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Autore: Rein94    22/10/2009    3 recensioni
Io esisto, lo so di esistere. Non mi stai forse parlando? Io esisto. Non sto forse soffrendo? Io ho un cuore. È il MIO cuore, non voglio cederlo a nessun altro. Sono stanco, e continuo a colpire a vuoto la tua immagine, che stando a quanto hai detto è solo una proiezione dati. Non voglio arrendermi, finché continuando a colpire alla cieca arrivo davanti al guscio. Quando questo comincia ad aprirsi, capisco che ormai non ho più speranze.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II
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bubu In sei giorni, a Twilight Town, la mia vita è finita. In sei giorni ho compreso finalmente cosa significa sentirsi vuoti, inesistenti. Sei giorni…e pensare che è cominciato tutto con quei sogni…

Il primo giorno mi sono svegliato, confuso e con un gran mal di testa, dopo un’altra notte di immagini confuse e frammentate. È una sensazione piuttosto strana da spiegare…come se qualcun altro dentro di me avesse voluto venire fuori, come se avesse voluto cancellarmi e prendere il mio posto. Non mi ricordo molto di quello che ho sognato, a dirla tutta. Solo un’isola, una chiave, e una ragazza con i capelli rossi. Ecco, di nuovo…pensare a lei mi fa stare male, mi fa provare un dolore indescrivibile…volevo urlare mentre la vedevo davanti a me, volevo chiedere il suo nome. Ma il protagonista dei miei sogni non ero io.
Mi sono vestito e sono andato al rifugio. Hayner era arrabbiatissimo con Seifer. Certo, la storia che aveva detto a tutti che eravamo ladri non piaceva neanche a me, ma la mia mente era totalmente annebbiata quella mattina e non riuscivo a prestargli attenzione. Ricordo che abbiamo deciso tutti insieme di andare a chiedere in giro delle informazioni e a cercare di convincere la gente che non avevamo fatto niente di male, e che abbiamo incontrato Seifer. Dopodiché i miei ricordi sono piuttosto confusi; una specie di essere bianco e deforme, la villa abbandonata nascosta dietro alla città, una grande chiave apparsa come per magia nella mia mano. Poi, le foto che erano sparite, erano riapparse a terra. E appena ho chiuso gli occhi, a casa, nuove immagini offuscavano la mia mente.
C’era un ragazzo, un certo “Sora”…sembrava confuso, perso. Da quello che avevo capito, il posto dove si trovava si chiamava “Traverse town” o qualcosa del genere. E poi c’erano delle persone, persone che parlavano di “keyblade”, “heartless”, e altre cose totalmente incomprensibili. Credevo di aver capito a cosa si riferivano con “keyblade”…quel ragazzo aveva in mano una specie di chiave gigante, la stessa che avevo impugnato io poco prima. Ma allora…non era stata un’illusione? Poi di nuovo immagini sfalsate. Un ragazzo alto, con i capelli lunghi e bianchi e gli occhi di un blu glaciale. Quel “Sora” stava chiamando qualcuno, ma era come se qualcosa disturbasse la visione e non ero riuscito a capire il nome. Prima di svegliarmi, di nuovo la ragazza con i capelli rossi che svaniva nell’oscurità davanti ai miei occhi.

Il secondo giorno ero corso al rifugio più veloce che potevo. Non ero in ritardo, ma volevo sprecare tutte le mie energie nella corsa così da impedirmi di pensare a quello che mi stava accadendo. Per un attimo avevo preso in considerazione l’idea di chiedere consiglio ai miei amici. Hayner e Pence avrebbero riso e pensato che sono un po’ suonato; Olette invece avrebbe detto qualcosa del tipo “Oh, povero Roxas…magari è l’ansia; fra poco ricomincia la scuola!”. Erano dei grandi amici, ma era meglio non immischiarli nel mio stato di totale-confusione-mentale. Avevamo deciso di andare in spiaggia, e l’idea era buona; magari mi sarei distratto un po’. Dopo aver lavorato tutta la mattina per racimolare un po’ di soldi per il biglietto del treno (e per le ciambelle ovviamente) ci eravamo diretti alla Stazione Centrale. E lì l’avevo visto; alto, misterioso, imponente nel suo lungo abito nero. Mentre i miei amici erano andati avanti, io ero rimasto a fissarlo per qualche secondo…era strano, era come se…l’uomo mi aveva preso per un braccio, e mi aveva fatto una domanda. Subito dopo, al momento di pagare i biglietti, mi ero accorto di aver perso il borsellino con i soldi. Avevo detto ai miei amici che forse era stato l’uomo con cui mi ero scontrato prima, ma loro mi hanno chiesto di chi stessi parlando; non avevano visto nessuno. Ero tornato a casa, leggermente spaventato. Finché erano sogni, potevo fingere almeno con me stesso che la causa fosse la mia fervida immaginazione. Ma avevo appena avuto un’allucinazione, un’allucinazione tremendamente realistica, tanto da farmi star male. “Riesci a sentire Sora?” quella voce continuava a rimbombarmi nella testa, quasi a volerla far scoppiare.
Di nuovo sogni su quel ragazzo, ogni volta più chiari. Riuscivo a vedere delle scene e non solo dei frammenti disconnessi; era come se qualcosa si stesse pian piano ricostruendo…mi sembrava di aver capito un po’ meglio il nome della ragazza con i capelli rossi, che da quel che avevo visto era davvero importante per Sora…era qualcosa che inizia con “Ki” o “Ka”, non ero troppo sicuro.

Il terzo giorno, mentre mi dirigevo in Via del Mercato, il tempo si è come fermato intorno a me. C’era una ragazza, una ragazza il cui viso mi era familiare, che mi stava venendo in contro. Mi aveva salutato e dopo aver detto di volermi incontrare almeno una volta, se n’era andata. Ero andato al Ring di Sabbia, dove il giorno dopo si sarebbe tenuto il Torneo di Struggle, e avevo incontrato Seifer. Il tempo si era fermato di nuovo, ed erano apparsi di nuovo quegli strani cosi bianchi e deformi che erano come una persecuzione. Mi ero ritrovato in un posto strano, con una grande scalinata. Avevo di nuovo quel...come si chiama? Keyblade, e combattevo contro questi esseri. L’oscurità mi aveva avvolto all’improvviso, e la strana ragazza di quella mattina mi aveva afferrato e salvato. Ha detto di chiamarsi Naminé, e mi ha chiesto se mi ricordavo il mio vero nome…poi un uomo vestito di nero mi aveva improvvisamente spinto in una specie di vortice, ed ero svenuto. Quando il tempo aveva ricominciato a scorrere, erano arrivati Hayner, Pence e Olette e mi avevano visto con Seifer. Perfetto, la giornata per eccellenza. Prima i combattimenti con i cosini mostruosi, e poi i miei migliori amici pensano che gli abbia dato buca per Seifer, il nostro nemico di sempre. Perfetto, sul serio.
Avevo sognato di nuovo Sora. Ogni notte era in qualche mondo diverso, con qualche strano personaggio, e combatteva. Lui, con quella specie di chiave gigante che io sapevo a malapena usare, combatteva con una strana luce negli occhi. Sembrava quasi un eroe o qualcosa di simile. Quella volta avevo visto chiaramente immagini della ragazza con i capelli rossi. Si chiama Kairi. Era proprio un bel nome. Guardandola bene, avevo pensato che era davvero bella. …L’avevo pensato io…o era stato Sora a farlo? Ormai non ne ero più sicuro…

Il quarto giorno c’era il Torneo di Struggle, e il primo incontro era proprio contro Hayner. Per fortuna sembrava che non ce l’avesse più con me, e questo era un sollievo. L’avevo battuto. E dopo di lui, avevo battuto Vivi, uno dei seguaci di Seifer. Almeno credevo di averlo battuto, perché appena avevo tentato di sferrare il colpo finale il tempo si era fermato di nuovo. Avevo sospirato, ormai cominciavo a stufarmi sul serio di tutte queste stranezze. Uno strano individuo vestito di nero mi si era avvicinato. Il mio cuore aveva perso un battito. Gli occhi verde smeraldo, i capelli come fiamme d’inferno, il tono ironico e tuttavia triste…era così dannatamente familiare...mi faceva male, molto male non riuscire a capire chi era. Poco dopo era apparso un altro uomo, completamente bendato. Mi parlavano insieme, cercando ognuno di portarmi dalla propria parte. Mi ero sentito scoppiare, e avevo urlato. Avevo urlato i nomi delle tre persone a cui tenevo di più, i nomi di quelli che mi tenevano ancora ancorati alla realtà “Hayner! Pence! Olette!” e il mondo aveva ripreso i suoi colori. Ero arrivato in finale al torneo, e avevo battuto Setzer, il campione in carica. Più tardi, seduto sulla torre dell’orologio con i miei amici, ci eravamo divisi il trofeo del vincitore, e avevo sperato con tutto me stesso che quel momento potesse durare per sempre…ero scivolato e mi ero sentito cadere, così all’improvviso. La torre era parecchio alta, con tutta probabilità sarei morto. Avevo paura, tanta paura. E la mia coscienza si era come staccata dal mio corpo. C’era un’isola, la stessa dei miei sogni. E poi c’era una ragazza. Se non fosse stato per i capelli, così rossi, avrei giurato che fosse… “Naminé?” avevo fatto una pausa “Cosa mi sta succedendo?” mi aveva chiesto chi fossi, e poi mi aveva detto che lei si chiamava Kairi. A questo punto le alternative erano due: ero morto o stavo sognando. Non potevo nemmeno pensare a una terza alternativa, non volevo farlo. Kairi mi aveva chiesto il nome. Le ho detto di chiamarmi Roxas. Ma quello che lei voleva sapere era il SUO nome. A questo punto era come se non fossi più me stesso, perché non ero più io a parlare, era…

Il quinto giorno mi ero svegliato nel mio letto, grondante di sudore, spaventato. L’ultima cosa che ricordavo era di essere caduto dalla torre, fatto alquanto improbabile visto che ero vivo. Io, Hayner, Pence e Olette avevamo preso il treno per la Stazione del Tramonto. Dovevamo fare una ricerca per scuola su queste cosiddette “sette meraviglie” e avevamo lavorato tutto il giorno. Alla fine erano tutte leggende stupide e infondate. La settima meraviglia era alla villa dietro Twilight Town; si diceva che c’era una ragazza affacciata alla finestra di quel posto abbandonato da anni. Ero andato a controllare, e avevo intravisto la figura di Naminé. I nostri sguardi si erano incrociati, e improvvisamente mi ero ritrovato in una stanza bianca, con lei davanti. C’erano disegni, tanti disegni sulla parete. Erano immagini di Sora, Kairi, di uomini in nero…e poi c’ero io. Naminé mi aveva parlato di diverse cose. Aveva detto che Sora aveva bisogno di me per essere completo. Non credo di aver capito cosa intendesse veramente dire in quel momento. Avevo riso, una risata forzata e triste. Ridevo perché improvvisamente mi sembrava di non conoscermi affatto. Le avevo chiesto di smetterla con i giri di parole, e di arrivare al punto. “Tu…non saresti mai dovuto esistere” Non avevo la forza di urlare, di rompere qualcosa, non avevo nemmeno la forza di risponderle male. Probabilmente è perché sapevo che aveva ragione. In un certo senso, non ero più io, e la sua spiegazione era vera. Lo sapevo che era vera. La logica mi diceva che non aveva senso, ma l’amara rassegnazione che provavo in quel momento era chiara e forte, e faceva male.
Avevo sognato di nuovo Sora, mi sentivo sempre più coinvolto nelle sue vicende, neanche fossimo la stessa persona. Avevo paura, sul serio. Se era un incubo, volevo svegliarmi al più presto.

La mattina del sesto giorno mi sono alzato e sono andato al rifugio, ed ero come inesistente. Le mie mani passavano attraverso il corpo dei miei amici, la mia voce non li raggiungeva. Loro erano tranquilli, come al solito, come se io non ci fossi mai stato. Sono uscito, e ho visto la stessa persona del giorno del torneo, l’individuo con i capelli rossi…Naminé me ne aveva parlato, si chiamava Axel...noi…eravamo…amici,no? Magari Naminé si era sbagliata, perché il mio caro “amico” mi stava puntando con delle specie di lame rotanti infuocate. O magari nel suo mondo duellare all’ultimo sangue era un’espressione d’affetto. Non lo so, sul serio. Io avrei solo voluto tornare alla mia vita di sempre, avrei voluto che niente di questo fosse mai successo. Il tempo si è fermato di nuovo, all’improvviso. No, stavolta chiamare i nomi dei miei amici con quanto fiato ho in gola non serve a niente; la visione rimane, vivida e terribile. Ho cominciato a correre verso la villa abbandonata, e sono entrato. Dalla stanza bianca di Naminé si è aperto un passaggio segreto o qualcosa del genere, e ho cominciato a scendere dalla scalinata davanti a me. Mi sono trovato in una stanza con dei monitor e dei computer, e mi sono sentito scoppiare la testa. No. Basta. Perché questo posto era così familiare? Con il keyblade ho cominciato a colpire i monitor finché non è rimasto che un ammasso di fili elettrici disconnessi. Non è giusto. Io non avevo mai chiesto questo. La mia vita mi andava benissimo così com’era. Non volevo ricordare. Volevo distruggere quel passato che non conoscevo, volevo addormentarmi e risvegliarmi con la consapevolezza e il sollievo di sapere che tutto questo è solo un incubo. Ma sapevo che non mi sarei svegliato. Lo sapevo e mi faceva male. Ho continuato a camminare e sono entrato in un’altra stanza; ho trovato Axel ad attendermi. Axel…ora si che mi ricordavo veramente…mi dispiace, non avrei voluto combattere contro di te. Al termine della nostra sfida, eri sfinito, a terra, avvolto da una nube nera. Se mai avrò un’altra vita, voglio rincontrarti. Promettilo. “Sciocco. Solo perché TU avrai un’altra vita” e sei sparito definitivamente da davanti ai miei occhi. Ho continuato a camminare in silenzio. Ero arrabbiato, anzi; ero furioso. Furioso e stanco. Davanti a me c’era un’altra porta, e di nuovo una stanza bianca. C’era una specie di guscio, che sembrava un fiore non ancora schiuso, proprio al centro della stanza. Mi sono avvicinato lentamente, avevo paura di cosa potevo trovare. Mi era apparso davanti l’uomo bendato del giorno del torneo. Non mi sono piaciuti i suoi discorsi, avevo paura di ascoltare la verità. Mi ha detto che sono un “nessuno”, e che non ho il diritto di esistere; di fatto, io non ho un cuore. Ora, mentre ripenso a tutto quello che mi è successo, qui davanti a lui, vorrei chiederglielo: Allora sei tu quello con il cuore? Tu, che davanti a me, parli in modo così diretto e crudele? Tu che stai distruggendo in pochi attimi le certezze di una vita? Tu che la vita, la mia vita, la sottovaluti e vuoi solo che Sora torni? Tu, un individuo senza scrupoli, tu ce l’hai un cuore? Non è giusto. Io esisto, lo so di esistere. Non mi stai forse parlando? Io esisto. Non sto forse soffrendo? Io ho un cuore. È il MIO cuore, non voglio cederlo a nessun altro. Sono stanco, e continuo a colpire a vuoto la tua immagine, che stando a quanto hai detto è solo una proiezione dati. Non voglio arrendermi, finché continuando a colpire alla cieca arrivo davanti al guscio. Quando questo comincia ad aprirsi, capisco che ormai non ho più speranze.

In sei giorni, a Twilight Town, la mia vita è finita. In sei giorni ho compreso finalmente cosa significa sentirsi vuoti, inesistenti. Sora…sei fortunato. Sembra che le mie vacanze estive… siano finite. Vedo il guscio che continua ad aprirsi, e in un lampo di luce la tua immagine apparirmi davanti. No, credo proprio che per me non ci saranno mai più vacanze estive.

FINE
  
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