Paura del buio
Respiro a fatica
l’aria pesante tutt’attorno. Apro gli occhi, ma lentamente perché ho paura di
quello che ci può essere di notte. Di notte, quando mi sveglio, e tutto intorno
a me è circondato dal buio, e tutto sembra assurdamente
freddo.
Mi sento poco
bene, e sto scomodo in questa posizione. Mi rigiro, ma mi accorgo ben presto che
non è la posizione che mi da fastidio, ma la postazione. Sono su qualcosa di
duro, di scomodo, di freddo. Sono su qualcosa di ferro. Eppure ricordo benissimo
di aver raggiunto il letto morbido di casa mia, dopo aver fatto addormentare mia
figlia.
Ora sono supino, e
finalmente spalanco gli occhi. Non mi va di urlare, forse non ne ho la
forza…
Vedo distintamente
il soffitto, crepato in più punti, e intriso di qualcosa di molto denso. Una
goccia raggiunge il mio volto, colpendomi sulla fronte con decisione. È
caldo.
È
sangue
Ma non urlo, no.
Ormai lo conosco il sangue. Il sangue non mi può far del male. Quello che lo
perde…quello forse si…
Mi metto a sedere.
Del letto è rimasta solo una rete arrugginita, che sorregge a mala pena il mio
peso, incuneandosi sotto di esso. Cigola con i miei movimenti, in maniera
assordante, fastidiosa. E quel cigolio continua, fino a quando, con un grande
sforzo, non riesco a rimettermi in piedi, su quel pavimento ruvido, incrinato in
molti punti.
Guardo la stanza
in cui sono; dovrei riconoscerla, eppure sembra non appartenermi per nulla. Non
ricordo bene.
Ho mal di
testa
Ma questo non mi
deve far urlare. Non deve certo fermarmi.
Così mi guardo
intorno.
Un armadio vuoto,
il cui legno fradicio sembra voler cedere
facilmente.
Una finestra,
chiusa, sbarrata, dalla quale nemmeno l’aria riesce a
passare.
Uno specchio che
sembra non riflettere in un modo normale, ma sembra più che altro un quadro
statico.
Una porta, chiusa
anch’essa, ma che neppure mi può interessare in questo
momento
Un comodino, con
una lampada spenta, e una fotografia incorniciata.
La prendo con
tutt’e due le mani; c’è una coppia ritratta. Due sposi, a giudicare dai vestiti.
Lei non è facilmente riconoscibile: il vetro della cornice è incrinato sul suo
volto, occultandone il viso. Lui invece lo conosco: sono
io.
Sento il freddo
penetrarmi nel sangue, e le vene cominciano a pulsare,come fossero dotate di
vita propria.
Qualcosa mi fa
voltare
Ma neanche
stavolta devo urlare. Devo essere forte.
Il quadro…lo
specchio. L’immagine prende vita. Un po’ me
l’aspettavo.
“Vieni”
La voce è
invitante, seducente. La voce è femminile. La voce chiama
me.
“Vieni”
Mi ripete; e io
obbedisco…per ora.
Sono faccia a
faccia con lei.
Ha i capelli
disordinati, sciolti davanti al volto ossuto, magro, pieno di grinze, spaccato
in alcuni punti, adornato dalle orbite riempite da due perle completamente
bianche, che tremano vistosamente, mentre, sanguinando con dolcezza, mi fissano
insistentemente.
Era bellissima,
come sempre.
“Vieni”
Sarebbe facile.
Potrei raggiungerla con poche mosse. Potrei riabbracciarla, se solo riuscissi a
entrare in quello specchio affollato.
Potrei anche
morire
Ma non voglio
certo urlare. E la morte, oh, si, la morte fa urlare da
morire!
Quindi devo andare
avanti, per ora. E poi io non lascio indietro mia
figlia.
Così anche
stanotte dovrò rifiutare l’invito di questa bellissima
ragazza.
Lei mi colpisce,
spingendomi indietro. Non ho capito se fa così perché è arrabbiata o se lo fa
perché comprende la mia scelta…
Ma non urlerò
nemmeno ora che sto cadendo. Perché so che per quante volte si possa cadere, ci
si potrà sempre rialzare.
E infatti sento
ora la mano sulla mia spalla. Quella mano che mi convince e mi aiuta a
rialzarmi, nonostante non ne sia neppure
consapevole.
Perché quando un
legame fra due persone è così forte, il primo a intuire che stai male è sempre
l’altro. E così, nonostante i dubbi, le domande a cui non si può dare una
risposta, facciano vacillare quel legame, la persona con cui condividi la tua
vita sarà pronta a ricucire quella falla con una toppa di pelle presa dal suo
stesso torace.
“Posso dormire con
te, papà?”
Me lo chiede come
se fosse una colpa. Non sa di aver capito, eppure agisce comunque, come se fosse
la cosa più naturale del mondo. E ora il mio cuore piange sangue, e i miei occhi
sanguinano lacrime.
“Ho paura del
buio…”
Mi stringe un
dito, con la sua manina insignificante, mostrandomi tutta la sua forza, tutto il
suo potere.
Annuisco chiudendo
gli occhi, e costringendola a sorridermi, quasi per ringraziarmi. Poi si infila
tra le mie braccia, donandomi il suo calore e cercando il mio, in uno scambio
equo che va al di la di ogni mercato, di ogni prezzo, di ogni
uomo.
“Perché piangi
papà?”
“Perché anch’io ho
paura del buio…”
E allora
stringiamoci forte, e chiudiamo gli occhi. Ci nutriremo della nostra luce, di
questo legame, di noi.
E prima di
chiudere gli occhi, il mio sguardo si posa sulla fotografia, che sta bene in
mostra sul comodino al mio fianco.
Guardo mia
moglie.
Scusami.
Ti prometto che un
giorno tornerò da te.
E allora staremo
sempre insieme.