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Autore: _ninive_    31/10/2009    1 recensioni
Maya parte per una vacanza con sua cugina Samu. Ha bisogno di divertirsi e di staccare la spina. Ray è un ragazzo desiderato e popolare, che vive alla leggera. Due persone così diverse unite dallo stesso destino, quello di innamorarsi. (Leggere il seguito: i tuoi occhi lontani)
GRUPPO SU FACEBOOK: CON GLI OCCHI DI RAY
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tra mare e cielo'
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Image and video hosting by TinyPic due vite diverse 1“Maya! Se non ti alzi subito perdi il traghetto!”
Il grido di mia mamma mi fa alzare con la luna storta. Accidenti, perché le avranno inventate, le madri? Non dovrebbero lasciarci in pace quando siamo abbastanza grandi da chiederle: “Ehi, hai un po’ di soldi?”. È una domanda che tutti ci poniamo una volta nella vita. Mi alzo col sonno ancora addosso, come un pigiama. Non ho nemmeno la forza per guardarmi allo specchio. E mia mamma passerà guai seri.
“Sono solo le sette!”
“Hai solo quattro ore per prepararti!”
E da quando mia mamma si preoccupa delle ore che mi servono per prepararmi?
“Che traghetto perdo, poi?” Apro il mio armadio bianco e non trovo nulla che mi piace da indossare.
“Questi jeans… sono così rozzi. Voi ragazzi vi vestite tutti uguali.”
 “Si, si, certo, mamma.”
“Non darmi ragione così. Non sono mica una scema, sai?”
“Si, si, certo, mamma.” La solita risposta. Se ne va, pensierosa. A volte le madri non sanno cosa dire, e se ne vanno via. Come ora.
Mi vesto velocemente. Guardo allo specchio il risultato di una notte sul mio letto morbido. Di solito attiro troppo l’attenzione. Non perché sia particolarmente bella. Ho zigomi alti, occhi nocciola allegri e vivaci. I capelli, né lisci né ricci, riflettono la luce e appaiono come un castano chiaro dai riflessi rossastri.
Vado in bagno, abbandonando i colori tenui della mia camera e il mio letto sfatto. So che mia madre mi odierà perché non ho fatto il letto. Per un giorno, posso fregarmene. Oggi, è un giorno speciale.
Un muro del bagno è formato da uno specchio. Enorme e luminoso. Lo odio. Ci sono momenti in cui eviti gli specchi. E entrare nel mio bagno e non guardarsi è impossibile. Mi lavo la faccia. Guardo il mio viso ancora bagnato, gli occhi, ora un po’ meno assonnati. Mi faccio la coda alta, poi bassa. Mi sciolgo a capelli. Non me ne importa poi molto di come mi pettino. È il mio modo di essere, di fregarmene di ciò che pensa la gente. Sono appariscente perché ho sempre la battuta pronta, una risata che contagia, non sto mai ferma, cammino mormorando le parole di una canzone. E non mi interessa, non mi importa degli sguardi degli altri, non mi curo dei loro giudizi. Sono quella che sono. I am what I am. Non me la cavo male in inglese. Le persone mi apprezzano così, perché sono simpatica, allegra e solare. Perché vivo la vita senza pensare al domani, senza preoccuparmi delle conseguenze delle mie azioni. Ad alcuni sto antipatica, però. È naturale. Mia madre afferma che la gelosia porta odio. Ma io, da quando do retta a mia madre? Però… ha ragione. Mannaggia. Devo non-ascoltarla più spesso, o rischio di diventare come lei.
Vado in cucina. Mia madre guarda il tg del mattino, sorseggiando una tazza di tè verde. Io prendo un biscotto e me lo ficco in bocca. Lo sguardo di mamma cade su di me e sulla mia colazione veloce.
“Maya, la colazione è il pasto più importante della giornata…” le altre parole si perdono come i raggi del sole nella cucina. Fa uno strano effetto sentirsi chiamare come l’ape dei cartoni animati. In realtà, mia madre quando era incinta era rimasta affascinata dalla civiltà Maya durante una gita. E così, mi ha dato il nome della civiltà.
“Ehi, mi ascolti?”
“Certo, mamma. Certo. Ti ascolto sempre. Parlavi dell’importanza della colazione. Ma io sono di fretta.”
Mia mamma mi sorride soddisfatta, contenta che le sue parole siano state ascoltate. Povera illusa.
“E dove corri?”
“Vado a farmi un giretto. Torno presto.”
“Quanto presto?”
“Presto…”
“D’accordo.”
La saluto con la mano. Poi torno indietro e prendo un altro biscotto. La risaluto. Lei sospira pensando alla mia colazione mancata. Esco in strada. Sono appena le otto, non c’è nessuno in giro. Affretto il passo. Non per fretta. Quando si è in anticipo, si affretta il passo. Io almeno faccio così.
Faccio un giro per il vicinato, anche se di mettina presto, a Giugno, è impossibile trovare qualcuno. A volte penso di non essere normale, cioè, come tutte le altre ragazze. Entro in panificio e mi compro una pizza.
Le mie amiche di solito cambiano ragazzo ogni due settimane, vanno alle feste, in discoteca. Io no. Non so perché, ma mi fa star male sapere che mia madre sta a casa da sola, dato che mio padre ci ha abbandonate quando ero molto piccola. Ma non sono infelice, ho solo qualche problema a fidarmi delle persone.
Quasi mi investe una macchina. Chiedo scusa e mi allontano.
Sono uno spirito libero, non ho nessuno che mi ordina cosa fare. Sono il vento. Torno a casa quasi saltellando. Un ragazzo più grande mi osserva curioso. Lo saluto con la mano. Lui sorride. Vado avanti, cantando una canzone dei Linkin Park, With you. Sono anche abbastanza intonata.
“Ehi, come mai tutta questa gioia?”
Guardo mia madre e rido. “Io sono il vento…”
Lo dico in maniera così convincente che potrebbe anche credermi.


Image and video hosting by TinyPic È mattina a La Maddalena. Si sveglia quel ragazzo, e sono le dieci. Si sveglia di fronte al mare. Non è difficile, in quella zona, la zona delle case più costose. Vive lì col fratello. Lui vive la vita alla giornata, senza preoccuparsi del futuro. Esce in balcone in mutande. Alcune ragazze che passano di sotto sorridono a quella visione celestiale, lo guardano arrossendo e dandosi gomitate a vicenda.
“Guardate, c’è Ray. Che bello…”
Ray le saluta con la mano, quelle sorridono emettendo risolini acuti. Ray scuote la testa ridendo e torna dentro. La cucina è illuminata e il bianco delle pareti gli mette il buonumore. Il fratello è appena uscito, chissà a che ora torna.
Si spettina i capelli, come per ricaricarsi dalle cinque ore di sonno appena trascorse. Non c’è più caffè, logico, si è alzato troppo tardi. Ci sarebbe bisogno di una caffettiera più grande. Va a vestirsi, stiracchiandosi, scalzo. Il telefonino squilla. Sbadiglia e risponde: “Prooo?”
“Pronto?”
“Scusa, sbadigliavo… chi è?”
“Ehm, sono Lucia…”
“Lucia, Lucia, Lucia…”
“La ragazza con cui sei uscito ieri. Hai promesso di chiamarmi…”
Le torna in mente. La ragazza di ieri, certo. Deve essere la mattina, non è in gran forma.
“Si, dovevo chiamarti. Solo che…”
“Non hai chiesto il numero. Allora ti ho chiamato io. Contento?”
“Certo… come no.” Il suo tono fa capire il contrario.
“Mi sono divertita molto con te, ieri.”
“Anche io” Se solo mi ricordassi, pensa.
“Mi chiami stasera?”
“Se mi ricordo, si…”
“Ok, ciao Ray”
“Ciao… ehm…” non si ricorda il nome.
“Lucia.”
“Certo, Lucia.”
Attacca. Solo ora le viene in mente. La ragazza coi capelli neri. Agli autoscontri, in giro per il porto. Certo che si ricorda. Sotto casa sua. Le sue parole, perse. Si sono baciati al buio. Poi è andato in giro con gli amici, ed è tornato tardi. Lucia. Non è il suo tipo. Troppo perbenino. Tutta casa e chiesa.
Torna in camera e si veste. Jeans scuri e maglietta nera. Ha un’aria angelica. Ma niente del suo carattere lo è. La sua fama lo precede. Il latin lover, quello con una ragazza diversa ogni giorno, quello scansafatiche, che col gruppo di amici ne combina di cotte e di crude. Il telefono squilla ancora. Sbuffa e va a rispondere.
“Chi è?” dice, scorbutico.
“Ehi, abbiamo la luna storta, piccolino.”
“Cosa vuoi, Fabio?”
Il suo migliore amico. Da sempre. E di sicuro per sempre.
“Niente. Hai già fatto colazione?”
“Cosa te ne frega?”
“Sono sotto casa tua”
Gli apre la porta dal citofono.
“Sali.”
“Sei un grande.”
“Lo so”
Attacca e va in bagno. Il ragazzo nello specchio lo guarda coi suoi occhi chiari, all’apparenza ingenui. I capelli neri e la pelle chiara. Spalle larghe e muscoli, frutto di otto anni di basket. Un sorriso bellissimo, e all’apparenza un carattere scorbutico. Ma non è così. È magro al punto giusto. Irriverente e simpatico. Da sogno. E di sicuro sono molte le ragazze che lo sognano.
“Ray, ci sei?” la voce di Fabio dalla cucina.
“Sono in bagno!”
“Ti fai bello?”
“Più di così non posso. Sono già perfetto” dice, uscendo dal bagno.
Fabio gli sorride. “Chi era la ragazza di ieri?”
“Non mi ricordo come si chiama… ah, si. Lucia.”
L’amico si aspetta un resoconto della serata, buttandosi sul divano color crema addentando un biscotto.
“Ehi, se fai cadere qualcosa e macchi il divano, sei morto.”
Fabio si sposta, si siede su una sedia. Più scomodo, ma fuori dai guai.
“Allora? Questa Lucia?”
“Niente di speciale.”
Fabio lo guarda a bocca piena.
“Davvero. Nulla di che.” Ray prende la caffettiera e la mette nel lavandino.
“Non ti va a genio?”
“Troppo tranquilla. Per niente il mio tipo. Pensa che quando la stavo accompagnando a casa, erano solo le dieci.”
“No, non ci credo. Una santa.”
“Credici. Mi ha detto che era troppo tardi, che eravamo usciti solo una volta… le solite storie.”
Si siede di fronte all’amico, che continua a mangiarsi i dolci sul tavolo, come se fosse in un bar.
“E alla fine?”
“Alla fine l’ho accompagnata e l’ho baciata sotto casa. Facevo prima a non farlo. Nemmeno quello mi è piaciuto"
Fabio sta più comodo sulla sedia. Sorride.
“Non ci credo! Che sgora!”
Ray alza un sopraciglio. “Sgora?”
“Si! È un termine che ho appena inventato…”
“Rimuovilo dal tuo vocabolario. Fa proprio schifo.”
“Dov’è il capo?”
“Mio fratello? Boh, chi lo sa?”
“Forte… non sai dov’è tuo fratello! Vorrei vivere qui!”
“Perché, non è come se già ci vivessi? Guarda come mi hai ridotto il pavimento! Mangiare sul tavolo no?”
“No. E non fare il perfettino.” Prende il telecomando della Tv.
“Non accenderla. Usciamo.”
“Oh, non ne ho voglia, non rompere.”
“Come va con Fede?”
Fede. La ragazza di sempre di Fabio.
“Stabile. Piatto. Morto.”
“Stai parlando del vostro rapporto o di qualcos’altro?” Ray gli sorride, cattivo in qualche modo. La sua ragazza è un vero cesso.
“Spiritoso. Non te l’hanno ancora dato il Nobel per le battute gelide?”
“No. Mi daranno quello per le battute mitiche. Allora?”
“Sono infuriato. Lo sai cosa mi ha detto ieri? ‘Non sei mai romantico con me!’ e io le ho chiesto cosa volesse e lei: ‘Una cosa in più…”
“Vedi… lei sogna il grande amore! E tu… Sei proprio sgoro…”
“Ma non ti faceva schifo questo termine?”
“Detto da te. Pronunciato dalle mie labbra è perfetto.”
“Comunque, lei mi dice che sono un insensibile e se ne va. Ma ti sembra logico?”
“Beh… vuoi la verità?”
“Spara”
“Si, è molto logico. E tu sei proprio freddo con lei. Certo che poi alla fine…”
“Alla fine?”
“Ti molla. E non fa in tempo manco a dartela.”
“Mannaggia a te. Mi porti sfiga!”
“Fabio, sveglia!” Ray gli da un cazzotto forte sulla spalla. “Hai diciotto anni! Prima o poi, lo dovrai fare, no? Meglio con qualcun’altra…”
“Perché?”
“Fede non è che sia il massimo in bellezza.”
Fabio si alza, facendo cadere migliaia di briciole sul tappeto. Ray non ha il tempo di sgridarlo, perché si ritrova rincorso dall’amico. Fabio urta violentemente il tavolo, Ray ancora scalzo si muove sul divano. Fabio si ferma, ha una fitta alla milza.
“Fai sport, e vedi che aumenti la resistenza! Mi metto le scarpe e andiamo…”
Fabio si butta per terra, come se avesse vinto una maratona.
“Prima o poi, mi ucciderai…” mormora.


  
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