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Autore: Haru_Sakuraneko    14/10/2009    2 recensioni
Mi sono trasferita a Tokyo proprio per evitare la solitudine, grazie ai continui stimoli che essa da alla vita notturna che si cela oltre il tramonto dietro i grattacieli...
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh, che dire di questa storia? Diciamo che è tutto partito da un concorso su un gdr on line di storie brevi, massimo 1000 caratteri, ma siccome sono una persona prolissa l'ho allungata di molto e ora la posto così. E' una storia ambientata a Tokyo, i personaggi completamente inventati ed è raccontata in prima persona. E' horror, quindi aspettatevi tutti gli effetti speciali di genere e non è dedicata a nessuno in particolare, solamente vi dico che è tratta da un fatto realmente accaduto ad un mio vecchio parente, ovviamente rivisto e rivisitato in chiave moderna. Buona lettura e fatemi sapere!


Mi sono trasferita a Tokyo proprio per evitare la solitudine, grazie ai continui stimoli che essa da alla vita notturna che si cela oltre il tramonto dietro i grattacieli. Ho sempre avuto un certo timore del buio, anche da maggiorenne e ora, alla mia veneranda età di 25 anni, sono rimasta la solita ragazzina che si rannicchiava fra le coperte, stringendo il suo peluche preferito.
Tokyo ovviava il problema. Mi sentivo tranquilla mentre passeggiavo leggermente brilla, insieme ad un’amica. Eravamo appena uscite dal bar e stavamo tornando a casa a piedi, credendo di potercela fare con le nostre gambe, sebbene sentissi già il bisogno di un letto caldo. Provavamo a cantare; non sapevamo nemmeno noi che cosa le nostre bocche producevano. La strada cominciava a farsi fredda all’inizio, perciò mi strinsi un poco nel cappottino, che mi ero portata dietro per ogni evenienza. Lei non avendo avuto l’accortezza di procurarsene uno, si strinse al mio braccio. Eravamo quasi giunte a casa quando inspiegabilmente le luci si fecero più tetre, i lampioni si spensero come l’accendino nella mano di un fumatore incallito. Il buio…odiavo il buio, non lo sopportavo, perché era appiccicoso e nero. La mia amica si aggrappò ancora di più a me e dalla sua voce leggermente acuta inveì contro chissà quali politici, governanti ed elettricisti, dopo un attimo di smarrimento. Non era lucida, ma nemmeno io lo ero, sebbene l’alcool non attutì la sensazione di smarrimento che stavo provando. Un silenzio innaturale s’impadronì della città. La stretta al braccio della mia amica si fece più pressante, tanto che si lamentò e volle mollarmi definitivamente. Ci eravamo fermate; con tutto quel buio non riuscivamo a vedere un palmo dal naso, quindi ci appiattimmo contro un muro in attesa che il generatore di emergenza entrasse in funzione. Quella era la mia unica e labile speranza pur di non cadere nello sconforto. Mi sentivo soffocare dalla paura stessa, nemmeno il braccio della mia amica poteva aiutarmi a rimanere calma. Un brivido di gelo s’impadronì della mia schiena, avviluppandola in una morsa costretta e immobile, paralizzata.
Improvvisamente il silenzio innaturale venne rotto da un rumore strano…assomigliava ad un suono gutturale, come se le viscere venissero attorcigliate alla gola. La fonte non riuscivamo a vederla. La mia amica mi chiese sussurrando da dove provenisse quel singolare timbro, ma nemmeno io riuscivo a capirlo. Sta di fatto che demmo il via ad una corsa a per di fiato. Ci importava solo di fuggire da lì, di scappare da quell’incubo. Sentivo che la mano della mia amica scivolava e dopo un po’ non la sentii più, si sganciò da me, silenziosa. Mi fermai, avevo il fiato corto e le gambe non mi reggevano più. Il silenzio era rotto solamente dal mio fiato e dal mio cuore. Mi guardai attorno, il generatore non aveva ancora fatto il suo dovere, perciò rimasi ancora immersa nel buio. Tremavo come una foglia e invocavo il nome della mia amica a gran voce, sorprendendomi di quando fosse acuta e quasi sussurrata. Non avevo la forza di urlare. Il rumore si ripresentò ancora, accompagnato da un lampione intermittente, da cui potevo scorgere i particolari. Ero interdetta dalla visione che mi si mostrò dinnanzi: una bara ferma a fissarmi con la sua solitaria figura di morte. Sgranai gli occhi non potendo credere a ciò che stavo vedendo. Di certo quello era uno scherzo e se era così non era per niente divertente! Cercai di aggrapparmi all’idea che era tutta una messa in scena e sorrisi nervosamente provando ad avvicinarmi di un passo. Chiamai ancora la mia amica, ma ciò che ottenni fu ancora quel rumore gutturale che mi penetrava i timpani e mi rovesciava completamente la ragione. Feci un passo indietro e un altro ancora scoprendo che ad ogni passo quella bara strisciava verso di me, ruotando su se stessa. Inciampai per lo spavento, ma comunque cercai di allontanarmi spostandomi a gattoni. Provai ad alzarmi e continuai a correre senza badare alla bara che mi stava tallonando. I polmoni cominciavano a bruciare, sentivo che stavano per scoppiare; le gambe non le percepivo più, la gola si infiammava ad ogni tirata d’ossigeno che compivo. Non sapevo se avevo raggiunto gli scalini di casa mia per istinto di sopravvivenza o solo per fortuna, sta di fatto che appena li raggiunsi caddi. Ero stremata, ma la mano lentamente corse verso la piccola croce d’argento, regalo di mia nonna cattolica, e la strinsi forte fra le dita. Non avevo mai pregato Dio perché non ne avevo mai avuto il bisogno. La religione occupava l’ultimo dei miei pensieri. Dondolavo, con gli occhi serrati e dalla mia bocca uscivano preghiere dimenticate. Sentivo la presenza di quel demone sul mio collo, era così vicino che il suo gorgoglio mi soffiava in viso. Volevo che andasse via, volevo che mi lasciasse in pace e piangevo. Per la prima volta dopo anni le lacrime si decisero ad uscir fuori.
Improvvisamente quella bara s’allontanò da me, abbandonandomi sulle scale, non capii il perché. Finalmente potevo lasciar scivolare la tensione dai muscoli doloranti e strisciare in casa, aggrapparmi alla maniglia per poi cadere sul pavimento sicuro dell’entrata. Mi rannicchiai lì, tremante, il pensiero della mia amica ancora non mi aveva sfiorato e m’addormentai subito dopo. L’indomani, quando mi alzai, ricordai ciò che era successo. Mi precipitai ad accendere la televisione per vedere se parlavano dell’accaduto e intanto afferrai il cellulare per comporre il numero di telefono della mia amica. Non rispondeva nessuno, perciò riprovai, mentre alla tv cominciavano a dare notizia del black out, ma qualcosa attirò la mia attenzione e incominciò ad insinuarmi il dubbio: un servizio annunciava il ritrovamento del cadavere di una ragazza in un vicolo non molto distante dal luogo dove avevamo sentito quel demone, perciò sbiancai sentendomi il cuore sprofondare sotto le suole delle scarpe.
Dall’altro capo della cornetta rispose una voce maschile e mi chiese chi ero. Dissi che ero l’amica della padrona di quel telefono, ma l’altro diede il comunicato che io in fondo alle mie viscere sapevo, ma cercavo in tutti i modi di non rievocare. -Signorina, mi dispiace, ma abbiamo trovato il cadavere della sua amica. Dai primi accertamenti pensiamo …Signorina? Signorina è in linea?- Il cellulare cadde e caddi pure io. La paura si mostra in varie forme io vidi la peggiore di tutte.

  
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