Allora,
sì. Conoscete quella sensazione di apatia che vi intima di non fare niente?
Quell’esigenza
– dolorosa – di
chiudere la pagina di
Word e mettervi a piangere, perché vi sentite non solo
incapaci, ma anche
inutili? Quando vi sdraiate e non riuscite a rialzarvi se non dopo ore?
Bene.
In
questo periodo ho avuto problemi. Tanti, forse troppi: mi domando
perché la
sfiga debba ricordarsi che esisto così spesso… Ma
va beh. Fa niente, sono fatti
miei, a voi giustamente non interessa e mi considerate solo una demente
che è
riuscita a metterci mesi per aggiornate ‘sto schifo di fic.
Il
capitolo è arrivato in ritardo? Sì? Mi dispiace.
Seriamente, mi dispiace – e mi
sento in colpa, Dio solo sa come mi sento in colpa! –, ma ho
preferito tardare
e scrivere qualcosa di pseudo decente – anche se poi
così pseudo decente
neppure è –, che postare un qualcosa che non mi
convinceva affatto.
Avete
atteso, non merito di essere perdonata – ormai, ritardare,
per me, è divenuto
quasi normale –, ma spero non smetterete di essere miei
lettori per questo:
grazie per la pazienza. <3
Non
vi conosco, però, beh, vi voglio bene. Sul serio.
Ah,
dimenticavo: InuYasha sfiorerà un OOC pazzesco, in questo
capitolo. <.< O
forse no – io credo di no, perché sinceramente
l’epoca è diversa dalla Sengoku
e l’InuYasha di questa storia ha particolari problemi mentali
–, ma comunque
potrebbe essere. U_U Chiedo venia.
P.S. Il capitolo è ignobilmente breve, almeno rispetto al mio solito. Del resto, è un capitolo semiditransizione, e non potevo allungarlo più di così. ._."
Ok.
C’era una cosa – una, un’unica cosa in
assoluto – che dovevo assolutamente
fare.
Mi
guardai intorno, sospettoso, bene attento a non ruzzolare a causa di un
qualche
oggetto lasciato nel corridoio. Dopo aver appurato che nessuno era in
zona,
sospirai, poi strinsi le mani intorno al pacchettino colorato e presi
tre, tre respiri profondi.
La
carta color rosa pastello scricchiolò tra le mie dita, e
sobbalzai appena,
muovendomi a stento tra le automobiline di Sota lasciate sul pavimento:
quel
bambino era Satana fatto persona. Non capivo come potesse essere
così
fastidioso, piccolo com’era, e non concepivo il suo adorare i
giocattoli
radiocomandati.
Che
poi, sì. Se li avesse riordinati, avrei anche potuto
apprezzare la sua
passione: ma era tanti. Troppi.
Avrei
dovuto penare parecchio, per riuscire ad evitarli tutti senza far
rumore.
Tra
l’altro, il piano per fare la cosa
che mi
era necessario portare a termine era tanto semplice quanto
banale. Dovevo
raggiungere la camera di Kagome in sette secondi massimo, poggiare il
pacco e
andare via: veloce, facile e preciso. Nessuno doveva vedermi, neppure
per
sbaglio, o la mia reputazione – reputazione?
– sarebbe andata in fumo. Ed era l’ultima cosa che
volevo.
Sospirai
ancora, poi poggiai la schiena contro la parete e mi morsi il labbro
inferiore.
Non ce la facevo, e l’odore di quella dannata diveniva ogni
secondo più forte,
cosa che non mi faceva poi molto
piacere. Perché, in fin dei conti, se quella sottospecie di
aroma aumentava, significava
che Kagome era rientrata dallo shopping con le amiche e stava
ritornando in
camera. E, beh, se mi avesse visto con quel pacchetto in mano, la cosa
sarebbe
potuta risultare facilmente equivocabile.
Tergiversai
per qualche secondo, giocherellando con un nastrino: più
volte mi voltai ad
osservare la porta della mia pseudo stanza, rimpiangendo di non essere
rimasto
chiuso lì dentro invece di acquistare quello sciocco regalo.
E iniziavo a
detestare cordialmente quello scemo Sota, che mi aveva avvisato di
quella
stupida ricorrenza chiamata compleanno.
Sbuffai:
Kagome non avrebbe mai saputo di chi era quel dono.
E allora perché
gliel’avevo comprato?
Non
mi sarei fatto bello ai suoi occhi, né sarei stato
ringraziato. Eppure, avevo
speso una cifra di tutto rispetto per quella robaccia.
Bah.
“Ehi,
InuYasha, che cavolo combini?”.
Ecco,
sì. Era fatta.
Ringhiai
sottovoce, maledicendomi per la mia codardia – e per la mia
stupidità, dato che
non mi ero neppure nascosto in camera, ma ero rimasto in corridoio
– e
maledicendo soprattutto Kagome, davanti a me, vestita – svestita? – con un abito dalla
lunghezza a dir poco ridicola.
E
poi bene. Benissimo.
Avevo
anche iniziato a preoccuparmi per il suo abbigliamento troppo lascivo,
e per il
profumo alla fragola che era solita usare. E detestavo vederla
truccata, per
quanto superficialmente.
Ok,
ero diventato ossessivo. E da internare.
Gemetti.
“Niente, niente”. Improvvisamente, mi ricordai del
pacco che stringevo tra le
dita, e mi irrigidii, nascondendolo prontamente alla vista.
“Cos’hai
tra le mani?”.
Scossi
il capo. “Niente, ho detto che non sto facendo niente di
strano”.
“Non
ti ho chiesto quel che stai facendo”, biascicò,
improvvisamente più attenta.
Nei suoi occhi nocciola comparve un guizzo di malizia, e si
avvicinò,
inclinando il capo di lato. “Ti ho chiesto cosa stai nascondendo”.
Non
si fece traviare dal mio sorriso ben più affettuoso del
normale.
Non
notò il sudore che mi imperlava il volto.
Non
ricambiò nessuno dei miei gesti: si sollevò sulle
punte, decisa a scavalcarmi e
al vedere finalmente il motivo della mia agitazione. Inarcai un
sopracciglio. “Cosa
diavolo vuoi fare?”, ringhiai, mentre lei si spostava di lato
– sentii via via
la consistenza del pacchetto sparire dalle mie mani. E poi un tonfo:
era
rovinato al suolo, con la sua carta rosa che luccicava scioccamente, e
lei lo
osservava, sconvolta.
Bene.
Benissimo.
Non
voleva un mio regalo, era palese – feci per abbassarmi, nel
tentativo di
mettere fine a quell’umiliazione, ma lei mi batté
sul tempo, lasciandosi
scivolare accanto al minuscolo scatolino, l’espressione
ancora stralunata.
Prese l’oggettino tra le dita, lo studiò con falsa
attenzione.
“Kagome?”.
Scosse
il capo.
Oh,
bene, ora era anche offesa! Finsi di non notarlo, allungando una mano
nella sua
direzione: l’avrebbe presa, l’avrebbe stretta, si
sarebbe fatta alzare, poi mi
avrebbe dato un ceffone, chiesto di lasciarla in pace,
perché aveva un ragazzo
super figo – un ragazzo super figo di cui non mi aveva mai
parlato – con cui
non potevo assolutamente competere. Perfetto, rifiutato ancor prima di
essermi
dichiarato.
Che divertente.
“Kagome?”,
la richiamai: aveva lo sguardo vacuo, e continuava a giocherellare
distrattamente
con il nastrino. Mi spiazzò, sollevando i suoi occhi
– inespressivi – verso di
me. Sembrava sul punto di piangere. “Kagome, ti
aiuto”.
“No”,
biascicò lei, la voce ridotta ad un sussurro. Scosse il
capo, poi poggiò il
pacco tra le mie mani e nascose il volto, singhiozzando amabilmente.
“Su, vai”,
rantolò.
“Dove
dovrei andare?”.
“Al
tuo appuntamento. Dove, sennò?”.
Inarcai
un sopracciglio – cretina, cretina,
cretina, cretina. “Certo che sei davvero
stupida”, sussurrai a mia volta,
sedendomi al suo fianco. “Che appuntamento dovrei avere? E
con chi?”. Presi
fiato, gettando lo scatolino di lato e guardandola, improvvisamente
furioso.
Già di normale non adoravo essere frainteso: ma che lei
credesse una falsità… No,
la cosa mi indispettiva oltremodo. “Sei
una stupida”, ripetei.
Lei
mi diede un pugno sulla spalla, irritata. “Una stupida?
E perché, di grazia?”. Smise di singhiozzare,
rizzando la
schiena e ricambiando la mia occhiata infastidita. Sembrava una
leonessa pronta
alla lotta – istintivamente deglutii, spaventato dalla
prospettiva di essere
azzannato. “Spiegamelo! Voglio capire cosa
mi fa apparire stupida!”.
“Ti
stai piangendo addosso”.
“No”.
“Sì”,
asserii, afferrandole una mano e stringendola con forza.
“Stai facendo la
ridicola”.
“E
tu l’idiota!”.
“Non
alzare la voce”, grugnii, mordendomi il labbro inferiore.
Kagome
si divincolò, costringendomi a lasciarla andare. Poi mi
diede l’ennesimo pugno,
questa volta con più forza – gemetti. Non mi aveva
fatto poi così male, ma era
pur sempre fastidioso, essere malmenato dalla
tipa che ti piace. “Non ho alzato la
voce!”, rispose, alterata.
Inarcai
un sopracciglio. “No?”, domandai scettico.
Ringhiò.
“No. No. No. Insomma,
InuYasha,
smettila di porti al centro del mondo: ci sono molte persone
più importanti di
te, e dovresti, ecco, smetterla di fare il megalomane: io non sto
urlando, sei
tu che hai problemi di udito”.
Se
non avesse nuovamente nascosto il capo tra le mani, probabilmente le
avrei
strillato contro qualche altra cattiveria e poi sarei scappato via. Però aveva nascosto il capo, e
si era
messa nuovamente a singhiozzare, e
ora scalciava, nervosa, come a voler richiamare la mia attenzione. La
sua gonna
si era sollevata anche troppo, e mi scoprii a deglutire, osservando
ammaliato
la porzione di carne che si scorgeva.
Bene:
ero ufficialmente entrato nel gruppo dei pervertiti. Se Miroku mi
avesse visto,
sarebbe stato fiero di me.
Sospirai,
roteando gli occhi. “Ti prego, smettila di
frignare.”, grugnii esasperato. Mi
protesi verso di lei – forse volevo abbracciarla, o forse
volevo semplicemente
darle una pacca sulla spalla –, ma lei si retrasse ancora,
gli occhi lucidi e
l’aria di un gattino bagnato. Mi concessi
l’ennesimo sospiro, prima di
ricominciare a parlare: “Quel pacchetto è, uhm,
è p-”.
“Non mi interessa”.
“Sì
che ti interessa, dannata! Non fai che osservarlo con la coda
dell’occhio, ti
ho visto, non credere ch’io sia cieco”. Inarcai un
sopracciglio, infervorato.
In
realtà, non l’avevo proprio vista,
però
lo sapevo. Insomma, non mi stava
guardando in faccia. E non stava guardando la porta della mia camera, e
neppure
la finestra. Non stava guardando le automobiline di Sota, né
la punta delle sue
scarpe, né la sua gonna, né le sue dita
perfettamente curate. Non guardava
nulla di quello che mi era possibile osservare a mia volta –
e dunque, dato che
avevo precedentemente allontanato il pacchetto dalla mia visuale, doveva star guardando quel coso
lì. Doveva
essere interessata al regalo, e doveva essere interessata al regalo
perché era
una marmocchia gelosa e viziata.
“Ti
interessa”, ripetei.
Lei
continuò a scuotere il capo. “No!”,
garantì, inarcando un sopracciglio.
“Affatto. Figurarsi, perché dovrebbe interessarmi
uno stupido regalo per la tua
stupida ragazza?”.
“Non
è per la mia stupida ragazza”, sospirai.
“Ah.
Allora è una ragazza intelligente?”.
Per
qualche secondo la osservai basito. Poi mi grattai il capo. Infine mi
concessi
di avvicinare il mio volto al suo, e di tenerle fermo il capo con le
mani. “A
quale cavolo di manga hai fregato ‘sta battutina penosa,
razza di egocentrica
viziata?”, le urlai contro. “No, perché
sul serio, è una battuta così idiota da
farmi piangere. Kagome, dannata, scolpisciti queste parole in testa,
per
favore: non ho una ragazza”.
Presi
fiato, mordendomi poi il labbro inferiore. “Non
ho una ragazza, ok? E il regalo, per quanto possa apparirti
strano, è per te”.
Non
si concesse neppure di sbattere le palpebre o di sbarrare gli occhi,
continuando a fissarmi tra il confuso e l’irritato.
“Per te, anche se sei una stupida
ragazzina viziata che non capisce nulla. Ti ho comprato uno
stupidissimo
regalo, e l’ho fatto perché sono stupido, e sono
stupido perché ho una fottuta
– sì, fottuta, f,
o, t,
t, u,
t, a
– voglia di baciarti. E adesso che
l’ho detto mi sento anche più stupido”.
“…idiota”,
sussurrò.
Poi le sue labbra
raggiunsero la mia bocca.
*
Quando
mi svegliai – non sapevo né come né
quando mi ero addormentato, ma
evidentemente era successo, perché avevo ogni singolo
muscolo intorpidito e
l’espressione sconvolta che solo dopo sei ore di sonno ero
solito concedermi –,
Kagome era raggomitolata al mio fianco, il pacchetto stretto in grembo
e l’aria
compiaciuta di una bambina a cui hanno appena regalato il
più bel giocattolo di
sempre – ma io non ero un giocattolo, e di certo non potevo
definirmi il più bello di sempre.
Rabbrividendo
per la mia stessa inettitudine e dolcezza, e chiedendomi il
perché di tanta
assurda galanteria, le diedi un bacio sulla fronte, indeciso se
svegliarla o
darle la buona notizia solo in seguito: dopo giorni e giorni di crisi,
avevo
finalmente voglia di scrivere. Di scrivere davvero,
di continuare quel fottuto libero, di
vincere. Volevo battere Naraku, e volevo batterlo
perché Kagome voleva che
lo battessi – e anche perché quel tipo godeva
delle disavventure altrui, e io
questo non lo accettavo granché.
Sorrisi,
poi mi lasciai ricadere accanto al pc.
__________________
E, ecco, volevo ringraziare chi ha proposto BL per le Storie Scelte. Grazie, davvero. Siete stati gentilissimi. *Si inchina* Cercherò di non farvi più penare, in futuro. ç_ç E di fare capitoli molto più lunghi, perché 1699 sono pochissime.