando quell’anima marcia e fatiscente che spariva davanti ai suoi occhi – io sono la prescelta! Io devo illuminare questo mondo morto e depravato! Io devo bruciare ogni cosa nel mio splendore!» Si abbassò sulle ginocchia, il jeans chiazzato si tese ed estrasse il coltello dai molli intestini della vittima osservando la propria immagine riflessa. «Sono l’unica che può farlo…»
Perché la Città era un enorme ammasso putrido di lumi tremolanti e deboli e lei li avrebbe consumati, li avrebbe consumati tutti affinché potessero risplendere con più forza, ritrovando linfa dalla morte, dalle ceneri. Un incendio al quale avrebbe dato vita con le sue mani, omicidio dopo omicidio… Che emozione!
Megan