Passato
È un prodigio: l'attimo, in un lampo è presente, in un lampo
è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e
turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo
del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo
all'uomo. Allora l'uomo dice "Mi ricordo" (Friedrich Nietzsche)
Yuri la osservava,
scioccato e sconvolto da quel che leggeva, senza tuttavia riuscire davvero a
credervi. Osservando i volti dei suoi amici, poté constatare, suo malgrado, che
quello non era un incubo. Né il sogno più bello e atteso finalmente realizzato.
Era la realtà. Quella lettera, scritta al computer, descriveva realmente quella
situazione che loro tutti avevano per anni atteso senza poterla mai vedere
davvero realizzata. Quell’uomo sudicio e spregevole che aveva rovinato la vita
a loro tutti era davvero malato. E chiedeva di avere, ora, il loro perdono.
Yuri non sapeva che fare. Vladimir Vorgov era il suo aguzzino, il suo peggiore
incubo. Il servitore più stretto di Lucifero. Il Monastero era l’Inferno. Lì
era stato picchiato e torturato…lì lui l’aveva violato. Come poteva
dimenticarlo e perdonarlo? Sentiva ancora quel bruciante dolore che l’aveva
invaso, quel senso di disgusto nel sentirlo dentro di se. Quella vergogna verso
se stesso. Lui, che all’ora aveva solo otto anni, un bambino dolce ed ingenuo a
cui era stata crudelmente strappata l’innocenza. Quel candore che caratterizza
i bambini, per sempre macchiato dal viscido desiderio di un uomo corrotto.
E lui, che era sempre stato dell’idea di dover dimenticare, chiudere col
passato, riuscire ad andare avanti e…semplicemente vivere come il bel vent’enne
che era, ora non sapeva che fare.
Uscì sul porticato, alzando il viso sul cielo di Mosca. La neve cadeva fitta,
ricoprendo interamente le strade e i tetti della capitale russa. Il rosso aveva
sempre amato la neve. Era l’unica cosa che avesse mai avuto il potere di
rasserenare le sue cupe giornate lì al Monastero. Chiuse gli occhi, permettendo
ad alcuni fiocchi di neve di posarsi sulla sue guancie diafane. I lunghi
capelli vermigli, mossi appena dal vento freddo, gli solleticavano il collo e
le spalle esili. Non aveva un corpo possente come gli altri abitanti del
Monastero, Yuri Ivanov. I suoi lineamenti erano femminei e delicati, e la pelle
diafana lo faceva sembrare una ragazza più di quanto avrebbe voluto.
Forse era stato proprio quel corpo esile e perfetto ad attirare tanto le
attenzioni di quell’uomo. Attenzioni che erano perdurate nel tempo, col passare
dei giorni, dei mesi...degli anni.
Ed ora che finalmente erano liberi, ora che il Monastero era bruciato e loro
erano potuti tornare a vivere come dei normali ragazzi, lui tornava ancora.
Tornava nuovamente a farsi sentire. E con lui gli orribili ricordi del loro
passato.
Pensò che forse sarebbe stato più maturo assecondare le richieste della
lettera. Chiunque l’avesse scritta. Perché non era stato Vorgov, di questo era
sicuro. E come poteva, con una simile certezza, credere che fosse davvero
pentito? Come poteva non pensare che lo stesse prendendo nuovamente in giro?
Un tempo, quando pensava a quell’uomo, veniva pervaso da un’ondata di rabbia,
di risentimento, di quel desiderio di vendetta forse esagerato che l’aveva
aiutato ad andare avanti in tutti quegli anni. A sopravvivere. Ora provava solo
cupa indifferenza.
Se fosse andato lì e l’avesse perdonato come chiedeva, non avrebbe fatto
null’altro che esaudire l’ultimo desiderio di un uomo ormai in fin di vita. Per
lui non avrebbe significato assolutamente nulla di diverso da un saluto dato
per circostanza.
-“Yuri”- non si voltò nel sentire la voce di Boris. Però aprì gli occhi,
abbassandoli sulla candida neve su cui poggiava i piedi –“l’hai letta, non è
vero? Dimmi che non hai intenzione di andarci, Yu!”- lo afferrò violentemente
per un braccio, costringendolo a voltarsi. Zaffiri contro smeraldi. Yuri
osservava Boris con un sorriso triste dipinto sul perfetto volto di porcellana.
-“perché non dovrei, Boris? Io non ce la faccio a continuare così. Non posso
continuare a vivere nel ricordo di quegli atti, nel terrore che possano
ripetersi, nella paura che lui possa un giorno tornare. Devo andare…per vedere
se è davvero tutto finalmente finito”-
bisbigliò, avvicinandosi al platinato e stringendosi a lui. Faceva
freddo e aveva dimenticato in casa il cappotto, ma Boris l’avrebbe riscaldato
al suo posto.
Boris lo sapeva. Sapeva quanto Yuri avesse sofferto e quanto soffrisse ancora.
E lo odiava, odiava quell’uomo con tutto se stesso per questo. Aveva fatto del
male al suo Yuri e lui, in passato come adesso, non aveva mai potuto fare
niente. E si era sentito impotente, tante e tante volte, mentre stringeva il
corpo fragile del rosso fra le braccia e tentava di consolarlo. Quante volte
aveva giurato vendetta, quante altre si era ritrovato a piangere d’impotenza.
-“come puoi perdonarlo, Yuri? Come, dopo tutto quello che ti ha fatto? Ci
chiede perdono, ci chiede di perdonarlo ma non ha neanche la forza di scrivercelo
lui! è un vigliacco! Un lurido egoista e uno schifoso bastardo!”- lo allontanò
da se quel tanto per poterlo guardare negli occhi –“non ci si può fidare della
gente. Le persone sono di natura cattiva e doppiogiochista ma Vorgov le batte
tutte! Ci ha rovinato la vita, a te più di tutti…non puoi perdonarlo davvero,
Yuri! Lui non è davvero pentito per ciò che ha fatto, la verità è che ha paura
perché adesso sta morendo.”-
-“e che male c’è?”- gli rispose lui –“le persone non sono tutte come le hai
descritte tu e poi…se finalmente trovassi la forza di perdonarlo, e di andare
avanti, potrei vivere tranquillo. Libero da quegli incubi che mi assillano
ancora. Solo con te!”- disse, alzandosi sulle punte e poggiando le sue labbra
fine e rosee su quelle carnose e morbide del platinato.
-“no, non sono d’accordo, Yuri”-
-“ma non capisci, Boris? Vorgov non vincerebbe affatto. Sarei io, invece, a
trarne vantaggi. Non lo sto perdonando, Bo, sto realizzando l’ultimo desiderio
di un moribondo…sto liberando la mia vita da un passato che ancora mi assilla e
mi perseguita”-
Annuendo, il russo si sedette sul porticato e, dopo aver fatto sedere il rosso
sulle sue gambe, alzò a sua volta gli occhi al cielo. Nevicava meno, forse
avrebbe smesso presto.
-“però non si può dimenticare il passato, Yuri. Il passato ci perseguiterà per
sempre che noi lo vogliamo o no. E sarà così sempre e per chiunque. Io non
posso neanche provare a perdonarlo…”-
-“il passato è fruttuoso, Boris. Non quando serve a nutrire il risentimento, ma
quando il suo gusto amaro ci porta a trasformarci (*). Io voglio provarci,
Boris”-
-“d’accordo Yuri”- concesse infine, stampandogli un delicato bacio sulla nuca.
Yuri poggiò la testa sul petto di lui, lasciandosi andare a quell’infinita
dolcezza che Boris sapeva sempre regalargli.
-“io voglio provarci…voglio provarci davvero a buttarmi il passato alle spalle
ed andare avanti. Per me, per te…per noi. Non mi lasciare da solo…”- farfugliò,
il viso affondato nella felpa del platinato. Boris sorride dolcemente. Yuri,
che in passato si era sempre mostrato così freddo e calcolatore, in realtà
nascondeva un animo fragile ed insicuro. E lui non avrebbe mai lasciato che si
spezzasse. Non l’avrebbe mai lasciato solo.
-“non lo farei mai, Yura!”- gli disse
–“ora dai, entriamo, o ci prenderemo un malanno”-
Yuri sorrise ed annuì, per poi prendere per mano Boris e rientrare in casa. La
loro casa. La casa che avevano preso insieme e in cui vivevano insieme, solo
loro due. Si avvicinarono al divano, ora occupato dai loro ospiti, Ivan e Sergey, e vi si sedettero.
Si, Yuri sentiva di potercela fare.
(*) citazione di Tzvetan Todorov