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Autore: Lola_Smoke    15/10/2009    4 recensioni
Rimase ancora qualche secondo a guardarsi... loro non potevano capire, non avevano nessun diritto di giudicare, di guardarlo in quel modo. "Io sono Tom Kaulitz" affermò ad alta voce alla sua immagine.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei Tokio Hotel, nè offenderla in alcun modo'

                                     Io Sono Tom

If someone said three years from now
You'd be long gone
I'd stand up and punch them out
Cause they're all wrong and
That last kiss
I'll cherish
Until we meet again
And time makes
It harder
I wish I could remember
But I keep
Your memory
You visit me in my sleep
My darling
Who knew
( Who Knew - P!nk)


                                                                                                                                                                                                                         A Nicky
                                                                                                                                                                                                     See you up there,sweetheart







Entrò in casa sbattendosi la porta alle spalle. Con delle veloci falcate arrivò in cucina, dove lanciò il giornale sul tavolo. Aprì il frigo con gesto di stizza e si prese una lattina di coca-cola. Cominciò a bere, senza staccare gli occhi dal quotidiano.

Ribolliva di rabbia.

Meno di dieci minuti prima era uscito per comprarsi le sigarette e, mentre recuperava i soldi dalla tasca, gli era caduto l'occhio sui giornali esposti davanti a lui. Il titolo con il suo nome lo aveva lasciato senza fiato. Non ci aveva pensato due volte e lo aveva comprato. Tornando verso casa era andato direttamente alla pagina riportata sul trafiletto... c'era un articolo su di lui e due fotografie. Aveva dato una rapida occhiata alle prime righe, dove si blaterava della sua ricomparsa, dopo mesi in cui si erano perse le sue tracce. Il giornalista ammetteva di essere rimasto sbigottito e che fino all'ultimo aveva esitato a pubblicare le fotografie, che sicuramente avrebbero scosso le sue fan. Ma alla fine aveva deciso di aggiungerle.

Finì di bere dalla lattina e si avvicinò al tavolo prendendo il giornale, studiando le foto. Gliele avevano fatte il giorno prima, all'uscita del negozio di abbigliamento dove si serviva, il suo negozio preferito. Probabilmente erano state le commesse ad avvertire il giornalista, non c'era altra spiegazione. Per sei mesi era riuscito ad evitare giornalisti e fotografi e avevano smesso finalmente di parlare di lui. Ed ora compariva un intero articolo nella sezione dello spettacolo, documentato con tanto di fotografie.

Sì, pensò irritato stringendo con forza il giornale, erano state le due commesse. Non aveva potuto fare altrimenti e c'era dovuto andare di persona. Aveva bisogno di vestiti nuovi e, tramite internet, aveva visto la nuova collezione che proponeva il negozio. Purtroppo non si potevano fare ordini on-line, sennò l'avrebbe risolta così, come faceva con tutto il resto. Quando il giorno prima, verso mezzogiorno, aveva fatto il suo ingresso nel negozio, aveva visto il sorriso delle commesse congelarsi sul volto. Non lo avevano neanche salutato, ma erano rimaste a fissarlo incredule e una delle due si era anche portata una mano alle labbra. Questo atteggiamento lo aveva irritato. Aveva allora chiesto, con tono di voce secco, che gli venisse mostrata la nuova collezione. Per alcuni secondi non era successo nulla, solo silenzio. Poi, finalmente, la biondina si era mossa e, con la voce che le tremava leggermente, gli aveva chiesto di seguirlo. Era rimasto dentro meno di venti minuti. Si era provato una maglietta ed un paio di jeans giusto per accertarsi di prendere la taglia esatta e, infine, aveva comprato otto paia di pantaloni e dodici magliette. Ci aveva anche aggiunto tre bandane. Aveva pagato con la carta di credito e se n'era andato. La macchina era parcheggiata a meno di venti metri dal negozio, eppure lo avevano fotografato proprio mentre percorreva quel breve tratto con le buste in mano.

Era stata l'altra commessa ad avvertire il giornalista. Decise allora che più tardi avrebbe chiamato il negozio e si sarebbe lamentato con il proprietario. Le avrebbe fatto una bella strigliata e magari l'avrebbe anche licenziata. Era quello che si meritava. Soddisfatto, prese il giornale e lo buttò nel cestino sotto al lavello. Si infilò nel corridoio e, mentre camminava, si fermò di scatto davanti ad uno specchio, appeso alla parete. Per alcuni secondi studiò il suo viso, ripensò alla reazione delle due commesse il giorno prima. Nei loro volti non aveva scorto solo sorpresa, ma anche sgomento. Come se ciò che si erano trovate davanti non fosse reale. Un nuovo flusso di rabbia risalì per il suo corpo, allora respirò profondamente per un paio di secondi, in modo da potersi calmare.

Erano solo delle stupide commesse e quell'articolo era spazzatura. Ne avrebbero parlato per qualche giorno e poi lo avrebbero lasciato in pace. Si sistemò la bandana nera sulla fronte e decise di andare in salone ad esercitarsi un pò con la chitarra. Erano due giorni che non la toccava.

Rimase ancora qualche secondo a guardarsi... loro non potevano capire, non avevano nessun diritto di giudicare, di guardarlo in quel modo.

- Io sono Tom Kaulitz - affermò ad alta voce alla sua immagine.



Naike scese dalla macchina e si avviò lentamente verso il palazzo. La giornata era stata piuttosto movimentata alla galleria d'arte. Stavano preparando l'esposizione di un nuovo artista, un ragazzo austriaco che viveva da qualche anno ad Amburgo, ed avevano solo tre giorni per sistemare tutte le sue opere. Erik, così si chiamava, era esigente e puntiglioso e più volte si era trattenuta dal mandarlo al diavolo. Era il suo lavoro, pane quotidiano, ne voleva sapere più di lei?! Ma il proprietario della galleria, il suo titolare, aveva scommesso molto su questo giovane talento e l'aveva pregata di assecondarlo, con il risultato che Naike era arrivata esausta a fine giornata.

Cominciò a salire le scale sperando che Britta, sua coinquilina e migliore amica, avesse preparato qualcosa di buono per cena. Entrò stancamente nell'appartamento e si tolse la giacchetta e la borsa, lanciò per aria le scarpe e a piedi nudi si incamminò fino in cucina. Trovò la sua amica in piedi poggiata al lavello, che si tormentava un'unghia con i denti, lo sguardo pieno d'ansia.

- Hey, Britta - esclamò piano - Tutto bene?- e si avvicinò al frigo, dove si prese una birra che cominciò a bere direttamente dalla bottiglia.

- Dimmelo tu se va tutto bene - sussurrò in risposta.

Naike sospirò alzando gli occhi al cielo.

- No - rispose stizzita - Quell'Erik mi sta facendo uscire di testa! E il quadro sistemato lì non gli va bene... Il faretto non illumina abbastanza la figura centrale di quell'altro... la seconda stanza è troppo piccola e... -

- Hai letto il giornale? - la interruppe Britta con esitazione.

Naike corrugò leggermente la fronte.

- No, non ho avuto tempo di fare nulla. Ho praticamente saltato la pausa pranzo - fece un lungo sorso alla bottiglia - Che mi sono persa? - domandò incuriosita.

Britta indicò con un dito il quotidiano abbandonato sul tavolo e Naike allungò un braccio per recuperarlo. Si accostò nuovamente la bottiglia alle labbra, mentre scorreva velocemente la pagina in cui era aperto. Il suo sguardo fu subito catturato da due fotografie al centro... le mancò il respiro e la bottiglia le scivolò dalle dita, infrangendosi sul pavimento. Fece un passo indietro e si appoggiò al muro con la schiena, per sorreggersi. Avvertì la presenza di Britta al suo fianco, ma non sentì neanche una delle parole che le stava dicendo.

Fissava quelle fotografie senza riuscire a credere a quello che vedeva. Erano in bianco e nero, ad almeno una decina di metri di distanza... ma non c'erano dubbi. I vestiti larghi, la bandana, la schiena leggermente ricurva.

- Naike, tesoro - Britta le prese il viso tra le mani, girandolo delicatamente verso di lei - Ci sono pezzi di vetro ovunque - e le prese una mano, con dolcezza la guidò fuori dalla cucina.

Naike la seguì senza ribellarsi, il giornale ancora in mano, gli occhi su quelle due immagini.

-Non... non è possibile - disse con un filo di voce.

Britta sospirò piano.

- Le hanno scattate ieri -

Naike lesse velocemente le prime righe dell'articolo, il cuore che batteva furiosamente nel petto, non riusciva a controllare il tremore alle mani. Rialzò lo sguardo sulla sua amica.

- ... perchè? - domandò con voce strozzata, ben sapendo che Britta non sarebbe stata in grado di darle una risposta. Infatti alzò leggermente le spalle, abbassò gli occhi, impotente.

Naike guardò ancora le fotografie.

Aveva interrotto ogni contatto con lei da sei mesi. Da quel giorno. Era stata ricoverata in ospedale per una settimana e lui non era andato mai a trovarla. Rientrata in casa aveva trovato le sue valige nel corridoio, gli scatoloni con tutte le sue cose, i quadri che aveva appeso per casa. Addirittura quello che lei gli aveva regalato per Natale. Ed un solo biglietto, in cui le diceva che quella non era più casa sua e che non aveva più intenzione di vederla, nè di sentirla. Naike si era sentita crollare il mondo addosso. Aveva bisogno di lui più che mai, soprattutto il quel momento... ma lui non la voleva. Si era trasferita da Britta, che non aveva esitato ad accoglierla e le era stata vicina, specialmente le prime settimane. Ma Naike non si era arresa. Sapeva che anche lui aveva bisogno di lei. Doveva aver bisogno di lei. Aveva provato a chiamarlo, a bussare alla porta di quella casa in cui aveva abitato anche lei.. ma lui si negava continuamente. Non rispondeva alle sue chiamate, fingeva di non essere in casa. Per quattro mesi aveva provato ad avvicinarsi, senza alcun risultato... e alla fine aveva gettato la spugna, accettando il suo rifiuto con dolore e amarezza. Aveva allora cercato di voltare pagina e aveva finto che andasse tutto bene. La sua vita aveva piano piano cominciato ad assumere una parvenza di normalità, ritornando ai ritmi del passato. Il suo amato lavoro alla galleria d'arte era stato un buon modo per distrarsi e c'era Britta che le era stata sempre vicina, sopratutto in quei momenti in cui credeva che non sarebbe riuscita ad andare avanti. Sei mesi erano ancora troppo pochi, eppure era tornata a sorridere, il suono delle sue risate era spontaneo, non più forzato.

Ed ora quelle foto. E lui. Che era tornato a farsi vedere. Che si era fatto fotografare davanti al suo negozio preferito, dove anche lei era stata tantissime volte. E lo aveva fatto così.

Naike scagliò il giornale a terra, le mani che ancora le tremavano. Si incamminò lungo il corridoio, verso la porta d'uscita. Sentì dei passi alle due spalle.

- Naike, dove stai andando? - le domandò Britta, la voce spaventata.

Non le rispose. Acciuffò le scarpe e cominciò ad infilarsele. Doveva andare da lui, doveva parlare con lui. Non si sarebbe più fatta sbattere la porta in faccia.

- Naike, ascoltami - la sua amica l'aveva presa per le spalle, fermandola - Non ha nessun senso andare da lui. Ci hai provato per mesi, logorandoti. Non parlerà con te adesso.. - concluse piano.

Naike sbattè le palpebre, come per assimilare le sue parole.

- Mi ascolterà adesso, lo farà! Anche a costo di rimanere tutta la notte davanti alla sua porta - rimase qualche secondo in silenzio - Non può fare questo. Non può andare in giro... così. Mi deve ascoltare - si morse un labbro, chiuse gli occhi e poi li riaprì - Lui me lo deve - disse infine, in un soffio.

Britta rilasciò le sue spalle, le braccia le caddero lungo i fianchi. Vide Naike recuperare la giacchetta, prendere la borsa e le chiavi della macchina. Il suono secco della porta che si chiudeva la fece sobbalzare.



Parcheggiò a qualche metro di distanza dall'elegante costruzione. Solo alla vista della casa sentì una morsa allo stomaco. Ci aveva abitato per più di un anno.

Tom non le aveva chiesto di andare a vivere da lui... le aveva fatto scivolare una copia delle chiavi nella borsa e lei se n'era accorta solo una volta rientrata al vecchio appartamento in affitto in cui abitava in quel periodo. Era scoppiata a ridere e lo aveva subito chiamato. Gli aveva chiesto se era sicuro e se era quello che voleva. Lui aveva risposto che solo una cosa lo spaventava... l'idea di trovarsi il bagno sommerso di tampax e tappetini rosa. Avevano continuato a ridere e scherzare per dieci minuti, poi Naike si era schiarita la gola ed era tornata seria. Gli aveva accennato il suo unico dubbio : il fatto che forse a Bill avrebbe dato fastidio la sua costante presenza. Tom si era rilassato, le aveva parlato dolcemente e l'aveva rassicurata. Bill l'adorava, era tempo che Naike smettesse di farsi paranoie sul suo gemello. Era già da un pò che lui e Bill parlavano di questa possibile convivenza ed erano arrivati ad una decisione unanime. Adesso toccava solo a lei preparare le valige e trasferirsi. Meno di una settimana dopo abitava con loro.

Si scosse dai ricordi e si decise a scendere dalla macchina. Non erano neanche le otto di sera e c'era ancora molta luce. Il sole stava tramontando, una palla rossa sullo sfondo. Si avvicinò alla porta d'entrata, inspirò profondamente e infine bussò con energia. Non riuscì a sentire nessun rumore, ma non si mosse da lì, aspettando. Avrebbe bussato ancora e ancora. E se lui non era in casa, sarebbe tornata alla macchina e avrebbe aspettato fino a che non lo avesse visto rientrare. Invece la porta si aprì e lei non fu preparata a quello che si trovò davanti. Si era già sentita mancare la terra sotto ai piedi guardando quelle foto, realizzate neanche tanto bene e un pò sfocate. Ma trovarselo di fronte, a meno di un metro, fu quasi uno shock.

Le treccine nere attaccate alla testa, la bandana sulla fronte...il piercing al labbro, gli orecchini neri ai lobi. Sentì il cuore spezzarsi davanti al neo sulla guancia. Il neo sulla guancia. I vestiti larghi... erano i suoi vestiti. Riconobbe la t-shirt bianca con le scritte stilizzate che aveva indossato tante volte. Come tante erano le volte in cui lei gliela aveva sfilata. E le sue mani... le unghie corte e curate. Riportò lentamente lo sguardo ai suoi occhi e vi lesse smarrimento, sorpresa, dolore... ma fu questione di un attimo e lui sfuggì alla sua vista.

- Che cosa vuoi? - le domandò gelido.

E la sua voce fece capire a Naike che ciò che aveva davanti era solo un'illusione. Si risvegliò da quella specie di ipnosi in cui era caduta, riprendendo il controllo di se stessa.

- Ti devo parlare - rispose con decisione.

- Non abbiamo nulla da dirci - replicò secco e cominciò a richiudere la porta.

Naike poggiò le mani sul legno, per bloccarlo.

- Aspetta, per favore. Ascoltami! - disse quasi con disperazione. Dopo sei mesi era riuscita finalmente ad avere un contatto con lui, era la sua occasione e avrebbe lottato.

- Che cosa vuoi? - ripetè ancora, la voce più bassa e meno dura, quasi debole.

- Solo parlare... per favore - lo stava implorando - Ti chiedo solo di lasciarmi entrare e parlare con me - concluse piano.

Lui infine cedette e lasciò la presa sulla porta, le volse le spalle e si diresse verso il salone. Naike entrò velocemente in casa, chiudendo la porta. Una marea di ricordi la travolsero. Aveva lasciato tutto com'era, erano spariti solo i quadri che aveva appeso lei. Vedere la sua giacca sull'appendiabiti le fece salire un singhiozzo, ma lo represse e a passi malfermi andò in salone. La prima cosa che vide fu una delle sue chitarre sulla poltrona, un'altra poggiata contro il muro, una abbandonata in un angolo. Diversi plettri sul tavolino. Era tutto così irreale.

- Sto aspettando -

Naike trasalì al suono freddo della sua voce, ma riportò gli occhi su di lui, che era in piedi vicino al camino.

- Che cosa succede? - chiese con un filo di voce.

Lui scosse un pò la testa, le parve confuso.

- A cosa ti riferisci? - replicò - Mi stavo esercitando -

Fece qualche passo verso di lui, allungò un braccio, indicandolo con un dito da capo a piedi.

- Che cosa... - non riusciva neanche a parlare - Che cosa hai fatto? - disse infine con voce strozzata.

Lui sbuffò spazientito, pentendosi di averla fatta entrare. Naike era come le due commesse e il giornalista. Non capiva e lo stava giudicando.

- Bene - esordì senza guardarla - Ora che ho ascoltato quello che avevi da dirmi, puoi anche andartene. Conosci la strada - concluse con fermezza.

Naike era sconvolta. Lui fingeva che fosse tutto normale, aggirava le sue domande... ma non la guardava negli occhi. Evitava accuratamente il suo sguardo. Se ne stava lì a fissare il pavimento, aspettando solo che lei se ne andasse. Ma lei non se ne sarebbe andata, voleva tentare ancora una volta di capire cosa gli fosse successo. Gli voleva bene, gli aveva sempre voluto bene. Ed era chiaro che qualcosa dentro di lui si era spezzato.

- Perchè? - chiese a bassa voce.

Lui rialzò lo sguardo, per un attimo i suoi occhi vacillarono.

- Che cosa? - le rispose con una domanda, ignorando ciò che lei gli stava realmente chiedendo.

- Rispondimi, ti prego.. -

Lui serrò le labbra, tornando a fissare il pavimento. Naike non si arrese. Si avvicinò ancora di qualche passo, arrivando di fronte a lui. Quella vicinanza le faceva male. Aveva lo stomaco contratto e le lacrime che le pungevano gli occhi. Allungò una mano sfiorandogli il petto e lui sussultò.

- Che cosa hai fatto? - chiese di nuovo ed una lacrima sfuggì, scivolando sulla guancia - Sei come lui... -

A quel punto lui sollevò il volto e la guardò, gli occhi pieni d'ira.

- Io sono lui! - la voce carica di rabbia - IO SONO TOM! -

Naike indietreggiò spaventata, portandosi una mano alle labbra. Vedeva il suo corpo scosso da violenti tremiti, gli occhi lucidi. Con una mano si sorreggeva al camino, probabilmente per non cadere. Naike gli tornò di fronte, socchiuse piano le labbra, le lacrime che ormai scendevano copiose sul suo viso.

- Bill... che cosa ti è successo? - sussurrò tra i singhiozzi.

- Io sono Tom! - le ripetè - Sono Tom! - una mano premuta sul petto, gli occhi carichi di lacrime.

- Bill - Naike parlava piano, a bassa voce - Questo ti fa solo del male... - con titubanza gli posò una mano sulla spalla.

- Sono Tom... - sussurrò debolmente Bill, ormai allo stremo delle forze.

Naike gli prese il viso tra le mani, con dolcezza. Lui non oppose resistenza, sfinito. Sentiva le sue lacrime che le scivolavano sulle dita.

- Bill.. - doveva dirlo, doveva farlo - ... Tom è morto sei mesi fa - pronunciarlo ad alta voce fu come prenderne coscienza per la prima volta. Le spezzò il cuore e gli occhi distrutti di Bill furono come una pugno allo stomaco.

Lui la guardava, continuando a piangere e a tremare.

- No... - mormorò - ... io sono Tom. Lui è... è... -

E infinè si lasciò andare, abbandonandosi tra le braccia di Naike. Lei constatò quanto fosse leggero, leggerissimo. Con cautela si avvicinò al divano e si sedettero, rimanendo sempre abbracciati.

- Mi manca da morire... - le disse Bill tra i singhiozzi, il viso affondato nel suo collo.

Lei lo accarezzava piano, con delicatezza, passando la mano sulla sua schiena magra.

- Penso a lui ogni giorno - sussurrò Naike, stringendolo forte. Fece un respiro, per trovare la forza di affrontarlo - Questo non è il modo giusto per superare la sua perdita, così ti fai solo del.. -

Bill si scostò da lei, sciogliendo l'abbraccio. Si strofinò il dorso delle mani sugli occhi, asciugando le lacrime.

- Dovevo farlo, Naike - le disse con voce rotta, disperata - Due mesi fa l'ho sognato e nel sogno lui... non aveva il viso - i suoi occhi erano terrorizzati, le poggiò le mani sulle spalle, premendo con forza - Non mi ricordavo il viso di mio fratello! - si accasciò nuovamente su di lei, scosso dai singhiozzi, dal senso di colpa.

Naike lo fece sollevare, gli prese ancora una volta in viso tra le mani.

- Tu non hai bisogno di questo - tentò di sorridere, di rassicurarlo - Non hai bisogno di essere lui per ricordarlo... -

Gli passò due dita sul viso... quanto le faceva male guardarlo. Bill era... era Tom. Anche se la sua voce era diversa, anche se le lacrime avevano cancellato il neo sulla guancia e rivelato quello sotto alla bocca. Chiuse gli occhi e gli sfiorò le labbra con un dito, fino ad arrivare a toccare il cerchietto sul lato sinistro.

- Naike - la chiamò piano Bill.

Lei rialzò le palpebre, incrociando i suoi occhi nocciola.

- Scusami... - sussurrò, trattenendo nuove lacrime.

- Naike.. - ripetè ancora Bill, avvicinando leggermente il viso a lei.

E Naike capì che le stava dando l'opportunità di dire addio a Tom e azzerò la distanza che la separava da Bill, sfiorando le sue labbra con un bacio.



- Non hai paura di svegliarti una mattina... e non ricordarti più il suo viso? La sua risata? -

Naike si agitò leggermente alla domanda di Bill, strinse la mano che lui aveva posato sulla sua pancia, incrociando le dita con le sue.

Bill si era calmato, ora era tranquillo.

Dopo aver salutato Tom con quel bacio, Naike aveva capito che era arrivato il momento per Bill di dire addio al gemello. Gli aveva tolto l'anellino al labbro e quelli alle orecchie. Gli aveva sfilato la bandana e sciolto ogni treccina. Lo aveva preso per mano e portato dolcemente fino in bagno, aveva riempito la vasca e lui si era spogliato, nudo. Non provava vergogna davanti a Naike e non ne provava neanche lei. Si era calato dentro l'acqua calda e lei gli aveva lavato delicatamente i capelli, districato i nodi con un pettine. Lui era rimasto tutto il tempo con gli occhi chiusi, respirando piano. Poi, sempre Naike, glieli aveva asciugati con un phon, gli aveva passato la piastra rendendoli lisci come la seta. Bill continuava a rimanere in silenzio, facendosi accudire da lei e, piano piano, tramite questi piccoli accorgimenti, era tornato alla sua vera essenza. Si era guardato allo specchio e si era riconosciuto.

Aveva raggiunto di corsa Naike, che aveva già un piede fuori dalla porta e le aveva chiesto di rimanere con lui. Lei aveva sorriso e lo aveva abbracciato. Si erano preparati dei sandwich e si erano messi sul divano, parlando di Tom. Ridendo, commuovendosi, avvertendo la sua presenza lì, con loro due. E infine Bill le aveva chiesto di rimanere per la notte, di dormire con lui e Naike aveva accettato. Si erano sistemati nel lettone che una volta accoglieva Tom e Naike. Bill l'aveva abbracciata da dietro, carezzandole piano la pancia, con il viso affondato tra i suoi capelli... e poi le aveva fatto questa domanda.

Naike rimase qualche secondo in silenzio, infine si schiarì la gola.

- Non succederà mai... non mi scorderò mai di Tom. Il suo ricordo rimarrà indelebile dentro di me - rispose con sicurezza.

- Come fai ad averne la certezza? - le chiese Bill, con un filo di voce.

- Perchè quando hai amato una persona, niente e nessuno sarà in grado di oscurarne il ricordo. Io mi innamorerò di un altro uomo... ma Tom ci sarà. E quando sentirò la sua mancanza, mi basterà cercare il suo viso nel mio cuore - Naike prese fiato - E poi ci sei tu... - concluse in un soffio.

Sentì il corpo di Bill irrigidirsi, il battito del suo cuore veloce sulla sua schiena.

- Perdonami, Naike... - disse a voce bassa, colpevole.

Lei strinse maggiormente la sua mano.

- Forse volevi solo stare da solo... anche se io avevo un gran bisogno di te - confessò lei.

E Bill prese finalmente coraggio.

- Sono venuto a trovarti all'ospedale, il giorno dopo - fece una pausa, il respiro mozzato - Tu eri sveglia, ma sotto tranquillanti e anti-dolorifici. Non sapevi ancora che Tom non era sopravvissuto all'incidente - lei tremò sotto alle sue rivelazioni - Mi sono avvicinato e mi hai guardato. Hai teso una mano verso di me, mi hai sorriso... e mi hai chiamato Tom - Bill la strinse con forza, la voce incrinata - Ho avuto paura. Paura di guardarti negli occhi e specchiarmi nel mio dolore - ricominciò a piangere, in silenzio, ma sollevato di averle finalmente detto la verità - Perdonami, Naike... avrei dovuto prendermi cura di te... Tom avrebbe voluto questo -

Lei si girò, abbracciandolo, cullandolo tra le sue braccia. Capendo quanto fosse stata dura per lui. Tutto questo tempo da solo, con il dolore che lo aveva isolato da tutto e trascinato sempre più nel pozzo oscuro della disperazione. Arrivando ad assumere l'identità del gemello, con la paura di potersi dimenticare di lui.

- Va tutto bene, Bill - lo rassicurò - Ora siamo di nuovo insieme e guardarmi negli occhi non significa più dolore - gli carezzò piano la testa - Guardami negli occhi, Bill - disse piano.

Lui sollevò leggermente il viso, lo sguardo ancora basso. Poi lentamente lo rialzò su di lei. Il suo cuore tornò a battere normalmente, il suo respiro di nuovo tranquillo e regolare. Guardarla negli occhi non gli faceva più paura, ma gli infondeva solo un gran senso di pace e calma. Aveva chiuso la porta in faccia proprio all'unica persona che sarebbe stata in grado di aiutarlo, di capirlo. Ma lei non si era arresa e adesso era lì, a prendersi cura di lui. E anche Bill si sarebbe preso cura di lei. Avrebbero superato il dolore, insieme. E mantenuto vivo il suo ricordo.



Avere accanto la persona che aveva amato suo fratello con la sua stessa intensità, era il modo migliore per ricordarlo. Ora Bill lo sapeva.



                                                                  _________ § _________




E' triste, lo so...
Ma ci tengo particolarmente, per due motivi.
Uno è strettamente personale. L'altro, lo ammetto, è un motivo un pochino più materiale... ho vinto un contest con questa os, cosa che mi ha resa davvero felice.
Spero abbiate apprezzato.
Ele 








  
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