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Autore: Leo    21/10/2009    5 recensioni
Harry Mason, un uomo che soffre la scomparsa della moglie. Quanto tempo è passato? Non si sa, ma il ricordo nella sua mente è vivo quasi quanto lui. Ed è quel ricordo che cerca di ucciderlo a poco a poco...ma c'è una piccola creatura che non può certo dimenticare. Non può certo dimenticarsi della piccola Cheryl...non può certo lasciarla sola un'altra volta...è per questo che non si arrenderà...non oggi...
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cheryl Mason, Harry Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paura del buio

 

Respiro a fatica l’aria pesante tutt’attorno. Apro gli occhi, ma lentamente perché ho paura di quello che ci può essere di notte. Di notte, quando mi sveglio, e tutto intorno a me è circondato dal buio, e tutto sembra assurdamente freddo.

Mi sento poco bene, e sto scomodo in questa posizione. Mi rigiro, ma mi accorgo ben presto che non è la posizione che mi da fastidio, ma la postazione. Sono su qualcosa di duro, di scomodo, di freddo. Sono su qualcosa di ferro. Eppure ricordo benissimo di aver raggiunto il letto morbido di casa mia, dopo aver fatto addormentare mia figlia.

Ora sono supino, e finalmente spalanco gli occhi. Non mi va di urlare, forse non ne ho la forza…

Vedo distintamente il soffitto, crepato in più punti, e intriso di qualcosa di molto denso. Una goccia raggiunge il mio volto, colpendomi sulla fronte con decisione. È caldo.

È sangue

Ma non urlo, no. Ormai lo conosco il sangue. Il sangue non mi può far del male. Quello che lo perde…quello forse si…

Mi metto a sedere. Del letto è rimasta solo una rete arrugginita, che sorregge a mala pena il mio peso, incuneandosi sotto di esso. Cigola con i miei movimenti, in maniera assordante, fastidiosa. E quel cigolio continua, fino a quando, con un grande sforzo, non riesco a rimettermi in piedi, su quel pavimento ruvido, incrinato in molti punti.

Guardo la stanza in cui sono; dovrei riconoscerla, eppure sembra non appartenermi per nulla. Non ricordo bene.

Ho mal di testa

Ma questo non mi deve far urlare. Non deve certo fermarmi.

Così mi guardo intorno.

Un armadio vuoto, il cui legno fradicio sembra voler cedere facilmente.

Una finestra, chiusa, sbarrata, dalla quale nemmeno l’aria riesce a passare.

Uno specchio che sembra non riflettere in un modo normale, ma sembra più che altro un quadro statico.

Una porta, chiusa anch’essa, ma che neppure mi può interessare in questo momento

Un comodino, con una lampada spenta, e una fotografia incorniciata.

La prendo con tutt’e due le mani; c’è una coppia ritratta. Due sposi, a giudicare dai vestiti. Lei non è facilmente riconoscibile: il vetro della cornice è incrinato sul suo volto, occultandone il viso. Lui invece lo conosco: sono io.

Sento il freddo penetrarmi nel sangue, e le vene cominciano a pulsare,come fossero dotate di vita propria.

Qualcosa mi fa voltare

Ma neanche stavolta devo urlare. Devo essere forte.

Il quadro…lo specchio. L’immagine prende vita. Un po’ me l’aspettavo.

“Vieni”

La voce è invitante, seducente. La voce è femminile. La voce chiama me.

“Vieni”

Mi ripete; e io obbedisco…per ora.

Sono faccia a faccia con lei.

Ha i capelli disordinati, sciolti davanti al volto ossuto, magro, pieno di grinze, spaccato in alcuni punti, adornato dalle orbite riempite da due perle completamente bianche, che tremano vistosamente, mentre, sanguinando con dolcezza, mi fissano insistentemente.

Era bellissima, come sempre.

“Vieni”

Sarebbe facile. Potrei raggiungerla con poche mosse. Potrei riabbracciarla, se solo riuscissi a entrare in quello specchio affollato.

Potrei anche morire

Ma non voglio certo urlare. E la morte, oh, si, la morte fa urlare da morire!

Quindi devo andare avanti, per ora. E poi io non lascio indietro mia figlia.

Così anche stanotte dovrò rifiutare l’invito di questa bellissima ragazza.

Lei mi colpisce, spingendomi indietro. Non ho capito se fa così perché è arrabbiata o se lo fa perché comprende la mia scelta…

Ma non urlerò nemmeno ora che sto cadendo. Perché so che per quante volte si possa cadere, ci si potrà sempre rialzare.

E infatti sento ora la mano sulla mia spalla. Quella mano che mi convince e mi aiuta a rialzarmi, nonostante non ne sia neppure consapevole.

Perché quando un legame fra due persone è così forte, il primo a intuire che stai male è sempre l’altro. E così, nonostante i dubbi, le domande a cui non si può dare una risposta, facciano vacillare quel legame, la persona con cui condividi la tua vita sarà pronta a ricucire quella falla con una toppa di pelle presa dal suo stesso torace.

“Posso dormire con te, papà?”

Me lo chiede come se fosse una colpa. Non sa di aver capito, eppure agisce comunque, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E ora il mio cuore piange sangue, e i miei occhi sanguinano lacrime.

“Ho paura del buio…”

Mi stringe un dito, con la sua manina insignificante, mostrandomi tutta la sua forza, tutto il suo potere.

Annuisco chiudendo gli occhi, e costringendola a sorridermi, quasi per ringraziarmi. Poi si infila tra le mie braccia, donandomi il suo calore e cercando il mio, in uno scambio equo che va al di la di ogni mercato, di ogni prezzo, di ogni uomo.

“Perché piangi papà?”

“Perché anch’io ho paura del buio…”

E allora stringiamoci forte, e chiudiamo gli occhi. Ci nutriremo della nostra luce, di questo legame, di noi.

E prima di chiudere gli occhi, il mio sguardo si posa sulla fotografia, che sta bene in mostra sul comodino al mio fianco.

Guardo mia moglie.

Scusami.

Ti prometto che un giorno tornerò da te.

E allora staremo sempre insieme.

 

  
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