“Sei
tornata, alla fine”
“Si”
La
donna si muoveva nell’oscurità come un
gatto, scivolando felina lungo i muri, sedendosi sul letto, con la schiena ben
dritta e una gamba accavallata. Aveva qualcosa attaccato alla suola della
scarpa ma l’uomo non riuscì a capire cosa fosse.
“Avevo
una faccenda in sospeso, per questo sono tornata” gli disse con la voce strana,
che sembrava provenire dal fondo di una bara scoperchiata.
“Siediti
vicino a me”
“Preferisco
rimanere in piedi” le ripose percependo una stonatura in lei.
“Allora
sii cavaliere e offrimi una sigaretta. Ho bisogno di togliermi di bocca questo saporaccio di muffa”
L’uomo
infilò la mano nella tasca della camicia di jeans che aveva negligentemente
gettato su una sedia qualche ora prima e le tirò il pacchetto con l’accendino.
La
donna li lasciò cadere a terra e solo dopo si chinò a raccoglierli. “I miei
riflessi non sono più quelli di una volta” disse facendo oscillare la catenina
che lui le aveva regalato qualche anno prima, sotto il
portico di casa sua, in campagna.
Il
pomeriggio era stato particolarmente caldo e lei aveva voluto passare qualche
ora in sua compagnia sul dondolo da giardino che lui aveva sistemato sotto la
tettoia.
Era
stata una buona mossa: gli aveva permesso di essere particolarmente romantico
mentre le allacciava al collo il pendente. Lei aveva accettato il suo dono e
gli aveva baciato le labbra che sapevano di miele e tabacco.
“Che strano, non riesco a sentirne il sapore” sussurrò
aspirando la sigaretta, la cenere che brillava di una luce arancione che non
riusciva ad illuminarle le dita.
Sembrava
che tutto il suo essere aspirasse la luce e la inghiottisse come un piccolo
buco nero al centro della stanza.
“Che cosa sei venuta a fare? Dopo tutti questi anni” le disse
restando appoggiato alla parete, osservando i capelli scompigliati e lunghi,
più lunghi di quelli che lei usava portare...prima.
Lei
alzò la testa e la cenere cadde sul ginocchio. La spazzolò via con la mano,
meccanicamente “Sai...non riesco a ricordarlo” sussurrò soprappensiero “dovevo
fare qualcosa...ma non mi viene in mente”
“Forse
perché sei morta, Ellen”
La
donna lo fissò intensamente, la sigaretta che si consumava e le bruciava le
dita. Le guardò noncurante e annuì.
“Si…penso
sia per questo.” Dichiarò alzandosi in piedi. “Sei stato tu, amore mio?”
“No,
è stato un incidente…la macchina ha sbandato,
ricordi?”
Lei
annuì nuovamente ma l’uomo non la potè vedere, l’oscurità concentrata ai piedi
del suo letto.
La
donna allungò la gamba e la luce esterna della strada illuminò il fango
attaccato alle sue scarpe.
Il
fango del cimitero.
“Per
questo che non ricordo. Perché sono morta”
“Da
tanti anni, Ellen” assentì restando immobile mentre lei si avvicinava alla
porta.
L’uomo
potè riconoscere gli abiti con cui l’avevano sepolta,
i capelli scompigliati e lunghi fino alle cosce, le unghie contorte e a tratti
spezzate.
“Ti
amo, piccolo mio. Ho dimenticato di dirtelo quella sera”
“Anche io ti amo, Ellen” le rispose sentendo il cigolio della
porta che si apriva e la luce al neon che la investiva rendendo la sua
carnagione ancora più giallastra.
La
salma della sua ex moglie uscì dalla stanza, lentamente, lasciando le impronte
di fango dietro di se e lui le andò dietro, il cuore quasi fermo e assente, il
sudore che scivolava lungo la colonna vertebrale.
Si
appoggiò alla porta e la guardò allontanarsi nella notte, sentendola mormorare
fra se.
“Ecco
perché non riuscivo a ricordare…”