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Autore: lmutpimi    10/06/2005    8 recensioni
"Tu sei la mia musica."
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno, amore.
Come va lì da te? Sono un po’ tentata di farti uno squillo, giusto per sapere se ti stai annoiando a lezione. Ma penso che rinuncerò. Ah, non ricordo nemmeno se a quest’ora sei ancora a scuola!
Qui da me tutto bene. Sono sull’autobus, sul mio sedile preferito, quello subito dietro la porta posteriore, in cui puoi fare il figo appoggiando i piedi su quella specie di ringhiera lurida. È una giornata bellissima. Una di quelle giornate di sole in cui il cielo sembra dipinto a tempera, con pennellate decise e poca acqua; non c’è neppure una nuvola, e puoi perdonare il sole negli occhi perché l’aria entra dal finestrino, non violentemente, ma ad assaggi, quel tanto che basta a desiderarla e a prendere ogni soffio come una piccola estasi. Hai presente, quella sensazione per la quale pensi, magari anche guardando l’erba alta di un prato: io sto da Dio?
Tu non ci credi mai ed a volte nemmeno io. Però sto abbastanza bene. Mh, sì, prendendo questo momento come una piccola, momentanea rappresentazione, sto bene davvero.
*
Non so nemmeno cosa cominciare a dirti. Non ho molto da raccontarti, per la verità; però cose da dire ce ne ho.. è molto diverso, credimi.
La mia intenzione, il mio primo istinto, sarebbe cercare di darti una piccola introduzione, di insinuare poco per volta i miei pensieri, quelli più violenti, quelli che se trattieni sei un santo ma al contempo un idiota. Perché devi sempre scegliere tra essere considerato un egoista o uno stupido martire. In fondo questo mondo è un po’ scemo, lo sai.
E d’altronde se davvero cominciassi con lo sciorinarti, una dopo l’altra, le mie scoperte, le mie reazioni e le mie lacrime, non saprei con quale iniziare. Solitamente si dice che non c’è un ordine d’importanza: d’accordo, ma ci chiederemo sempre perché *quella* cosa, e proprio quella, mi è venuta in mente per prima. Che cosa faccio, tesoro?
Tu sei la mia musica.
Va meglio? In fondo non è altro che la verità più capiente; il resto sono conseguenze, sono solo sottoinsiemi, sono solo pennellate di un quadro. E non nego l’importanza di ciascun tratto d’un disegno; ma se vogliamo essere precisi.. ecco, questo che ti ho detto, è la prima foto che s’imprime nella tua retina. Quel che diresti se ti facessero guardare il quadro due secondi, e poi ti girassero e ti chiedessero cos’hai visto.
Stordito, tu rispondi qualcosa sul colore, sull’emozione che ne traspariva, se l’impatto che ti ha dato ti ha comunicato positività o negatività. Qualcosa del genere.
Avrei voluto dirti “sei la mia vita”, ma non sei la mia vita, io non ti vivo più. Avrei voluto dirti  “sei il mio tutto”, ma per quanto lo vorrei, certe cose non me le regali più, e al massimo puoi essere tutto ciò che chiedo.
Però un po’ di tempo fa raccontavo ad un amico una cosa. Gli dicevo che da quel giorno di fine dicembre ho avuto bisogno della musica più che in qualsiasi altro momento della mia vita. Ci chiedemmo perché e un giorno, quando mi fece notare che non riesco a vivere senza la musica, percepii la vera motivazione; più tardi accesi una lanterna nella mente (lo vedi? Adesso ho iniziato ad accenderla) e, pietra per pietra in quella caverna, mi resi conto che avevo bisogno di qualsiasi cosa facesse rumore.
La vita solitamente è percepita come qualcosa in movimento, cui si incastra, in strette fessure, qualche momento di noia, di silenzio, di staticità.
Senza che me ne rendessi conto, non era cambiata la mia visione: ma semplicemente la mia vita. Non so come, non ne sono riuscita a seguire i meccanismi, ma so che da qualunque cosa fosse prima si è trasformata in una valle di sabbia su cui, ogni tanto, cade qualche sasso. L’eco mi riempie le orecchie per qualche secondo. E io, seduta sulla rena a fissare qualcosa – cosa non lo so, ho scoperto che quel rumore, quel “toc” e il suo strascico, riesce a sollevare il mio volto dalla contemplazione del suolo.
Insomma, si è attuata una mutazione che ha volto il mio tempo alla ricerca di un frastuono che mi distogliesse dalla mia osservazione così intensa. Osservazione di qualcosa di vuoto e silenzioso.
*
Ho imparato che la sincerità verso chiunque, specie sé stessi, è l’unico modo per riuscire veramente a fare qualcosa. Che i problemi preconfezionati, con reazioni e soluzioni preconfezionate annesse, non servono ad altro che ad attirare un’attenzione abbastanza fittizia. Attenzione cui ancora fatico a rinunciare, ma almeno guardare in faccia tutti, compreso lo specchio, aiuta a risolvere quello che veramente era nascosto nel fondo, quello che non volevi guardare ma era lì, a fissarti, hai presente quando pur senza girarti t’accorgi se qualcuno sta guardandoti?
Ma vedi, capire cosa succede senza capire come risolverlo, o non gradire il modo di sistemare le cose.. porta a inventarne i motivi. E siccome quei motivi sono inesistenti, sei costretto a farne esistere tu stesso conseguenze e soluzioni. Nessun problema in questo giochetto, almeno finché non entrano in gioco gli altri. Loro non conoscono le regole, il gioco s’inceppa. È inevitabile.

Il fatto è che non puoi pretendere di capire, almeno non subito. Non siamo libri né biografie; non siamo saggi di psicologia e non siamo geni. Viviamo. Se capissimo subito perché agiamo in un determinato modo e cosa ci ha portato a farlo, non saremmo persone, o non saremmo persone vere: non ricordo se fosse questo che desideravo avere, se la cosa mi è sfuggita di mano o se è stata proprio volontaria, non lo so, e forse è meglio non ricordarlo per adesso. È solo che non puoi inventare ciò che non capisci. Così come non puoi decidere che l’omosessualità e peccato solo perché ti è lontana, allo stesso modo non puoi inventare la tua vita solo perché non comprendi che cosa sia e sia stata realmente. Nel momento in cui sai perfettamente cosa ti succede, non stai più vivendo. Non davvero. O comunque, non la tua vita; tanto varrebbe scrivere un romanzo.
E d’altronde, quando ti fanno un massaggio, ci hai mai pensato? Toccano le parti più doloranti, più rigide, più restie del tuo corpo. A ben pensarci ti fanno molto male. Se premi a fondo, te ne fa molto davvero. E’ buffo, vero? Eppure è proprio in questo modo che alla fine riesci a sentirti meglio. Questa cosa mi incuriosisce da molto, al di là di questa realtà che, nel miracolo che è, si riflette costantemente su se stessa, come fotografare un riverbero nell’acqua.
*
Mi chiedevo da un po’ di tempo cosa porti una persona a dire che vorrebbe farsi uccidere da chi ama e non lo ricambia. Me lo diceva un nostro amico comune: inizialmente ho pensato a del vittimismo visivo, sai, quel modo di fare che cerca di attirare l’attenzione sul proprio dolore.
Ci ho riflettuto; è questo, ma non solo. Oh, non pensare sia diventata tanto saggia, è solo che ogni tanto certe cose le penso anch’io. Ho tratto una conclusione probabilmente erronea, ma è quanto sono riuscita a fare con la mia luce nuova, quella che ho tenuto spenta a costo di far bruciare la fiamma della lanterna sotto i vestiti, addosso alla mia pelle.
Penso che quando qualcuno ti fa male, un male come lasciarti, ad esempio, quello che tu stai vivendo sia un lutto. La persona rimane fisicamente, e probabilmente un pezzo di quel rapporto che c’era si manterrà, ma non è più esattamente ‘quella’ persona. Perché ‘quella’ persona era quella che ti baciava, ti stringeva, avevi addosso.. e adesso lo stesso volto ti sorride, ti saluta e a volte non ti guarda negli occhi. Ne converrai: non affatto è la stessa persona. Ma proprio per niente.
Solo che essendo un male comune, inevitabilmente ne risulta sminuito. Così come la moda uccide l’originalità dei precursori, così come la ripetizione di una frase che, da quando, la prima volta che fu pronunciata, risultò sbalorditiva, la rende un luogo comune, allo stesso modo un dolore condiviso ne esce quasi stupido, se paragonato a.
Non ti danno retta, capisci? Non sei l’unico a soffrire per questo, quindi non meriti particolare attenzione. Né sei l’unico al mondo a soffrire, e non hanno tempo, le persone, con tutti i problemi che hanno, di badare a una cosa “così banale”. Nessuno ti direbbe mai questo, ma non vedo altro motivo per cui ignorare anche una sola lacrima, per cui se permetti me ne sono convinta, a costo di far diventare questo discorso un ragionamento per assurdo.
Così, ti dicevo, hai bisogno di far vedere che quella persona ti ha fatto male davvero. Cristo, vuoi gridare, guardate che mi ha ucciso! Guardate che la persona che l’abbracciava, baciava e gli era addosso, beh, SIGNORI, ha voluto ammazzarla! Non sai come dirglielo, a volte, non tutti sanno esprimere determinati concetti, ragione principale per cui c’è chi sembra più profondo di altri e invece sa solo parlar meglio. E così vorresti, anche se il tuo desiderio sarebbe soltanto essere amato e abbracciato e mai chiederesti che t’ammazzasse, che quella persona ti facesse il più grande male contemplato. Mi ascolteranno, adesso, pensi. E forse, quella stessa persona avrà pietà di me, forse vedrà cosa mi ha fatto, forse, sì, forse la smetterà.
Ci speri sempre. Nonostante tu voglia solo amore, in un angolo del cuore speri sempre che ti faccia così male da poter urlare a pieno diritto, di essere tanto triste da poter prendere le difese più drastiche; finalmente alzare le mura di mattoni ed intingerle nel cemento, per sempre.
*
Che comunque non è che ti racconti tutte le mie scoperte solo per glissare sui ricordi. La penna non si blocca ad un singhiozzo come la mia voce, quindi non ho bisogno di non pensarci. Sinceramente non vedo perché non dovrei. Non vedo perché dovrei dimenticarti, operazione che richiede per forza di cose il disprezzarti; sai, sarebbe il modo più facile, ma ho scoperto che la via più facile è come una richiesta esplicita di punizione.
Te l’ho mai raccontato? Non penso, vero? Vedi, ho iniziato a credere. Credere sul serio, e non più temere soltanto l’inferno: ho scoperto quale sia la vera gioia della fede, la ricerca di risposte.
Per la cronaca, non ho mai pensato di essere sicura della veridicità di tali risposte. Però penso che se credere mi fa stare meglio e mi dà l’input e mi tiene stretto il braccio aiutandomi a rimanere me stessa (in questi casi solitamente si dice a cambiare.. che scemenza), allora sì, è il caso di farlo.
A volte mi sento sotto pressione, pur se mi sento in colpa a dirlo, pur se so che è solo un modo per venir meno ai miei doveri, per non impiegare finalmente quell’impegno che non ho mai dato in nessun campo, viziata e bugiarda come sono sempre stata. Ma forse è un bene avere paura. Un bene avere paura ad ogni errore di una punizione, perché lo vedi sbagliando come sono stata punita, lo vedi cosa mi è stato tolto, ed è giusto, è giusto piangere tutti i giorni, e considero quattro mesi ancora pochi. Pochi in confronto a ciò che ho fatto a te.
Ma diciamoci la verità, non ho mai voluto dimenticarti veramente.
E se piangere per te è conservare una speranza che un giorno mi permetterà di non dirti “arrivi tardi”, allora sono disposta a piangere sangue, in ogni secondo di tutto il tempo che mi soffia sul viso.
*
Dopo l’incredulità, comincia la rabbia.
È inevitabile, non credi?
È che come diceva quella canzone, il tempo guarisce le ferite, è solo l’orgoglio che ci mette un po’ di più.. esatto, proprio quel mio orgoglio cretino, ma un po’ lasciamene conservare, dai. Quel tanto che basta a poter offendere chi non lo merita, perché in fondo mi sono anche stancata di fare la superiore. Per cui scusami, ma
lei non è altro che una tappabuchi di merda.
Oh, e dai, non può prendere la forma dello spazio che ho lasciato. Non sono stata creata con uno stampino. E per quanto a volte sia legittimo pensare mi sia data un’altra forma liquefacendomi nel fuoco e rimodellandomi, lei non è cera sciolta.
Visto? Ti ho fottuto.
Ti ripetono che la vendetta sia la cosa che ti fa stare meglio quando piangi, ma se non piangi e chiedi le lacrime altrui ti augurano ogni disgrazia.
Ecco che torno a chiedermi perché le persone lo facciano. Davvero non capisco, sai? Forse le estremizzazioni richiedono una reazione altrettanto estrema per riportare le cose a un rassicurante equilibrio.
Come se tra una persona che piange e una che odia ci fosse differenza. Stupidi.
*
Mi è venuto un mal di pancia pazzesco, me e la mia mania di masticare gomme in continuazione. Ricordi come mi vantavo di saper fare la bolla anche con una Vigorsol?
Ricordi, quando la gomma esplodeva e mi si appiccicava alle labbra; e non c’era altro modo per toglierla che premerci sopra con quella stessa gomma?..
*
E si son spesi miliardi di parole per dire essenzialmente la stessa cosa, per abbellirla, renderla profonda, pronunciarla diversamente dagli altri, donarle importanza.
Ti amo.
TI AMO.
Non ti amerò per sempre, non sono senza respiro quando non ci sei, non sento il mio cuore fermarmi, non sei la nota acuta che spezza il bicchiere e ne versa il liquido (J. Winterson). Non sei una pioggia acida caduta sulla terra fresca del mio giardino; non ti espandi come una droga nelle mie vene. Non sei nulla di tutto questo. Non sei nulla a cui possa paragonarti, altrimenti non respirerei, il mio cuore sarebbe immobile, l’acqua starebbe sempre scrosciando e il mio giardino, mentre nella mia estasi t’invoco, sparirebbe sbiadendo. Se fosse stato questo, non sarebbe quello che sto vivendo. Non mi sento più come se dal fondo della piscina guardassi in alto, non intendo più raccontarti, non sarai più parole per me.
Io penso che tu non faccia altro che esserci. Non ti rivedrò nella natura né ti respirerò nell’aria, le stelle non mi ricorderanno i tuoi occhi e la luna non sarà la falce che mi decapita. Niente di tutto questo.
Mi chiedo cosa tu ci faccia esattamente, nella mia testa.
Che cosa fai, tesoro?
Ricordo tutti i tuoi movimenti.
Lui mi ha detto, “e quando pensavo che te ne fossi andata ed eri vicina alle scale aspettando un mio sguardo, mi sono sentito come se avessi qualcuno ad aspettarmi.. forse il vero significato di ciò che viene chiamato ‘casa’.”
Quanto piansi chiedendomi perché non me l’avessi mai detto, tu, piccolo.
Ma dopo mi è venuto in mente che tu me l’hai detto, centinaia di volte. Non so se ti ricordi quei momenti silenziosi in cui posavi la fronte sulla mia con aria triste, poi scendevi schiacciandomi un po’ il naso, facevi frusciare i capelli sulle mie labbra e infine, senza alcuna malizia, ti fermavi ad occhi chiusi sul mio petto, aggrappandoti alla mia schiena.
Lo ricordi?.. solo dopo che ti avevo accarezzato per un po’ i capelli, con qualche bacio ogni tanto sulla tua testolina corvina, ti calmavi e tornavi su con gli occhi un po’ lucidi ma la bocca sorridente. Di un sorriso piccolo, perché tutto ciò che non è grande è indubbiamente sincero e non corre il rischio d’essere stato ampliato.
Anche tu eri piccolo.
Sotto quelle coperte, in cui ci rifugiavamo seppellendovici dentro quasi a volerci proteggere, non sono mai riuscita a pensare ‘questo è il petto di un uomo’. L’ho pensato solo in un’occasione, non ricordo nemmeno perché, né se l’osservazione sia sorta spontanea. Ricordo solo che la mia testa era a quell’altezza; dev’essere stato per quello. Infatti ti ho sempre visto come un bimbo, l’unico che avrei mai accettato di amare e crescere. Il resto dei giorni, nella mia testa ti ho sempre chiamato “il mio bambino”, con mio grande stupore quando realizzavo di aver pensato quelle parole. Io, che per quanto mi sforzassi di negarlo, volevo fare la mocciosa a tutti i costi. Non capendo che mentre io stavo crescendo tu non avevi ancora iniziato; non riuscendo a decidere se crescere o no, non capendo che non si può decidere, e bloccando la crescita martellandomi la testa di bugie.
E così mentre cercavo di abbassarmi sei cresciuto, piccolino. Hai visto? Vedo come ne soffri, sai? Lo vedo che non lo vuoi, come non lo volevo io.
Ma stupido, io avrei sopportato tutto quello che ti ho fatto sopportare. L’avrei sopportato anche ingrandendolo in proporzione. Avresti potuto calpestarmi e sputarmi addosso e probabilmente non m’avrebbe fatto altro che bene.. piccolo.. tornerai ad aggrapparti alla mia schiena, sarà il mio, il seno che sceglierai come materno..? Mi lascerai mantenere la promessa, mi lascerai toglierti da lì?..
“Sì.. fallo, ti prego..”
L’hai detto tu. Hai implicitamente promesso.
Spero che ti ricorderai anche questo.. è stato quando mi dicevi che anche l’altro occhio avrebbe potuto accecarsi. Quando ti ho promesso che non sarebbe successo, e che se non avessi adempiuto, se lo volevi, sarei stata con te per sempre.
Anche tu hai promesso, senza volerlo. Mi lascerai prendermi cura di te?.. e ti prego di non prenderlo per altruismo, quando ti dico che la tua felicità è anche la mia.
La mia felicità è sapere che mi hai scelta. Egoista, vero? Ma preferisco lasciar perdere l’ipocrisia e le grandi frasi atte a convincere di una dedizione che non c’è, non realmente. Almeno così la penso.
In fondo, questo ti toglie qualcosa?.. insomma, cancella il fatto che quella felicità puoi darmela solo tu..? Hai presente quei pennarelli stranissimi di cui conosci il colore ma quando scrivi appaiono trasparenti, però appena ci passi sopra la penna magica assumono il colore che sapevi?.. accendi il mio rosso. Mi rendi me stessa. A calci e a baci, non ha importanza.
*
Mi viene in mente quel paragone che hai fatto. Quando hai saputo di me e lui, e dando il primo segnale di gelosia hai detto “immaginati un cagnetto.. pensa di prenderlo a calci finché non se ne va via.. è più facile che si attacchi ad un altro padrone, no..?” o quando hai detto che mi hai cacciato sempre a calci della tua vita. Mi veniva da piangere, che stupidaggine, vero..? Eppure quando trovi comprensione sfoghi tutte le tue lacrime. Quando vedi che te l’hanno riconosciuto, il muro di traballante umidità sui tuoi occhi cede. Sei salvo, e non stai meglio di prima, nemmeno un po’.
Alla fine ho trovato un modo molto semplice di non stare male. Non l’ho trovato io, l’ammetto: l’ha trovato, probabilmente, quello che viene chiamato il mio ‘inconscio’.
Infatti, inizialmente non me ne sono accorta nemmeno io: mi ero soltanto accorta che non stavo più male quando mi raccontavi qualcosa che non mi piaceva.
Tuttavia, i pianti che mi facevo successivamente mi davano da pensare: se ti ho dimenticato, perché allora dovrei continuare a starci male? Soprattutto, perché più tardi dei momenti in cui mi informi dei tuoi miliardi di cotte?
Le due cose contrastavano in modo troppo deciso per non farmi pensare ad una soluzione precisa.
Così, ho aspettato, quasi stessi compiendo un esperimento scientifico, una qualche tua affermazione che potesse ferirmi. Mi sono studiata attentamente e mi sono accorta che, nel momento in cui il mio cervello realizzava un messaggio del tipo “attenzione: dolore in vista”, mi diceva che non era vero.
Nel senso che cancellava l’idea di te che ti struggi per qualcuna, che cerchi di portarti a letto un’altra, che mediti di andare a trovare una ragazza che ci prova con te. Senza che io potessi scenderci a passi, decideva come filtrare le informazioni, che importanza darvi, qualche volta perfino se farle passare o no.
Non accettava compromessi con la realtà, e stavolta non lo faceva per mia spontanea decisione, non lo faceva per dimostrare qualcosa e non lo faceva sapendo di sbagliare – sempre che sbagliasse.
E comunque, per la cronaca: lo fa ancora.
*
Quando stai molto tempo con una persona, quella inizia a strapparti pezzi di mondo.
Non è negativo, almeno finché le conseguenze non diventano tali.
Semplicemente, alcune cose che prima erano esclusivamente parte del tuo ambiente, colonne sonore di pomeriggio noiosi, diapositive di strade percorse quotidianamente, vengono rubate da chi ami.
E non si tratta necessariamente del primo regalo, della coperta su cui si ha fatto l’amore la prima volta, dello sfondo del proprio primo bacio.
Può essere una strada percorsa sempre assieme, o uno scorcio sbirciato per caso in un momento nemmeno significativo. Un cielo che luccica tra le foglie mentre si alza lo sguardo dopo un bacio come centinaia di altri. Può essere un oggettino stupido con cui si ha scherzato una volta lanciandoselo, per poi apparentemente dimenticarlo accantonato dall’ennesimo sospirarsi di carezze.
Oppure può essere una canzone.
Ah, dopo un anno sono tante. Tantissime, sul serio. A dire il vero un po’ tutte le canzoni che conosco mi dicono di te, ma alcune.. alcune? Hanno qualcosa in più da dirmi.
Non lo so, una di queste per circa una settimana dopo Quel Giorno Di Fine Dicembre mi ronzò in testa incessantemente. Partiva quando mi svegliavo al mattino, proseguiva tutto il giorno, continuava mentre mi addormentavo, faceva da sottofondo ai miei sogni e al risveglio ripartiva.
C’è bisogno di dirlo? Non ho più avuto il coraggio di ascoltarla.
And there’s no mountain too high, no river too wild, singing out this song I’ll be there by your side: storm clouds may gather, stars may collide, but I will love you until the end of time. Come what may, I will love you until my dying day.
Non ho nemmeno il coraggio di ripeterla nella mia testa, per paura che ritorni.
Ma non dovrei preoccuparmi, data l’enorme quantità di versi da cui mi devo guardare.
C’è Thank you for loving me, for being my eyes when I couldn´t see. You parted my lips when I couldn´t breathe, che è arrivata solo dopo eppure dopo un ascolto era già bandita per sempre.
C’è Watch you smile while you are sleeping, while you’re far away dreaming [..] And I’m wondering what you’re dreaming, wondering if it’s me you’re seeing, then I kiss your eyes, che è la canzone di tutte le coppie, diciamolo. Beh, non la nostra, solo un mio ricordo.
C’è And it’s hard to bring a candle in the cold november rain.. [..] But nothing lasts forever, even cold november rain, ricordo di ultime gocce di speranza da un rubinetto corroso dal calcare.
C’è We were meant to live for so much more.. have we lost ourselves? And everything inside screams for second life, di quando semplicemente combattevamo per il nostro amore.
C’è Let me be the one you call, if you jump I'll break your fall, lift you up and fly away with you into the night.. if you need to fall apart I can mend a broken heart; if you need to crash then crash and burn, you're not alone, che mi parlava di tempi tristi quand’ancora erano felici, ed era così bella che non avevo il coraggio d’ascoltarla, per evitare di dovere mai odiarla, e invece la sto odiando lo stesso.
C’è Now I want you to know I found a reason for me, to change who I used to be, che cantavi Quel Giorno di Fine Dicembre, e non riesco più ad ascoltare.
C’è Sembrava ormai lontano e distante, perso per sempre, invece è ritornato con te, con te che fai battere il cuore che fai vivere il tempo per tutto il tempo che verrà, nel tempo che verrà, che era un presagio da quando, inspiegabilmente, ascoltandola iniziavo a odiare il povero Max.
C’è When the night has come, and the land is dark, and the moon is the only light we'll see.. well, I won't be afraid, no I won't be afraid, just as long as you stand, stand by me. When the sky that we look upon tumble and falls, and the mountains crumble to the sea I wont cry, I won't cry, no I won't shed a tear just as long as you stand by me, quella che ascoltavo nei giorni subito dopo Quel Giorno Di Fine Dicembre.
Poi c’è Kiss the rain whenever you need me, kiss the rain whenever I’m gone too long, if you feel we’re under the same skies, kiss the rain and wait for the dawn, per quando ricordavo i chilometri che ci separano.
Ce ne sono altre che non c’entrano nulla, come quella che ti ha fatto scoprire lei. Ci sono quelle del cd che mi facesti. Ci sono le canzoni ska e punk che per il solo appartenere a quei generi mi ricordano te. C'è "Magnolia" che mi faceva sognare. C’è quel “ti amo quando sono sbronzo” che a momenti ti è costato l’evirazione quella volta che mi hai cantato “Branca day”. C’è quella dei Subsonica, quella in cui si parlava di un passato che non tornerà, che mi spaventava mentre eravamo assieme e ho imparato a odiare in questi mesi. C’è “Troppo fragile per essere eroe”, che quando diceva di non saper essere un diamante tra un gruppo di pietre mi commosse, e solo quando lessi il titolo capii che un capitolo era concluso anche se mi ostinavo a non girare la pagina. C’è “Sere nere”, quando volevi lasciarmi la prima volta. C’è “Dammi solo un minuto” scoperta per caso. Ci sono tutte quelle degli 883 che non mi hai mai dedicato, ma a lei sì. C’è “A pugni con il mondo”, che solo per la melodia e il fatto che, così come “L’ultima bomba in città”, sempre degli Articolo, era il racconto della tua vita, è diventata un tabù. Vogliamo parlare di quando strillasti con i tuoi amici “perfetta come te..” e al posto di Letizia urlasti il mio nome più forte di tutti, stonando terribilmente?
Ah, e pensare alla mia stupida mania, quando finisco un capitolo, di mettere il segno nella pagina del capitolo immediatamente successivo, e finire, irrimediabilmente, per sbirciare e rovinare tutto, perché sto iniziando contro natura, perché sto di nuovo anticipando la vita.
C’è la canzone che mi dedicasti dei tuoi amati Articolo che infine non diceva nulla di particolare tranne quel “e quindi è tutto per te” che vale più di qualunque altra citazione, perché in quel momento mi hai regalato tutto quanto avevi vissuto, tutti i tuoi anni, tutti i tuoi sorrisi, tutti i tuoi sguardi, tutti i tuoi cieli, tutti i tuoi respiri e tutte le tue lacrime.
Ci sono le nostre due canzoni.
Io sono solo un’ombra, e tu, Rossana, il sole.. ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora.. ed io non mi nascondo sotto la tua dimora..
Che però è arrivata quando ormai ero io a temere di dover nascondermi.
L’altra, non voglio nominarla nemmeno, non mentre tutto cambia.
E cambia davvero.
Lo vedi quante sono? Probabilmente non le ho nemmeno nominate tutte.
Beh, no, non le ho nominate tutte.
Ne ho scoperta una di recente, ed è sempre di quei due stronzi che hanno deciso di scandirmi la vita con il loro rap. Ti ricordi quando te ne ho citato un pezzo? “Perché domani non ci sei.. perché domani non c’è noi.. perché domani c’è solo domani.. domani..” Ricordi? E tu rispondesti ridendo, sì, ma domani è finita, e te ne andasti.
Non avrebbe nemmeno senso citarla, non saprei scegliere né una scelta sarebbe giusta. Una delle tipiche canzoni che, quando le ascolti, ti spingono a chiederti se quei bastardi non l’abbiano scritta pensandoci. E poi realizzi che, accidenti, nessuno avrebbe mai potuto scrivere simili righe pensando a qualcun altro.
*
Golden baka! Mi sto intristendo un po’, sai? Guardando i fiori, per esempio. I fiori di pesco, che non capisco mai se siano bianchi o rosa! E quella profusione di margherite.
Ricordo che, da piccola, la cosa più tragica della mia esistenza era il momento in cui il nonno decideva di tagliare l’erba del giardino. Spesso piangevo, ogni volta gli strillavo di non farlo e mi aggrappavo al tagliaerba purché non lo facesse.. naturalmente, due giorni dopo crescevano più belle di prima, ma non riuscivo ad accettare che, in un colpo, quella bellissima distesa bianca e ovattata sparisse. A che pro, poi? L’erba non mi sembrava mai abbastanza alta.
Crescendo, ho capito che non era poi così importante. O forse, ho *deciso* di convincermi che non era importante, di stringere i denti quei due giorni e poi tornare in giardino, quando le margherite fossero ricresciute, preparandomi, da un momento all’altro, a vedere il nonno con il tagliaerba. Mai abbastanza pronta, comunque. Ho sempre finto, di fregarmene.
Forse, crescendo, impari soltanto a non badare a ciò che accade. Perché se continuassi a non accettarlo, allora piangeresti e urleresti per tutta la vita. Forse, ciò che ci fanno accettare non è davvero giusto e leggero.. forse, acconsentiamo solo per non dover passare il tempo a lottare.. per non passarlo a singhiozzare. Forse, è solo questo che ci viene insegnato. Sopporta, stringi i denti per un po’, sperando che le margherite ricrescano, e non pensarci più.
*
Che d’altronde, non c’è una canzone che non mi ricordi te.
Di qualsiasi cosa parli, io cerco di relazionarla a me. E come non relazionarla anche a te, di conseguenza? Tu, che hai fatto tua la mia vita a cucchiaiate affamate?
Hai rubato la mia capacità d’amare; o forse hai solo rubato il mio amore e te lo sei messo in tasca, perché anche se ci provo, anche se forse ho trovato la persona adatta a me, il mio perfetto incastro e tutto il resto, non riesco a dare nulla.
Mi sento arida, come se lui stesse attingendo a un pozzo vuoto, a costo di spezzarsi le braccia per la fatica. Un ventre non fecondo, una pianta artificiale.
Ti ho mai detto?
Ultimamente sento sempre freddo. Anche quando gli altri sono in maniche corte, io sono sul punto d’uscire con il cappotto lungo. Addirittura, quando siamo usciti per educazione fisica e tutti erano in canottiera, accaldati e pronti alla prima abbronzatura, io sono salita in spogliatoio a prendere una giacca. Dicevo che c’era un vento gelido, e lo sentivo davvero, quel vento.
Ci sto pensando solo adesso.
Un’interpretazione molto semplicistica potrebbe spiegare che il mio freddo è interiore.
Ma non è questo; non ho così tanto freddo, dentro, in fondo ci sono delle persone che mi amano davvero, mi amano tantissimo.
Non so se te l’ho detto, o se l’ho soltanto annotato da qualche parte, però.. da un po’ di tempo, odio ferocemente la primavera. Sai, quelle cose da tema delle elementari, i fiori che sbocciano, il sole, l’aria e l’azzurro del cielo. Lo *sbocciare* in generale, natura, vita, amore..
.. amore..
E dopo un po’ ho collegato la cosa, ho capito che, sì, quest’anno i fiori sono sbocciati troppo presto.
Ne discutevo con lui.
-Sai, quest’anno detesto la primavera.
-Perché?
-Mi sembra che i fiori stiano sbocciando troppo presto.
-.. sono sbocciati?
-Non quelle rose, no.
-E cos’è fiorito, allora?..
-Mh, adesso vedremo cosa crescerà quest’anno..
Ma io mi sentivo ancora in mezzo alla neve, sotto i cieli bianchi, osservando malinconicamente alberi spogli.
Stai a vedere che questo mio stupido corpo mi sta dando manforte per conservare i residui di quell’inverno, per mantenermi vuota affinché tu, e solo tu, possa di nuovo dare una sostanza al mio esistere?
*
Si parla spesso dell’odore della persona che si ama.
Pensavo fosse un’emerita stronzata, finché non abbiamo scoperto assieme che quell’odore esiste davvero. Non tanto nel momento in cui ci si abbraccia, in cui al limite si avverte la fragranza del profumo che l’altro ha usato. Più che altro sui cuscini, sulle trapunte, sui vestiti. Un odore che nulla a che vedere con boccette per metà piene d’alcool; piuttosto un profumo che è sulla pelle e a volte, quelle volte, si sente arrivare a lame. Poi scompare, come un’esca, invitandoci a rincorrerlo, anche per tutta la vita. Io lo rincorrerei. Tu?
Qualcosa era rimasto. Il maglione che mi regalasti il primo anno, lo ricordi? Il maglione nero che ti chiedevo sempre; lo indosso ancora.
Pensavo che con il primo lavaggio, anzi, peggio: che dopo la prima notte nel mio armadio sarebbe scomparso il tuo profumo. Invece no, ha resistito, ha resistito circa fino a marzo da metà dicembre.. finché non mi sono resa conto che quel mercoledì sarebbe stato l’ultimo giorno in cui avrei sentito quell’odore.
E invece no.
Sarà l’olfatto che m’inganna, sarò io che sento il tuo profumo anche tra l’erba appena tagliata, sarà che forse, e dico forse, un granello di te è rimasto impigliato tra il tessuto, non lo so cos’è.
Però qualche giorno fa l’ho sentito.
Come a quei tempi, come quando tornavo a casa e mentre forse mi pensavi in treno mi gettavo subito sul letto per annusare il cuscino o la trapunta.. che tempi, quelli.. e appunto, sai, l’ho sentito di nuovo.
Sempre lì, su quel cuscino.
Ma a dire la verità, l’ho sentito in migliaia di posti.
*
Poi c’è quella storia della collana. Ricordi? Il primo regalo che mi facesti, al primo appuntamento, quel Natale che sembra lontanissimo come la me stessa di quel tempo.
La chiamo la collana magica.
La volta che pensasti a lei si scheggiò, non so se te l’ho mai detto. Quella scheggia è andata persa e non sono più riuscita a riempire quel buco.. lo sai? Facendo due calcoli, se non è successo mentre lo pensavi, è successo nell’arco di una settimana al massimo da quel fatto. Pazzesco.
E quando in vacanza l’anno scorso la mia gelosia raggiunse l’apice e appena tornata mi dicesti di volermi lasciare? Lo sai che in uno di quei momenti si staccò la parte sotto? Quella con la pietra rossa?
L’aggiustai con l’attack e per qualche mese rimase a posto.
Si staccò nuovamente quando ormai era finita; è successo di recente, forse hai rinunciato definitivamente a me? Tra l’altro, mentre dormivo, nello stesso tempo, si staccò anche un pezzo della parte sopra. Riaggiustai nuovamente la collana, ma quel pezzetto rifiutò di sistemarsi.
Adesso quella collana è su una mensola in camera mia.. ed è strano, sai, perché non c’è stato nemmeno un momento, un singolo istante, in cui non l’abbia portata al collo, da quel 15 dicembre che non s’è ancora dissolto nella mente. Credi abbia dimenticato una sola parola di quel giorno..?
Ora capisci la mia gioia, quando tu mi hai promesso una nuova collana?
Diceva un libro stupido, del cui possesso mi vergogno discretamente: “I ricordi sono proprio una cosa buffa”.
E non capivo. Buffa..? I ricordi sono belli, e ti fanno stare bene. Sennò sono tristi, e ti fanno stare male.
Hmm, non è proprio così. Ho scoperto che in determinate situazioni, la considerazione si capovolge. Un ricordo triste adesso non è che un’altra goccia in una pozzanghera grigia, non mi colpisce molto, non può nemmeno più preoccuparmi, perché è finita.
Ma quelli belli..?
Quelli che, nonostante tu ora sia quasi un’altra persona, m’impediscono di gettarti alle mie spalle?
.. e qui mi vengono in mente le monetine nella fontana; ma questo ti renderebbe una speranza, un desiderio, una preghiera. E le preghiere non si lanciano alle spalle, nell’acqua, in mezzo alle altre.
Le preghiere salgono in cielo con ali d’aquila, fendendo l’aria, gridando nell’orecchio di Dio.
*
Forse adesso dovrei enumerare tutti i bei ricordi. Primo bacio prima volta sensazioni negli abbracci.
No, beh. Lo sai. Lo sanno tutti.
Intendo.. chiunque abbia amato può capirmi perfettamente. E chi non ha amato, non mi capirebbe comunque.
Rimarrebbero parole come lo erano per me, che mi ero creata una filosofia di vita disillusa ancor prima di disilludermi, e forse ancor prima d’illudermi. Pensando che i poeti, gli scrittori mentano. Che usino belle espressioni per ornare concetti in realtà molto più semplici.
Dovrebbero inventare le parole adatte a descrivere le braccia della persona che ami, altro che.. il modo in cui forse inizialmente non ti attraevano nemmeno così tanto; però ora non puoi farne a meno. Perché le ami. Perché ami ciò che ti hanno fatto. Ami il balsamo con cui massaggiavano il tuo cuore, ami il modo in cui hanno schiacciato fuori dal tuo corpo tutti i tuoi mali. Ad un certo punto non esistono nemmeno più i difetti; non esiste parte di quel corpo che non artigli il tuo con degli uncini invisibili. Poi c’è quel calore. Che forse è perché ti avvicinavi solo a quello, ma non hai mai avvertito un calore così.
È anche inutile che parli, non so come dirlo nemmeno io.
Sono un’innamorata come tanti.
Vorrei dire semplicemente che non ti amo più di tutti.. ma ti amo più di tutto.
Ecco, null’altro.
Solo una menzione a qualcosa di te, magari.. ma nemmeno quello.. in verità vorrei solo dirti *quanto* mi manchi, solo che non sono capace, e allora credo mi ridurrò a dirti *cosa* mi manca e sperare di, con grandi parole, poter enfatizzare abbastanza il concetto da dare un’idea della mia nostalgia.
Tempo sprecato, ma un foglio e una penna mi ascolteranno parlare di un ragazzo pure abbastanza normale, con dei foltissimi capelli neri, piccolo e morbido, con quel nasino a patata e la fronte di velluto, le sopracciglia folte, le labbra carnose di cui ho un ricordo durante la prima volta – la cosa incredibile è che il quell’attimo pensai chiaramente “quest’immagine mi rimarrà per sempre”-, e poi quegli occhi grandi con le ciglia lunghissime, uno verniciato di speranza e un altro di brace.
In sé effettivamente non dicono nulla, forse nemmeno i baci che davo a quel tuo occhio cieco dicono nulla. Tra l’altro, ho imparato in questo tempo, non c’è nemmeno nulla che devo dire, a nessuno. Le storie non sono da raccontare, non sono palcoscenici, non sono il genio della lampada delle fantasie e delle ambizioni.
Comunque fa niente anche se in sostanza non sto comunicando nulla; a dire il vero volevo solo riempire un altro foglio evitando di pensare a domani.
*
Stellina.. di solito lo dicono i ragazzi, vero? Fa nulla. Com’è che mi chiamavi tu? Anche così, sì. E poi c’erano.. “amore”, e dire che avevo giurato a me stessa di non usare mai questo soprannome.. poi c’era “angelo”. Ricordi? Quando mi dicesti una frase cattivissima, non la ricordo nemmeno, e io ti perdonai e singhiozzasti che sono davvero il tuo angelo.. scena che si ripeté Quel Giorno Di Fine Dicembre, curioso. Poi c’era “piccola”, che sparì quando scoprii che era un soprannome comune a molte – non “la mia piccola”, però-, in favore di “spiritello”. Mi piace pensare a un fantasmino che ti segue e può guardarti chiudere gli occhi; non sono mai riuscita a vederti mentre ti addormentavi.. scemo, Quel Giorno di Fine Dicembre come pensavi di poterti addormentare davanti ai miei occhi in pieno pomeriggio? Stupido.. sai che da quel giorno, per colpa tua, non riesco più a farmi fare un baciamano? Mi hai rubato un’altra cosa, stronzetto, sai? Accidenti quante cose non ci sono più.
E del resto era previsto anche quel giorno.
Ricordi quando ti chiesi di farmi un disegno? Tu disegnasti due omini rappresentanti me e te, per mano, e sopra qualche frase stupida per deridere le “lacrime di sangue” e affini. Ancora vedo la scena! Io che piego il foglietto, il foglietto che si strappa, noi che inorriditi guardiamo lo strappo correre su tutta la lunghezza, separando proprio le nostre due figurette. Solo un centimetro si salvò, permettendo di tenere intatto il foglio.
Mentre lo ripiegavo con cura, per metterlo via e non toccarlo mai più, tu, con un’aria tra l’inorridito e l’ansioso, mormoravi: “Non è una bella cosa..” e allora io, che pensavo a un brutto presagio ma speravo di non sentir concretizzare in parole questa paura, ti abbracciai forte, spaventata, probabilmente con aria molto preoccupata.
Ci pensi? Stavo per partire per quella vacanza che, tornata a casa, mi avrebbe vista piangere perché volevi lasciarmi.
Sei magico, piccolo? Sei un elfetto del destino? Sei la cartina al tornasole del mio futuro?
Cosa sei, veramente?
Chi ti ha mandato da me?
Il perché non me lo chiedo: sei chi mi ha fatto crescere e riportato alla naturalezza di quello che sono veramente.. chi davvero mi ha salvato, e non certo dai grandi drammi che creavo.
Soltanto mi chiedo quali siano le tue origini, quale volontà mi abbia graziato di.. di te, in fondo, non saprei come altro definirti. E in fondo non ti so nemmeno definire.
Che dire di te.. se tu fossi tanto semplice da poterti riassumere in poche righe, ho seri dubbi mi sarei innamorata di te.
.. oh, credo proprio che non dirò nulla.
Le parole sono cameriere inesperte; non possono sapere con precisione quale locazione particolare tu associ ad un dato soprammobile, quale sia il valore di quel soprammobile e di quella posizione, come debba essere sistemata la scrivania con esattezza, come tu voglia vedere i cuscini sul divano.
Io.. vorrei salutarti in un modo che non dimenticherai mai più.
Perché si fa così, si confida sempre nella frase finale e affanculo tutto il resto, per quante lacrime ci abbia versato, per quanto abbia potuto dolermi la testa.
Allora penserò a ciò che, di me, non voglio che dimentichi.
Oh, beh.
Stupido..
Ti amo.

 

(Nda: Anzitutto, un doveroso ringraziamento ad Erika per avermi dato il primo posto ^^ mi ha reso davvero felice, avevo investito molto in questa fanfic.. nel senso che l'ho presa come un segno ^^! Al di là di queste stronzate, il vero ringraziamento va al pirla che mi ha permesso di scriverla. Beh, buona vita, golden baka, anche se suona male.
"Un giorno, guidati da stelle sicure
ci ritroveremo
in qualche angolo di mondo lontano,
nei bassifondi, tra i musicisti e gli sbandati
o sui sentieri dove corrono le fate
E prego qualche Dio dei viaggiatori
che tu abbia due soldi in tasca
da spendere stasera
e qualcuno nel letto
per scaldare via l'inverno
e un angelo bianco
seduto vicino alla finestra"
-Ninnananna- [Modena City Ramblers]
)

  
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