I am not okay
Releases life in me
In our mutual shame we hide
our eyes [...]
Evanescence - Understanding
Ti
avvicini a me con un sorriso sardonico che mi strappa un brivido.
- Sei
mia, - sussurrano le tue labbra, all’altezza del mio orecchio
– mia, mia,
incondizionatamente mia. -
I tuoi
occhi sono cenere, i tuoi capelli diamante, il tuo tocco caldo,
rovente, come
avvolto da fiamme. Ma non è vera passione quella che ti
muove, che ti fa
strusciare sul mio corpo, inducendomi a gemere di piacevole sofferenza.
Le tue
carezze sono mosse da straziante nostalgia, il ricordo sfugge dalla
polaroid
alla quale l’hai rilegata e raggiunge la tua memoria.
E allora
gridi, perché vorresti scappare da quel dolce sorriso
immerso nel grano.
Vorresti
allontanarti dal fantasma di ciò che non puoi più
possedere, stringere forte
con quelle stesse dita che ora stanno toccando me.
Ti perdi
in lei, nell’eco del fruscio dei suoi capelli biondi come il
sole, in quella
pelle abbronzata che sa di mare. Ti manca terribilmente il suo sguardo
e, ancor
di più, il suo respiro sul tuo corpo affamato.
Semplicemente, non
è più qui con te. La tua creatura se
n’è andata, imprigionandoti in una prigione
peggiore della morte.
Ma ci
sono qui io; non è abbastanza?
No, non
lo è mai stato.
Lo vedo
nei tuoi occhi bramosi, ogni volta che ti sento dentro di me:
c’è solo
desiderio di dimenticare e di perdersi, non hai più spazio
per il tenero amore.
Sono
dunque il capo espiatorio? La donna su cui puoi sfogarti senza ritegno?
Se quella
tua espressione in agonia non mi affascinasse tanto, sarei
già fuggita anch’io.
Forse è
proprio il tuo non poter fare a meno della memoria di lei a
trattenermi.
Mi prendi
con quella brutalità che mi fa sentire viva, dopo anni e
anni di degrado
interiore, e manca così poco prima che io possa toccare
l’arcobaleno con un
dito.
Eppure,
lacerandomi, tu non guarisci.
Malato di
un romanticismo dannato, ti chini su di me e sospiri. Stai piangendo, e
mi
stringi forte. In questo momento non mi lasceresti per nulla al mondo,
soltanto
perché sono la bambola di porcellana che può
comprenderti.
Soltanto
perché lascio che la tua mano mi sfiori ancora, mi accarezzi
le gambe, il
ventre, il seno, le labbra.
Ti
piacciono, Thomas?
Sono
carnose, due petali di ciliegio dischiuse in un vermiglio segreto. E
allora mi
prendi un’altra volta, con più violenza e
più bisogno della prima.
- Sei mia.
– ripeti durante l’atto, come una litania che ti
salverà dalla disperazione.
È così
ovvio, caro. Certo che sono tua, ma non sono ciò che vuoi.
La mia
pelle è bianca come il latte, e tu odi che sia baciata dalla
luna. I miei occhi
sono color nocciola, non verdi come i suoi. E i
miei capelli?
Continui
ad accarezzarli, preso dalla foga del momento, e al contempo fingi che
non
siano della stessa tinta dell’ebano. Menti a te stesso, menti
a me, menti
addirittura a lei!
-
Feriscimi! – grido allora, in un gemito.
E tu
obbedisci, richiamato da qualcosa di ancestrale, di tanto doloroso da
soffocare
il respiro e l’anima.
Le tue
mani, così grandi rispetto alle mie, si posano sulla mia
carne fremente.
Mi baci
con una forza tale da lasciarmi le labbra livide e, con un ruggito,
sfumi il
rossetto.
Ora il
mio viso pare una maschera tumefatta e seducente al contempo, con
quello
scarlatto che ricorda il sangue.
Continui
la tua opera imperterrito, entri ed esci a tuo piacimento.
Alcune
lacrime scivolano lungo le mie guance, scavando nella carne.
Un urlo,
un respiro affannato, un oblio senza nome.
Sono tua, dannatamente
tua, ti capisco come nessun altro.
Ma la porcellana è così fragile.