De Ipse
Dixit
L’oratore
salì sul palco. Si era
preparato con molta cura per quel compito, provando e riprovando, e non vedeva
l’ora di cominciare. Si concesse
un momento per abbracciare il suo pubblico con lo sguardo e
notò con piacere
che era piuttosto numeroso.
Si
schiarì la voce e quindi cominciò.
***
Ipse Dixit.
Il significante
di questi due
termini, cui dobbiamo, ahimè, alcune delle peggiori macchie
dell’humana specie,
può essere tradotto,
nella lingua parlata dai barbari popoli dell’Italia (che come
ricorderete
condivide i territori con il centro dell’Impero Romano che
fu), con i termini
seguenti: “Lo ha detto lui”.
La locuzione
proviene da un testo di
un autore conosciuto, purtroppo, e corruttore di più di una
giovane mente, come
sarà in seguito dimostrato. Questo abbietto figuro, incubo
di tutti i pueris
dall’età scolare, deve il nome
con cui è conosciuto ad un visibile difetto fisico che ne
deturpava il naso: un
orribile porro, un cecio, una verruca insomma che non si premurava
certo di
nascondere o di rendere meno visibile .
I miei colleghi
non mi giudichino un
seguace delle teorie del Lombroso, tuttavia un uomo con un ego
smisurato come
il nostro soggetto, convinto di essere l’unico dotato del
diritto di esprimere
pareri sui costumi
dei suoi conterranei,
e che non si occupava del proprio sembiante, nonostante
l’attività politica che
svolgeva, (in cui era richiesta per lo meno la capacità di
non disgustare
l’interlocutore) era di certo un soggetto quantomeno
sospetto. Non desidero
però addentrarmi in un’analisi psichica del
figuro, qui fuori luogo, la quale
richiederebbe competenze per le quali francamente e detto con modestia
non ho
attitudine. Invito però i miei colleghi a consultare i testi
lasciatici da Costui
e analizzarne lo stile. Ciò che balzerà
sicuramente all’occhio, anche il più
inesperto, sarà la perifrasi estremamente complessa e
l’utilizzo di termini
dotati di più di un significato. In frasi estremamente
lunghe come le sue,
tutto ciò rende faticosa la traduzione dei testi e la
comprensione del
significato, da cui l’odio da lui suscitato nei pueris costretti alla traduzione dei
suoi testi da solerti e
inflessibili educatori o educatrici, allo scopo di imparare il dialetto
Romano
Imperiale. Egli è anche la causa, forse non il motore primo,
poiché sembra che
già anche presso i Greci lo studio fosse di tipo sophisma auctorictatis, della prigionia
nostra e dei nostri figli
in quelle aule poco areate dove eravamo costretti a rinunciare alle
belle
giornate dei nostri anni migliori in favore di una disciplina
certamente
magnifica, ma in cui si mescolavano, in un caos indicibile, altissimi
maestri,
come il mai dimenticato Apuleio, e stoltissimi idioti, come il
criminale in
questione.
Sento
le voci del dissenso levarsi da alcune
file, ma prego il mio gentile pubblico di ascoltare fino in fondo
ciò che ho da
dire, tutto sarà dimostrato.
I crimini del
soggetto non si
limitano a questo: egli era anche propugnatore di idee antidemocratiche
e
liberticide, per cui ogni singolo uomo doveva arrendersi
all’autorità
superiore: egli uccide il libero arbitrio, proprio così
signori, e massacra il
pensiero critico. Non lasciatevi ingannare dalle sue apparenti riforme
libertarie
volte all’agevolazione nella carriera politica: Egli le
creò per salire al
potere e poi con la sua ingombrante figura impedì ad altri
di fare lo stesso. Era
assetato di potere: come un
Confucio post litteram Egli desiderava che il volgo fosse una massa di
beoti
ignoranti volta al solo scopo di sostenere con il sudore grave della
sua fronte
un governo di cui desiderava far parte, e il cui scopo ultimo era
quello di
mantenere lo status quo. A differenza dell’Orientale esso non
ha prodotto però,
alcuna poesia degna di nota, unica attenuante del suo predecessore.
Nella sua
condotta politica, esso
autorizzò la repressione del pensiero libero come pratica consolidata
per
il controllo e coloro che progettavano un cambiamento si trovavano ad
essere
additati a traditori della patria: ne è eloquente
testimonianza il caso del suo
compatriota, L. S. C., di cui, come ricorderete, fu ordinata la
condanna a
morte senza la provocatio ad populum,
stralciando l’autorità democratica di quella
repubblica che tanto strenuamente
diceva di difendere. Poiché però la giustizia
è cieca, ma implacabile, fu
giustamente additato per il suo crimine e subì
un’equa pena.
La sua terribile
dottrina però non
scomparve con lui, ma come un sottil veleno sopravvisse mascherandosi.
Così
come il nazismo sopravisse alla
caduta del regime così, prima di questo, lui fece.
Pensano i
signori che esageri? Vorrei
ricordare che proprio gli ufficiali nazisti processati a Norimberga si
difesero
dicendo “Mi ordinarono di farlo …”.
Ebbene signori
non è forse lo stesso
che il famigerato Ipse Dixit? La
frase non è forse la stessa testimonianza di arresa di
fronte ad un potere
superiore? La stessa morte del pensiero critico? Per colpa di quel suo Ipse Dixit, sono state giustificate le
macchie della nostra storia, come la repressione del pensiero
scientifico e
critico sotto la chiesa Romana e Cristiana, allora in contraria
tendenza
rispetto all’Ipse Dxit degli anonimi che immaginarono
l’ordine universale
descritto nel testo fondamentale della loro dottrina (cfr. La morte di
Galileo),
o le peggiori stragi (cfr. Epurazione, Etnocidio et Al.) volte a
distruggere
coloro che non si attenevano all’Ipse
Dixit.
Anzi peggio
ancora: quel binomio
malefico ha ridotto tutto il sapere in classi meritoriali che ha come
conseguenza l’orribile sistema pedagogico di cui oggi
dobbiamo soffrire; in cui
non viene insegnato ciò che è interessante, ma
ciò che è considerato dal club
al comando importante; di più: chi
si adegua al sistema è premiato ricevendone favori e potere
(Cfr. Leccaculo e
Politica) venendo riconosciuto un membro dell’elite.
Su questo
abominante sistema sono
state formate intere generazioni di professionisti, i quali a loro
volta
insegnano questo metodo ai loro studenti in un uroborico ciclo.
Farò dunque un
esempio: nelle classi dell’Italia del passato i mancini erano
costretti a
scrivere con la destra. Direte voi che è
un’insensatezza del passato signori, e
invece no: lo studente che oggi impara non già il ciclo
dell’ossigeno, ma la
struttura della ferro proteina dell’eme è
un’anomalia e deve essere corretta da
inflessibili educatori e non premiata per aver cercato di distinguersi
dalla
massa. Credono forse che imparare la struttura molecolare di un anello
porfirinico sia più facile che imparare il ciclo
dell’ossigeno? Provateci,
provateci e
sappiatemi dire.
Così
all’uomo sono sottratti i mezzi
per esprimersi, poiché l’unico accettato
è quello codificato dai potenti come habitus
e quindi la fantasia e la
curiosità sono scoraggiate perché i portatori di
codeste qualità sono
potenziali sovversivi (cfr. Sgarbi e le moderne tecniche espressive).
Per
fortuna fantasia e curiosità sono più forti della
repressione, e le intuizioni,
figlie di codeste prolifiche madri, riescono quasi sempre ad
affermarsi, ma
quanta fatica signori: quale muro da scalare per riuscire a essere
riconosciuti
come meritevoli!
E la causa di
tutto questo é dunque
questo criminale, signori e signore, che ha trasformato i nostri
educatori in
archivi del sapere invece che insegnanti. Essi dal loro catalogo
mnemonico
pescano il documento da elargirci come macchine fredde e insensibili (e
chiunque abbia frequentato un liceo potrà confermarlo: per
una lezione
l’educatore infila una cassetta già preparata
nella mente e ripete parole che
ha già detto l’anno prima uguali e precise,
trasformandosi de facto in un
robot).
Per cui cari
signori, la prossima
volta che un mentore, con espressione fredda e crudele, frustra la
vostra
preparazione con un voto negativo, non pensiate che la causa risieda in
una sua
connaturata natura, mi si perdoni il termine triviale, di bastardo,
bensì
elevate un pensiero all’Ipse Dixit
che lo ha formato. Non vi consegnate a questo sistema crudele signori e
signore, non arrendetevi, ma fate vostro il messaggio di persone come
Erasmo da
Rotterdam. Insegnate ai popoli a vedere attraverso le fredde mura che
vi sono
state costruite attorno, cercate l’eclettismo e la
distinzione.
***
L’oratore tacque, tutto quel parlare gli
aveva asciugato la gola e gocce di sudore ne imperlavano la fronte.
Scese dallo
sgabello, il suo palco, osservando il suo uditorio.
Pescò
quindi un sacchetto e gettò un
po’ di cibo al suo “pubblico”,
proverbialmente muto, che indifferente alla sua
orazione, si gettò invece con molto più interesse
verso le briciole di pane.
L’oratore guardò ancora un po’ i pesci
della fontana, poi, buttato il sacchetto
e spazzolandosi le mani, prese lo sgabello e uscì dal parco.