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Autore: PerseoeAndromeda    15/10/2009    1 recensioni
Ecco, a quattro mani con Aphrodite Gold Saint, la terza fic per la Big Damn Table. Ci troviamo ancora sull'Isola di Andromeda... ancora un passo, il più difficile, è il nuovo bronze saint comparirà nel mondo per unirsi alle fila di Athena.
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Shun, Cepheus Daidalos, Leda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FINE

- FINE -

 

OLTRE L’ORIZZONTE

 

Non avrebbe mai voluto che finisse in quel modo; la conquista del cloth si rivelava il nutrimento più alto per il suo orgoglio sempre troppo spesso affossato e, al tempo stesso, un tormento in più da affastellare sul suo castello di rimpianti e sensi di colpa.

Questi i suoi pensieri mentre gli occhi incrociavano quelli del compagno sconfitto, un compagno che, nonostante i conflitti, egli sempre aveva ritenuto amico. Ma forse Redha mai aveva realmente ricambiato un tale sentimento; l’ostilità sempre a stento trattenuta si era mutata in odio nel momento stesso in cui lui, il piccolo Shun, aveva messo a tacere per sempre l’unico scopo che dava un senso alla sua vita.

In quello sguardo Shun lesse un terribile messaggio, mentre gli porgeva il gesto di conforto e amicizia, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi:

Mi hai tolto tutto, mi hai privato del significato stesso della mia esistenza e nonostante questo osi avvicinarti a me con quella tua solita, ipocrita, nauseante gentilezza?

Il gesto fu rifiutato, con una rabbia che Redha non provava più a reprimere e il pensiero dello sconfitto trafisse il piccolo vittorioso giunto dal Giappone, come se si fosse trattato di un urlo esploso nella sua mente, doloroso come una pugnalata nel cuore.

Qualunque cosa io faccia, anche laddove la vittoria è mia, meritatamente, sarò sempre destinato a generare dolore intorno a me?

Si alzò, pensando, una volta di più, che quella vita non era fatta per lui… eppure gli apparteneva; un paradosso al quale gli sarebbe stato, per sempre, impossibile sottrarsi.

Era pronto. I suoi occhi erano ora rivolti al mare, alla prova finale. La sua vittoria nelle battaglie singole gli aveva permesso di accedere all'ultimo confronto con il destino, era un momento fondamentale per lui e per il suo futuro. Sapeva che la forza fisica non avrebbe permesso a nessuno di superare quella prova, erano la propria energia interna e la determinazione le sole armi per poter giungere a conquistare il Cloth di Andromeda.

Non era l'orgoglio a spingerlo, né l'arroganza, avrebbe fatto volentieri a meno di quella vita fatta di battaglie e di lotte disperate per l'esistenza propria e di tutti gli esseri viventi del mondo, ma proprio perché la motivazione di quella guerra era valida, Shun era disposto a scendere a compromessi con quella realtà.

Per il bene della Terra, per tornare da suo fratello, per mettere se stesso al servizio del bene comune.
Il suo altruismo l'avrebbe guidato oltre la propria natura pacifista, perché questo era ciò che il suo cuore gli suggeriva. In fondo Shun sapeva che il suo potere era innato e che gli era stato fatto un dono da qualcuno più potente di lui a cui aveva potuto dare un nome in quei lunghi anni di addestramento. 
Ora era fermo, sul bordo dell'oceano, ad osservare la roccia del sacrificio... era il suo momento, il momento di rispondere al richiamo della Giustizia.

Una mano sulla sua spalla, rude ma intinta nella ferma gentilezza che l’aveva accompagnato in tutti quegli anni trascorsi sul filo sottile tra vita e morte; non dovette voltarsi per riconoscere il tocco e rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.

“Non preoccuparti per Redha… pensa ad essere orgoglioso di te stesso.”

Shun abbassò un poco il capo e lo scosse appena, accarezzando la mano di Albion con le vellutate ciocche impregnate di sudore e salsedine, ma non per questo meno gradevoli al tatto e ad ogni senso.

“Se lo facessi… Sensei… non sarei io…”

Un sospiro rassegnato e condiscendente si levò dall’ampio petto del silver saint di Cepheus:

“Già… non saresti tu…”

Lo sguardo di Shun restò rivolto al mare, a quelle due rocce che si elevavano solitarie ad accarezzare il cielo, ma la sua voce si addolcì, perdendo del tutto la tensione della precedente contesa:

“Vada a parlare con Redha, la prego… in questo momento ne ha più bisogno di me… e forse lei è l’unico, ora, che potrebbe recargli conforto…”

“Non hai tutti i torti” rispose il giovane maestro, esitando un poco prima far scivolare la mano dalla spalla alla schiena, per un ultimo gesto di incoraggiamento e felicitazione, quindi interruppe il contatto, rimase fermo ancora qualche istante, gli occhi fissi su quel profilo rivolto verso il mare, quasi il volto assorto del suo allievo avesse gettato su di lui una sorta di incantesimo al quale non poteva sottrarsi.  

I raggi del sole si riflettevano sull’acqua, mentre Andromeda si apprestava ad essere incatenata ancora una volta su quegli scogli che l’avevano vista vittima sacrificale secoli prima, ancora una volta si sarebbe compiuto il miracolo della liberazione o il pretendente sarebbe stato destinato alla fine ingloriosa, all’annegamento del corpo, alla distruzione dello spirito.

Quella era la Prova, quello che tutti attendevano da anni ed era proprio lui, il giovane giapponese giunto sei anni prima sull’isola, ad affrontarla. Uno dei pochi allievi di Albion su cui nessuno avrebbe puntato nulla.

Eppure Shun era ormai pronto. Oltre il mare lo attendevano i ricordi ed il desiderio di accorciare le distanze con suo fratello era troppo forte, inoltre sentiva dentro di sé quella scintilla di maturità che lo avrebbe portato alla vittoria.

Ne era certo… una voce lo aveva chiamato da quando aveva messo piede su Andromeda… e quella voce aveva il tono sommesso di un cosmo caldo e reale, sempre rimasto intorno a lui, in forma latente di difesa.

Era necessario ascoltare quella voce, rinunciare al proprio rifiuto, perché quello aveva fatto: l’aveva sempre rifiutata, negata, combattuta… ne era sempre stato terrorizzato. Invece, durante quel giorno in cui aveva conquistato il proprio diritto di affrontare l’estrema prova per ottenere il cloth, aveva deciso di amarla… perché quella voce era la sua, gli apparteneva dal profondo.

La voce di Andromeda… è la mia voce…

Lo pensava mentre continuava a fissare l’orizzonte; Andromeda era il suo alter ego celeste e chiedeva unicamente di essere interiorizzata, di essere accettata… ed amata… come Shun era in grado di amare qualunque cosa. Sarebbe stato un paradosso non amare la propria essenza.

L’aveva accettata, sì, perché non poteva permettersi di fare altro, se il suo destino gli imponeva di trasformarsi in un guerriero d’altri tempi, in una creatura che il mondo moderno mai avrebbe potuto comprendere, rinunciare e negare a se stesso una tale realtà avrebbe significato trascinare la propria esistenza in una menzogna.

E non compiere ciò che è giusto… come potrei guardare ancora in faccia Ikki-Niisan se, una volta incontratici, gli confessassi che non ho voluto ascoltare il mio cosmo… perché mi faceva troppa paura?

In quel momento, la cosa più dura era combattere il senso di colpa nei confronti di Redha; Andromeda non avrebbe scelto comunque il suo compagno di addestramento, Andromeda chiamava lui, non Redha, ne era certo e non si trattava di presunzione, bensì di profonda consapevolezza e condivisione di pensieri con le sue stelle guida. Nonostante questo, accantonare del tutto il tormento non gli era possibile, e forse non avrebbe neanche voluto farlo, tormentarsi sul significato stesso della propria esistenza avrebbe fatto parte di lui per il resto dei suoi giorni, lo sentiva, ne era sicuro… e accettava anche questo.

E nonostante tutto, guardava avanti; una parte del suo spirito rimaneva a struggersi insieme a Redha, perché il suo cuore si sarebbe ridotto, da quel momento in poi, in tanti piccoli frammenti che avrebbe lasciato con ciascuno degli avversari incontrati sul proprio cammino… e tuttavia non si sarebbe fermato.

Strinse i pugni lungo i fianchi, le sue labbra si ridussero ad una linea perfettamente diritta, le sopracciglia si corrugarono e un fuoco smeraldino divampò dai suoi occhi che continuavano a guardare avanti, oltre la linea dell’orizzonte, perché la sua meta, adesso, era superare quella linea e tornare in Giappone. Non nutriva più dubbi sul fatto che il passo finale l’avrebbe compiuto con successo.

Ancora un passo e sarò tuo, Andromeda… Niisan… aspettami!

 

   
 
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