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Autore: Tetide    16/10/2009    2 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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FINCHE' SPADA NON VI SEPARI FINCHE’ SPADA NON VI SEPARI
 
Jean inchiodò bruscamente davanti al portone chiuso dell’ambulatorio; scese a precipizio, cercando le chiavi nella tasca.
“Ecco fatto, entrate!” fece rivolto agli altri.
Tavernier non se lo fece ripetere, con Jeudi semisvenuta in braccio; un passo dopo veniva Lundi, con il viso contratto ad una smorfia di dolore.
Non l’ho protetta, non ne sono stato capace! Come, come ho potuto? Sono un mezzo uomo, lei non mi perdonerà mai! E forse neanche Dio lo farà!
Patrice depose la ferita su di un lettino, accanto al quale si precipitò subito anche Lundi.
“E’ meglio far chiamare un prete” disse Patrice “non sappiamo di quali malefici sia stato capace quel mostro! Potrebbe averla posta sulla strada della non-morte, come lui!”,
“Professore… quel pope, stamattina… mi pare si chiamasse Rabanu…”,
“Rabonu” lo corresse Tavernier “e dobbiamo mandarlo a chiamare, subito! Ma dov’è andato il dottore?”.
Piquet si era precipitato su per le scale, in cerca dell’aiuto della moglie.
“Helena!” gridava “Helena, svegliati, per favore! C’è bisogno di te!”.
La donna gli venne incontro, in vestaglia.
“Che hai da urlare tanto, caro?”.
Lui la prese per un polso ed immediatamente la condusse giù, nell’ambulatorio.
Entrarono nella squallida e fredda stanzetta, illuminata da anonime luci al neon, dove tante vite erano state salvate. La donna si avvicinò a Jeudi, che giaceva sul lettino.
Senza perder tempo, le prese delicatamente il collo tra le mani, aggrottando le sopracciglia. “Mandate a chiamare gli altri” ordinò.
“Dottore, è meglio chiamare anche padre Rabonu”, Tavernier lo aveva trattenuto per un braccio; l’uomo annuì.
“Faccio in un attimo: torno subito con gli altri ed il prete”, ed uscì, dirigendosi al pulmino.
I quattro rimasero soli nella stanza.
“Professore, adesso deve dirmi ogni cosa: come è successo, tutto! Per il bene della sua collega, non tralasci niente!”, fece la dottoressa, continuando ad esaminare le ferite di Jeudi.
Patrice si mise a raccontare di come l’avevano trovata e di quanto era successo; Lundi, la testa reclinata, piangeva come un bambino, mormorando.
“E’ colpa mia… è solo colpa mia… non ho saputo proteggerla… se Jeudi morirà, è solo colpa mia, e di nessun altro!”,
“Basta ragazzo, calmati!” Tavernier cercò di allontanarlo dalla branda “Nessuno poteva prevederlo, dato che quella era una vostra conoscente: ci si tende a fidare dei conoscenti!”,
“No, lei non capisce, professore: Matilda odia Jeudi! Io lo sapevo! Avrei dovuto immaginare che non le avrebbe fatto nulla di buono!”, Lundi aveva alzato la voce ed il viso, rigato dalle lacrime,
“Ragazzo… potresti essere mio figlio, e come tale voglio parlarti: anche se avessi ragione, questo atteggiamento non servirebbe a nulla: non servirebbe a salvare Jeudi! Dunque, la sola cosa che possiamo fare è stare qui, e cercare di essere d’aiuto alla dottoressa; tutti gli altri atteggiamenti, compresi quelli isterici, non farebbero che peggiorare la situazione!”.
Poi si volse verso la signora Piquet “Com’è la situazione, dottoressa?”,
“Molto confusa, al momento. Sto cercando di pulire il sangue per capirci qualcosa, poi potrò dirvi”.

Nello stesso momento, Jean, caricato il bravo sacerdote sul pulmino, stava correndo a tutta velocità verso l’albergo.
Arrivati che furono, scese, dicendo “Mi aspetti qui, padre; io farò il prima possibile”.
Entrò nell’androne, trafelato; non c’era quasi nessuno, ad eccezione di una coppia di amici mezzi ubriachi che parlavano forte.
Attraversò la sala, e si diresse in sala televisione, dove, in un angolo, trovò Leonhard ed Edith, seduti ad un tavolino che parlavano; questa, non appena lo vide, scattò in piedi.
“Dottor Piquet! Cosa è successo? Perché è da solo? Dove sono gli altri?”,
“Dovete venire con me, subito. Dove sono i signori Wolfgang?”.
L’altra lo incalzò “Dov’è Patrice? Gli è… accaduto qualcosa?” aveva gli occhi lucidi,
“No, lui sta bene, dottoressa. E’ la dottoressa Brendell che non sta bene affatto”, aggiunse, guardando Leòn, che era rimasto immobile in piedi, in un angolo; a questo punto, si avvicinò.
“Cosa… cosa è successo a Jeudi?”.
Piquet abbassò lo sguardo “Il vampiro l’ha morsa, purtroppo!”,
“Cosa?!?”, Leòn l’aveva afferrato per la giacca “Come sta? E’ viva? Mi risponda!”,
“Sì, è viva” rispose l’altro, liberandosi dalla presa “adesso è affidata alle cure di mia moglie. E’ lei che mi ha detto di chiamarvi tutti. Dove sono i signori Wolfgang?” chiese di nuovo.
Leòn si calmò un poco “Johann e Liesel sono andati a dormire poco fa. Vado a chiamarli, forse sono ancora alzati!”,
“No, vado io!” fece Edith, e sparì su per le scale.
I due uomini rimasero soli.
“Come è successo?” Leonhard aveva i pugni stretti,
“Non lo so. Le abbiamo lasciate sole per pochi minuti, lei e quella Matilda, ed è successo tutto in un attimo; io l’ho sentita gridare, sono accorso, e l’abbiamo trovata a terra, nel sangue”.
“Oh, mio Dio!” Leòn si era coperto il viso con una mano,
“Professore… se ci fosse stato lei con noi, non sarebbe mai accaduto. Io le auguro… le auguro che la dottoressa  ce la faccia, e possiate essere felici, come meritate!”, Jean gli pose una mano su di una spalla.
Leòn frenò un singhiozzo “Se ne è accorto anche lei?”,
“E’ impossibile non vederlo: due sguardi così innamorati sono inconfondibili. Ma adesso dobbiamo andare, la signora ha bisogno di lei”.
L’altro annuì.
Poco dopo, Edith scese giù con i Wolfgang, malamente rivestiti in quanto già in pigiama; si avviarono tutti al pulmino.

In pochi minuti, furono di nuovo davanti al laboratorio dei Piquet.
Edith scese di corsa, e spinse la porta; vide immediatamente Patrice, imbrattato del sangue di Jeudi, e si gettò nelle sue braccia.
“Amore! Stai bene?”.
Lui le diede un bacio sulla fronte “Io sì; la tua amica, invece…”.
Entrarono anche gli altri, il pope in testa, guidati da Jean-Jacques.
Subito, il bravo pope si avvicinò al lettino e pose una mano sulla fronte della ragazza.
“Fuori tutti!” intimò. Gli altri non se lo fecero ripetere.
Patrice e Johann trascinarono letteralmente un isterico Lundi, e lo fecero sedere su una delle panche della sala d’attesa.
Leòn aveva avuto appena il tempo di vedere la sua amata distesa sul lettino, pallida come la morte e con tre grosse ferite sul collo: gli occhi gli si erano riempiti di lacrime; si sedette anche lui, mettendosi a pregare.
“Che le hai fatto, Helena?” stava chiedendo Jean alla moglie,
“Per l’intanto, le ho pulito le ferite, scongiurando un’infezione; poi, ho cercato di arrestare l’emorragia, cosa che è più difficile del previsto, a quanto sembra!”,
“E’ chiaro!” intervenne Patrice “Il morso del vampiro non è una semplice ferita: il mostro cerca di arrivare all’anima per succhiarla via dal corpo, uccidendo la sua vittima; di fronte al sovrannaturale, la medicina può fare poco”,
“Ma è venuto il prete, no?”, fece Edith, con un filo di voce, un braccio intorno alle spalle di Lundi che lacrimava,
“Infatti: questo tipo di emorragie si ferma con l’acqua benedetta, a quanto ne so” rispose l’uomo.
Rimasero fuori per circa mezz’ora; per quasi tutto il tempo udirono una sommessa litanìa, sicuramente recitata dal sacerdote; poi, lo sentirono chiamare “Dottoressa Piquet!”.
La brava donna si alzò e lo raggiunse.
La porta dell’ambulatorio si richiuse.
Silenzio. Altri interminabili minuti.
Infine, la porta si riaprì.
“Potete entrare, ora” fece Helena.
Gli altri non se lo fecero ripetere, ed in un istante si accalcarono per entrare, Lundi sempre sorretto da Johann.
Trovarono Jeudi col collo fasciato, pallida come prima, ed ancora svenuta.
“State tranquilli, non è stata mutata in un vampiro” disse loro il prete sorridendo “Il morso non era così profondo, e poi le modalità in quel caso sono altre; mirava piuttosto ad ucciderla, ma non vi è riuscito: la signorina è fragile fisicamente, ma è molto ben assistita: ho percepito la presenza di almeno due presenze angeliche, mentre ero qui con lei”.
Lundi annuì col capo.
“Cosa le ha fatto, padre?” chiese Leonhard,
“Ho ridato alla sua anima la pace che il contatto con il vampiro le aveva portato via; e ho allontanato eventuali presenze di quel tipo che potrebbero ancora insidiarla; almeno per ora”,
“Che significa “almeno per ora”?” chiesero all’unisono Lundi e Leonhard,
“Vedete, signori, questo tipo di entità malvagia ha un modus operandi molto caratteristico: prima punta la sua preda, e la aggredisce; successivamente, se non l’ha uccisa subito, la insidia finché non torna per finire la sua opera”.
Tutti trasalirono.
“Questo significa… che potrebbe anche tornare?” chiese Leòn,
“Sì, signore. E’ proprio così. Ragion per cui, dovrete vegliare la signorina notte e giorno, senza lasciarla neanche per un minuto”. Il prete fece una pausa “La sua anima è salva, adesso. Della sua salute fisica, risponde la dottoressa Piquet”.
Terminato il suo compito, il brav’uomo si andò a sedere accanto a Lundi, per consolarlo.
“Padre Rabonu mi ha aiutato anche a suturare le ferite con l’acqua benedetta: come vedete, l’emorragia si è arrestata. Ma adesso c’è bisogno di voi tutti; anzi, di noi tutti”.
Tutti i presenti drizzarono le orecchie.
“La dottoressa ha perduto parecchio sangue. C’è bisogno di una trasfusione”.
Ognuno guardò in faccia il proprio vicino, interrogativo.
Lundi balzò subito in piedi “Glielo do io! E’ la mia donna, spetta a me!”,
“Si calmi, professor Cortot. Dobbiamo prima vedere chi di noi è compatibile ad una trasfusione. La signorina è un B negativo; chi di voi ha questo gruppo sanguigno?”.
Nessuno dei presenti seppe cosa rispondere.”Orbene, adesso faremo così: coloro che si offrono volontari per donare il sangue alla signorina vengano qui, ed io preleverò loro un po’ di sangue per verificare il gruppo; poi, vi farò sapere”.
Inutile dirlo, si offrirono tutti, compreso il sacerdote; anche la dottoressa e suo marito prelevarono un poco del loro sangue e lo chiusero in delle provette.
“Accomodatevi pure fuori” disse Piquet indossando il camice “non appena avremo i risultati, vi chiameremo!”.
Tutti si incamminarono verso la porta, ad eccezione di Leòn e Lundi che si avvicinarono prima al lettino dove giaceva Jeudi.
“Amore mio…” Lundi la guardava, con gli occhi lucidi;
con gli stessi occhi lucidi la guardava Leòn, in silenzio.
“Leòn, amico mio” Lundi gli prese all’improvviso una mano “devi promettermi una cosa”,
“Dimmi” l’altro si voltò,
“Se a me dovesse accadere qualcosa… di grave, promettimi che veglierai su di lei. Per sempre”.
Leonhard era esterrefatto “Ma che vai dicendo, Lundi? Accaderti qualcosa di grave? Perché mai? E poi cosa dovrebbe accaderti?”,
“Promettimelo, Leòn!”.
Leòn vide che il tono dell’altro non ammetteva repliche.
“Va bene, Lundi. Te lo prometto”.

Raggiunsero gli altri in sala attesa.
“Non conosco il mio gruppo, ma di sicuro sono un Rh positivo”, stava dicendo Tavernier,
“E allora, perché ti sei offerto?”, gli chiese Liesel
“Dobbiamo tentare! Tutto per la nostra Jeudi!”,
“Lo stesso vale per me” intervenne Johann “soffro dalla nascita di una sorta di anemia, quindi il mio sangue è inservibile. La dottoressa se ne accorgerà subito, ma ho voluto fare un tentativo”,
“Devo farlo io” sussurrava Lundi rivolto a Leòn, sedutogli accanto, “almeno questo! Già una volta non sono stato in grado di proteggerla! Che razza di uomo sono?”.

Il tempo passava lentamente; la tensione nel gruppo era palpabile; Patrice Tavernier raccontava barzellette cercando di sdrammatizzare e di alleviare l’angoscia della sua compagna, in pena per l’amica.
“Giuro!!! Ieri sera nella nostra stanza ci abbiamo trovato un millepiedi! Aveste sentito che puzza faceva!” , diceva Johann,
“Ma chissà perché poi i millepiedi devono puzzare tanto!”, aggiungeva Liesel;
a questo punto interveniva Patrice: “Ma è ovvio: non si lavano mai i piedi, e dato quanti ne hanno…”.
Ma la sua battuta, seppur spiritosa, non suscitò che qualche sorriso.
Finalmente, la porta si aprì.
“Dunque, ecco i risultati” fece Jean,
“Abbiamo esaminato il sangue di tutti”, continuò la moglie “e solo due persone sono risultate compatibili con quello di Jeudi”.
Lundi si rizzò a sedere.
“Una” riprese Helena Piquet “è la signora Wolfgang”,
“E l’altra?” chiese Lundi,
“E’ il signor Aschenbach”.
Lundi si accasciò contro lo schienale.
Non posso darle il mio sangue! Non posso fare niente per lei!
“Dunque, chi si offre?” chiese il dottore,
“Io!” fece prontamente Liesel.
Ma Leonhard non la lasciò avvicinarsi ai Piquet; si alzò, e, raggiungendola, la scostò leggermente.
“Faccio io, signori. La signora qui è molto magra e potrebbe risentirne. E poi, mi sento responsabile” soggiunse, guardando Jean.
Questo ricambiò il suo sguardo. “Va bene. Venga” disse.
I tre entrarono nell’ambulatorio.
Lundi era ancora seduto sulla panca, raggelato.
Il pope lo guardava, preoccupato “Tutto bene, figliolo?”. Lui si limitava ad abbassare la testa, lentamente e meccanicamente.
Leonhard fu fatto accomodare su di un lettino, sistemato apposta per l’occasione da Jean.
“Si salga la manica, prego”, gli disse questo.
Helena Piquet aveva preso un grosso tubo collegato a due lunghi e sottili aghi; ne inserì uno nel braccio di Jeudi e l’altro in quello di Leonhard.
“Quanto dovremo restare così?” chiese lui,
“Fin quando lo riterremo necessario” rispose Jean.
Leòn guardò Jeudi: era di un pallore mortale, uno spaventoso grigiastro talmente cupo da sembrare blu: la perdita di sangue era evidente.
Ma lei non sentiva nulla. La sua coscienza era altrove, lontano.
Seduta in un infinito corridoio inondato di luce, di fronte a lei due figure fin troppo familiari.
“Papà, mamma… perché non posso venire da voi?”,
“Perché devi vivere, Jeudi. Verrai quando sarà il momento, ma ora no” faceva il padre,
“E poi,” aggiungeva la madre “di là c’è qualcuno che ti aspetta con ansia, che aspetta il tuo ritorno: non puoi deluderlo”,
“Lundi?” chiedeva lei,
“No, tesoro mio. L’uomo con cui dividerai la tua vita è colui che sta mescolando il suo sangue al tuo”, la donna sorrideva alla figlia,
“Svegliati, Jeudi!” faceva il padre “E guardalo!”.
Jeudi aprì gli occhi.
La prima cosa di cui si accorse fu un bruciore al braccio, e la sensazione di freddo sulla pelle; si girò, e vide che aveva un ago conficcato sotto la pelle.
Seguendo con lo sguardo il lungo tubo inondato dal liquido scarlatto arrivò fino all’altro lettino. E vide Leonhard.
“Bentornata, amore!” le disse lui “Non sai quanto sono stato in pensiero: siamo tutti in pensiero per te!”,
“Leòn…”,
Stà tranquilla, amore: sei fuori pericolo. Questa trasfusione è necessaria per rifonderti il sangue che hai perduto”.
E tu, prontamente, mi hai dato il tuo, pensò Jeudi.
L’uomo le sorrise; lei ricambiò il sorriso.
E fu solo allora, che si rese conto.
Loro due erano più che amici. Più che amanti. Più che una coppia. Erano una cosa sola.
Ed ora che il sangue di lui iniziava a scorrere nelle proprie vene, Jeudi percepiva chiaramente che non avrebbe più potuto fare a meno di lui, in futuro. Mai più.
La loro unione stava venendo suggellata dal sangue, dal caldo, rosso liquido della vita.
Uniti dal sangue. Uniti per la vita.

Dopo un tempo interminabile, i dottori Piquet entrarono nella stanza; Jean tolse l’ago dal braccio di Leòn, mentre Helena fece lo stesso con Jeudi.
“Come si sente, Leòn? Le gira la testa? Posso darle delle vitamine, se vuole”, Jean gli stava richiudendo il braccio,
“No, grazie, dottore. Non ce n’è bisogno”.
“Può alzarsi adesso, dottoressa” stava dicendo Helena Piquet a Jeudi “ma badi bene di non fare troppi sforzi: il suo corpo è ancora molto provato”,
“Grazie, dottoressa Piquet. Le devo la vita” rispose Jeudi.
“Possiamo entrare?” Patrice Tavernier si affacciò sull’uscio.
“Certo!” rispose Jean-Jacques.
Leòn si alzò, e poi aiutò Jeudi a fare altrettanto.
Lundi li raggiunse “Jeudi, amore… come ti senti?”,
“Meglio, Lundi, stai tranquillo! I dottori Piquet si sono presi cura di me in modo impeccabile!”.
Padre Rabonu le si fece vicino.
“Figliola… devi stare attenta, da ora innanzi. Il mostro ti ha puntato come sua preda, e finché non sarà stato annientato, tu correrai pericolo; per questa ragione, non dovrai mai allontanarti dai tuoi compagni: loro sapranno proteggerti. E in quanto a voi” si girò verso gli altri “dovete stanare il mostro, ad ogni costo, ed ucciderlo. Solo così la vostra amica sarà per sempre fuori pericolo”.


Rientrarono in albergo, Jeudi sorretta da Lundi e Leonhard. Erano le quattro del mattino, e per le strade iniziava a sorgere un’alba grigio-violacea, che faceva impallidire i lampioni accesi e conferiva alle strade un aspetto ancor più desolato.
Il custode notturno fu meravigliato nel vedersi arrivare quella strana combriccola a quell’ora così tarda (o così presto, fate voi).
Salirono ognuno nelle loro camere, facendo bene attenzione a non lasciare mai indietro Jeudi, la vittima segnata dal vampiro. In particolare, Leòn e Lundi si alternarono sempre nel proteggerla.
In camera, messa a letto Jeudi, Lundi rifletteva.
Non ho saputo proteggerla. Non ho potuto donarle il mio sangue. Cosa ho fatto per lei? Nulla! Nulla! E’ lui che ha fatto ogni cosa, al mio posto. E’ lui il primo volto che ha visto al risveglio. E lei lo ama.
Devo rinunciare a lei, dunque? Se l’amo veramente devo  lasciarla andare con la sua libertà, con lui? Sarebbe giusto, sì. Ma non posso. Non ci riesco. Perché io l’amo.
Come si può rinunciare per sempre a chi si ama, proprio perché la si ama?
Si sedette sul letto accanto a lei, accarezzandole i capelli.
La osservò dormire, tranquilla. Poi, udì bussare sommessamente alla porta.
Era Leòn.
“Vengo a darti il cambio, così potrai riposare un po’ anche tu: sarai stanco”.
Lundi gli sorrise “Non quanto te, però: tu le hai dato il sangue”.
Leonhard accavallò le gambe “Lundi, ascolta…”,
“No, non dire nulla. Ho già capito. E’ giusto così. Sei tu l’uomo adatto a lei, non io. Ed io voglio che sia felice. Che siate felici”.
Leonhard chiuse gli occhi “Grazie, Lundi. Di cuore”.
Fece un sospiro.
“Che farai, ora?”,
“Una volta che saremo tornati a Ginevra, me ne andrò di casa. Voglio trascorrere questi ultimi giorni con lei; voglio che serbi un buon ricordo di me”,
“Di questo, non devi dubitare”,
“Sì, invece. In fin dei conti, cosa ho fatto per lei? Ero là, e non ho mosso un dito! Se ci fossi stato tu…”,
“Ah, piantala, Lundi! Chi poteva immaginare quali fossero le intenzioni di Matilda? Anche io non avrei potuto far nulla!”,
“Ma tu le hai dato il tuo sangue! Io, nemmeno questo!”.
Lundi gli si avvicinò “Ricordati quello che mi hai promesso: le starai sempre accanto!”.
Leòn annuì “Stanne certo, amico!”.

La mattina successiva, o meglio qualche ora dopo, Leòn svegliò Lundi e poi andò via, prima che si svegliasse Jeudi e lo vedesse lì.
Per tutto il giorno, Jeudi fu sempre circondata dai suoi amici e compagni: Lundi le sedeva sempre accanto, Leòn l’accompagnava a far due passi in cortile quando aveva voglia di prendere aria, sorreggendola dato che lei era ancora molto debole, Patrice ed Edith le portavano spesso da bere, perché, diceva lui, “doveva rifarsi il sangue”, i Wolfgang le avevano portate delle riviste di parole crociate per distrarla; intorno a mezzogiorno venne anche il dottor Piquet a controllare il suo stato di salute, assieme a padre Rabonu: entrambi furono lieti nel constatare che la ragazza si era ripresa bene.
Fu solo intorno alle cinque, quando iniziava ad imbrunire, che si verificò un episodio allarmante: Jeudi era seduta nel cortile, mentre Leòn era andato a prenderle un altro cordiale, e gli altri erano momentaneamente assenti; da dietro la vetrata dove si trovava, Patrice Tavernier poteva vedere Jeudi seduta in cortile, mentre lui discuteva con padre Rabonu e Piquet sul da farsi per acciuffare il vampiro; si guardarono e si sorrisero, da vecchi amici. Fuori era quasi buio, non fosse stato per i lampioni del cortile; ad un tratto, Jeudi sentì di nuovo quegli occhi tanto sinistri e familiari su di sé: alzò la testa e vide un grosso pipistrello che stava picchiando su di lei.
Spaventata, si alzò immediatamente; Patrice la vide e corse fuori, seguito dal prete; Jeudi scappò via, verso la porta aperta della vetrata, coprendosi la testa, e finendo nelle braccia di Tavernier; il pipistrello la mancò per poco.
I nostri tre eroi entrarono nel salone dell’albergo; Jeudi tremava, e Leòn le si fece incontro, con un bicchiere in mano.
“Jeudi! Che è successo?”, chiese
“Il vampiro l’aveva puntata di nuovo” fu Patrice a rispondere.
Leòn impallidì.
“Dobbiamo risolvere questa faccenda una volta per tutte” aggiunse ancora Tavernier a bassa voce “dopo tutto, siamo qua per questo!”.

Un paio di ore dopo, tutto il gruppo era seduto nella sala riunioni dell’albergo, ed aveva elaborato un piano d’attacco. Era necessario tornare al castello.
Della “spedizione punitiva” avrebbero fatto parte Patrice, Edith (che dopo quanto era successo non lo avrebbe più lasciato da solo), Jeudi (che in quanto vittima del vampiro avrebbe fatto da esca), Lundi e Leonhard (che l’avrebbero accompagnata e seguita ovunque); Liesel e Johann Wolfgang preferirono rimanere: lei era ancora terrorizzata, e lui, da bravo marito, preferì farle compagnia.
 
“Dobbiamo distruggerlo, non possiamo fallire!”, diceva ad alta voce Patrice Tavernier “Il piano è chiaro: bisogna accerchiarli, uno ad uno, per non concedere loro via di fuga alcuna: solo così riusciremo ad aver ragione di loro. Avete tutti una croce?”,
“Sì!” risposero gli altri in coro,
“Mi unirò anch’io al gruppo, se permettete” aggiunse padre Rabonu,
“Sarà il benvenuto, padre” gli ripose Patrice “il suo aiuto è la cosa migliore che potevamo sperare”,
“Ma i vampiri sono due!” disse Leòn “Come faremo ad accerchiarli tutti e due contemporaneamente?”,
“Non lo faremo, infatti” fu la risposta di Patrice “come ho detto, dovremo prenderli uno alla volta”,
“O dividerci in due squadre” concluse Jeudi “quanti siamo?”;
Patrice si portò una mano al mento, con espressione meditabonda “Dunque… io, tu, Lundi, Leonhard, Edith, padre Rabonu… sei in tutto!”,
“Due squadre da tre?”,
“E’ possibile. Ma dovremo rimanere compatti; e poi, cerchiamo di non guardare mai il vampiro negli occhi: il suo sguardo è ipnotico”,
“Come le dividiamo, le squadre?” chiese Leonhard,
“Nella prima andiamo io, Edith e padre Rabonu: staneremo Troncan; nella seconda, invece, tu, Jeudi e Lundi, che vi occuperete del calzolaio”.
E di Matilda, pensò Lundi.
“O.K.! Partiamo!”.
Jean li stava già aspettando vicino al pulmino; Tavernier gli si avvicinò.
“Sarà dei nostri, dottore?”,
“No, grazie. Preferisco aspettarvi sul pulmino”.

Poco dopo, un pulmino rischiarava coi suoi fari accesi il buio della strada verso il castello.
Jeudi era ancora un po’ debole, ma molto battagliera e determinata a non cedere; Lundi era ansioso di dimostrarle, forse per l’ultima volta, il suo amore.
Quando giunsero, il cortile del castello sembrava deserto.
“Sembra che non ci sia nessuno” fece Jean,
“Non lasciamoci ingannare” gli rispose Patrice “con tutta probabilità, adesso, ci stanno osservando da dietro le finestre del castello!”.
Jeudi alzò lo sguardo: anche le finestre apparivano buie, come occhi chiusi.
E la solita sensazione di occhi invisibili si impadronì di lei.
Tavernier si avvicinò al portone “E’aperto! Che strano!”,
“E’ un segno che ci stanno aspettando” aggiunse il pope,
“Allora andiamo a cercarli, e vediamo chi ha la testa più dura!” Patrice spinse del tutto la porta ed entrò seguito dagli altri.
“Dunque, dividiamoci in squadre: noi tre nello studio di Troncan” disse Tavernier “e voi, invece…”,
“… Nella libreria dove mi avete trovata!” Jeudi concluse per lui.
Sentiva che era che si sarebbe concluso tutto. Tutto.
“Buona fortuna!” disse Leòn,
“Che il Cielo vi assista!” gli rispose Patrice.
Jeudi e gli altri due salirono le scale in silenzio, un silenzio gonfio di minacce non dette, ma non per questo meno spaventose.
Arrivati in cima, videro una luce a mezz’aria, che si rivelò essere una candela.
Jeudi strinse le palpebre in un gesto di stizza: aveva visto chi reggeva la candela.
Siamo alla resa dei conti, megera!
Dal fondo del corridoio, Matilda li aspettava sogghignando.
“Per di là!” gridò Jeudi, guidando il gruppo; Leòn le si avvicinò “Non da sola! Ricorda cosa ha detto il prete!” e le prese un braccio.
Lundi li seguiva immediatamente dietro.
In fondo al corridoio si stupirono di trovare la luce accesa.
“Dunque, Jan non ha saputo finirti!” Matilda era appoggiata ad un tavolo di legno scuro, con le braccia conserte.
“Ci speravi, vero?” le chiese Jeudi, protetta dal braccio di Leòn.
L’altra rise “Lundi, sei davvero uno sciocco! Preferisci a me questa sgualdrinella che ti tradisce con quel capellone! Cos’hai sugli occhi, il prosciutto?”.
Lundi non rispose; si limitò a guardarla, con occhi carichi d’odio misto a compassione.
“Ad ogni modo” proseguì “c’è sempre una seconda occasione: ed a questa occasione non falliremo!”.
Mentre lo diceva, il suo sguardo, da sarcastico che era, si era mutato in minaccioso e tagliente; sentirono uno sbatter d’ali che si avvicinava.
Jeudi alzò la testa, riconoscendo il pipistrello; ma stavolta non ebbe paura: solo tanta rabbia.
Si allontanò dal braccio di Leòn, alzando la croce in aria “Adesso morirai, mostro! Vedremo chi è la vittima!”.
Rimase sola al centro della stanza, in attesa, mentre il pipistrello le si avvicinava.
Toccò terra e si materializzò nella sua forma umana.
Leòn si avvicinò al mostro da dietro.
Quello se ne accorse, e si girò, la bocca aperta grondante saliva.
“No, bastardo!” gridò Jeudi “Lascialo stare! Sono io la tua preda!”.
Gli passò vicinissima, distogliendo l’attenzione del vampiro da Leòn.
Tu mi hai salvato la vita: ora tocca a me salvare la tua!
Il mostro si girò verso di lei, ed in un balzo le fu addosso, mentre Matilda tratteneva Lundi dall’intervenire, e Leonhard era talmente esterrefatto da non essersi neanche reso conto di quanto stesse accadendo.
La donna ed il vampiro stavano lottando ferocemente: lui la fronteggiava, cercando di strapparle la croce che teneva in mano e di sfondare le sue difese, ma Jeudi era molto agile, e schivava i suoi assalti.
L’uomo dagli occhi morti sbavava saliva dalle labbra inesistenti; i suoi occhi spenti fissavano Jeudi con malefica intensità.
Papà! Mamma! Nonni! Aiutatemi! Dio, aiutami!
Con un grido altissimo, la ragazza si lanciò sul vampiro, riuscendo a schivare i suoi denti per pochi centimetri dal proprio braccio, ed a toccarlo con il piede della croce sulla testa.
Immediatamente, il non-morto prese fuoco.
Iniziò a contorcersi a terra, tra orrende grida.
Jeudi, posata la croce nelle mani di Leonhard, afferrò quello che sembrava un lungo pezzo di legno abbandonato ed appuntito, forse la gamba di una vecchia sedia, e si avvicinò al corpo in fiamme.
“Ed ora, muori davvero, mostro!”, così dicendo fece un balzo in avanti e gli conficcò la punta del lungo pezzo di legno nel cuore, schivando le lingue delle fiamme che si andavano consumando; uno spruzzo di sangue uscì, altissimo e scuro, dalla ferita: il sangue di tutte le vittime che il calzolaio aveva vampirizzato per anni.
In breve, del vampiro non rimase che una traccia scura e bruciacchiata sul pavimento.
Jeudi si girò verso Leonhard e Lundi; gli occhi le brillavano.
Matilda tremava dalla rabbia, stringendo i pugni. Con uno scatto felino si staccò da Lundi, andando ad afferrare un’antica spada appesa al muro.
Si avventò su Jeudi “Sgualdrina! Lo farò io, al posto di Jan!”.
La punta dell’arma si avvicinava minacciosamente al petto della ragazza.
Ma non riuscì a colpirlo.
Perché qualcosa la fermò.
Il corpo di Lundi.
In un lampo, l’uomo si era frapposto fra la lama e la sua amata, ricevendo in pieno petto il colpo destinato a lei.
Cadde in ginocchio sul pavimento, che si andava riempiendo di sangue.
Matilda era rimasta paralizzata, la spada ancora in mano. Aveva colpito l’uomo che amava!
“Lundi!” Jeudi e Leonhard si gettarono su di lui, che si stava accasciando a terra.
“Amore… l’ho fatto… alla fine ce l’ho fatta…ti ho protetto… ho fatto il mio dovere… come avrei voluto da tanto… ti amo… Jeudi… ora lo sai…”,
“Non parlare, Lundi” Jeudi piangeva “Vado subito a chiamare Patrice… ti porteremo dalla dottoressa Piquet…”,
“No, Jeudi, è finita” ad ogni parola, il poveretto sboccava sangue; si rivolse a Leonhard “Ricordati quello che mi hai promesso, amico mio: occupati di lei!”,
“Non parlare, Lundi; non affaticarti!” Leòn piangeva,
“Ricordatelo!” furono le ultime parole di Lundi, prima che reclinasse la testa per sempre.
Jeudi scoppiò in un pianto dirotto.
Leòn le fece una carezza, e si alzò: sapeva bene che quello non era il momento ideale per abbracciarla: doveva lasciarla da sola.
Si avvicinò invece a Matilda, che era rimasta priva di forze e di volontà sul pavimento.
“Andiamo, signorina Troncan. Questo giochetto le costerà un bel po’ di anni di galera!”, le disse, facendola rialzare.
Jeudi era ancora a terra, lacrimante, riversa sul corpo senza vita di Lundi.


  
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