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Autore: Akari    10/06/2005    0 recensioni
chi è la misteriosa ragazza arrivata allo Shohoku? solo Kaede Rukawa sembra essersene accorto veramente...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giugno 2005. La primissima idea di stendere questa fan fiction mi è venuta l’estate scorsa, quando un giorno dal caldo particolarmente torrido, scendendo dalle scale per andare in lavanderia, ho provato una piacevolissima sensazione di frescura. Senza un motivo particolare di colpo nella mia mente è apparso il nome della protagonista, e a ruota il primissimo abbozzo della storia. Lascio giudicare a voi il risultato di quell’insight improvviso, sempre felice di leggere le vostre opinioni. Tutti i personaggi di questa fan fiction appartengono al genio di Tekehiko Inoue, tranne Fuyumi Katoh che è una mia creazione. Buona lettura, da Akari. Sleeped Away Di Akari L’ambientazione del racconto è collocata circa un anno dopo la fine del manga, ovvero quando, per intenderci, Rukawa e le altre matricole sono al secondo anno inoltrato. Nonostante questo ho ‘tagliato’ qualche scena avvenuta precedentemente nel manga e ho cambiato un po’ le azioni dei personaggi per riuscire a dare un filo logico alla vicenda. Il narratore, a seconda della scena, può essere interno o onniscente. CAPITOLO I -guarda, Haruko…è venuta anche oggi!- -…- -come mai verrà qui tutte le volte? Non è del fan club di Rukawa, e da quando si è trasferita allo Shohoku non manca nemmeno ad un allenamento…- -cosa Fuji? Non dirmi che non lo sai…l’hanno vista anche ieri sera qui in palestra, e a quanto pare ci si vede da un bel pezzo con-- ma la parlantina di Matsui fu prontamente interrotta da una gomitata dell’amica -cosa stavi dicendo, scusa?- chiese un po’ distratta Haruko alla compagna -niente, niente…solo strane voci senza senso che girano…piuttosto hai visto come gioca bene Rukawa oggi? È proprio al massimo della forma- rispose Fuji al posto dell’amica, provando a cambiare argomento -non è solo oggi…è da molto, molto, tempo che sta dando letteralmente l’anima al suo gioco…- disse Haruko guardando soprappensiero le azioni di Rukawa -più precisamente da quando agli allenamenti…agli allenamenti viene anche lei…- La ragazza non aveva ancora finito la frase che il n.11 eseguì una splendida schiacciata a canestro…davvero spettacolare. Haruko se ne era accorta. Anche stavolta, appena terminata l’azione, aveva volto lo sguardo verso di lei. Un millesimo di secondo o anche meno, ma anche stavolta, come tutte le altre volte, quella ragazza era stata al centro dell’attenzione di Rukawa. In quei momenti per lui c’era solo lei, lei e nessun altra. E questa certezza, la certezza di una ragazza innamorata del ragazzo sbagliato, la faceva stare male, male da morire. -lui…lui non mi ha mai nemmeno rivolto lo sguardo- sussurrò sentendo le lacrime sgorgargli piano dagli occhi -lui non mi guarderà mai così…- disse allontanandosi dalle altre con una mano sul volto. -hei, che ti prende?- le chiese Matsui -nulla…di questi tempi ho la lacrima facile…- Una bugia, una bugia grande come una casa. Perché se negli ultimi tempi non faceva che piangere, una ragione c’era, e ben precisa. -su, perché non andiamo a bere qualcosa alla mensa della scuola?- le chiese Fuji, intuendo i sentimenti dell’amica -si…forse è meglio che cambiamo un po’ aria…- rispose Haruko tirando su col naso e dirigendosi con le compagne fuori dalla palestra. Vieni tutti i giorni agli allenamenti. La sensazione che provo quando ti vedo arrivare è sempre diversa, ogni volta più intensa dal primo giorno. Eri entrata perché avevi sentito il rumore del palleggio dei nostri palloni. Appena arrivata allo Shohoku, e spaesata dal nuovo ambiente, è stata questa la prima cosa che hai detto, quando senpai Ayako ti aveva vista assumere quell’espressione estasiata varcando la porta. Non ho mai visto degli occhi luminosi come i tuoi. Sembrava che la vista di questo gioco ti accendesse una scintilla, che il tuo sguardo rapito dal campo si volesse dissetare nel seguire le nostre azioni. E poi, hai guardato me. Hai guardato il mio gioco, seguendo i miei movimenti con una tale attenzione da farmi sentire sotto esame. Credevo di essermi abituato, a forza di pubblico urlante e telecamere, allo sguardo della gente…e invece, non era così. Perché pian piano, coi giorni, sentivo che il tuo sguardo era l’unica cosa a cui far riferimento, l’unico specchio attraverso cui valutarmi. Cominciavi a diventare così importante che il mio gioco ne risentiva i giorni delle tue rare assenze. Ogni volta, anche se la mia vista era concentrata sul campo, la mia mente, i miei movimenti, ogni fibra del mio essere, erano dedicate a te in quei momenti. Solo per te. Avrei tanto voluto venire verso di te, durante qualche pausa, per avvicinarmi di più ai tuoi occhi. Mi ci sarei voluto specchiare per ore in quei begli occhi. E poi, magari, sentire i tuoi morbidi capelli scorrere piano tra le mie dita, sentirmi dedicare qualche tua rara parola, e abbracciare piano la tua vita sottile. Invece, me ne stavo semplicemente seduto dov’ero, accontentandomi di percorrere con lo sguardo i tuoi lineamenti…di osservarti mentre rispondevi alle domande di qualche ragazzo attirato come me dalla tua bellezza, o provare a comprendere quali fossero i tuoi pensieri. Perché tu, sei un po’ come me. Sempre leggermente in disparte dagli altri, senza mai dire parole inutili, con quel modo di fare che non vuol lasciar trasparire emozioni. Non avevo mai provato nulla del genere. Era...una sensazione strana. Mi bastava la tua vista per farmi provare tutte quelle forti sensazioni che solo il basket, prima, mi aveva trasmesso. -Katoh Fuyumi, secondo anno, sezione A- un’anziana signora della segreteria stava leggendo ad alta voce le parole scritte sul mio modulo d’iscrizione, mentre, producendo rapido ticchettio di tasti, anche il resto dei dati veniva registrato sul vecchio computer. Casa nuova, scuola nuova, vita nuova. L’ultima cosa che avrei desiderato al mondo, fino a quando qualche settimana fa non mi sono trovata di fronte al dato di fatto. Il dannato trasloco, tanto desiderato da mio padre, si era concretizzato senza che mi fosse stato concesso d’esprimere il minimo parere. Ovvero che avevo tanta voglia di trasferirmi quanta di perdere di colpo tutti i capelli. -siamo a posto, ragazza mia- mi dichiarò con un sorriso la donna di fronte a me -benvenuta allo Shohoku!- Probabilmente se mi avesse conosciuta meglio, si sarebbe risparmiata l’augurio, dato che a quella scuola di periferia non c’ero venuta per niente bene. E infatti, come volevasi dimostrare, l’inizio fu letteralmente uno schifo. Ero così indisposta all’idea di ricominciare da capo, da render vana qualsiasi possibilità di cucire un rapporto amichevole con i miei compagni di classe. Non sono mai stata una tipa estroversa dal sorriso pronto, ma in quell’occasione diedi proprio il peggio di me. Il problema di far amicizia non mi si pose nemmeno con i ragazzi della classe…mi erano bastati i primi dieci minuti per capire come andassero le cose lì dentro: appena entrata in classe, prima del benvenuto sono piovuti apprezzamenti - nemmeno troppo sottovoce - sulle mie forme. E le ragazze mi hanno additata. Non rimaneva che ignorare le loro e le loro provocazioni e cercare di sopravvivere nel modo migliore possibile in quell’ambiente opprimente. Fu solo dopo la prima settimana che io, senza un’amicizia e con già una reputazione da solitaria egocentrica, mentre mi incamminavo per l’uscita posteriore dell’edificio, trovai un primo stimolo che cominciasse a rendermi piacevole la vita da liceale. Dalla palestra, si sentiva l’inconfondibile rumore della sfera arancione sul parquet. Era una specie di richiamo per me, così senza quasi pensarci ero entrata a vedere chi giocasse. La squadra del liceo, stava facendo un incontro d’allenamento di basket. Mi mancava tanto, il basket, e guardando quella ventina di ragazzi giocare con tanto impegno fui presa da una nostalgia incredibile. Devo aver assunto un’espressione particolarmente imbambolata e assorta, perché dopo un po’ una ragazza dai lunghi ricci mi si avvicinò chiedendomi se avevo bisogno di qualcosa. -no, ho solo sentito il rumore dei palleggi, e sono entrata.- risposi a quella che più tardi mi si sarebbe presentata come Ayako, la manager. Era la prima volta da quando ero arrivata in questa scuola, che cominciavo a sentirmi a mio agio, grazie a quell’ambiente così carico di vita. Così da quella volta, decisi di non perdermi più un allenamento e venire lì ogni giorno. Fu così che pian piano, riuscii a provare anche un po’ di serenità…sentimento che negli ultimi mesi mi era diventato terribilmente estraneo. Avevo cominciato ad imparare a memoria tutti i nomi dei componenti della squadra, e poi anche a parlare un po’ con qualcuno. Non che ci tenessi un gran dialogo, però era pur sempre piacevole riuscire a parlare senza quell’oppressione che avevo in classe con qualcuno. A dire il vero, avrei tenuto ad avere qualche scambio di parola anche con il ragazzo con i capelli neri. Quello che faceva l’asociale, e parlava, se andava bene, dieci secondi al giorno. Ma, pensavo, eravamo troppo simili. Per due individui così trovare l’occasione di avere a che fare con l’altro, sarebbe stato quasi impossibile…e ogni volta che ci pensavo me ne rodevo il fegato. Ma i cattivi pensieri, svanivano in un istante mentre lo vedevo giocare. Osservare il suo gioco mi trasmetteva un’emozione incredibile, non avevo mai visto nulla del genere…così cominciai a seguire tutte le partite della squadra, oltre agli allenamenti. Era davvero fenomenale, sembrava quasi che quel pallone fosse un prolungamento delle sue braccia. Finché non andava a canestro, ovviamente. Non era un caso, comunque che io amassi tanto questo sport. A differenza di tutte le altre spettatrici, o quasi, non ero lì per “quei gran fighi”, vestita da ragazza pon pon americana ad urlare come una pazza tutto il giorno. Io, a basket ci avevo giocato per tre anni, alle medie. Ricordo che l’ultimo anno, ci eravamo anche classificate seconde, nel girone femminile, in tutta la prefettura. Era stato uno dei periodi più belli della mia vita. Poi, però, alle superiori scoprii che di squadre per ragazze non ce n’erano, ed era impensabile fare allenamento con i ragazzi…così, a mio malincuore, ci rinunciai e mi accontentai di fare, ogni tanto, ancora qualche tiro su un tabellone di fortuna davanti al portone del garage. So che può sembrar strano, però guardare degli altri allenarsi mi serviva per alleviare questa speciale nostalgia.
  
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