La fine è il mio inizio
E' di nuovo il sole d'India a svegliarmi con la sua carezza, così insolita ormai
per il mio corpo freddo. Non so quanto tempo impiegherò ad abituarmici, al
momento non riesco neppure a credere che potrò davvero alzarmi, tornare ad
essere quello di prima. E' già abbastanza accettare di essere qui, nonostante
tutto. Sono tre giorni da quando ho riaperto gli occhi e ancora non riesco a
pronunciare quella parola, quelle benedette due sillabe che invece, uscite dalle
sue labbra in un sussurro appena, hanno saputo farmi rinascere. Lui mi ha
salvato, ancora una volta. E' stata sufficiente una carezza perché riconoscessi
il suo tocco, liberandomi dal muro di silenzio e diffidenza in cui mi ero
chiuso. La sua voce è stata un'ancora di salvezza nel torpore che mi avvolgeva,
i suoi occhi l'oceano di smeraldo in cui mi sono perso, desiderando quasi
annegare nella gioia di averlo ancora accanto.
"Va tutto bene, Shaka - ha mormorato, chinandosi a baciare i miei capelli - non
c'è più nulla da temere ora. Sei vivo"
Vivo... è questa la parola che ha riempito il mio cuore negli ultimi giorni.
Sono vivo. E' impressionante come io lo senta proprio ora con una chiarezza così
insolita, come se la vita che mi scorre sotto la pelle avesse avuto il capriccio
di manifestarmi la sua presenza solo dopo che ho rischiato di perderla e dopo
che ho fatto di tutto per allontanarla da me tutta la vita. La sento fremere e
bruciare come fuoco liquido contro le mie ferite, sottolineare ad ogni fitta che
il dolore mi lancia che lei mi appartiene e che io non ho il potere né la
volontà di disprezzarla. Si prende gioco di me... la vita ride di me, perché
sente con quanta intensità desidero tenerla stretta ora che ho capito a quanto
dovrei rinunciare morendo.
Ho il corpo pieno di ferite e lividi, non posso muovere neppure un dito senza essere investito da fitte lancinanti. Ad alzarmi ho provato una volta sola, solo per poi perdere coscienza per più di due ore. Ho la testa pesante, non riesco a ragionare bene, non percepisco il cosmo su cui ho fatto affidamento in tutti questi anni... eppure l'unica certezza che ho è che non me ne voglio andare. Sono grato a questo dolore e tremerei se non dovessi più sentirlo. E' ciò che adesso mi tiene ancorato a questo mondo, questo mondo così effimero, imperfetto, vano. Questo mondo che amo dal profondo del mio cuore di uomo.
Perché è questo che sono, come il mio corpo martoriato mi ricorda in continuazione: nient'altro che un ragazzo, più fortunato degli altri in alcune cose, immensamente più sfortunato in tante altre. Tra queste c'è il non aver mai saputo con certezza chi sono, se la natura divina che mi è stata attribuita è poi davvero tale. Maestro, ti chiedo perdono, così come a tutti coloro che hanno visto in me una guida, qualcuno al di sopra della semplice natura mortale da seguire alla stregua di un idolo... perdonatemi se dopo tutti questi anni trascorsi a rendermi perfetto e inaccessibile nel mio distacco ora sono così sollevato nel sentirmi così fragile e umano.
Questa non è una sconfitta per me, anzi è come se ritornassi a me stesso dopo un tempo lunghissimo. Perché adesso che non ho nemici da combattere né dee da difendere, o anche solo l'onore di gold saint da far rispettare, ora non ho più paura, no, di pormi la domanda che disturba le mie meditazioni da tempo: sono davvero io, quel santo che si lascia scorrere la vita davanti, sospeso sopra un fiore di loto?
Per anni ho creduto che fosse la cosa giusta, la strada che il destino aveva scelto per me, ma ora non lo penso... il dolore che mi ha svegliato dal sonno non mi permette di illudermi con queste bugie pietose. Quel bambino che a cinque anni si tormentava, in lacrime per disgrazie non sue, che sentiva nel sangue ogni sofferenza come se ricadesse sul suo capo per amore di un popolo o ancor più per amore dell'uomo in tutta la sua meravigliosa miseria... quello sì, ero io, puramente io. Shaka, non Virgo, non Shakyamuni. Shaka e basta. Maestro, tu mi parlasti, allora, mi indicasti la via per allontanare da me tanta sofferenza, ed io ero felice di avere il privilegio delle tue parole. Eppure ora non so, non sono sicuro di aver seguito la via giusta.
Tu mi hai chiesto il distacco, l'annullamento di ogni contatto con un mondo che mi faceva male con la sua sofferenza, ma che pure amavo più di chiunque altro. Non avrei sofferto se non avessi amato... ed era buono, quel dolore, come quello che ora mi ha strappato all'oblio. E' la vita che mi chiama, Maestro. Del resto, io sono figlio di questa terra, figlio del Gange, il fiume dove la mia gente onora i propri morti e dove al contempo cerca la vita, fiduciosa e dolente insieme. L'India è questo: vita e morte, miseria e bellezza. Ed io sento di non poter rifiutare né l'uno né l'altro, sono parte di me e del mio sangue da quando sono nato. Da bambino ho amato la tua voce, Maestro, ed ora mi dispiace deluderti, perchè dimostro di non essere degno di percorrere il tuo cammino. O forse non è questione di essere degni o meno... forse io sono soltanto diverso da te.
Io sono Shaka, e sono vivo. Ma tu... chi sei davvero, Maestro? Da dove viene la voce che ha guidato i miei passi per tutto questo tempo?
Il materasso su cui sono disteso si piega sotto un peso, mani callose percorrono il mio viso con una dolcezza paterna che ancora mi sorprende. Quest'uomo non immagina che valore abbia il suo gesto... quest'uomo, Saul, di cui so a mala pena il nome, mi ha raccolto in fin di vita senza chiedersi da dove venissi, chi fossi, come mi fossi procurato quelle ferite. E' stato il primo, dopo tanto tempo, a vedermi come nient'altro che un ragazzo, bisognoso di aiuto e anche di affetto. Non si è limitato a curarmi, no: l'ho sentito, durante l'incoscienza, mormorarmi all'orecchio parole di incoraggiamento, sfiorarmi la guancia o i capelli come sta facendo ora. Ciò che mi sconvolge è quanto poco sia assurdo e quanto invece naturale e giusto quel che sta facendo.
Io ho 20 anni, per età potrei essere
suo figlio, i miei coetanei si confondono tra le vie ingombre di risciò con la
borsa dei libri a tracolla, è normale che ricevano cura ed affetto. Lui si
comporta con me come potrebbe fare con loro, non si è accorto di nulla. Forse
perchè, in fondo, non c'è nulla di cui accorgersi.
"Se vuoi restare penso non ci siano problemi - lo sento bisbigliare, temendo
probabilmente di disturbarmi - migliora, di poco, ma migliora. Non è il caso che
si stanchi"
"State tranquillo - mi raggiunge la SUA voce, così bella e rassicurante - non
potrei danneggiarlo neppure costretto"
Saul mi allunga un'ultima carezza ma quasi non ci faccio caso: sto lottando per
obbligare i miei occhi ad aprirsi, andando contro l'abitudine di questi ultimi
anni. Aveva ragione Milo, in fondo: abbiamo già così poco tempo per ammirare il
mondo, rimangono sempre tante e tante meraviglie sconosciute e mai viste... che
senso ha chiudere gli occhi davanti a quel poco dell'immenso splendore
dell'universo che ci è concesso? Povero Milo, lo prendono sempre tutti per uno
stupido, solo perchè non si atteggia nè pretende di far pesare agli altri la
propria saggezza. Milo è forse, fra tutti noi, quello che più è rimasto se
stesso anche dopo l'investitura. Forse anche LUI, a suo modo... hanno caratteri
diversi, per questo in Milo è più evidente, ma in entrambi l'uomo, il ragazzo
anzi, in tutti questi anni ha sempre prevalso sul cavaliere. Per questo mi sento
così sicuro quando ho lui accanto, quando come ora le sue mani calde si
soffermano sul mio viso e sembrano capaci di cacciare via tutto con la sola
forza della sua dolcezza, dalla paura, al sollievo, alla rabbia. Nulla di ciò
esiste finchè c'è LUI con me, perchè LUI è tutto. Mi sfiora delicatamente la
fronte con le labbra, scostandomi la frangia con un gesto ormai familiare.
"Mu..." mi lascio sfuggire, vincendo
finalmente la battaglia contro le mie palpebre pesanti e riuscendo, così, a
perdermi nei suoi occhi, del colore scuro di un bosco antico e fatato. Sorride e
mi chiude le labbra con due dita, con quei suoi modi paterni che spesso gli
sfuggono e che, fin da quando aveva solo 12 anni, hanno fatto sì che tutti noi
lo guardassimo come ad una persona più matura, una guida, quasi.
"Sei debole - finge di rimproverarmi con fare accondiscendente - se ti stanchi
poi ti lamenti che non riesci ad alzarti"
Gli strizzo un occhio con una smorfia. "Ti diverti alle mie spalle perchè con la
tua fortuna non ti sei fatto niente.."
"Ti sbagli. Ero malconcio anch'io: sai, non era proprio un muretto quello che
abbiamo abbattuto"
Lo sguardo gli si fa più scuro, addirittura il sorriso gli muore sulle labbra.
Evidentemente anche a lui fa male ricordare quel sacrificio, le ferite di un
passato verso cui non sappiamo come porci brucia sul nostro corpo come su quelle
dei nostri compagni, di cui ancora non conosco la sorte. Faccio scivolare la
mano sulla sua, stringendolgliela forte.
"Ora però stai bene..."
"Dopo due settimane di coma, a dire il vero"
Rabbrividisco al solo immaginarlo in quelle condizioni. Il mio sguardo scivola
preoccupato sul suo viso, sulla coda lasciata negligentemente in disordine a
ricadergli su una spalla, sfiorandogli lieve una guancia. Gli abiti che indossa
mi impediscono di vedere le ferite che hanno tentato di strapparlo alla vita,
ferite simili alle mie.
"Mu... ma quanto tempo sono stato incosciente?"
Lo vedo esitare: una smorfia rivela quanto sia doloroso per lui ricordare quel
periodo. "Più di un mese, Shaka. Il punto è che io non ero ben messo ma tu...
eri quasi morto quando ci hanno soccorsi. Ti avevano dato per spacciato. E
quando mi sono svegliato ed ho chiesto di te... Saul è scoppiato a piangere non
appena ha capito di chi parlavo. - solleva gli occhi nei miei e capisce che non
può più tacere: sono tornato, e so cosa comporta. Voglio sapere tutto ciò che è
accaduto, soprattutto che ne è stato dei nostri compagni. Riprende fiato, e già
da questo capisco che non tutto è come vorrei. - Camus è stato il primo a
riprendersi, e poco dopo di me c'è stato Saga, poi Lia e Shura. E insieme a te
Dite ed Angelo" tace abbassando lo sguardo: sa che lo conosco troppo bene e
leggerei con facilità ciò che non vuole dirmi.
"Mu - lo imploro, e scuote la testa. Cerco di tirarmi su e solo così, per
l'ansia che possa farmi del male, torna a rivolgersi a me con premura,
permettendomi di inchiodarlo con uno sguardo a cui so che non sa resistere - Mu,
dimmelo. Dimmi a chi è toccato"
"No... nessuno è morto ma... - la voce gli si riduce ad un sussurro, pur se,
come sempre, riesce a contenere le lacrime - Milo..."
Quel nome, l'ultimo che mi sarei aspettato, riesce quasi a bloccarmi in gola un
respiro, soffocandomi. "Milo?"
"Potrebbe non farcela"
E' più di quanto volessi sentire. Milo, che è sempre apparso così sbarazzino e
passionale, laddove io mi nascondo dietro ad una maschera di serietà e
freddezza, dovrebbe forse apparire come uno dei compagni con cui meno avevo a
che fare, ed invece ho sempre trovato che avesse almeno una cosa che lo rendeva
simile a me: l'amore totale e assoluto nei confronti di quel suo compagno,
Camus, che la guerra gli aveva strappato troppo presto.
"Milo... perchè?"
Lo vedo esitare, alzando di scatto il capo per controllare di essere solo. "Ti
ho detto - riprende - che Camus se le è cavata molto meglio degli altri" si
interrompe alla stretta convulsa della mia mano.
"Per lui?" esalo, commosso.
"Già" Il suo sguardo si è fatto lontano, amaro non so bene se di rimpianto o
addirittura di rimorso. "Se solo avessi potuto evitare anche a te tutti questi
giorni, io..." le mie dita corrono alle sue labbra prima che possa continuare.
"Sto bene. Cosa vorresti cambiare? Va tutto bene... non dirlo neppure per
scherzo"
"Ti ho sentito gemere più volte nel sonno. Non stai bene"
"Questo dolore è buono, Mu. Era troppo tempo che mi credevo invincibile, nella
mente e nel corpo. Queste ferite servono perchè io guarisca, smuovono in me la
vera forza, quella che non devo a nessun cosmo o dio. - faccio scivolare la mano
dietro la sua nuca, infilando le dita tra la seta dei suoi capelli. Lo spingo ad
avvicinare il viso al mio con una leggera pressione, e come sempre non trovo
resistenza - La ferita che mi farebbe saperti nelle condizioni di Milo non mi
aiuterebbe a guarire. Rischierebbe di uccidermi"
Il sapore delle sue labbra mi inebria per alcuni istanti che vorrei prolungare
in eterno: non è diverso da come lo ricordavo. Emana pace, dolcezza antica
addirittura. Mu è l'unica cosa che sappia davvero placare il mio tormento, più
di qualunque meditazione, perchè non mi distacca da questo mondo, non rende
lontana ed estranea la paura, così come il dolore che l'esistenza mortale si
porta dietro. Lui mi rende parte di esso, parte del tutto, e quando
inavvertitamente sfiora con un gomito una delle mie ferite rido al suo tentativo
di giustificarsi: questo dolore sta risvegliando Shaka, il suo amore, i suoi
vent'anni, Virgo mi pare ormai un'eco lontana, che non mi provoca più che
tenerezza. Puoi sentirmi, Maestro? Non sarai fiero di me, lo so. Io invece ti
ringrazio: hai tentato di farmi del bene, chiunque tu sia, ma io non sono te, e
quelle che per te erano risposte per me sono state l'anestetico che mi ha
estraniato in tutti questi anni. Ma ora è dell'aria che ho bisogno.
"Ti amo, Mu" sussurro, dispiaciuto perchè ha interrotto il contatto. E' lui, la
mia aria.
"Ti amo anch'io" sorride, lo sguardo liquido di tenerezza trasforma i suoi occhi
in due laghi di smeraldo.
Lascio la sua mano, portandomi il braccio sulla fronte a parare in parte la luce
del Sole. E' così vivo, qui, in India, così forte... ed io che credevo che non
l'avrei più rivisto. Vorrei rimanere così ancora a lungo, accanto all'uomo che
amo, senza pensare ad altro, ma la mia natura si prende gioco di me,
assillandomi con mille domande che alla fine riescono ad evadere dalle mie
labbra stanche.
"Cosa credi che sia accaduto?"
Si stringe lentamente nelle spalle con un sospiro. "L'eclisse è rientrata...
comunque sia, almeno è servito. Spero se la siano cavata tutti"
"Ci cercheranno?"
"Direi di no. Saremmo dovuti morire, non possediamo più neppure i nostri cosmi.
Ammesso siano sopravvissuti, non possono rintracciarci in alcun modo"
Lo osservo di sotto in su, con l'aria maliziosa che sfodero solo in sua presenza
se voglio stuzzicarlo. "Pensi di odiarmi se ti dico che in parte mi sento
sollevato?"
"Anch'io lo sono. E' come essere di botto tornato ad avere il pieno controllo
della propria vita, anche se, a dire il vero... in questi giorni mi sono chiesto
spesso che cosa ne sarà di noi adesso"
"Quel che ne è più o meno di tutte le persone che vivono senza armature e dei
tra i piedi - nel dirlo non nascondo un sorriso - qualunque cosa. Avevamo delle
certezze, altrettante catene. Sai, io non ho potuto pensarci molto ma... penso
che Milo avesse ragione quando mi diceva che era stupido chiudere gli occhi. Ci
sono ancora così tante cose da vedere, luoghi che potrei e vorrei conoscere. E
morire prima di avere provato tutto ciò che di meglio ci ha riservato la vita...
è eroico, ma troppo triste. Per certi versi anche stupido"
Il più bello dei mari è quello che non navigammo
"Stupido, dici?"
"Non voglio rinnegare nulla, non fraintendere, ma solo... io penso di aver dato
quel che potevo dare, Mu. Io sono morto per quel mondo, rinasco ora per un
altro. Non tornerò dov'ero. Il vento soffia come sempre, ma ha cambiato rotta.
Questo è quel che io sento per me... per noi"
"Forse - mormora, e il suo sguardo mi attraversa malinconico - vorrei poterlo
credere. Ma per lasciare che il vento cambi la mia strada dovrei avere il cuore
libero, e non è così. Sono legato a te, a questa nuova vita. E' il sangue che mi
trattiene là da dove vengo... dove non vorrei tornare"
"Kiki"
Il suo silenzio è il più doloroso degli assensi. "Lui non sa - soggiunge con
voce spezzata - non immagina il mio segreto. E nessun altro può dirgli la
verità"
"Lui è tuo, Mu. Kiki è tuo figlio, è parte di te, non di quel mondo. A quest'ora
starà piangendo per la tua perdita, anzichè rallegrarsi della sconfitta del
male. Tornerà da te, Mu, starà con noi. Ricordi quante volte l'ho tenuto in
braccio, in passato? Lo farò altre mille volte, riderà con te, lo sgriderai. Gli
insegnerai a vivere nel mondo come a suo tempo lo hai istruito come apprendista.
Io penso che in fondo abbia sempre visto in te suo padre, pur non sapendolo, ed
è ancora solo un bambino, Mu. Sei ancora in tempo, Mu, per dargli quello che
finora non hai potuto. Lo riporteremo con noi, Mu, nessuno saprà nulla, fosse
l'ultima cosa che faccio, te lo giuro"
Il suo sorriso vale milioni di ringraziamenti.
Il più bello dei nostri figli non è ancora
cresciuto
"Non è finita, allora - sussurra - non è finita davanti a quel muro, come
credevamo"
Mi concedo una risata: mi guarda come incantato. Sa che non è un dono da poco,
da me che sono sempre così riservato, più per la mia indole orgogliosa che per
freddezza, e lo vedo soffermarsi su ogni piega delle mie labbra, sugli occhi che
socchiudo con fare sornione e sensuale. Ricordo che una volta scherzando mi ha
paragonato ai gatti: controllati e perfetti, a volte crudeli nel loro sguardo
impenetrabile, intimamente selvaggi, fedeli, dolci anche. Maestro, nessun dio
potrebbe tenermi lontano da lui... nessuno dei miei sforzi potrebbe impedirgli
di leggermi così bene.
"Più che la fine io direi che questo è l'inizio - soggiungo - il nostro inizio"
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora
vissuti
Si china ancora su di me, poggiando la fronte sulla mia e accarezzandomi lieve i
capelli. Le sue dita indugiano sul bindi che ho sulla fronte, l'unico segno
evidente della mia origine, o almeno di quella che mi è stata attribuita. Chi
sono davvero, da dove vengo, questo credo che non lo saprò mai. Ma non è il
passato che conta, ora.
"Ti amo, Shaka - mormora al mio orecchio - ti supplico... giura che non te ne
andrai da me"
"Sciocco... certo che lo giuro"
"Shaka, qualunque cosa accada, io sarò al tuo fianco. Sempre" Mi tocca di nuovo
le labbra in un bacio rapido e dolcissimo.
"Com'è che si dice? Nella gioia e nel dolore?"
"Non saprei. Non mi sono mai sposato... fino ad oggi"
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho
ancora detto
Nazim Hikmet
L'ANGOLO DELL'AUTRICE (si fa
per dire)
Questa è la mia prima fanfiction e credo che non l'avrei mai scritta se non
fosse stato per la curiosità gemellesca di Gem (*si inchina al sommo Sion*) che
da mesi scalpita dalla voglio di vedermi all'opera. Contenta, ma Reine? lol
Siccome io di solito scrivo esclusivamente fantasy e per di più molto lunghi
(tra le 500 e le 600 pagine, per darvi un'idea) confrontarsi con un genere
diverso, personaggi non miei e la lunghezza limitata della one shot (cui sono
ricorsa per motivi di tempo) non è stato facile, ergo abbiate un briciolo di
comprensione prima di massacrarmi.
Qualche precisazione sulla storia: è Post Hades, penso che si capisca, fa
riferimento a ciò che potrebbe (IMO) essere accaduto ai Gold dopo la caduta del
muro del pianto, se fossero sopravvissuti. E' nata come una one shot ma ciò non
toglie che potrebbe essere il primo capitolo di una long fic, se mai avessi
voglia e tempo di continuarla, ma per ora resta così com'è perchè ho
un'università ed il terzo libro da iniziare e per quanto ami Mu e Shaka non
potrei dedicare loro l'attenzione che meritano ed io sono così: o faccio le cose
per bene o non le faccio. Poi: il titolo non è mio, è preso da un bellissimo
libro di Tiziano Terzani, l'ultimo che ha scritto, e che consiglio a tutti. La
poesia di Nazim Hikmet è quella che mi ha dato finalmente l'ispirazione dopo
mesi che resistevo alle insistenze di Gem, ho voluto inserirla perchè è una
delle più belle che io abbia mai letto. Ultimissima precisazione: questa fic
tratta di una coppia yaoi ma NON SI TRATTA DI MALE PREGNANT. Kiki, nella mia
testa malata, è il figlio biologico di Mu, Shaka non c'entra se non nel fatto di
essere il compagno di Mu e quindi, per forza di cose, verrebbe ad esserne il
secondo padre.
Ultima cosa, ma non per ordine di importanza:
questa fiction è dedicata a Gem, la migliore scrittrice di fanfiction yaoi
di tutta Italia :3 grazie di tutto, bella! Vedrai che vinceremo entrambe ;)
Con questo chiudo, e spero che vi piaccia, anche se non sapevo proprio da che
parte cominciare!
Ciao e grazie in anticipo a chi commenterà
zamina