Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: damned88    11/06/2005    5 recensioni
Cosa desideravo? Mentre il nascere di un nuovo giorno rivelava le prime luci del mattino e mentre volteggiavo frenetica al di sotto di un albero, mi chiedevo cosa desiderassi realmente. Sentivo il mio forte ansimare come quello delle più orrende di tutte le bestie e il suono ritmato del mio cuore disperdersi nell’aria in una languida preghiera. Cosa diavolo volevo veramente?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Voglio essere l’alba di una notte o forse, un semplice raggio di luce che balena negli occhi di un’infante tremante

 

Quel che si cela in un Riflesso..

 

 

Cosa desideravo?

 

Mentre il nascere di un nuovo giorno rivelava le prime luci del mattino e mentre volteggiavo  frenetica al di sotto di un albero, mi chiedevo cosa desiderassi realmente.

Sentivo il mio forte ansimare come quello delle più orrende di tutte le bestie e il suono ritmato del mio cuore disperdersi nell’aria in una languida preghiera. Cosa diavolo volevo veramente?

Mi accasciai improvvisamente al di sotto dell’albero piangente privo delle sue verdeggianti foglie e  intrecciai le mie dita affusolate con i lunghi rami sinuosi protendenti verso di me in un sordo richiamo.

 

“ Anche te soffri ? Dunque non sai più cosa aspettarti da questa vita priva di senso?

 

Osservai il caldo fiato venire a contatto con l’aria fredda dell’autunno, condensandosi in incorporee nuvole avanti agli occhi e dissolvendosi rapidamente nel cielo inquinato da nubi.

Posai il palmo della mano sul vecchio tronco della pianta, passando le dita su di ogni ruga memore di anni passati trascorsi a spiare i passanti, ignari della sua vigilanza.

Forse volevo essere l’alba di quella fantomatica notte, il raggio di luce negli occhi di un infante tremante.

Volevo sentirmi folle in quel momento del tutto insignificante,  l’aria nei polmoni di  quella persona solitaria che accantonata in un angolo del mondo, dettava parole alla terra bruciata dal sole del mattino precedente, formulando un insieme di frasi sconnesse e parole che si perdevano nei profondi abissi del dimenticatoio.

Volevo essere il tutto nell’ignoto che era quella realtà, toccare con un dito il manto nero della sera tempestato di diamanti, cantare melodie mute agli orecchi dei sordi e ritrarre immagini invisibili a chi non aveva più il coraggio di aprire gli occhi.

Volevo entrare nella testa di un folle per  vagare nelle sue memorie, studiandone ogni  visione e scoprendone i segreti intessuti nel groviglio di pensieri. Perché noi non siamo che geni incompresi.

E perché non tuffarsi in una struggente melodia, perché non danzare in omaggio alla vita?

Volteggiai al di sotto di viali morti, canticchiando strofe perse e mai nate, osservando i colori impalpabili e salutando le ombre danzanti agli angoli della periferia.

Ogni cosa sembrava ballare attorno a me. Vedevo il lampione girami attorno come il più bravo dei ballerini. Caddi a terra.

Cercai di rialzarmi ma non ce la feci. Potevo sentire il duro cemento sotto le dita, l’odore aspro della pioggia misto a quello della polvere. Alzai gli occhi e vidi la mia immagine riflettersi sul vetro di una vetrina. Notai il biancore del mio viso e la gracilità di tutto il mio corpo.  Percorsi con lo sguardo i lunghi boccoli castani fradici e le lunghe ciglia ricurve che incorniciavano i miei occhi color smeraldo.

Mi avvicinai, schiacciando il naso contro la fredda superficie e appannandola mentre gelide gocce d’acqua piovana percorrevano i capelli  e la pelle, bagnandomi il leggero vestito del color dell’ebano e facendo così trasparire le dolce curve del mio essere donna.

Una nuova goccia salata percorse il mio viso, designando un nuovo tragitto.

Non ce la facevo.

Nonostante ce la mettessi tutta per sorridere, c’era un qualche cosa che stonava, un peso che impertinente risiedeva costantemente nello stomaco. Conoscevo bene quella sensazione improvvisa ed indiscreta che mi sconvolgeva tutta la testa spronandomi a cercare, in un modo o nell’altro, un qualche cosa che alla fine non riuscivo ad individuare. Ero perennemente alla ricerca di quella

‘ cosa ‘ che non riuscivo in nessun modo ad identificare ed ottenere. E questo mi faceva stare male. Riuscivo a distinguere nel profondo dei miei occhi un velo amaro e opaco che offuscava la realtà, distorcendo ogni mia percezione e svalutandomi il tutto. La verità era che ormai non avevo più obbiettivi, ed il solo fatto di saperlo mi faceva stare maledettamente male.

La mia vita si stava progressivamente deteriorando, divenendo con il passare del tempo sempre più sciapa e banale. Non avevo aspirazioni né scopi. Semplicemente esistevo. Forse era il semplice istinto che mi guidava, spronandomi a camminare tra le vie che di giorno, si rivelavano per quel che erano veramente.

Ormai mi ero ridotta ad uscire solamente di notte poiché, quando la tenebra inghiottiva ogni cosa, mascherava la realtà che tanto odiavo, permettendomi di tessere sogni proibiti di colori e luci e  facendomi immaginare un mondo ed una vita differente da quella attuale. Per un breve periodo  questo mi  bastò; il semplice sogno soddisfaceva quel che normalmente non riuscivo a raggiungere.

Ma un giorno scoprii che questo non mi bastò più.

Non ricordo precisamente quando  avvenne questo cambiamento. Semplicemente una mattina mi  svegliai con un’incolmabile insoddisfazione, scoprendomi dannatamente vulnerabile ed insoddisfatta.

Avevo assolutamente bisogno di scovare un qualche cosa di reale in quel mondo di illusione; una sola cosa. Quella cosa ancora non l’avevo ottenuta.

E mentre sommessamente piangevo le ingiustizie di quella vita sbagliata, scoprii nel riflesso tanto odiato uno sguardo estraneo. Sfiorai con la mano quei occhi così grigi e profondi e delineai con le dita i contorni delle sue sottili labbra purpuree incurvate in un indecifrabile sorriso.  

L’uomo si avvicinò silenziosamente, fino a quando percepii distintamente la tua presenza retrostante.

Una nuova mano bianca ed affusolata si appoggiò sul freddo vetro, toccando la mia figura riflessa e soffermandosi sulle labbra dischiuse.

Mi girai si scatto, ritrovandomi  tra le sue braccia bagnate. Osservai il nero dei suoi capelli aderiti alla pelle accaldata ed la camicia bianca che stropicciata, fuoriusciva dai pantaloni neri strappati.

Stavo tremando, il freddo della pioggia stava penetrandomi nelle ossa. Con un braccio mi circondò la vita, attirandomi a se. Non so cosa mi spinse a seguirlo, forse il suo sguardo caldo e perso che sembrava richiamare a se una strana forza. In essi potevo scorgere una singolare luce guizzante che regolarmente, inondava le sue iridi cupe, abbagliandoli per poi tornare negli abissi dell’inconscio. Era consapevole delle sensazioni che mi stava procurando?

Per la prima volta, quel vagone che da tempo memorabile risiedeva nel mio stomaco sembrò smuoversi ed il cuore assopito in un eterno letargo, si risvegliò e divenne più frenetico sotto il tocco delle sue mani.

Una nuova atmosfera calò nell’ambiente, rendendo unico ed irraggiungibile anche la più banale di tutte le cose.

Dopo tanto tempo, provai curiosità nei confronti di una persona.

Mi sentii trascinare da quella mano tanto bianca e sottile, ritrovandomi dispersa in luoghi mai travalicati prima e stranamente spaesata in quella assurda situazione.

Spaventata? No, non direi.

Non chiedetemi perché ma percepivo un’innata fiducia nei confronti di quel particolare ragazzo.

Calpestai le foglie tinte dei colori dell’autunno per terra,  parzialmente bagnate dalla pioggia che imperterrita, continuava a  bagnare i nostri corpi ormai fradici e barcollanti.

Durante tutta la notte non avevo fatto altro che ballare attorno all’albero piangente del parco, esibendomi in innumerevoli piroette e volteggiando frenetica attorno al tronco vecchio, accarezzata dai nodosi rami ricurvi.

Passarono una diecina di minuti quando lo sconosciuto si fermò ai piedi di una scalinata. Per la prima volta da quando ci eravamo incamminati, si girò verso di me con dipinta sul volto la stessa espressione iniziale. Ammirai nuovamente quel sorriso singolare ed il bagliore supino di quei occhi troppo profondi e sconcertanti.

“ Vieni “ La sua voce roca e vellutata mi pregò di seguirlo.

Priva di qualsiasi esitazione, misi un piede sul primo scalino di legno, proseguendo la scalata di quella gradinata scricchiolante.

Il cigolio di una porta catturò l’attenzione. Il ragazzo si immerse nel buio dell’abitazione, confondendosi tra le ombre scure. Con titubanza entrai nella stanza, portando avanti al viso una mano nella vana speranza di godere nuovamente di quella presa tanto gentile e confortante.

E tra le tenebre di quel piccolo spazio, ritrovai il suo braccio infreddolito e il profumo tenue della sua pelle fresca.

Il sole nascente tinse il cielo di un porpora accecante e dalla finestra semichiusa filtrò un fascio di luce che inondò l’abitazione, rivelandone le fattezze.

E di fronte a quella visione non potei che spalancare sia occhi e bocca, ammirandone le raffinate raffigurazione tratte in quella ragnatela intessuta di colori e sogni. Alzai gli occhi e constatai che anche il soffitto come ogni altra parete, presentava quei personaggi immaginari e galanti.

Una risata compiaciuta mi sfuggì di bocca e, pensando di aver raggiunto la pace dei sensi, cominciai nuovamente a danzare nella stanza, non badando alla stanchezza che aveva intorpidito il mio corpo, cantando a squarciagola in onore di quelle immagini meravigliose. Un sogghigno soddisfatto incurvò le labbra del giovane taciturno.

“ Deve essere un sogno “ urlai con voce incredula. Ero sicura che si trattasse di un sogno.

Quelle figure, quei colori, non potevano essere reali.

Un braccio estraneo mi cinse la vita e mi costrinse a voltarmi.

Incontrai delle labbra carnose su cui increspava un dolce sorriso ed occhi pieni di gioia e irradiati di luce. Nonostante fosse giorno, ogni cosa mi sembrava assurdamente giusta e perfetta.

Si. Non poteva che essere un sogno; questo senso appagato, questa pace dei sensi non poteva che essere immaginario.

Eppure, quando le nostre labbra vennero a contatto, il calore di quella bocca mi sembrò veramente reale. Come reale era il suo sapore e l’odore di quella pelle perlacea.

Piansi, piansi per tanto tempo tra quelle braccia ancora fracide e tremati. E le mie lacrime  si unirono alle sue, fondendosi in uniche gocce salate che caddero a terra in sordi tonfi. Mi aggrappai a lui disperatamente, ascoltando il calmo battere del suo cuore e trovando quel calore tanto cercato. Perché era questo che aspiravo.

“ Mi chiamo Gianluca “

“ Io Elena “

Il suono delle nostre voci si dispersero nell’aria mattutina, mentre un nascere di nuovi sorrisi balenarono sui nostri volti appagati.

Le nuove bocche fameliche si ritrovarono nuovamente, vogliose di quel caldo contatto.

In lui trovai quel che non avevo mai avuto così come lui scovò in me quel che gli mancava.

Siamo esseri imperfetti che si completano a vicenda. E la cosa più incredibile era che per capirlo, ci era bastato un solo sguardo scovato in un riflesso.

Felice, mi accasciai a terra tra le sue braccia, posizionandomi sul suo stomaco piatto e appisolandomi, cullata tra le nostre voci cristalline impregnate in una struggente melodia e dai sorrisi di quei dipinti meravigliosi.

Chiusi gli occhi, sprofondando nel profondo dell’incoscienza, consapevole di risvegliami tra quelle mura e tra quelle braccia. Come avvenne per il resto della nostra vita.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: damned88