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Autore: Defective Queen    02/10/2009    8 recensioni
Niente poteva essere peggio di quella solitudine, dopotutto.
Nemmeno il fatto che gli altri riuscissero a a sconfiggerla così facilmente.
{C/B. Ambientata molto prima dell'inizio della serie.}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Serena Van Der Woodsen | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Before Gossip Girl'
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***

La prima volta che Blair vide Serena, pensò che quella graziosa creaturina dovesse essere, senza alcun dubbio, una bambola a grandezza naturale.
Non era possibile, d’altronde, che quei capelli dorati, quella pelle soffice e rosea, oppure quel sorriso contagioso potessero rientrare nei limiti umani.

A casa sua, la piccola Waldorf aveva un’ampia collezione di Barbie.
Le sue bambole indossavano i migliori vestiti - confezionati appositamente per lei dalle sarte collaboratrici di sua madre -, le loro chiome erano acconciate sempre ordinatamente, quasi a richiamare i suoi stessi boccoli curati, e le rivolgevano costantemente un sorriso statico, che di bambola in bambola non variava mai.
Ecco perché quel giorno, Blair restò totalmente senza fiato, guardando quella Barbie gigante muoversi, parlare, camminare nel cortile della scuola, e sorridere in un modo che le sue compagne di plastica non erano mai state capaci di replicare.

Aveva già deciso tutto. L'avrebbe resa sicuramente il pezzo forte della sua collezione.

Quello stesso pomeriggio, dopo aver ascoltato l’assurda richiesta della sua bambina, Eleanor Waldorf scoppiò in una fragorosa risata.
«Ma Blair, non puoi pensare di comprare una persona», le ricordò.

Blair scosse ostinatamente i suoi boccoli scuri: «Lei è una Barbie e io la voglio.»

Harold Waldorf sopraggiunse alle spalle di sua moglie e sorrise alla determinazione della sua piccola.

«Blair-bear, perché non cerchi più semplicemente di diventare sua amica?», domandò con soffice dolcezza.

«Quando la comprerò lei dovrà essere per forza mia amica», dichiarò Blair, gonfiando il petto e tentando di apparire imponente e ferma nelle sue decisioni; cosa decisamente assurda per una bambina di cinque anni.

Harold si inginocchiò davanti a lei e le prese le mani, «L’amicizia delle persone non può essere presa con la forza, Blair», disse guardandola profondamente negli occhi per assicurarsi che lei lo stesse veramente ascoltando. Blair, d’altra parte, non avrebbe mai osato ignorare suo padre, accecata dall’adorazione assoluta che provava per lui.

«L’amicizia è una cosa che va conquistata piano piano con pazienza, imparando a convivere con i pregi e difetti dell’altro, accettandolo per com’è veramente, senza pretendere qualcosa di più.»

Blair annuì, assorta.

«Allora, vuoi davvero diventare sua amica?», le domandò Harold Waldorf.

Sua figlia annuì più violentemente, lasciando danzare i suoi riccioli a ritmo del movimento frenetico del capo.

«Bene. Buona fortuna per domani allora», le augurò Harold, baciandole la fronte e prendendola in braccio all’improvviso.
Blair lanciò uno strillo di eccitazione, aggrappandosi saldamente alle braccia di suo padre e promettendo a sé stessa che il giorno seguente la Barbie sarebbe diventata sicuramente sua amica.
Nessuno avrebbe potuto ostacolarla.

Il giorno dopo, tuttavia, si presentarono delle complicazioni nel suo infallibile programma.

All’ora della merenda Blair si diresse a passo di marcia verso il luogo dove aveva visto la Barbie per la prima volta: una panchina di legno situata all’ombra dell’albero più alto del cortile, ma, per sua sfortuna, la trovò già occupata.
Sdraiato comodamente su di questa, nel posto più privilegiato dell’intero perimetro – era stata Blair a selezionarlo accuratamente, d’altronde -, vi era un marmocchio della sua stessa altezza, moro, che indossava una maglietta azzurra e un paio di calzoncini corti.

«Questa panchina è mia», dichiarò Blair nello stesso tono in cui si annuncia una guerra, «Spostati.»
Il suo coetaneo non rispose: restò lì, con gli occhi chiusi a respirare quella brezza piacevole, ignorando completamente la sua esistenza.

«Ho detto che-», riprese a dire lei, minacciosa, ma la voce del finto addormentato la interruppe.

«No. L’ho trovata prima io e ci rimango», decretò lui con la stessa convinzione che Blair aveva avuto fino a poco prima, senza nemmeno sollevare le palpebre.

«Ma io devo vedere la mia Barbie!», protestò Blair, «E lei deve diventare mia amica!»

«Non mi interessa», rispose il bambino, scocciato, portandosi un braccio sul viso, per schermarsi da quel po’ di luce che riusciva a penetrare i folti rami dei cipressi alle sue spalle, «E poi non ci sono Barbie qui. Questo è un asilo, non un negozio di giocattoli.»

Blair, incapace di trattenersi, digrignò i denti, pur sapendo che sua madre non avrebbe approvato un gesto così poco di classe.

«Spostati ho detto!», ripeté, avvicinandosi alla panchina.

Il bimbetto sbuffò, esasperato, prima di aprire gli occhi. Fissandola con un prepotente sguardo dal colore castano, appena più chiaro del suo, scandì nuovamente la sua risposta: «Enne O. No.»

Blair non ci vide più.

Dovendo ancora affinare le sue abilità strategiche e complottistiche, le restava solo la forza bruta per ottenere ciò che voleva. Perciò gli si gettò contro con l’urlo di una banshee adirata.

Il bimbo gridò, quando lei iniziò a tirargli i capelli, e Blair sorrise subito, convinta della sua ormai scontata vittoria per il possesso della panchina. Ciò che non aveva previsto, però, era che lui si sarebbe subito ripreso, passando direttamente al contrattacco.

«Basta, stupido! Mi fai male!», protestò, tentando disperatamente di mantenere il controllo sui corti capelli del bambino, ma quest’ultimo, al contrario, poteva certo avere una presa migliore sui suoi lunghi boccoli.
Lui non desistette e continuò a strattonarla violentemente.

Dopo qualche minuto di lotta all'ultimo sangue - o meglio, all'ultimo capello-, Blair, persa tutta la concentrazione a causa del dolore lancinante al capo, si era ormai ridotta solo a scalpitare e scalciare contro quel demonio in miniatura, mentre quest’ultimo teneva salda la presa sulla sua chioma bruna, emettendo grugniti decisamente poco aggraziati quando i piedi o i pugni della bambina riuscivano a colpirlo.

Avvisate da alcuni studenti, che avevano visto i due darsele di santa ragione, due maestre accorsero correndo.

«Bambini! Smettetela!», insorse la più giovane, pronta a separarli.

Cercò di sottrarre delicatamente Blair dall’aggressione del bambino, ma quest’ultima la spinse via con veemenza per sferrare un altro colpo nello stinco del suo compagno di azzuffata.

«Blair! Chuck! Smettetela subito!», la seconda insegnante si gettò nella mischia e fermò Chuck, allontanandolo con la forza al suono di queste parole: «Se non la smettete immediatamente, avviserò i vostri genitori!»

Udita la minaccia, sia Blair che Chuck si immobilizzarono, pur continuando a fissarsi ferocemente a distanza, permettendo alle insegnanti di separarli.

«Bambini! Vi sembra un comportamento corretto questo? Potevate farvi molto male!», li sgridò la prima donna.

Il bambino, che a quanto pare si chiamava Chuck, restò zitto fissandosi le punte delle scarpe, mentre Blair si trovò improvvisamente a corto di parole.
La sua condotta era stata imperdonabile.

«Ma io…», tentò di protestare.

«No, Blair. Tu e Chuck dovete chiedervi scusa a vicenda, e promettere che non lascerete che una cosa del genere accada nuovamente!», intervenne la seconda maestra.

Blair la guardò smarrita. Chiedere scusa a quel barbaro essere vivente? Giammai!
La piccola folla di bambini che si era radunata lì vicino, li spiava curiosamente alle spalle della maestre. Blair arrossì per l’umiliazione. Chuck, invece, sembrava essersi estraniato totalmente dal mondo.

Anche la Barbie, quella Barbie dal sorriso dolce e contagioso, fissava Blair con un’espressione smarrita e fin troppo umana per i suoi gusti. Cosa avrebbe pensato di lei adesso? L’avrebbe considerata una monella e avrebbe rifiutato la sua amicizia?

E tutto per colpa di quello stupido!

Con gli occhi gonfi di lacrime, Blair crollò in singhiozzi, abbracciando strettamente la gamba della maestra più giovane, che era anche quella più gentile.

La donna sospirò stanca, prendendo in braccio la bambina, e fissò Chuck duramente.

Lui le restituì uno sguardo vuoto.

«Sei stato tu ad iniziare, vero Chuck?», domandò rassegnata.

Chuck avrebbe potuto difendersi e dire di no, ma le sue esperienze passate gli suggerivano che si sarebbe rivelata una mossa inutile.
Ovviamente era sempre colpa sua. Non era necessario chiedere alcuna conferma.
Il piccolo Bass riportò il suo sguardo verso il terreno, senza proferire parola, mentre quella frignona piscialletto continuava a lamentarsi, consolata dalla seconda donna e da un’altra bambina bionda.

«Lo sai che dovremo avvisare tuo padre», rincarò la dose l’altra maestra, tentando di scatenare una qualche reazione in lui.
Chuck ascoltò passivamente quelle parole.
Sapeva già cosa l’avrebbe aspettato a casa.
E non sarebbe stata una sberla troppo violenta, ma semplicemente una gelida indifferenza, impossibile da dissipare.

Se solo quella smorfiosetta non l’avesse disturbato, forse…

«Vieni con me», sospirò l’insegnante, rassegnata. Lo prese per mano e lo allontanò dall’ormai folto gruppo di bambini che si erano radunati sulla scena del crimine.

Lanciando un ultimo lungo sguardo alle sue spalle, Chuck vide Blair sorridere timidamente all’indirizzo di una bambina che le stava accarezzando docilmente la testa.
Gli sembrò quasi di vedere una solare Barbie intenta a coccolare una fragile bambolina di porcellana.
Che schifo. Quella scena gli faceva solo venire da vomitare.

«Andiamo Chuck», lo incoraggiò ancora la donna, vista l'iniziale ritrosia del bambino.

Chuck si voltò, disgustato da ciò che aveva appena visto, pronto ad essere condotto verso l’ennesima punizione.
Niente poteva essere peggio di quella solitudine, dopotutto.

Nemmeno il fatto che gli altri riuscissero a sconfiggerla così facilmente.
   
 
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