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Autore: Akari    10/06/2005    0 recensioni
chi è la misteriosa ragazza arrivata allo Shohoku? solo Kaede Rukawa sembra essersene accorto veramente...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III Non ce la faccio più, è terribile vederla in questo stato. Sono fuori dalla porta del bagno da almeno dieci minuti, ma nonostante le mie insistenze non si decide ad aprirmi. Tanto lo so che non ha mal di stomaco, la sento che sta piangendo di nuovo. -per favore, aprimi. Ormai sono andate via tutte- Niente da fare…continua a singhiozzare sottovoce, quasi si vergognasse a farsi vedere anche da me. Da me, che sono la sua migliore amica. Lo so benissimo cos’è successo…li ha visti di nuovo insieme per i corridoi e non ha retto. Vorrei tanto dirle che tra loro non c’è niente, o che si tratta solo di un’amicizia, oppure che al massimo sarà una cosa da poco. Però non lo faccio, perché sarei la prima a non credere alle mie parole. Loro non sono di quelle coppiette mano mano per i corridoi, né da avere effusioni in pubblico o cose del genere. Non si sa nemmeno con certezza se stiano davvero insieme. Però lo vedo, come Rukawa guarda quella ragazza quando camminano insieme, il modo in cui la tira leggermente a sé se rischia di essere urtata da qualcuno, o il suo sguardo quando deve tornare in classe. La adora, ha lei accanto e non vuole nessun’altra. Sembra che insieme al basket, lei sia l’unica cosa importante per lui. Ovviamente anche Haruko, se ne è accorta…anche se non si direbbe, per queste cose ha occhio. All’inizio probabilmente la cosa le era ancora sopportabile dato che non si parlavano mai, ma da quando li ha visti uscire insieme dalla palestra, la settimana scorsa, il suo cuore non ha più pace. Per favore, lascialo stare quel galletto, non vale la pena che tu sprechi le tue lacrime per un ragazzo così freddo e distaccato dal mondo. Dimenticati di lui, perché a lui di te non è mai importato niente, e tu adesso che te ne sei accorta veramente, non struggerti l’anima. -Haruko, ti prego…- ormai non mi interessa più farla uscire in tempo per la lezione, l’importante è che non si faccia ancora più male di quanto già non abbia fatto. Finalmente la porta del bagno si apre. -oh, Fuji…!- mi dice prima di riscoppiare in lacrime tra le mie braccia. Piange in modo così disperato che mi sembra quasi di stringere un neonato a cui hanno portato via la mamma. -lei…lui non mi…- cerca di continuare con la voce rotta -io…quella ragazza…la odio…ma perché proprio lei..?!- -non piangere più, Haruko. So che è difficile, è terribilmente difficile doverli anche vedere insieme, quasi ogni giorno. Però non devi più pensarci, tu devi dimenticarlo…lui non fa per te.- Non è così che riuscirò a farti smettere, però almeno ci provo. Fa male anche a me, vederti così. -no…- mi fa scuotendo la testa sulla mia spalla -io…non ci riesco. Non ce la farò mai…- Che cosa posso fare per te, amica mia? Poi, quasi all’improvviso, mi successe una cosa un po’ strana. Mi stavo sorprendendo nel provare qualcosa di strano…inspiegabile. E molto intenso. Me ne sono resa conto mentre ero in palestra, dove stavo quasi sempre. Mentre lo guardavo giocare contro la squadra del terzo anno. I suoi movimenti lasciavano trasparire un impeto, una tale energia che prima non mi avevano colpita come adesso. Vederlo così spesso per me era diventato così naturale che mi ritrovavo a pensare a lui anche fuori dalla palestra. All’inizio mi ero detta che forse mi succedeva solo perché non avevo mai incontrato una persona come lui, e che allora fosse naturale continuare a pensarci. Poi però, mi sono ritrovata a pensare a lui anche in classe, per i corridoi, da sola o in compagnia, sempre e sempre più spesso. Forse ero ancora in tempo a far scivolare via dalla mia mente quella specie di ipnosi, ne ero convinta…ma davvero lo volevo? Già, perché a conti fatti, si trattava di un’ipnosi molto piacevole. Non ci capivo più nulla. Anche perché tra noi due, non c’era quella parlantina, quel minimo di contatto fisico come un abbraccio quando ci si incontra, o quei bisticci come con il suo amico-nemico. Lo invidiavo da morire, quando litigava con lui. Almeno, lui aveva la possibilità di avere un approccio diretto, anche se di rivalità, con lui. E poi, gli poteva star sempre così vicino. Allora sono cominciati i crogioli, le insicurezze che trasparivano nel vederlo così lontano da me, le continue domande su quale reazione avrei dovuto attuare. Finché questi sentimenti, quando vedevo qualche ragazza avvicinarsi a lui e parlargli, si sono trasformate in fitte al cuore. Non ce la facevo più, nemmeno giocare a basket riusciva a calmare questi pensieri, o a darmi più decisione sul da farsi. Allora, è questo che voleva dire essere innamorati? Da quando abbiamo cominciato ad avere un rapporto più amichevole, ho pensato di essere davvero il ragazzo più fortunato della terra. Poterti avere accanto così spesso, ricevere uno di tuoi quei bellissimi sorrisi quando finivamo di giocare, camminare fianco a fianco quando ci incontravamo per i corridoi o andavamo verso casa. Era tutto così semplice, così bello, che la mattina guardandomi allo specchio mi chiedevo se davvero non avessi fatto un lungo, dettagliatissimo sogno. Pensavo che niente avrebbe turbato il nostro rapporto, che nulla mi avrebbe reso più felice di un tuo sguardo gioioso. Non me ne fregava niente di tutte quelle galline che appena hanno capito cosa provavo si sono fatte prendere dall’isteria, niente nemmeno dei miei compagni che commentano delusi il loro insuccesso verso di te. L’unica cosa che conta, era poter vedere il tuo viso sereno. Però, in quel periodo, sei diventata strana. Sembravi sempre distratta, sempre assente in chissà quale pensiero quando siamo insieme, e ogni tanto, assumevi quell’espressione così triste nel guardarci dalle tribune. Quando ci fermavamo a garreggiare, non mi guardavi nemmeno negli occhi, e non mi parlavi più come prima. Che cos’hai? Dovevo chiedertelo, lo so. Mettere da parte l’orgoglio che mi impedisce di farti capire quanto tengo a te, e sprecarmi in qualche parola di più del solito. Almeno una volta, per te, dato che è solo a te che penso, da quando sei entrata nella mia vita.
  
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