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Autore: H u m a n o i d    06/10/2009    0 recensioni
Alessia, è una ragazza di 17 anni. I suoi genitori sono morti da sette mesi, e lei vive ad Amburgo con la sorella maggiore Alice. I suoi vicini Tom, e Bill, e tutti gli altri suoi amici, la aiuteranno ad attraversare brutti periodi, segnati da eventi sgradevoli, tra cui i litigi con la sorella e un tradimento...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: I Hate The Morning

7.00. L’ora maledetta. L’ora in cui dovetti rassegnarmi, e lasciare il mio amato mondo dei sogni, per colpa del rumore assordante e continuo della sveglia. Mugolai innervosita, e mi decisi a muovermi.

Mi sedetti sul bordo del letto, e mi stropicciai gli occhi, ancora addormentata. Odiavo la mattina, per me, era sinonimo di stress. Mi alzi dal letto. Il solo pensiero di ritornare a scuola, mi fa sentire male. Strusciai i piedi fino alla porta del bagno, ovviamente occupato da mia sorella.

“Aliii Muoviti! O ti piscio sul cuscino!” Urlai, con una voce inverosimilmente addormentata.

Sentii un vuoto dentro, ancora non mi ero abituata al silenzio che si sentiva ogni mattina dalla morte dei miei genitori. Non sentivo le loro risate provenienti dalla cucina, la voce calma e gentile di mia madre, che mi diceva di sbrigarmi dal piano di sotto. Non ricevevo più alcun bacio sulla fronte da mio padre, a volte anche troppo premuroso, con me, che all’ epoca avevo 17 anni. Sospirai malinconica. Ormai erano passati sette mesi, ma ancora, non riuscivo a farmi un ragione di tutto ciò.  Non eravamo sole, assolutamente no. Avevamo i nostri parenti, gli amici. Nonostante, tutti si impegnassero sempre di più a farmi sentire amata, e impiegavano sempre più energie, nel cercare di farmi capire che non ero sola, non riuscivo a colmare il vuoto che i miei genitori avevano lasciato in me dopo la loro morte.

Mia sorella aprì la porta, facendomi evadere dai miei pensieri. Era raggiante come sempre, vestita di tutto punto, per andare a lavoro allo studio legale. Trucco non troppo pesante, tacchi a spillo, e un completo che l invecchiava un po’, ma non sminuiva per niente la sua bellezza. Come al solito, i lunghi capelli neri, identici ai miei, erano legati in una coda alta. Mi schizzò davanti agli occhi, urlano un “Buongiorno sorellina!!” e scendendo di corsa le scale: entrambe eravamo perennemente in ritardo.

“Buongiorno…” Mugolai chiudendomi dentro il bagno.

Uscii dopo un quarto d’ora, e, dopo essermi svegliata, grazie ad una doccia fredda, mi sbrigai a vestirmi.

“Alessiaaa! Datti una mossa! Che tra poco Tom e Bill saranno qui!!” Mia sorella mi richiamò all’ordine.

Bill e Tom, erano i  miei vicini di casa, nonché migliori amici, e compagni di classe. Cosa del tutto ovvia, dato che eravamo cresciuti insieme. Da piccoli, e anche allora, eravamo dei casinisti. Quando eravamo delle piccole pesti, i nostri genitori, raramente non ci mettevano in punizione, e noi altrettanto frequentemente, facevamo il diavolo a quattro per ridurre la nostra pena.  A volte, anche allora, facevamo nello stesso modo. Bill, era una persona contenuta però, e non finiva in punizione tante volte come me e Tom. Come dire… era il fratello “buono”. Strusciai nuovamente i piedi per terra, e mi chiusi nella mia camera. Aprii l’armadio svogliatamente, e osservai ogni capo d’abbigliamento che possedevo. Troppo nero, troppo lungo, troppo corto… Finalmente decisi cosa mettermi. Ora mi dovevo truccare, e questo significava, che non avrei fatto in tempo a consumare la mia colazione.

Mi serrai di nuovo in bagno, e dopo poco sentii suonare il campanello.  I tacchi a spillo di mia sorella picchiettavano sul pavimento, facendomi salire il nervoso, per poi fermarsi aprendo la porta.

“Hei ragazzi! Buongiorno!”

“Buongiorno Ali!” Salutarono i gemelli Kaulitz; sempre se si potevano chiamare gemelli. Da piccoli, li confondevo sempre, o quasi. Allora, era impossibile scambiare l’uno per l’altro. Erano talmente diversi, che era difficile soltanto credere che fossero fratelli. Bill, era tutto particolare; i capelli corvini, sparati in aria, come Goku. Il trucco pesante, che metteva in risalto i suoi dolci lineamenti. Gli abiti, i cui colori erano sempre gli stessi; nero, rosso, grigio e bianco. Era, bello, molto; anche se la sua era una bellezza tutta particolare. Tom, era l’esatto opposto; abiti over-size, che sarebbero stati larghi a chiunque. I capelli biondi, trasformati in tantissimi dread, raccolti in una  coda. E poi, l’immancabile cappellino, che io avevo sempre, e ripeto sempre odiato. Anche lui era bello, molto bello; ma narciso com’era, non glielo dissi mai, sennò si sarebbe montato la testa. A Bill ,invece potevo dirlo tranquillamente, anche se arrossiva immediatamente dopo. L’unica cosa che i due avevano in comune erano gli occhi. Meravigliosi. Castani, profondi; così belli da toglierti il fiato. Non per niente, erano tra i ragazzi più corteggiati della scuola! Tom, accettava volentieri i corteggiamenti, che ogni ragazza, gli faceva. Bill, era molto più timido, e difficilmente accettava di uscire con una delle ragazze che gli facevano il filo. Anzi, non capitava mai. Diceva sempre che aspettava  Il vero amore. Tom, al contrario, ripeteva spesso, di essere giovane, e di non volersi rovinare la vita, aspettando di trovare la ragazza giusta, “Finché posso, voglio divertirmi!” Ecco le sue classiche parole.

Dei passi, salirono su per le scale, e li riconobbi subito: erano quelli di Bill. Dopotutto, era l’unico, che poteva venire a rompermi le scatole mentre mi truccavo. Del resto, la facevo pure io con lui!

“Aleee!”

“Biiil!”

“Quanto ti manca??”

“Poco!!!” Sbuffai.

“Uff! Senti, a  Pete, non gliene frega nulla se sei truccata molto o poco!! Dai ti dai una mossaaa!”

No. Non poteva averlo detto! Avevo pregato sia lui che Tom, di non dire niente su Pete, il mio ragazzo, davanti a mia sorella. Da quando i nostri genitori ci avevano lasciato,  era diventata iper-protettiva, se non di più. Di sicuro, non mi avrebbe mai permesso di uscire con un ragazzo più grande, anche e solo di un anno. Mi misi le mani nei capelli, sentendo mia sorella salire di corsa le scale, e bussare incessantemente alla porta del bagno. Non volevo sentire la solita, noiosa storia. Non avevo voglia che mi tartassasse con le domande tipiche da genitore paranoico, anche se lei, non era mia madre. Non avevo alcuna intenzione di litigare con lei, cosa che accadeva spesso negli ultimi mesi, anche se dopo, facevamo sempre la pace, e tutto tornava come prima, fino alla discussione successiva.

“Alessia!! Chi è Pete?!?!” Urlò allarmata Alice, picchiando più forte sul legno della porta. Decisi di aprirle, anche perché se non lo facevo, avrebbe sfondato la porta, e senza l’aiuto dei pompieri.

  
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